Pazzesco, adesso Renzi inizia ad insultare gli italiani: “Italiani piagnoni e spreconi”

giovedì 2 giugno 2016
 
Renzi
Il premier a Trieste va a ruota libera ed invita il Paese ad “abbandonare la cultura del non si può”. Cosa sia, lo sa solo lui, che in effetti fa sempre ciò che vuole
 
Sotto Prodi, eravamo tutti evasori (queste le sue prime parole quando si insediò nel 2006), sotto Monti choosy e bamboccioni, sotto Renzi piagnoni. Dimentico delle centinaia di migliaia di esodati, di disoccupati, di lavoratori che non arrivano a fine mese, se ne inventa un’altra, forse per battere la concorrenza dei sui colleghi premier nello sparar fregnacce. E dice: “C’è bisogno di un Paese che la smetta di piangersi addosso. Questa è la rassegnazione e la stanchezza che diventa unico paradigma. Io a questa cultura non intendo cedere. Noi siamo per la proposta e fino all’ultima stilla di energia metteremo tutto affinchè l’Italia possa ripartire”. Renzi lo ha detto (per davvero, non era Crozza che lo stava imitando) parlando sabato a Trieste, dove ha sottoscritto un protocollo d’intesa sul recupero del Porto Vecchio.
Ma non gli è bastata. Oltrecché piagnoni, gli italiani sono pure spreconi. “Basta con la cultura dello spreco”, ha continuato Renzi in un crescendo; “se smetteremo con la cultura dello spreco l’Italia tornerà ad avere un posto centrale nel mondo. La cultura del non si può è andata in pensione, si può, anzi – permettetemi – si deve”. La Sinistra rottama il vetroniano Si può fare (che era poi la battuta cult del film Frankenstein jr. di Mel Brooks) al Si deve. Tanto, se non si riesce, la colpa è dempre nostra, che siam piagnoni e spreconi.
 
Non poteva infine mancare la battuta sull’immigrazione. La risposta “a chi chiede muri” è “produrre bellezza”, ha detto il premier. E questa, giuriamo, credevamo gliel’avessa fatta dire solo Crozza..

Mattarella: “l’Italia garantisca dignità e sicurezza agli immigrati”. Anche ai poveri Italiani?

come viene garantita ai 7 milioni di italiani sotto la soglia di povertà? O come viene garantita al 63,4% dei pensionati sotto i 750 euro? Come viene garantita a chi presenta un Isee? Come viene garantita ai disoccupati SENZA REDDITO DI CITTADINANZA??????????????
I moralmente superiori riconoscono solo l’eguaglianza STABILITA DA MAFIA CAPITALE, QUELLA CHE RENDE PIU’ DELLA DROGA per intenderci. Se ti opponi A TALE BUSINESS, SEI RAZZISTA
 
mattarell3

“Nella gestione dei continui flussi di persone in fuga da guerre, persecuzioni e povertà spetta ai Prefetti un ruolo essenziale per coordinare le attività di primo soccorso e di assistenza, per garantire condizioni generali di sicurezza e di rispetto della dignità umana, per favorire la sistemazione più adeguata nelle diverse realtà”.

 
Lo scrive il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, nel messaggio inviato ai Prefetti in occasione della Festa della Repubblica.”Grazie ad una attenta opera di mediazione – aggiunge – si stanno realizzando, sulla base di accordi con enti locali e associazioni di volontariato, positive esperienze di accoglienza e di inclusione, con l’inserimento dei profughi anche in progetti di utilità sociale”.
 
“Operare con determinazione per l’affermazione dei principi di libertà nella sicurezza e la coesione delle nostre comunità – conclude il capo dello Stato – per il buon funzionamento della macchina pubblica e a garanzia dei servizi essenziali, significa far vivere nel quotidiano i principi e i valori che sono alla base del patto di cittadinanza repubblicana”. (askanews)

Esclusivo: L’Arabia Saudita costruisce ambasciata in Israele

Rete Voltaire | 29 maggio 2016
 
Il Regno dell’Arabia Saudita ha iniziato la costruzione di una gigantesca ambasciata in Israele, probabilmente la più grande di Tel Aviv.
 
Ufficialmente i due Stati non intrattengono relazioni diplomatiche dall’espulsione nel 1948 da parte di Israele della maggioranza della popolazione palestinese (la Nakba).
Tuttavia, il Patto di Quincy, firmato nel 1945 dal presidente Roosevelt e dal re Abdelaziz, e rinnovato nel 2005 dal presidente Bush e dal re Fahd, contempla tra le altre cose che l’Arabia Saudita non si opponga alla costituzione di un nucleo ebreo in Palestina (il futuro Stato d’Israele) [1].
Nel 2008-2009 il re Abdallah finanziò, al posto degli Stati Uniti, l’operazione israeliana contro la Banda di Gaza Piombo fuso [2]. Questo riavvicinamento mise fine alla “dottrina della periferia”, ossia allo sforzo di Tel Aviv di riunificare i protagonisti non arabi della regione (Iran, Turchia, Etiopia) per coalizzarsi contro i Paesi arabi.
 
Il presidente Shimon Peres si esternò in video davanti al Consiglio di sicurezza del Golfo nel novembre 2013. I membri del Consiglio non poterono porgli domande direttamente, ma attraverso l’intermediario Terje Rød-Larsen [3].
 
Attualmente, i due Paesi stanno conducendo insieme una guerra allo Yemen, guidata da uno stato maggiore comune, installato nello Stato non riconosciuto del Somaliland [4].. La Forza “araba” di Difesa Comune riproduce il concetto del Patto di Bagdad, pure militarmente comandato da uno Stato che non ne era membro (in quel caso gli Stati Uniti).
 
Insieme stanno progettando diverse operazioni di sfruttamento petrolifero in Yemen e nel Corno d’Africa [5].
 
Il re Salmane ha designato il principe Walid Ben Talal (che si trova al quinto posto della classifica dei più ricchi del mondo, con Citigroup, Mövenpick, Four Seasons) come prossimo ambasciatore a Tel Aviv.
 
Traduzione
 
[1] I termini esatti del patto sono ancora segreti.
 
[2] “La guerra israeliana è finanziata dall’Arabia saudita”, di Thierry Meyssan, Traduzione di Alessandro Lattanzio, Rete Voltaire, 10 gennaio 2009.
 
[3] “Shimon Peres ha parlato al Consiglio di sicurezza del Golfo a fine novembre”, Traduzione di Alessandro Lattanzio, Rete Voltaire, 4 dicembre 2013.
 
[4] “La Forza “araba” di Difesa comune”, di Thierry Meyssan, Traduzione Matzu Yagi, Megachip-Globalist (Italia) , Rete Voltaire, 20 aprile 2015.
 
[5] “Esclusivo: i progetti segreti di Israele e Arabia Saudita”, di Thierry Meyssan, Traduzione Matzu Yagi, Megachip-Globalist (Italia) , Rete Voltaire, 22 giugno 2015.

Belluno, chiede un pasto alla Croce Rossa: “Non ha il certificato”

ATTENDO CHE VENGA LICENZIATO SIA L’ADDETTO ALLA CARITAS CHE L’ADDETTO AL COMUNE CHE HA DATO A QUESTO DISOCCUPATO L’APPUNTAMENTO TRA 15 GG PER MANGIARE…..
E’ stato licenziato dal comune di torino l’addetto che ha negato la casa popolare ad una coppia gay, dato che ha leso la dignità della coppia.
PER CHI CONDANNA A MORTE PER FAME COSA E’ PREVISTO?????????
 
Un disoccupato dopo la coda alla Croce Rossa non ottiene il pasto: “Per me niente, per gli stranieri tutto”
Mario Valenza – Mar, 02/06/2015
“Chiedevo solo un pacco di pasta e un litro d’olio – racconta un bellunese di 54 anni padre di famiglia, che vuole restare anonimo – ma sono tornato indietro a mani vuote”.
belluno
Un ex dipendente della Metalba a Belluno, senza lavoro da 5 anni, è rimasto senza il pranzo perché secondo la Croce Rossa non aveva il certificato per ottenerlo. Dopo aver passato una mattinata in fila per avere un pasto caldo, l’uomo ha di fatto ricevuto un secco “no” dalla struttura.
 
“Mi sono sentito umiliato – racconta l’uomo, reduce dall’evento al Gazzettino -, le persone davanti a me erano per lo più straniere e io, italiano, non ho ricevuto nulla. Mi è stato detto che devo passare per i servizi sociali del Comune, d’accordo, ma io l’appuntamento l’ho ottenuto tra quindici giorni mentre la fame e il bisogno li avevo mercoledì”. Infine l’amara confessione: “Cercano sempre persone più giovani – racconta sfiduciato – o chiedono titoli anche per i lavori più semplici. Io e mia moglie siamo di Napoli, ci siamo trasferiti a Belluno undici anni fa per trovare lavoro, ma ormai è difficile ottenere un impiego anche qui”.

bosco-2 RUBÒ LEGNA PER 20 EURO IN UN BOSCO: ORA RISCHIA 6 ANNI DI CARCERE…

bosco1
Un furto da venti euro. Che però rischia di costargli caro, esattamente fino a sei anni di carcere. Protagonista un 52enne accusato di furto aggravato di sette quintali di legna da un bosco.
Come scrive La Tribuna di Treviso, i fatti risalgono all’agosto del 2010 quando l’imputato andò a prendere con un mezzo agricolo e rimorchio della legna in un bosco di Miane di cui aveva avuto l’autorizzazione di tagliare gli alberi.
Secondo quanto sostiene l’accusa, l’imputato avrebbe anche preso della legna riposta in una catasta vicina di complessivi 800 quintali che erano di proprietà del Comune di Miane.

Francia: Hollande e la guerra al lavoro

bravo kompagno, l’hai capita la strategia, comprare i sindacati, vedi italia.
 
di Michele Paris – 01/06/2016
francia lavoro
 
Davanti all’ondata di scioperi e proteste che continuano ad attraversare la Francia, il governo Socialista del presidente, François Hollande, e del primo ministro, Manuel Valls, sembra deciso a proseguire nell’implementazione dell’odiata legge di “riforma” del mercato del lavoro (“legge Khomri” o “loi travail”) in fase di discussione al Parlamento di Parigi.
 
Martedì ha preso il via un nuovo sciopero in Francia, con i lavoratori delle ferrovie che hanno incrociato le braccia a partire dalle ore 19. La protesta, promossa dalla Confederazione Generale del Lavoro (CGT), ovvero il secondo sindacato francese per numero di iscritti, dovrebbe creare disagi non indifferenti. Secondo la società ferroviaria francese (SNCF), il 40% dei treni ad alta velocità (TGV) e i due terzi del normale trasporto nazionale su rotaia dovrebbero essere interessati dall’agitazione.
 
La più moderata Confederazione Francese Democratica del Lavoro (CFDT) ha però annullato lo sciopero dei propri membri in seguito alla promessa di concessioni da parte del governo, attenuando parzialmente l’impatto della protesta. I ferrovieri francesi sono infatti in sciopero non solo contro la “riforma” Khomri, ma anche contro un piano di riorganizzazione interna che prevede un netto peggioramento delle condizioni di lavoro.
 
Il calendario degli scioperi annunciato dai sindacati d’oltralpe è comunque ricco. Giovedì toccherà ai lavoratori della metropolitana parigina, mentre il settore aereo non ha ancora fissato una data precisa per uno sciopero dettato anche da previsti tagli delle retribuzioni. Altre categorie avevano già manifestato nelle scorse settimane, tra cui quella petrolifera, causando forti disagi. Il blocco di raffinerie e depositi di carburante aveva spinto il governo in alcuni casi a impiegare le forze dell’ordine per rompere la resistenza dei lavoratori e garantire le forniture nel paese.
 
La legge in questione prende il nome dal ministro del Lavoro, Myriam El Khomri, e minaccia di stravolgere il codice che ha garantito per decenni diritti e una certa sicurezza ai lavoratori francesi. La resistenza al provvedimento è tale da avere costretto il governo ad adottare una manovra profondamente anti-democratica per favorirne l’approvazione in Parlamento.
 
Tre settimane fa, cioè, il gabinetto Valls era ricorso all’articolo 49, paragrafo 3, della Costituzione francese, per forzare il passaggio della legge all’Assemblea Nazionale senza un voto dei suoi membri. Questo espediente manda la legge direttamente al Senato e la Camera bassa ha la possibilità di ostacolarne l’approvazione solo sfiduciando il governo. Vista la necessità dei voti di un numero consistente di deputati Socialisti, tutt’altro che disposti a far cadere l’esecutivo, le mozioni di sfiducia dell’opposizione erano prevedibilmente fallite.
 
Ad ogni modo, le proteste e l’ondata di scioperi nel paese erano iniziate subito dopo il colpo di mano in Parlamento di Hollande e Valls. Alla guida della mobilitazione si è messa appunto la CGT e il suo leader, Philippe Martinez, ben intenzionato a rilanciare la sua immagine di sindacalista radicale di fronte a un sentimento di ostilità irrefrenabile verso il governo tra i lavoratori francesi.
 
francia lavoro
Fino a pochi giorni fa, i vertici della CGT chiedevano il ritiro senza condizioni della “legge Khomri”, focalizzando il proprio malcontento in particolare sull’articolo 2 del testo, quello cioè che prevede per le aziende la possibilità di negoziare direttamente le condizioni di lavoro con i propri dipendenti, aggirando i contratti e le regolamentazioni nazionali per sfruttare la posizione di debolezza dei lavoratori.
 
Secondo i sondaggi pubblicati in Francia, d’altra parte, non solo i lavoratori iscritti ai sindacati ma anche la maggioranza della popolazione è favorevole al ritiro della legge, nonostante la campagna di discredito nei confronti degli scioperanti portata avanti da politici e media ufficiali.
 
Il governo e il presidente sono apparsi scossi dalla resistenza emersa nel paese contro il loro tentativo di ristrutturare i rapporti di classe in Francia. Tanto più che, tutt’altro che casualmente, l’introduzione della legge era stata decisa mentre è in vigore lo stato di emergenza, deciso dopo gli attentati terroristici del novembre scorso a Parigi. Grazie ad esso, le forze di polizia hanno poteri straordinari per contrastare qualsiasi genere di “minaccia” all’ordine pubblico.
 
Ciononostante, pubblicamente sia Valls sia Hollande hanno continuato a sostenere che il governo non farà passi indietro sulla “loi travail”. Recentemente erano però circolate dichiarazioni che lasciavano intendere possibili modifiche alla legge, ma la sostanziale linea dura è stata ribadita proprio in questi giorni dal presidente. In un’intervista rilasciata al quotidiano Sud Ouest nel corso di una visita a Bordeaux, Hollande ha confermato che “la legge non sarà ritirata”.
 
Lo stesso inquilino dell’Eliseo ha concesso che gli accordi contrattuali negoziati nelle singole aziende dovranno essere approvati “dai sindacati che rappresentano la maggioranza dei lavoratori”, anche se “lo spirito e il principio” dell’articolo 2 rimarrà immutato.
 
L’affondo di Hollande su una legge che è un sostanziale regalo agli imprenditori francesi è giunto probabilmente dopo i segnali lanciati dal numero uno della CGT Martinez nei giorni precedenti. Lo stesso riferimento del presidente alla collaborazione dei sindacati nell’implementazione di contratti ad hoc, che rifletteranno di fatto le esigenze del management aziendale, è a sua volta un messaggio alla CGT e un invito a procedere con l’inizio della smobilitazione dei lavoratori.
 
Se Martinez continua a proclamare la necessità degli scioperi e a tuonare contro la “riforma”, i suoi toni sono evidentemente cambiati da qualche giorno a questa parte. Inoltre, la stessa strategia di organizzare scioperi settoriali in maniera separata è a ben vedere un modo per contenere le tensioni, visto che un’arma ben più efficace sarebbe stata la mobilitazione di massa con uno sciopero generale.
 
In un’intervista televisiva nel fine settimana, il leader della CGT ha lasciato intendere comunque di essere segretamente in contatto con il governo per trovare una soluzione negoziata allo scontro in atto. Inoltre, nel suo intervento non vi è stata traccia delle precedenti richieste di ritirare il provvedimento.
 
Lunedì, poi, il ministro Khomri ha affermato alla radio RTL di essere in attesa di una proposta della CGT ma che non ci potrà essere nessun accordo se la posizione del sindacato resterà invariata. Martinez, infine, nella serata di lunedì ha fatto sapere di essere disposto ad accettare l’invito al dialogo “senza pre-condizioni”.
 
Evidentemente, la CGT e il suo leader non intendono rompere i legami con il Partito Socialista e il governo Hollande-Valls. Peggio ancora, i sindacati francesi intravedono la possibilità di conservare un ruolo privilegiato nella nuova legge, malgrado gli effetti disastrosi sui loro iscritti e sui lavoratori in genere.
 
sncf
Se molti prevedono dunque un’attenuazione della linea dura della CGT, questa operazione non risulterà semplice vista l’attitudine dei lavoratori francesi verso il governo e la legge sul lavoro. Fondamentale risulterà la capacità di convincere manifestanti e scioperanti dell’importanza delle eventuali concessioni che farà il governo, anche se, come hanno assicurato svariati esponenti di quest’ultimo, essi saranno tutt’al più marginali.
 
Intanto, le pressioni del governo e di tutta la classe politica francese su lavoratori e sindacati per far rientrare la mobilitazione continua a crescere. Una delle armi che verrà utilizzata a questo scopo con sempre maggiore frequenza è il campionato europeo di calcio, ospitato appunto dalla Francia.
 
L’appuntamento prenderà il via il 10 giugno prossimo e già da ora si sprecano gli appelli per il ritorno alla normalità in un paese che sembra non potersi permettersi una brutta figura con gli occhi di tutta l’Europa puntati addosso.
Fonte: Altrenotizie

I razzisti delle riforme

i moralmente superiori HANNO DIRITTO DI IMPORRE il loro pensiero, possono anche redigere liste dei giusti dalle quali chi è escluso è un PARIA’ senza diritto ad una opinione.
 
di Luigi Iannone – 02/06/2016
riforme
 
 
<<Avviso ai naviganti! Si dispensano dai commenti sulle Riforme costituzionali tutti coloro i quali non fanno parte della categoria ‘scienziati’ registrata ieri dal quotidiano La Repubblica con un articolo dal titolo L’appello dei 250 per un “pacato Sì” al referendum’, e perciò esclusi per manifesta incapacità culturale>>.
 
Mi spiace, ma l’ultimo Bollettino di Repubblica così recita. E poi non è colpa loro, se siamo tutti deficienti.
 
Ovvio, ci sono rimasto male anche io, ma per un motivo diverso dal vostro. Fino a ieri avevo un’arma dialettica contro il Regime. Blateravo contro la inconsistenza dei tanti governi che permettono la fuga dei cervelli; ora mi ritrovo con scienziati che spuntano come funghi da tutte le parti. Mi è caduto un mito.
 
Eppure, qualche speranza di dire la nostra ancora l’abbiamo. Per curiosità ho dato un’occhiata alla lista. Ho scovato professori di Psicopatologia dello Sviluppo, di Sistemi Radiomobili Terrestri e Satellitari, di Linguistica Generale, e poi di Marketing, Fisica Sperimentale, Statistica Economica, Restauro Architettonico, Storia della Stampa e dell’Editoria, Strategia Aziendale, Oftalmologia, Storia del Cinema e Filmologia, Neurologia, Diritto dello Spettacolo, Ingegneria dei Sistemi di Trasporto, Chirurgia Generale, Scienza delle Costruzioni, Gastroenterologia.
 
Nemmeno a metà mi sono fermato temendo di incrociare qualche proctologo. Per carità, all’apparenza tutto lecito: ma solo all’apparenza. Dietro queste diciture da bigliettini da visita, c’è qualcosa di terribile, non chiaro ai più! Questa gara a chi ha la lista ‘più lunga’ suona volgarotta come quelle scenette dei B-Movie anni Settanta.
 
In fondo, non credo che un urologo o un otorinolaringoiatra, dall’alto delle loro cattedre di Ordinari, possano saperne di più di una casalinga, di un imbianchino o di un manovale. Se invece si parte dal presupposto opposto, vale a dire che la complessità delle questioni richieda competenze, allora si faccia discutere solo i costituzionalisti.
 
In entrambi i casi, cari scienziati e cari amici di Repubblica, vi sarete macchiati di razzismo culturale. Se la Costituzione è la legge fondamentale della Repubblica partecipino al dibattito tutti. Anche gli italiani di serie B.
Fonte: blog.ilgiornale
 

Bce, tassi invariati nella riunione di Vienna. Draghi: “Sulla Brexit pronti a qualunque scenario”

se lo dice un banchiere, massone, chi siamo noi vulgo, per disobbedire? Certo che lo dirà per il nostro bene, mica per le banche, noi popoli siamo stupidi e populisti, per fortuna che sti saggi pensano al posto nostro.
 
Riviste leggermente al rialzo le stime sulla ripresa europea
 
draghi3
02/06/2016
 
Il direttivo della Bce, riunito a Vienna, in occasione del duecentesimo anniversario della Banca Nazionale Austriaca, non ha come previsto toccato il costo del denaro e ha lasciato invariati i suoi tassi principali: «Resteranno ai livelli bassi per un lungo periodo» ha detto il presidente della Banca centrale europea Mario Draghi. Il “refi”, il tasso di rifinanziamento pronti contro termine, resta a quota zero, mentre il tasso sui depositi, cioè quello che le banche pagano per depositare i loro fondi a Francoforte, rimane negativo a -0,40%. Invariato anche il tasso marginale a +0,25%.
 
Riviste leggermente al rialzo le stime sulla ripresa europea, che il governatore Mario Draghi definisce «stabile ma modesta». La posizione della Bce rispetto all’ipotesi Brexit è inequivocabile: «Rimanere nell’Unione europea fa bene alla Gran Bretagna e fa bene all’Europa», scandisce il presidente Mario Draghi, assicurando comunque che l’Eurotower «è pronta a qualunque scenario».

ALLONS ENFANTS!

http://fulviogrimaldi.blogspot.it/2016/06/allons-enfants.html

MONDOCANE

GIOVEDÌ 2 GIUGNO 2016

“Non temere il nemico, che può solo prenderti la vita. Molto meglio che temi i media, poiché quelli ti rubano la verità e l’onore. Quel potere orribile, l’opinione pubblica di una nazione, viene creato da un’orda di ignoranti, compiaciuti sempliciotti che incapaci di zappare o fabbricare scarpe, si sono dati al giornalismo per evitare il Monte di Pietà.”(Mark Twain)
 
“Una stampa cinica, mercenaria, demagogica finirà col produrre un popolo altrettanto spregevole.” (Joseph Pulitzer)
 
Le fenomenali lotte insurrezionali in Francia, dove si sta applicando la lezione latinoamericana dell’attacco allo Stato capitalista di polizia attravero il blocco dello Stato da parte di tutte le categorie che lo fanno funzionare, meriterebbe un trattamento approfondito e su vasta scala, anche per neutralizzare l’omertà della nostra tremebonda classe politica e dei nostri media asserviti. Omertà con il regime francese che si esprime attraverso l’arma di un silenzio quasi assoluto su quanto da settimane va succedendo in quel paese. Essendo noi quelli dove un prefetto può ridurre d’imperio da 24 a 4 ore uno sciopero dei trasporti, senza che il sindacato sollevi un sopracciglio, sapendo adeguatamente della Francia e dei suoi scioperi ad oltranza, potremmo scoprire che non è detto che i giochi col padrone – che sia Renzi, Boccia, Camusso, Juncker, Draghi, Obama – si debbano sempre fare secondo le regole loro.
 
Ho trovato in rete il documento in calce che fa un interessante confronto tra la nostra situazione e quella francese.
Credo che l’autore dello scritto,fidandosi del potenziale di lotta dei lavoratori italiani, pur sottolineando la diserzione dei loro rappresentanti storici, sindacali e politici, trascuri un dato importante: la passivizzazione dei settori sociali che una successione di governi al servizio del grande capitale finanziario transnazionale è riuscita a produrre. Uno degli strumenti più efficaci , dopo la creazione dello Stato della Sorveglianza Totale e della paura, è stato il depistaggio dalla contraddizione principale, quella di classe, quella del rapporto di forza tra padrone e lavoratore, tra sovrano e suddito, tra dipendenza e sovranità, all’obiettivo totalizzante dei – pur validi – diritti civili, unioni di fatto, GLBTQ, adozioni  Molto importante è poi un dato storico, metapolitico: in Francia resiste un forte senso patriottico in difesa della sovranità dello Stato, che in passato, a partire da De Gaulle, aveva determinato il rifiuto dell’ingresso nell’apparato militare della Nato e poi aveva prodotto lo straordinario NO al referendum sui trattati UE.
 
In Francia, perciò, mi sembra esserci un terreno più propizio per l’opposizione a provvedimenti di repressione e desertificazione sociale (le 45-50 ore di lavoro settimanali, i contratti aziendali a discapito di quelli nazionali di categoria, la totale flessibilità e il potere assoluto di licenziamento) che la gente percepisce essere la componente francese di un piano transnazionale di trasferimento della ricchezza dal basso in alto, di liquidazione della sovranità popolare e statale, di distruzione progressiva dei diritti e delle libertà democratiche, che hanno per mandanti i tecnocrati non eletti di Bruxelles, Wall Street e la Nato. Cioè forze esterne e prevaricatrici. Fenomeno già riscontrato in tempi recenti quando, facendosi forza della minaccia terroristica, opportunamente coltivata da Charlie Hebdo in poi, Hollande ha tentato di bloccare, con arresti preventivi alla Mussolini, le manifestazioni contro la farsa del COP21 sul clima. E non gli è riuscito.
 
 
 
 Schiacciare la società per far passare il TTIP (e la Nato)
 
C’è un’altra considerazione che probabilmente è stata fatta dai dirigenti delle lotte francesi e da gran parte della società. Le misure sociocide ordinate a  Hollande e Valls dalle centrali sopra nominate sono il preludio al TTIP, il trattato di libero scambio UE-USA, Nato economica, che, come sappiamo e come validi parlamentari del M5S denunciano con forza, è inteso a radere al suolo le costituzioni europee, le salvaguardie di lavoro, ambiente, salute, sovranità, conquistate in decenni di lotte e a sottometterci agli interessi delle multinazionali Usa. Una consapevolezza che in altri paesi europei sembra già più matura, viste le manifestazioni in Germania, 250mila a Berlino, 90mila a Hannover, seguite non malamente da Roma con 30mila. In Francia si è capito che i gravissimi provvedimenti di ordine pubblico – militarizzazione della società, stati d’emergenza, caccia alle streghe per oppositori – adottati con il pretesto degli attentati terroristici (su cui aleggiano ombre nerissime), nelle intenzioni dei loro esecutori e mandanti (esterni) servono proprio a impedire che, contro il dumping sociale e la riduzione della democrazia a mero involucro formale, si possa manifestare una grande e duratura opposizione di massa.
 
 
Il fatto che questo progetto sia stato messo in crisi in Francia, e addirittura in Belgio, da una vera e propria insurrezione popolare, di tutte le categorie del lavoro e con l’appoggio (Nuit Debout) di altri settori sociali, pur più volatili, ma ugualmente colpiti (prima di tutti quelli dell’lstruzione), potrebbe significare che nè un terrorismo utilizzato come alibi per lo Stato di polizia, nè un concerto mediatico omologato alle strumentalizzazioni e falsificazioni di regime, hanno avuto ancora partita vinta.
 
C’è da augurarsi  che questa storia non vada a finire come lo scontro tra i minatori britannici e la Thatcher, Lady di uranio impoverito, antesignana con Reagan di una guerra di sterminio interna e mondiale. Questi formidabili francesi hanno nel DNA il seme del 1989, di Robespierre, della Comune. I britannici del Brexit,  dei minatori e, forse, di Oliver Cromwell. E il nostro di seme, quello del ’48, della lotta partigiana, del ’68, dove s’è nascosto?
 
 
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La Francia e noi. 5 brevi riflessioni
Clash City Workers | clashcityworkers.org27/05/2016

Al momento in cui scriviamo quest’articolo, la Francia è bloccata: le manifestazioni e gli scioperi settoriali e generali contro il progetto di riforma del diritto del lavoro si contano a decine e non accennano a finire.

Lo sciopero delle raffinerie ha lasciato a secco la maggior parte dei distributori di carburante, e quello delle centrali nucleari rischia di lasciare senza corrente il paese. Nel frattempo il governo ricorre ad una sorta di fiducia per blindare il provvedimento, mostrando contemporaneamente deboli segni di apertura al solo scopo di smontare una protesta enorme, la cui grandezza però non riesce ad attraversare le Alpi: sui nostri giornali, infatti, nessuna traccia. Sui social, intanto, decine e decine di lavoratori si disperano: perché loro sì e noi no? Per evitare di cadere in spiegazioni di ordine antropologico su una presunta “incapacità” degli italiani a mobilitarsi, proviamo a condividere alcune riflessioni, allo scopo di capire tutti insieme una cosa semplice: solo chi non lotta perde, e solo chi si arrende in partenza è sconfitto.

1. i sindacati francesi e quelli italiani. L’OCSE riporta, per il 2013, una percentuale di lavoratori iscritti al sindacato pari al 7,7% in Francia, a oltre il 37% in Italia. La CGT, principale sindacato francese, paragonabile anche per storia politica alla nostra CGIL, nel lavoro privato conta l’1-2% di iscritti al massimo. Del resto anche i numeri italiani vanno ridimensionati, dal momento che degli oltre cinque milioni di tesserati dichiarati dalla CGIL per il 2015 quasi tre milioni sono pensionati, quindi non fanno parte della popolazione attiva. La copertura sindacale, invece, ovvero la quantità di lavoratori coperti da contrattazione collettiva, si aggira tra l’80% e il 90% in entrambi i paesi; sempre al di qua e al di là delle Alpi vigono norme simili sulla rappresentanza, quantificata sulla base del numero di iscritti e dei risultati elettorali delle diverse sigle. Insomma, la differenza fondamentale risiederebbe nella maggiore debolezza dei sindacati francesi rispetto a quelli italiani, dovuta al minor numero di iscritti. Ma è l’unica differenza?

2. lotta e concertazione. I sindacati francesi, a differenza di quelli italiani, non “cogestiscono” insieme ai padroni il mondo del lavoro. Tra le cause non vi è solo la relativa debolezza, ma anche il fatto che in Francia la legge, storicamente, è più “forte” della contrattazione: i sindacati e le associazioni padronali, nei contratti di categoria, possono “deliberare” su molte meno cose rispetto all’Italia, e hanno quindi meno poteri. Inoltre in Italia i sindacati più grandi gestiscono direttamente fondi pensione, CAF, siedono nei cosiddetti organismi bilaterali, nel CNEL, hanno insomma un ruolo che va ben oltre la rivendicazione e il conflitto, un ruolo anzi che vede questi ultimi due aspetti minoritari. A cavallo tra gli anni ’70 e gli anni ’80 sia in Italia che in Francia una buona parte del mondo sindacale – in Italia la CGIL, in Francia la CFDT, simile alla CISL – ha abbracciato la linea della “compatibilità” con gli interessi dei padroni; l’Italia, però, è andata molto oltre, e i sindacati più grandi hanno progressivamente rinunciato alla lotta in cambio di un maggior potere di cogestione nel mondo del lavoro. Risultato: benché in linea con tutti i paesi industrializzati, le ore di sciopero sono calate molto più in Italia che in Francia. Nel 2008, secondo l’ILO, in Francia si è scioperato quasi il doppio che in Italia, e anche nel 2010, confrontando diversi studi, in Italia abbiamo fatto circa un milione di ore in meno di sciopero. Perché? Lo abbiamo appena detto: così come dei sindacati coinvolti (complici) nella gestione del lavoro hanno interesse a scioperare il meno possibile, allo stesso modo dei sindacati più deboli, come quelli francesi, hanno interesse, per questione di sopravvivenza e di appeal, ad assumere posizioni più radicali e a portare avanti le rivendicazioni con maggior determinazione. Va aggiunto, inoltre, che proprio per assecondare le esigenze “soporifere” dei nostri sindacati, negli ultimi 25 anni circa le leggi sullo sciopero in Italia sono diventate molto meno permissive e più severe.

3. Non c’è più niente da fare? Per nulla, anzi: dopo aver elencato alcuni degli elementi che rendono oggettivamente più difficile la lotta in Italia, ricordiamoci quanto è stato difficile, per i padroni, portare a casa il risultato. 13 anni ci sono voluti per cancellare l’articolo 18; un quindicennio circa per riformare le pensioni; ancora oggi, in alcune grandi aziende, il Jobs Act è stato disapplicato grazie alla forza dei lavoratori, che hanno pressato i loro rappresentanti sindacali. Ancora oggi si strappano notevoli aumenti salariali e si fanno cancellare licenziamenti, come nella logistica; ancora oggi i lavoratori in lotta ottengono di essere assunti dal pubblico e non essere più precari. Non c’è da disperarsi, quindi, né da pensare che altrove si vince magari perché gli altri “hanno le palle” e noi no: queste sono frasi di merda che abbiamo sentito dire da diversi sindacalisti per giustificare il loro opportunismo o inettitudine. La verità è che molto spesso i lavoratori che vogliono lottare devono scontrarsi prima col sindacalista, poi col padrone: due nemici al posto di uno! Tutto sta, invece, nel rendersi conto di quali sono i nostri punti di forza, da valorizzare, e le nostre debolezze da superare: il resto verrà facile, tanto finché ci saranno schiavi ci saranno rivoltePer capire queste cose, guardiamo di nuovo a quello che succede al di là delle Alpi.

4. Notti in piedi, giorni in sciopero! Ha fatto tanto scalpore, e giustamente, il movimento di occupazione delle piazze che sta coinvolgendo centinaia di migliaia di cittadini francesi, un’ondata di partecipazione democratica che ha rotto il clima di isolamento e paura che era seguito agli attentati di Novembre. Nell’analizzare l’efficacia delle proteste, rendiamoci conto però che la loro principale forza sta nel gioco di sponda che sono riuscite a costruire con le mobilitazioni dei lavoratori. Ne hanno rilanciato e generalizzato i contenuti, sollevando la molteplicità di temi e problemi che si intrecciano a quelli dello sfruttamento nel luogo di lavoro. Sono così riusciti a dare risonanza e legittimazione alle forme di lotta più dure, dai cortei agli scioperi ai blocchi. Lotte spesso difficili da portare avanti, ma in grado di far paura realmente ai padroni e di toccare i gangli del potere. I lavoratori dei trasporti, dell’energia, della logistica, della meccanica, dei servizi pubblici, della grande distribuzione, per citare i principali settori essenziali della società contemporanea, quando decidono di astenersi dal lavoro, e di farlo in modo da creare un danno – quindi senza preavviso, il più a lungo possibile, etc etc – iniziano a fare una danno, crescente di minuto in minuto, alla sola cosa che interessa ai padroni dopo ma forse più della loro stessa vita: le loro tasche. Non solo: quando l’astensione dal lavoro rende un paese ingovernabile, chi governa quel paese è costretto ad intervenire perché il controllo gli può sfuggire rapidamente di mano. La risposta repressiva è sempre possibile, ma certamente non facile come quando una protesta non comporta nessun disagio; inoltre uno sciopero in un settore strategico – ad esempio i trasporti – è in grado di moltiplicare il danno: tutti i settori che sono infatti collegati ai trasporti vedranno i loro guadagni diminuiti a cascata! Il potere dei lavoratori è enorme, ed è necessario ricostruire la consapevolezza della nostra forza.

5. Il punto debole delle lotte in Francia (e in Spagna, Grecia, Portogallo…). Prima o poi questa lotta finirà, portando a casa un risultato proporzionato all’intensità del combattimento che, crediamo, sarà positivo, qui ed ora, per i lavoratori francesi. Possiamo dire però da ora che non risolverà il nodo centrale, quello contro il quale si sono scontrati, negli scorsi anni, anche i lavoratori di altri paesi, e anche noi. È evidente, infatti, guardando il succo delle riforme in atto in Europa, che la direzione dei padroni è unica: farci lavorare più tempo, pagarci di meno, licenziarci quando vogliono. Il Jobs Act andava in questa direzione, la legge El-Khomri va in questa direzione, la riforma in discussione proprio in questi giorni in Belgio va in questa direzione, l’unica possibile per i padroni oggi. L’attacco è lo stesso, ma la risposta è stata sempre separata: oggi, ad esempio, il punto debole dei francesi…siamo noi! Una nuova stagione di lotte in Italia, ad esempio contro il Jobs Act, significherebbe riaprire il conflitto in un paese che, ancora oggi, è uno dei giganti mondiali della produzione di merci, il secondo paese produttore in Europa dopo la Germania. Unire le lotte e le vertenze dei lavoratori in Italia significherebbe alzare enormemente il livello di conflitto in Europa. Il secondo paese produttore è, ovviamente, un sorvegliato speciale: non è un caso che da noi lottare è diventato così difficile, i sindacati così corrotti, la sfiducia così generalizzata. Ma niente, nella società, è incontrovertibile, soprattutto quando si parla di lavoro. Il meglio che possiamo fare, quindi, è generalizzare il conflitto; parlarci tra lavoratori; liberarci dei sindacalisti inutili, codardi e corrotti ricostruendo le nostre organizzazioni e dandoci nuovi rappresentanti; individuare dei temi generali – la cancellazione del jobs act, ad esempio – e concentrare le lotte su obiettivi unitari; guardare a chi lotta fuori dai nostri confini, o a chi lo fa qui da noi senza essere nato in Italia, come ad un fratello, non ad un nemico. La vittoria di un singolo lavoratore in un qualunque paese del mondo è una vittoria per tutti noi!

 
Pubblicato da alle ore 17:31

Buona festa della non-Repubblica ai cittadini della Val di Susa – Parlamento europeo 5 Stelle Europa – MoVimento 5 Stelle Parlamento Europeo – Gruppo EFDD

http://www.beppegrillo.it/movimento/parlamentoeuropeo/2016/06/buona-festa-della-no.html

“Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza. Nessuna restrizione può essere determinata da ragioni politiche”.
Articolo 16 della Costituzione Italiana

È proprio il caso di dirlo, buona festa della Repubblica a tutti, tranne che ai cittadini della Val di Susa. A loro la Repubblica ha giocato un brutto scherzo con lo psicodramma del TAV, militarizzando e “stuprando” i territori che legittimamente gli appartengono. La linea Torino-Lione è la più grande (e palese) mangiatoia di soldi pubblici dai tempi in un cui la “carta costituente” è stata scritta. Oggi il Movimento 5 Stelle in Europa ha difeso ancora una volta la petizione di liberi cittadini italiani contro la tristemente famosa alta velocità: “l’Unione europea dovrebbe bloccare il finanziamento per studi e attività in relazione al collegamento ferroviario Lione-Torino, poiché è incompatibile con la legislazione europea”. http://www.beppegrillo.it/movimento/parlamentoeuropeo/s_2014_2019_plmrep_COMMITTEES_PETI_CM_2016_06-02_892873IT.pdf
Ma il Movimento 5 Stelle ha fatto di più, convincendo l’intero Parlamento Europeo ad avere trasparenza sull’inutile e dispendioso TAV. Nel corso di questi mesi, tra il silenzio assordante dei media, sono emerse cose incredibili: la battaglia sulla Torino-Lione si è trasformata in un braccio di ferro tra la volontà di Bruxelles e quella dei Governi di Italia e Francia che continuano a secretare le carte più scottanti. Matteo Renzi (e con lui François Hollande) deve necessariamente smettere di fare favori ad amici di amici utilizzando soldi pubblici. Ipotecando il futuro di generazioni di cittadini che dovranno sorbirsi i cantieri del TAV per i prossimi 20 o 30 anni. A questi signori diciamo: se non avete nulla da nascondere, pubblicate tutti i dati e ascoltate il volere dei cittadini europei. Abbiamo il sospetto, però, che rivelando tutti i dati (aziende, appalti, costi, subappalti e fallimenti in corso) sarebbe impossibile – anche per il Bomba – difendere questa fantomatica alta velocità.

Il gioco italiano in Europa è piuttosto semplice, almeno per tutti quelli che ci hanno ormai fatto il callo: la strategia è il depistaggio. Lo diciamo perché l’osservatorio sul TAV – quell’organo che ha il compito di riportare la posizione dei territori in Europa – ha sempre ribadito un concetto: non esistono voci discordanti dei cittadini. L’ex presidente si chiama Mario Virano ed è stato rinviato a giudizio per omissione di atti d’ufficio. Ha sempre silenziato il Movimento No TAV, così come tutte le voci contrarie all’opera, mentre la sua carica veniva definita incompatibile dall’anti-trust con quella di direttore della TELT. Insomma, la solita storia all’Italiana insabbiata dal Governo a cui Bruxelles non è ancora riuscito ad abituarsi.

La Commissione Europea sta pagando fatture che valgono centinaia di milioni di Euro nella più totale opacità. Lo sta facendo alimentando un’opera che la Corte dei Conti francese ha già giudicato priva di una valutazione esente da conflitti d’interesse. Oltre a difendere le petizioni dei cittadini, abbiamo anche consegnato tutte le nostre domande all’esecutivo europeo, che saranno ora difficili da ignorare grazie alla totale richiesta di trasparenza del Parlamento Europeo. Continueremo a tenervi informati, aspettando le risposte (scritte) che Violeta Bulc ci dovrà fornire. Speriamo che per una volta Renzi faccia davvero l’interesse dei cittadini e la smetta di coprire la cupola degli appalti sulle grandi opere, che fa arricchire i soliti noti (e spesso la mafia) a scapito della collettività.
https://youtu.be/UBBbHVU0BRg

SCARICA QUI IL DOCUMENTO CON LE 10 DOMANDE SUL TAV
http://www.beppegrillo.it/movimento/parlamentoeuropeo/TAV-10-domande.pdf