Ondata di scioperi e proteste, Belgio nel caos e ancora spaccato tra valloni e fiamminghi

mentre le ragioni delle varie proteste, come poi specificato, SONO DI NATURA ECONOMICA, i solito diktat europei sui TAGLI ALLA SPESA PUBBLICA, LA STAMPA mette un titolo fuorviante, o forse, illustra la strategia consigliata per far FALLIRE LA protesta, ossia buttarla su questioni di divisione ETNICA.
Le manifestazioni degli ultimi giorni hanno paralizzato il sud del Paese. E tornano le divisioni storiche
 
bruxelles sciopero
28/05/2016
marco zatterin
corrispondente da bruxelles
 
Il 25 maggio alle ventidue esatte, i ferrovieri della Vallonia sono entrati in sciopero e, da allora, non hanno smesso di bloccare il Paese. Ieri mattina nell’area di Bruxelles c’erano oltre 200 chilometri di auto accodate, la distanza fra la Grand Place e il Lussemburgo. Il 26 maggio era andata peggio. Di buon’ora gli ingorghi segnalati coprivano 398 chilometri di strade federali. «Una cosa mai vista», era la frase più gettonata per descrivere il caos caduto sulla Terra, peggiorato a Bruxelles da un incidente nel centrale tunnel Leopold II, chiuso per due ore. Traffico caotico, tram in fila indiana, ritardi clamorosi. Un incubo vero, forse però solo l’antipasto di quello che accadrà martedì, quando scenderanno in piazza i sindacati dei pubblici per dire «no» ai tagli dei servizi decisi dal governo di centro destra che, non si può far a meno di notare, è più fiammingo che vallone.
 
Il Belgio è tutto un tumulto. Ieri pomeriggio sono tornati a scioperare i secondini delle prigioni di Forest e St-Gilles, lamentano i bassi investimenti e le condizioni di lavoro sempre più complesso, soprattutto dopo gli attacchi terroristici di Parigi e Bruxelles: giorni fa hanno preso d’assedio il Palazzo di Giustizia e costretto la polizia a intervenire.
 
Il 23 maggio c’erano in piazza 60 mila lavoratori per una manifestazione in difesa dell’orario di lavoro e delle pensioni, contro l’esecutivo del liberale Michel che cerca risparmi e riforme, circostanza tesa al punto da finire a botte, con un commissario di polizia aggredito in diretta tv. Poi sono arrivati gli «cheminot» delle Ferrovie, infuriati dal taglio annunciato dei giorni liberi: la società che gestisce i binari non intende più riconoscere i compensativi per le ore lavorate in più. Si sono fermati i sindacati francofoni, dunque la Vallonia, metà paese. Li hanno seguiti solo in parte quelli neerlandofoni, quindi le Fiandre – l’altra metà – hanno funzionato al 60 per cento.
 
Nel regno di Filippo, dove tutto è doppio, succede anche questo. Quelli del nord, i fiamminghi, convivono a fatica con quelli del sud, i valloni. Si sentono più ricchi e produttivi, giudicano gli altri lenti e pigri. Le cose non stanno proprio così, ma vaglielo a dire. Il Belgio si ribadisce ripartito in due, pertanto anche la protesta evidenzia un dualismo difficile, perché in realtà sono tanti quelli che non vorrebbero si continuasse a vivere così, ma restano pochi i favorevoli al divorzio tricolore. Può darsi che gli Europei di calcio mettano un poco di cemento fra i due mondi belgi. Ma ogni volta che c’è crisi, la spaccatura ritorna.
 
Gli scioperi sono un classico da queste parti. In genere si cerca di evitare le azioni a sorpresa, anche se non sempre riesce. Già si sa che il 24 giugno sarà serrata nelle scuole, treni e bus. Il 24 settembre, altra manifestazione nazionale. Però la madre di tutti gli scioperi è prevista il 7 ottobre, quando tutto – proprio tutto – si fermerà. Per ora è la data finale del Festival delle agitazioni che sta piegando il paese e ne amplifica le divergenze. «Perché i valloni scioperano così in fretta?», domandano i fiamminghi. «E loro perché accettano?», ribattono gli altri.
 
E’ lo scontro di sempre fra inquilini che non vogliono dialogare più del necessario. Siamo all’orlo di una guerra sociale, suggeriscono gli analisti belgi. Ma forse è la classica insoddisfazione da crescita debole. Amplificata dai malumori di un paese che solo a fatica riesce a stare in piedi e insieme.

Obama a Hiroshima: “Costruiamo un mondo senza armi nucleari”

Il presidente Nobel per la pace, uomo di colore quindi migliore a prescindere, NON CHIEDE SCUSA per il genocidio di milioni di innocenti. Ovviamente i giornali evidenziano tutte le sue belle parole retoriche quanto ipocrite, IL SUO MONDO SENZA ARMI NUCLEARI, MENTRE espande basi e aumenta arsenali in europa?!?!?!?!?
 
Il presidente statunitense nella città giapponese colpita dall’atomica: “Anche le fratture più dolorose possono essere ricomposte”
 
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Il presidente Usa Barack Obama abbraccia Shigeaki Mori. sopravvissuto di Hiroshima
27/05/2016
 
paolo mastrolilli
Dall’inviato a hiroshima
 
«Dobbiamo cambiare la nostra mentalità nei confronti della guerra». Il presidente Obama è andato oltre l’appello a liberare il mondo dalle armi atomiche, durante la sua storica visita a Hiroshima, dicendo che neppure questo basterebbe a garantire la pace. Bisogna invece «riconoscere la nostra comune natura umana», e rinunciare alla guerra come strumento per risolvere le nostre dipsute.
Obama è arrivato al Peace Memorial Park verso le cinque del pomeriggio, diventando così il primo capo della Casa Bianca in carica a visitare il luogo dove il 6 agosto del 1945 esplose la bomba atomica. «La morte – ha detto – cadde dal cielo, e il mondo cambiò per sempre».
 
27/05/2016 – FOTOGALLERY
REUTERS
 
Il presidente, accolto dal premier giapponese Shinzo Abe, ha prima visitato il museo che racconta quella tragedia, e poi ha deposto una corona di fiori avanti al cenotafio, che ricorda le oltre 140.000 vittime. Non ha chiesto scusa, per non urtare le sensibilità già offese in patria dalla sua visita, perché l’aggressione era stata cominciata a Pearl Harbor dal Giappone, che non può adesso trasformrsi in vittima, e perché molti storici continuano a pensare che senza l’attacco nucleare la guerra sarebbe proseguita a lungo, facendo molte più vittime. Però ha ricordato il dolore inflitto da quel bombardamento, che uccise civili, donne e bambini innocenti, e ha ricordato tutti i milioni di esseri umani che persero la vita nella Seconda Guerra Mondiale.
 
«Siamo al centro di questa città, e ci sforziamo di immaginare il momento in cui la bomba cadde. Ascoltiamo un urlo silente». Quell’episodio, secondo Obama, «dimostrò che l’umanità aveva i mezzi per distruggere se stessa», e proprio per questo dovrebbe provocare «un risveglio morale». Il presidente ha detto che «dobbiamo avere il coraggio di sfuggire alla logica della paura e perseguire un mondo senza armi atomiche». Nello stesso tempo, però, ha aggiunto che questo non basterebbe, perché gli uomini hanno perfezionato molti altri strumenti di morte con cui distruggersi a vicenda. Quindi bisogna «cambiare la nostra mentalità nei confronti della guerra», ripudiarla come strumento per risolvere i contrasti, e puntare sulla diplomazia per prevenire gli scontri.
 
Storica visita di Obama a Hiroshima, ma gli Usa non chiederanno scusa La storica visita di Obama a Hiroshima: “Costruiremo mondo senza armi nucleari”
 
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In silenzio, poi, si è avvicinato ad alcuni sopravvissuti come Sunao Tsuboi e Shigeaki Mori, per abbraccialri e parlare con loro in privato. «Dobbiamo scegliere un futuro in cui Hiroshima e Nagasaki non saranno più conosciute per la guerra atomica, ma come l’inizio del nostro risveglio morale».

Soldati Usa con insegne curde, Ankara insorge: inaccettabile

certo che i curdi sono terroristi, COMBATTONO contro L’ISIS finanziato da Usa, Arabia Saudita e Turchia
 
Le forze speciali americane guidano l’offensiva su Raqqa, condotta dalle forze curde, ma fanno infuriare la Turchia. Le foto degli uomini delle forze speciali Usa con le mostrine dello Ypg sulle divise, accanto a quelle a stelle e strisce, sono il segno di quanto sia stretta la collaborazione fra gli istruttori e i guerriglieri curdi, che formano il grosso delle Syrian democratic forces, la formazione all’assalto della capitale dello Stato islamico. Washington ha inviato 250 militari per prep…continua
giordano stabile
 
Siria. Gli Usa obbediscono alla Turchia: i marines toglieranno lo stemma delle forze curde
28 maggio 2016. — Medio Oriente
 
soldati usa
Ai soldati Usa fotografati in Siria mentre indossano insegne delle forze curde considerate “terroriste” dalla Turchia, è stato ordinato di rimuovere gli stemmi delle Unita di Difesa del Popolo curdo siriano (Ypg). Ankara, alleato della Nato, ha accusato gli Stati Uniti di comportamento “inaccettabile” per una segnale così palese di sostegno alle allo Ypg, ritenuto da Ankara l’estensione del Partito “fuorilegge” dei Lavoratori del Kurdistan turco (PKK).
 
“Indossare quei patch dello YPG non era autorizzato ed è inadeguato, e sono state adottate misure correttive”, ha detto ai giornalisti, il colonnello americano Steve Warren, portavoce della Coalizione internazionale anti-Isis. “Abbiamo comunicato questo ai nostri partner e alleati militari nella regione”, ha aggiunto.
 
Gli Usa hanno inviato più di 200 militari di forze speciali nel nord della Siria, dove svolgono il ruolo di consulenti alle forze “Siria Democratica, alleanza arabo-curda dominata dai combattenti dello Ypg. I commandos Usa stanno sostenendo le forze locali che hanno lanciato un’offensiva su Raqqa, roccaforte siriano dello Stato Islamico (Isis).
 
“Anche se non è insolito per le nostre forze speciali indossare le insegne delle forze partner – ha detto Warren – in questo caso non era opportuno farlo date le sensibilità politiche intorno alla questione”.
 
Ankara considera lo YPG un gruppo terroristico e lo accusa di condurre attacchi all’interno della Turchia e di essere il ramo siriano del Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK), che da oltre un decennio combatte una rivolta armata contro lo Stato turco.
 
(askanews)