Che cos’è il TTIP? Se lo conosci lo eviti

di Diego Fusaro – 08/05/2016

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Fonte: fanpage

Cos’è il TTIP? Il partenariato o trattato transatlantico per il commercio e gli investimenti, del quale furono avviati i negoziati nei primi mesi del 2013 tra la potenza americana e la potenza- si fa per dire- europea. Chiamiamo le cose con il loro nome: il TTIP è il trionfo del capitale assoluto e della competitività senza misure e – è il caso di dirlo – senza frontiere. Esso favorirà il libero scambio ancor più di oggi tra i paesi che lo firmeranno e le pene saranno draconiane per chi non lo rispetterà.
 
Il modo migliore per far accettare inerzialmente alle persone anche le scelte più nocive e pericolose consiste, ovviamente, nel non far sapere loro ciò di cui realmente si tratta. In assenza di informazioni concrete, la propaganda televisiva e la fabbrica dei consensi giornalistica possono magnificare le realtà peggiori presentandole come meraviglie imperdibili. È questo, tra l’altro, il caso del TTIP, il partenariato o trattato transatlantico per il commercio e gli investimenti, del quale furono avviati i negoziati nei primi mesi del 2013 tra la potenza americana e la potenza- si fa per dire- europea.
 
Chiamiamo le cose con il loro nome: il TTIP è il trionfo del capitale assoluto e della competitività senza misure e – è il caso di dirlo – senza frontiere. Esso favorirà il libero scambio ancor più di oggi tra i paesi che lo firmeranno e le pene saranno draconiane per chi non lo rispetterà. L’obiettivo non celato è quello di conferire maggiore potere alle imprese, ossia alle multinazionali e ai globalisti della delocalizzazione deregolamentata.
 
Con il TTIP verrà posta in essere una immensa “free zone” di libero commercio di merci e servizi: in essa non saranno più validi i limiti che attualmente valgono nei singoli Stati; limiti che – ricordiamolo – sono spesso altrettante conquiste ottenute a suon di battaglie e di lotte per la difesa dei diritti sociali e del lavoro, per la tutela della salute e dell’ambiente.
 
Il TTIP è libertà, ma sempre e solo per il capitale, sempre e solo per i mondialisti e per quella che nel terzo libro del “Capitale” Marx chiamava la “aristocrazia finanziaria”, coerente portato dello sviluppo dialettico del capitalismo avanzato e finanziarizzato. La “furia del dileguare”, per dirla con Hegel, propria della dinamica liberalizzatrice del fanatismo economico classista andrebbe a colpire, grazie al TTIP, la sicurezza e la sanità, i servizi pubblici e l’agricoltura, le materie prime e la proprietà intellettuale.
 
Di tale opera liberalizzatrice, sempre encomiata dal Ministero della Verità e della Propaganda Ufficiale, andrebbero a beneficiare non certo l’Italia o la Grecia, ma i colossi, in primis la monarchia del dollaro. Nulla di strano, del resto. Libero mercato e abbattimento dei controlli e delle protezioni significa una sola cosa, con buona pace della propaganda organizzata e delle omelie neoliberiste: significa concorrenza spietata al ribasso tra i lavoratori, trionfo dei prodotti più scadenti per via dei loro costi più bassi, distruzione delle produzioni locali e privatizzazione aziendalistica integrale delle esistenze e dei servizi.
 
Il TTIP è dunque, senza esagerazioni, un’arma contro i lavoratori e a favore dei mondialisti. Ma è, poi, anche un attentato all’ambiente. Esso va indubbiamente nella direzione opposta a quella del movimento ambientalista: si oppone per sua essenza alla tutela del territorio, alla tutela delle varietà locali in agricoltura, all’economia locale del “chilometro zero”, al risparmio energetico.
 
Insomma, da qualsiasi angolo prospettico lo si osservi, il TTIP giova sempre unicamente a una parte: a quella del capitale e dei suoi alfieri senza coscienza infelice, a quella dei delocalizzatori folli e degli integralisti della privatizzazione. È bene che si sappia che cosa realmente il TTIP, di modo che si organizzino forme di resistenza dal basso, come peraltro sta già avvenendo. Come usa dire, “se lo conosci, lo eviti”.

E’ possibile fare un referendum che non sia un plebiscito?

di Aldo Giannuli – 08/05/2016
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Fonte: Aldo Giannuli
 
Un tema che va molto fra i sostenitori del no, in questa fase è: “non dobbiamo cadere nella trappola di Renzi e fare uno scontro sul governo. Dobbiamo parlare solo di Costituzione e non di governo“. Questo perché ci si illude, in questo modo, di conquistare voti al No fra i sostenitori del governo. Spesso accade che i meno realisti di tutti siano proprio i più moderati e questo è uno di quei casi.
 
In primo luogo, vorrei far notare che questa deriva istituzionale ha preso le mosse proprio dall’iniziativa del governo di proporre la “riforma” secondo la formula, del tutto incostituzionale, del “governo costituente”, che è una cosa che non esiste in termini di correttezza costituzionale. Ed è poi proseguita con una gestione scandalosa del dibattito in aula, con continue forzature del regolamento (emendamenti rigettati in blocco con il metodo del “canguro”, spacchettamento degli articoli sino a mettere in votazione frasi prive di senso, pur di evitare il voto segreto eccetera eccetera). Ve ne ricordate? Come facciamo a non dirlo ora in campagna referendaria? Che questo sia un governo a forte coloritura golpista mi sembra difficile da negare o su cui far finta di nulla. Questa è una riforma che incarta un colpo di stato costituzionale.
 
In secondo luogo è Renzi che ha impostato le cose come un voto su di sé e sul suo governo. Si dice che è una trappola, forse, ma, se l’avversario ti impone un terreno di scontro, non te la puoi cavare scantonando. Renzi vuole una investitura plebiscitaria per continuare nell’opera di sventramento costituzionale e costruire il suo regime. Per cui o vince lui e resta in sella (con immediate elezioni politiche anticipate) oppure perde e deve andarsene a casa, perché a quel punto saremmo noi ad esigerlo. Un plebiscito pro o contro, tertium non datur.
 
Terzo punto: proprio questa caratterizzazione del referendum come plebiscito, sta facendo scattare sin d’ora la logica di schieramento, in vista delle amministrative. Diciamocelo sinceramente: qui non si vota su Sala o Parisi, Giachetti o Raggi, De Magistris o Valente, Fassino o Airaudo, qui stiamo votando Renzi si o no. Un esito piuttosto che un altro alle amministrative di oggi prepara quello del referendum ed è per questo che bisogna non votare mai per i candidati del Pd nei ballottaggi: devono perdere. Quindi, siamo già in pieno scontro plebiscitario che non è una lezione di diritto costituzionale o una pacata discussione nel salotto della marchesa Serbelloni Mazzanti Viendalmare, ma un incontro di catch nel fango, in cui vale tutto: testate nei denti, dita negli occhi e gomitate nello stomaco. Esattamente come ha fatto Renzi nella fase di approvazione del suo testo golpista.
 
Ma allora non dobbiamo parlare del merito della riforma? Nemmeno per sogno: dobbiamo parlarne, ma in modo chiaro e diretto, chiedendo un No come No al regime. E se per rendere comprensibile cosa significherebbe una Costituzione come quella che Renzi vuole, devo dire che cosa sono le leggi votate in questi due anni (Job act, buona scuola eccetera), non vedo perché dovrei tacerlo per non dispiacere i 15 piddini che forse votano no. Qui bisogna prendere i voti delle persone e non ci sono solo i piddini malpancisti e che non mi commuovono affatto, bisogna mobilitare la base di quelli che votano 5 stelle, bisogna attirare l’opposizione di destra (Forza Italia, Lega, Fratelli d’Italia: prendo tutto senza inutili vezzi schizzinosi), ma, soprattutto, dobbiamo mietere fra quelli che non votano perché disgustati (giustamente) da questa politica. E se per farlo devo giocare sull’ostilità verso il governo Renzi, non c’è motivo di non farlo. Anzi, aggiungo, se devo far leva anche sull’antipatia personale che molti provano per Renzi, va benissimo anche quello, sono pronto a dire che ha l’alito cattivo che si sente anche attraverso la televisione. D’altra parte non è un mistero che se Renzi ha una maggioranza relativa di simpatizzanti, ha però una maggioranza assoluta di odiatori e questo serve ad aggiungere consensi.
 
Ma, in questo modo, mi direte che il referendum si trasforma in un corpo a corpo. Si: è così perché questo è nella natura del referendum. Vi ricordate (quelli che all’epoca già c’erano) cosa dicevamo di Fanfani nel referendum del 1974? E di Andreotti, Cossiga e Berlinguer nel 1978? E non fu un corpo a corpo con Craxi nel 1991 o con Berlusconi nel 1998 e nel 2006? E dobbiamo farci scrupoli oggi, solo perché dall’altra parte c’è il segretario del Pd, che qualcuno si ostina a ritenere un partito di sinistra? E’ il momento di dire che il Pd è un partito di destra ancora peggiore della destra di Forza Italia. Berlusconi non si sarebbe mai permesso di fare un terzo delle cose che Renzi ha fatto e se l’avesse tentato ci sarebbero state le barricate per le strade. E se un pugno di militanti si ostina a credere che il Pd sia ancora il Pci, pazienza: problemi loro.
 
Il Referendum per sua natura è un plebiscito (contrariamente a quanto, goffamente, cercano di affermare alcuni esponenti della minoranza Pd ed altri) ed è uno scontro molto più cattivo delle elezioni politiche, proprio perché è un gioco a somma zero: non ci sono confronti con le elezioni precedenti, non ci sono avanzate o arretramenti relativi, non ci sono attenuanti. Conta solo chi vince e questa volta più che mai. E il nemico da attaccare è il Pd, il suo governo ed il suo segretario.
 

#TTIPleaks: cadono le menzogne che coprono la ‘NATO Economica’

manifestazione opportunamente oscurata dai media in favore di quella degli “antististema” anarchici fatta in favore di MAFIA CAPITALE tanto cara al PD e soci
 
di Giampiero Obiso – 02/05/2016
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Fonte: Megachip
Il 2 maggio 2016 potrebbe segnare una svolta nella percezione europea del TTIP. È il giorno in cui vengono diffusi – su un sito appositamente messo in linea da Greenpeace – documenti riservati relativi all’ultimo round negoziale tra le delegazioni UE ed USA del TTIP, appena terminato, a quanto pare, con scarso successo.
Quello che emerge da questi documenti, è che:
1) le posizioni USA e UE sono molto lontane;
2) le tanto sbandierate garanzie della Commissione UE circa il fatto che l’accordo sarà un buon accordo, e che il sistema di garanzie proprio della legislazione europea (come il “principio di precauzione”, o la tutela dei prodotti dop o igp) non sarà smantellato o svenduto, sono solo – per dirla semplice – balle.
Questo non è un motivo per rilassarsi, perché c’è un rischio.
Il rischio è che – nell’impossibilità di raggiungere un accordo “pieno” prima delle elezioni presidenziali USA di novembre – il trattato sia comunque stipulato in forma di “accordo quadro”. Si aprirebbe così un enorme spazio per offrire deleghe in bianco: le regole di dettaglio, quelle che davvero stabiliscono cosa succede con l’approvazione del TTIP, verrebbero definite da commissioni tecniche composte da lobbisti e tecnocrati. Cioè personaggi opachi, lontani da qualsiasi attenzione dei popoli, scelti secondo metodi non soggetti a meccanismi di controllo adeguati e in spregio di qualunque idea di rappresentanza democratica dei cittadini europei. Gente che scriverebbe norme incomprensibili, sotto traccia, ma in grado di contaminare profondamente la vita economica di interi Stati.
Gli incubi che già conosciamo nelle euroburocrazie di Bruxelles sarebbero sviluppati a un livello più alto.
Tutto ciò naturalmente continua ad accadere nel clima di segretezza e mancanza di trasparenza di cui da sempre è circondato questo trattato che – ricordiamocelo bene – in quanto accordo commerciale, non avrebbe di per sé alcun motivo di essere coperto da questi strati di segreto. Non è un caso che ci sia chi definisce il nuovo sistema come una “NATO Economica”, perché si presenta con la stessa leva anti-democratica e la stessa subordinazione dell’Europa alla sponda nordamericana che conosciamo anche per l’architettura militare atlantista.
MANIFESTARE CONTRO QUESTO TRATTATO, IL PROSSIMO 7 MAGGIO, A ROMA, E’ QUINDI ANCORA PIU’ IMPORTANTE.
 
Di seguito i link ai primi articoli che trattano dell’argomento e di cui consigliamo la lettura:
–      Arthur Neslen, The GuardianLeaked TTIP documents cast doubt on EU-US trade deal.
–      Letizia Pascale e Lorenzo Consoli, EuNewsTtipleaks: ecco cosa c’è scritto nei documenti segreti.
 

UNA STORIA DI INGIUSTIZIA A DANNO DEI NO TAV

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movimentopost — 13 ottobre 2013 at 20:27

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Sugli arresti dopo la marcia No Tav degli ultracinquantenni

Vogliamo ripercorre gli avvenimenti riguardanti la marcia degli ultracinquantenni in Clarea, avvenuta il 10 Agosto, per la quale siamo imputati per presunte minacce e violenze (i pm addirittura contestavano la tentata rapina) ad una giornalista.

Quella giornata, che tutti ricordiamo bene, ha visto una partecipazione ampia e una manifestazione davvero riuscita, senza incidenti di sorta ma con un piglio deciso. L’idea risultò azzeccata: portare i meno giovani, colonna portante del movimento no tav, al cantiere per una battitura delle reti a suon di martellate. Ci fu davvero una grande partecipazione e la battitura andò avanti per circa due ore, interrompendosi solo per dare voce agli interventi al megafono. Si riscattavano in qualche modo gli arresti di fine luglio e qualche manganellata di troppo, per non parlare delle molestie all’interno del cantiere ai danni di una ragazza fermata. Inoltre ancora una volta sfidavamo platealmente il dispositivo prefettizio della “zona rossa”. Il movimento no tav riaffermò che non riconosce zone rosse, e che le reti del cantiere, con tutto quello che c’è dentro, legali o illegali restano illegittime. Fu dimostrato ancora una volta che a combattere il cantiere non ci sono solo “i giovani venuti da fuori” e che il movimento non si divide in buoni e cattivi.

Insomma una vittoria totale su tutti i fronti, che smentiva tutte le costruzioni giornalistiche e repressive sul movimento.

Durante quella giornata il quotidiano La Repubblica manda allo sbaraglio una giovane giornalista, che si infiltra nel corteo come manifestante per fare foto durante i danneggiamenti. Quelle foto e quei filmati, però, non le pubblicherà mai sul giornale per portarle direttamente in procura. Evidentemente l’inviata è “servitor di due padroni”.

Comunque è maldestra e si fa notare, sia perché filma i singoli manifestanti sia perché saluta gli agenti della digos all’interno del cantiere. Beccata con le mani nella marmellata la malcapitata nega, dichiara di non essere una giornalista ma una manifestante, si trincera dietro sorrisi imbarazzati. Inoltre non sa riconoscere nessuno del movimento e anzi, in un tentativo ridicolo di dimostrarsi una no tav scambia Guido Fissore con Alberto Perino. Nonostante ciò nessuno la offende verbalmente o altrimenti, senz’altro fare che tenerla d’occhio. Di più, nel tragitto di ritorno del corteo sono diverse le persone che si avvicinano e le parlano, persuasi che la ragazza possa in fin dei conti essere una manifestante. Lei non risponde e ascolta, osserva, manda messaggi e parla col telefonino.

Giunti a Giaglione finalmente ammette di essere una giornalista, mostra il tesserino e ritorna a prendere la propria macchina, senza che più nessuno si curi di lei dal momento in cui si allontana.

Quanto vi abbiamo raccontato succedeva nel bel mezzo del corteo, con decine di persone che intervenivano, le parlavano o ascoltavano, tutte testimoni che non è successo nulla più che chiederle chi fosse e smentire le sue bugie. Ma di tutto questo lei ricorda solo tre persone, che a suo dire l’avrebbero circondata, chiedendole di consegnare il telefono e riaccompagnandola alla macchina scortandola fisicamente e qualcuno brandendo addirittura un bastone (molti dei partecipanti alla marcia avevano un bastone per affrontare la camminata).

Per questo, siamo stati arrestati con richiesta di custodia cautelare in carcere, sostituita con i domiciliari in virtù della legge Severino, e permaniamo con gravi restrizioni della libertà.

In tutto ciò rileviamo ancora una volta che il teorema Caselli di “non colpire il movimento ma singoli reati” è smentito nei fatti. A parte l’insussistenza dei reati, perché non si capisce in cosa codesta aspirante giornalista sia stata offesa, è evidente agli stessi pm che le misure cautelari sono spropositate ma ci vengono appioppate comunque, ben al di là delle condotte individuali, proprio in virtù “del contesto della lotta no tav” come ha chiosato senza alcuna esitazione il pm Rinaudo.

La nostra è certo una piccola vicendama vale forse la pena di provare a coglierne il senso complessivo.

Nel ragionamento di Rinaudo di fronte al Riesame sta il senso profondo dei nostri arresti e della gran parte delle inchieste che colpiscono il movimento. Per Rinaudo i No Tav sarebbero dei “paranoici” che vedono ormai all’esterno solo nemici. Sarebbero “usurpatori” delle prerogative di controllo del territorio che spettano allo Stato, perché si premurano di controllare chi devasta il territorio, chi si adopera perché questo disastro che si chiama TAV vada avanti.

Infine i No Tav sarebbero responsabili di una “pressione ambientale ben nota in altri contesti criminosi”. Cioè scimmiotterebbero un controllo mafioso del territorio e in questo senso i fatti vengono riletti dalla procura. Per questo agli inquisiti va vietato ogni contatto con gli altri no tav, applicando il massimo delle restrizioni. Nella teatrale arringa di Rinaudo non abbiamo sentito un solo riferimento alle nostre condotte. Semplicemente ha citato un paio di episodi di attrito con le forze dell’ordine o con altri giornalisti per inventare un contesto in cui i No Tav spadroneggiano indisturbati prefigurando un controllo del territorio criminale e criminogeno… Noi? Il mondo alla rovescia, insomma.

C’è solo ideologia dietro a queste sparate oppure qualche fondamento lo ritroviamo? Qualcosa ci suona in questo piagnisteo sullo Stato vuotato delle proprie prerogative. Uno Stato, ridotto a debole governance di processi che non controlla, scevro della minima parvenza di legittimità democratica, ostaggio di un accumulo di capitale finanziario che lo sovrasta e lo controlla, accusa noi di volerne usurpare le prerogative? Sicuramente siamo colpevoli di volerci provare. Provare a riprendere il controllo delle nostre vite, del nostro futuro, dei nostri territori.

Crediamo in definitiva che questa vicenda sia stata montata ad arte per essere catapultata in prima pagina, per evocare presunte intimidazioni giornalistiche che rimandano a scenari passati. Ma all’orizzonte noi non vediamo nessun caso Pecorelli. Si tratta, piuttosto, di un altro “caso pecorella”.

Non è un segreto che siano i tormentoni giornalistici a creare la predisposizione nell’opinione pubblica per le manovre repressive. Il battage mediatico c’è stato, e la copertura politica “di larghe intese” pure. Gli organi competenti sono quindi abbondantemente coperti per il loro operato.

Si sa che gli apparati repressivi in Italia si muovono su precise indicazioni politiche: ricordiamo per esempio cosa ha portato l’impunità garantita dalle alte cariche dello Stato a Genova nel 2001 e sotto questa luce rileggiamo l’intervento di Napolitano di questi giorni che suona come un sinistro imprimatur repressivo. Il tentativo, ampiamente preannunciato e già altre volte fallito, è ancora quello di spaccare il movimento tra “sinceri no tav” e “frange estremiste” che approfittano della lotta per altri scopi. A questo scopo servono caricature umane da sbattere sui giornali come tocca ormai a chiunque si spenda per questa lotta. Un crescendo isterico che non risparmia neppure chi semplicemente si esprima in favore del movimento, trasformando Erri De Luca in un “cattivo maestro” o Stefano Rodotà in un filobrigatista.

Non ci soffermiamo su quanto poco si sia parlato dei casi Lorenzetti o Azzolini, che da soli dovrebbero bastare a spazzare via un’intera classe politica. Facciamo solo presente che Pd e Pdl non sono nemmeno più in competizione (governano insieme), a dimostrare de facto che il concetto di governo è oggi assimilabile allo svolgimento di un compitino dettato dalla troika. Al servizio dei grandi capitali ovviamente, condividendo lo spazio del mercato, senza alcun imbarazzo, con imprese esplicitamente mafiose. Non lo diciamo noi, ma la cronaca.

Per chi si oppone si rispolverano vecchi codici o se ne congegnano di nuovi: dai reati associativi, alla “devastazione e saccheggio”, dai reati d’opinione alle molte leggi emergenziali che sono da cinquant’anni il sale della nostra italica democrazia. Ultimo arrivato, il divieto di fotografare o filmare le attività del cantiere pena l’accusa di “spionaggio”, introdotto con il ddl sul “femminicidio”.

Aggiungiamo una nota sullo strumento del “divieto di comunicazione”, applicato come misura cautelare ma che in verità è solo una pena afflittiva che mira a colpire non la condotta del supposto reo, ma la sua identità: colpisce i suoi affetti quanto le sue relazioni con i compagni di lotta, impedendogli di prendere parte in qualunque modo alla vita collettiva. Chi ha “tutte le restrizioni” deve scomparire e tacere, piegandosi al ricatto dell’isolamento in attesa di abiurare le proprie idee.

Il divieto di comunicazione è stato sostenuto come misura necessaria dal pm, secondo il quale è proprio con la comunicazione che il movimento no tav agisce, si coordina, prosegue nelle sue battaglie.

Un banale truismo, certo, che denuncia però, una volta di più, quanto sostenuto finora: il nostro movimento non è pericoloso soltanto per ciò che fa ma soprattutto per ciò che è.

Gli imputati del 10 agosto

ASSOLTI I NO TAV SOTTO ACCUSA PER IL SEQUESTRO DI UN CARABINIERE A CHIOMONTE

Il fatto risale all’estate 2011. La sentenza li scagiona: non hanno commesso il fatto
10/05/2016
TORINO

Il gup di Torino, Gianluca Robaldo, ha assolto per «non aver commesso il fatto» i due attivisti No Tav accusati di aver sequestrato un carabiniere durante gli scontri del 3 luglio 2011 al cantiere di Chiomonte dell’Alta Velocità, in Val di Susa. I pm Rinaudo e Padalino avevano chiesto condanne a 6 anni di reclusione contestando, oltre al sequestro di persona, i reati di lesioni gravissime e rapina