Parroco espone bandiera No Tav in una chiesa di Avellino

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SABATO 03 MARZO 2012

La bandiera No­Tav esposta da oggi nella chiesa della parrocchia dei Santi Pietro e Paolo a Mercogliano (Avellino).

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L’iniziativa e’ stata annunciata da don Vitaliano Della Sala, sacerdote gia’ noto in passato per la sua vicinanza al movimento No global. In una lettera inviata a ”sorelle e fratelli della Valsusa”, don Vitaliano evidenzia che ”un territorio appartiene soprattutto a chi lo abita e nessuno, nemmeno i rappresentanti dello Stato possono arrogarsi il diritto di decidere, da soli, per quel territorio, senza consultare, discutere e ascoltare chi in quel territorio ci vive”. A suo giudizio ”uno Stato non perde affatto quando, ascoltando i propri cittadini, ha il coraggio di cambiare idea”. La bandiera No Tav in chiesa ricordera’ che ”dobbiamo pregare e impegnarci insieme per pretendere che il presidente del Consiglio Monti, passato repentinamente e pericolosamente dalla sobrieta’ alla durezza nelle decisioni, visto che non e’ stato eletto democraticamente dai cittadini, non cominci a provare gusto a decidere da solo o consultandosi esclusivamente con chi e’ d’accordo con lui: non oso pensarci, ma sarebbe l’anticamera di una moderna tirannia”. La richiesta e’ di ”sospendere i lavori e le manifestazioni” e di istituire ”un vero tavolo di confronto”.

Alpignano. Allarme salute per lo scavato del Tav

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VALSUSA NOTIZIE

Voci indipendenti dalla Val Susa

Convocata da Comitati popolari e sindaci un’assemblea pubblica il 10 marzo per informare la popolazione dei forti rischi di inquinamento ambientale. Il coinvolgimento dei Comuni di Alpignano, Venaria e Rivalta preoccupati che la salute pubblica possa essere investita dalle conseguenze dello smaltimento dei detriti tossici.

Inserito il 2 marzo 2016
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di Fabrizio Salmoni

I mucchi di scavato al cantiere di Chiomonte arrivano già a una pendenza del 70% mentre la “talpa” è a poco più di metà tragitto e a breve i detriti dovranno essere rimossi. Per andare dove? è la domanda. Ovviamente non c’è risposta nè da Telt, la società privata a nomina pubblica diretta da un Virano appena rinviato a giudizio e in attesa di pronunciamento del Tar sulla regolarità della sua nomina (un piccolissimo esempio del campionario di irregolarità e infrazioni perpetrate regolarmente dai tanti promotori della Grande Opera), nè dalle autorità pubbliche che fanno il pesce in barile soprattutto sull’argomento dello smaltimento dello scavato. L’Arpa, il controllore istituzionale,  ha paradossalmente affidato a Telt, il controllato, il monitoraggio di se stessa tramite le centraline installate in cantiere. Quale affidabilità – ci si chiede – da questi soggetti?

Ma in più,  i tecnici e i medici della Val Susa sanno che quello scavato è impregnato di sostanze tossiche e inquinanti e hanno documentato la presenza di amianto, uranio e l’incremento di polveri sottili (Pm 10 e Pm 2,5) e ossidi d’azoto. Prevedono come conseguenza aumenti tra il 10 e il 15% delle affezioni respiratorie soprattutto in bambini e anziani e soggetti già sofferenti di patologie respiratorie come asma, allergie, broncopneumopatie e patologie cardiocircolatorie. Un inquinamento ambientale già attivo dall’inizio dei lavori ma che si farà più critico con lo spostamento dei detriti e la loro sistemazione in siti non ancora dichiarati. Inoltre, c’è il timore che i detriti vengano scaricati anche in prossimità di falde acquifere con conseguenti possibili contaminazioni di acqua.

L’allarme dunque è massimo. Non aveva predetto anche il magistrato Ferdinando Imposimato che il Piemonte, grazie al Tav sarebbe stato la prossima Terra dei Fuochi?

Sotto osservazione dei Comitati No Tav sono da tempo le cave di Caprie dove si sono manifestati lavori di ampliamento e quelle di Caselette, quest’ultime gestite dalla ditta Geoservizi il cui titolare si è a suo tempo offerto apertamente – denunciano i Comitati – di ospitare lo scavato di Chiomonte e si è attivato per estendere i lotti operativi di terreno. Due casi, Caprie e Caselette, su cui da mesi si rincorrono interventi e voci senza alcuna conferma ufficiale. Tutto all’interno della nuvola grigia dei loschi traffici intorno all’Alta Velocità (v. la cava di S. Ambrogio e relativi arresti). Cosi per Rivalta, dove i progetti preliminari prevederebbero terrapieni di detriti di Chiomonte entro cui scavare gallerie della tratta per Orbassano o- secondo le versioni – da adattare a barriere antirumore ai alti della linea, investendo cosi le aree degli ospedali di Rivoli e San Luigi. Nessun limite e nessuno scrupolo per gli speculatori e i partiti che si alimentano dei fondi pubblici destinati all’Alta Velocità.

L’area della Bassa Valle e della prima cintura torinese sono dunque a rischio di forte inquinamento mentre già si respirano le esalazioni dell’inceneritore del Gerbido di cui sono sostenitori le stesse forze politiche che vogliono la Torino-Lione. “Oltre i soldi pubblici – denunciano i Comitati popolari – ci vogliono rubare anche la salute: derubati e avvelenati dal Tav

A sostenere l’impegno di informare la cittadinanza di tale grave situazione sono i Comitati No Tav di Alpignano e della Gronda (area Alpignano, Pianezza, Caselette, Venaria, San Gillio, Givoletto) che da tempo svolgono ruolo di sostegno delle istanze No Tav e allo stesso tempo di sentinelle attive sullo stesso tema nei confronti delle amministrazioni locali, monitorandone ogni passo politico e ogni eventuale ambiguità amministrativa (proprio da quei Comitati sono provenute le sollecitazioni a uscire dall’Osservatorio tecnico per Alpignano e Venaria, e a verificare che si facessero controlli seri – mai fatti – sulle cave di Caselette).

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Foto: Il sindaco Da Ronco (a sin.) e attivisti No Tav

Con il patrocinio convinto del sindaco di Alpignano Gianni Da Ronco che ricorda la sua avversione “da sempre” agli sprechi del Tav, e con il sostegno di Roberto Falcone (Venaria) e  Mauro Marinari (Rivalta) è convocataun’assemblea pubblica per informare i cittadini dei gravi pericoli incombenti. Cosi Giovedi 10 marzo alla Sala Cruto di Alpignano (via Matteotti 2, ore 21) i tecnici dei sindaci della Val Susa, Luca Giunti, Marina Clerico e il medico di base Marco Tomalino, faranno il punto della situazione. Le conclusioni saranno diAlberto Perino, portavoce del Movimento No Tav. Potranno seguire domande e contributi informativi.

A integrazione dell’iniziativa e come naturale conseguenza della loro denuncia, i Comitati promotori si associano alle richieste di dimissioni del Virano alla luce del rinvio a giudizio per omissioni d’atti d’ufficio (cioè per aver nascosto documentazione e dati agli amministratori di Valle) e dell’attuale Commissario di governo Foietta per aver mentito pubblicamente in merito alle decisioni del Cipe e allo stato dei progetti, come pubblicamente denunciato il 29 gennaio dai tre sindaci insieme a quelli di Avigliana e di S. Ambrogio.

(F.S. 2.3.2016)

Il mondo sta crollando, ma niente ferma il Tav in val Susa

Scritto il 03/3/16 

Tutto va male, anzi malissimo, e noi che facciamo? Scaviamo un buco, dal 2011, tra le montagne che separano la valle di Susa dalla Savoia. Un altro buco, molto ipotetico e molto più lungo e più grande, oltre 50 chilometri, potrebbe un giorno attraversarle, quelle montagne, grazie alla altrettanto ipotetica ferrovia Torino-Lione, ieri definita Tav, treno ad alta velocità per passeggeri, poi convertita in linea Tac (alta capacità, per le merci) dopo l’estinzione dei passeggeri, che da vent’anni ormai preferiscono i voli low-cost. Nel frattempo si sono estinte anche le merci: l’attuale linea internazionale Torino-Modane che già attraversa la valle di Susa per collegare Italia e Francia è stata appena riammodernata, ma è deserta. Niente merci, niente treni. Eppure, la talpa che scava il buco – l’unico, finora, quello minuscolo, la breve galleria esplorativa di Chiomonte – non demorde, continua il suo lavoro sotterraneo tra rocce di amianto e vene radioattive di uranio. Scava il buco, la talpa, mentre l’Italia continua ad affondare, insieme a quel che resta dell’Europa, sempre più in bilico tra una pace precaria e l’assedio di una guerra deflagrante, con la certezza – ormai cronica – della cosiddetta “stagnazione secolare”, che condanna le economie del Pil alla non-crescita. Ma tutto questo, la talpa di Chiomonte non lo sa.
Il progetto Torino-Lione sembra uscito da un romanzo di Dino Buzzati: si misura essenzialmente con l’assurdo, in una dilatazione spazio-temporale che rasenta la metafisica, archiviate l’economia e l’ingegneria, la scienza dei trasporti, le cifre del mondo reale. Come se un oscuro potere imperiale, quello che assiepa soldati alla Fortezza Bastiani nell’attesa eterna nel Nemico, avesse provveduto con incrollabile fede a istruire minuziose, inarrestabili procedure per l’avanzata della Grande Opera: una ferrovia-doppione, costosissima e devastante. Una strada ferrata che resterà senza treni, per mancanza di passeggeri e di merci, e ridurrà a deserto pericoloso e tossico il territorio attraversato. Ma non hanno orecchie, i grandi decisori, per ascoltare le argomentate proteste gridate e scritte, in tonnellate di carta, da ingegneri e geologi, ambientalisti, trasportisti italiani ed europei, criminologi antimafia, sentinelle mobilitate contro la finanzacanaglia che mette insieme partiti e banche, malaffare, alta burocrazia europea, élite industriale e finanziaria. Quella talpa cieca, semplicemente, deve continuare a scavare nel debito pubblico italiano, trasformato in tragedia dalla perdita di sovranità monetaria.
Resiste a tutto, il progetto Tav Torino-Lione. Era nato alla fine degli anni ‘80, in previsione del collasso dell’Urss, per collegare via terra tutta l’Europa, da Lisbona a Kiev, proseguendo la sua corsa (largamente onirica) fino a Pechino. Erano gli anni della Perestrojka, della caduta del Muro. Poi vennero gli anni ‘90, la sciagura invisibile di Maastricht, Berlusconi e l’Ulivo di Prodi, Mario Draghi e il Britannia, Padoa Schioppa, Ciampi. La crisi in Somalia, la guerra in Cecenia, la devastazione della Jugoslavia, il Kosovo. Bill Clinton, la pace tra Rabin e Arafat, l’omicidio di Rabin e quello di Arafat, la fine del Glass-Steagall Act decretata da Clinton e quindi l’avvento della super-finanza onnivora senza più freni, fino all’apocalisse della Lehman Brothers. Era in corso una guerra invisibile, ma in Italia e in Europa di respirava ancora un clima di pace sostanziale, di economia non ancora in lacrime. Poi, nel 2011, la catastrofe. La Troika, Monti, la legge Fornero, la mannaia dell’austerity, il collasso di decine di migliaia di aziende, l’esplosione della disoccupazione. Nulla, comunque, che potesse fermare gli uomini d’acciaio decisi ad azzannare le rocce di Chiomonte, sgomberando a forza gli ultimi ostinati manifestanti, insieme alle loro insopportabili ragioni, tristemente verificabili come odiose verità matematiche.
Da lì in poi, l’Italia non ha fatto che sprofondare in un incubo, smarrite tutte le certezze sociali ed economiche dei decenni precedenti, tra negozi sprangati e cervelli in fuga, giovani di quarant’anni mantenuti da genitori e nonni, aziende chiuse, suicidi a catena, licenziamenti in massa. Un terremoto senza precedenti, dal 1945. Spazzate via tutte le coordinate convenzionali della vita repubblicana, le tutele del lavoro rottamate insieme alla Costituzione e al sogno di una legge elettorale democratica. E attorno, un assedio livido e minaccioso, dall’Ucraina alla Siria fino alla Libia e al massacro della Grecia, vivisezionata senza anestesia a mo’ avvertimento, per tutti. Strategia della tensione, a livello internazionale: bombe e stragi “false flag”, i finanziamenti occulti e l’esodo biblico dei profughi, il terrorismo sporco dell’Isis e gli attentati opachi di Parigi. Prospettive, zero: un giovane su due è senza lavoro. Ma, naturalmente, la talpa di Chiomonte non si ferma: scava un buco, nel futuro più cieco di tutti i tempi.
La storica battaglia dei NoTav era nata e cresciuta in tempo di pace, reclamando diritti a portata di mano, fino all’altro ieri. L’ambiente, il territorio, la salute, la giustizia, la trasparenza, l’economia reale. Era un mondo dove sembrava esserci ancora spazio per discussioni ragionevoli, seduti allo stesso tavolo. Ora, non c’è più neppure il tavolo: niente intermediazioni né dialogo, nessuna possibile trattativa. Siamo al diktat del 3%, imposto del superpotere bancario per tagliare la spesa sociale, anche a costo di far crollare, di conseguenza, l’economia privata, l’occupazione e il gettito fiscale, con ripercussioni fatali sul debito. Ma non importa, stiamo entrando nell’era del Ttip. Lo Stato senza più moneta, che deve farsi approvare il bilancio a Bruxelles, non conta più niente e conterà ancora meno, quando a dettare legge saranno direttamente le multinazionali, coi tribunali speciali istituiti dal trattatoUsa-Ue che sbaraccherà ogni residua sovranità nazionale e locale. Fine dei microcosmi che abbiamo abitato, per decenni, confidando nella possibilità di migliorare la situazione. I NoTav sono ancora là, in valle di Susa, con le loro bandiere. Ma tutt’intorno, l’Italia sembra non esserci più – a parte quel buco ostinato e sempre più surreale, in quest’Europa desolata dagli oligarchi.

Tutto va male, anzi malissimo, e noi che facciamo? Scaviamo un buco, dal 2011, tra le montagne che separano la valle di Susa dalla Savoia. Un altro buco, molto ipotetico e molto più lungo e più grande, oltre 50 chilometri, potrebbe un giorno attraversarle, quelle montagne, grazie alla altrettanto ipotetica ferrovia Torino-Lione, ieri definita Tav, treno ad alta velocità per passeggeri, poi convertita in linea Tac (alta capacità, per le merci) dopo l’estinzione dei passeggeri, che da vent’anni ormai preferiscono i voli low-cost. Nel frattempo si sono estinte anche le merci: l’attuale linea internazionale Torino-Modane che già attraversa la valle di Susa per collegare Italia e Francia è stata appena riammodernata, ma è deserta. Niente merci, niente treni. Eppure, la talpa che scava il buco – l’unico, finora, quello minuscolo, la breve galleria esplorativa di Chiomonte – non demorde, continua il suo lavoro sotterraneo tra rocce di amianto e vene radioattive di uranio. Scava il buco, la talpa, mentre l’Italia continua ad affondare, insieme a quel che resta dell’Europa, sempre più in bilico tra una pace precaria e l’assedio di una guerra deflagrante, con la certezza – ormai cronica – della cosiddetta “stagnazione secolare”, che condanna le economie del Pil alla non-crescita. Ma tutto questo, la talpa di Chiomonte non lo sa.

Il progetto Torino-Lione sembra uscito da un romanzo di Dino Buzzati: si misura essenzialmente con l’assurdo, in una dilatazione spazio-temporale che rasenta la metafisica, archiviate l’economia e l’ingegneria, la scienza dei trasporti, le cifre del mondo reale.

Il deserto dei tartari

Come se un oscuro potere imperiale, quello che assiepa soldati alla Fortezza Bastiani nell’attesa eterna nel Nemico, avesse provveduto con incrollabile fede a istruire minuziose, inarrestabili procedure per l’avanzata della Grande Opera: una ferrovia-doppione, costosissima e devastante. Una strada ferrata che resterà senza treni, per mancanza di passeggeri e di merci, e ridurrà a deserto pericoloso e tossico il territorio attraversato. Ma non hanno orecchie, i grandi decisori, per ascoltare le argomentate proteste gridate e scritte, in tonnellate di carta, da ingegneri e geologi, ambientalisti, trasportisti italiani ed europei, criminologi antimafia, sentinelle mobilitate contro la finanzacanaglia che mette insieme partiti e banche, malaffare, alta burocrazia europea, élite industriale e finanziaria. Quella talpa cieca, semplicemente, deve continuare a scavare nel debito pubblico italiano, trasformato in tragedia dalla perdita di sovranità monetaria.

Resiste a tutto, il progetto Tav Torino-Lione. Era nato alla fine degli anni ‘80, in previsione del collasso dell’Urss, per collegare via terra tutta l’Europa, da Lisbona a Kiev, proseguendo la sua corsa (largamente onirica) fino a Pechino. Erano gli anni della Perestrojka, della caduta del Muro. Poi vennero gli anni ‘90, la sciagura invisibile di Maastricht, Berlusconi e l’Ulivo di Prodi, Mario Draghi e il Britannia, Padoa Schioppa, Ciampi. La crisi in Somalia, la guerra in Cecenia, la devastazione della Jugoslavia, il Kosovo. Bill Clinton, la pace tra Rabin e Arafat, l’omicidio di Rabin e quello di Arafat, la fine del Glass-Steagall Act decretata da Clinton e quindi l’avvento della super-finanza onnivora senza più freni, fino all’apocalisse della Lehman Brothers. Era in corso una guerra invisibile, ma in Italia e in Europa di respirava ancora un clima di pace sostanziale, di economia non ancora in lacrime. Poi, nel 2011, la catastrofe. La Troika, Monti, la legge Fornero, la mannaia dell’austerity, il collasso di decine di migliaia di aziende, l’esplosione della disoccupazione. Nulla, comunque, che potesse fermare gli uomini d’acciaio decisi ad azzannare le rocce di Chiomonte, sgomberando a forza gli ultimi ostinati manifestanti, insieme alle loro insopportabili ragioni, tristemente verificabili come odiose verità matematiche.

Monti e Napolitano

Da lì in poi, l’Italia non ha fatto che sprofondare in un incubo, smarrite tutte le certezze sociali ed economiche dei decenni precedenti, tra negozi sprangati e cervelli in fuga, giovani di quarant’anni mantenuti da genitori e nonni, aziende chiuse, suicidi a catena, licenziamenti in massa. Un terremoto senza precedenti, dal 1945. Spazzate via tutte le coordinate convenzionali della vita repubblicana, le tutele del lavoro rottamate insieme alla Costituzione e al sogno di una legge elettorale democratica. E attorno, un assedio livido e minaccioso, dall’Ucraina alla Siria fino alla Libia e al massacro della Grecia, vivisezionata senza anestesia a mo’ di avvertimento, per tutti. Strategia della tensione, a livello internazionale: bombe e stragi “false flag”, i finanziamenti occulti e l’esodo biblico dei profughi, il terrorismo sporco dell’Isis e gli attentati opachi di Parigi. Prospettive, zero: un giovane su due è senza lavoro. Ma, naturalmente, la talpa di Chiomonte non si ferma: scava un buco, nel futuro più cieco di tutti i tempi.

Isis

La storica battaglia dei NoTav era nata e cresciuta in tempo di pace, reclamando diritti a portata di mano, fino all’altro ieri. L’ambiente, il territorio, la salute, la giustizia, la trasparenza, l’economia reale. Era un mondo dove sembrava esserci ancora spazio per discussioni ragionevoli, seduti allo stesso tavolo. Ora, non c’è più neppure il tavolo: niente intermediazioni né dialogo, nessuna possibile trattativa. Siamo al diktat del 3%, imposto del super-potere bancario per tagliare la spesa sociale, anche a costo di far crollare, di conseguenza, l’economia privata, l’occupazione e il gettito fiscale, con ripercussioni fatali sul debito. Ma non importa, stiamo entrando nell’era del Ttip. Lo Stato senza più moneta, che deve farsi approvare il bilancio a Bruxelles, non conta più niente e conterà ancora meno, quando a dettare legge saranno direttamente le multinazionali, coi tribunali speciali istituiti dal trattato Usa-Ue che sbaraccherà ogni residua sovranità nazionale e locale. Fine dei microcosmi che abbiamo abitato, per decenni, confidando nella possibilità di migliorare la situazione. I NoTav sono ancora là, in valle di Susa, con le loro bandiere. Ma tutt’intorno, l’Italia sembra non esserci più – a parte quel buco ostinato e sempre più surreale, in quest’Europa desolata dagli oligarchi.

PRONTO SOCCORSO DI SUSA IN TILT: PAZIENTI PER TERRA E ANZIANI MORENTI COSTRETTI SULLE BARELLE. TAGLIANO I SERVIZI, MA SPENDONO PER L’EDILIZIA SANITARIA. BATZELLA FA APPELLO A SAITTA: “DEVE ASSUMERE PERSONALE MEDICO, SI DIA UNA SVEGLIATA”

http://www.valsusaoggi.it/pronto-soccorso-di-susa-in-tilt-pazienti-per-terra-e-anziani-morenti-costretti-sulle-barelle-tagliano-i-servizi-ma-spendono-per-ledilizia-sanitaria-batzella-fa-appello-a-saitta-deve-assumere/

ValsusaOggi

Giornale online indipendente – Diretto da Fabio Tanzilli – redazione@valsusaoggi.it

     01/18/2015    

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di FABIO TANZILLI

Inaccettabile, scandaloso. Passare le ultime ore della propria vita – da malato terminale – su una barella di un pronto soccorso, senza neanche potersi sdraiare su un letto, perché a qualche politico o funzionario piace tagliare facile, ma sempre sulla salute degli altri. È quanto avvenuto sabato pomeriggio al pronto soccorso dell’ospedale di Susa. Il servizio è andato in tilt, perché ci sono solo 4 letti disponibili, ed erano occupati anche tutti gli altri dentro l’ospedale.

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Il risultato? Disagi, attese lunghissime, pazienti e malati costretti a stare su barelle da campo e barelle lungo i corridoi, per terra. Il personale sanitario che fa i salti mortali per garantire il diritto alla salute pubblica, che invece dovrebbe essere una normalità in un paese come l’Italia, e in una Regione come il Piemonte. Anche in Val Susa.

La situazione sta per scoppiare al pronto soccorso di Susa: di turno c’è un solo medico di guardia, che si deve occupare di tutto, senza avere a supporto alcun specialista. I turni sono massacranti: oltre 12 ore al giorno, anziché 8. Perché il personale medico è sotto organico, ma chi deve decidere lo sa ma fa finta di nulla.

E così i medici in servizio sono solo più 4 anziché 9. E oltre che del pronto, si devono occupare ovviamente del reparto ospedaliero, delle consulenze, e pure del trasporto di malati in altri ospedali.

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A rimetterci, in tutte queste scelte scellerate volute dalla politica regionale e da chi dirige la sanità locale, sono soprattutto i pazienti. E ancora di più chi non può permettersi i soldoni di una clinica privata, gli anziani, i più deboli, chi non può spostarsi in ospedali più grandi.

Il personale in servizio a Susa segnala questi problemi da tempo all’Asl e alla Regione, ma pare che le priorità non siano legate al personale, bensì a spendere decine di milioni di euro per costruire nuovi spazi edilizi, ampliare ospedali ed ex ospedali.

Sabato pomeriggio sul posto è arrivata anche la consigliera regionale Stefania Batzella, del Movimento 5 Stelle, e ha assistito a quanto avveniva dentro il pronto soccorso: “L’assessore Saitta si deve svegliare – afferma la consigliera regionale valsusina, che da anni si impegna con anima e corpo per salvare la sanità pubblica in Val Susa, e non solo – non si possono tenere i pazienti in queste condizioni, non si può far lavorare il personale sanitario così. Il tutto a danno dei cittadini e dei più deboli. L’assessore alla Sanità della Regione Piemonte e l’Asl devono investire i soldi, che ci sono, per assumere il personale medico e garantire i servizi sanitari. È una vergogna! Non si può calpestare in questo modo la dignità di un malato!”.

Ma noi ora chiediamo all’Asl: a chi giova l’ampliamento di una struttura sanitaria, come si sta facendo negli ultimi anni in Val Susa e non solo, se poi tanto riduci all’interno i servizi e il personale?

Perché investite soldi solo sul mattone, sugli appalti edilizi, e non sui servizi che salvano la vita ai cittadini, e soprattutto ai più deboli?

Chi ha dei guadagni da tutto questo? Chi ha davvero dei ritorni economici, e non solo, da questa “strategia” a nostro parere non casuale, basata sul continuare a costruire e investire in edilizia sanitaria anche in ex ospedali (Avigliana, Giaveno) o in presidi ospedalieri in via di declassamento (Susa)?

Tra Susa, Avigliana e Giaveno sono stati stanziati 15 milioni di euro per ampliamenti e nuove ali. Ma poi tagli i pronti soccorsi e gli altri servizi, o dentro ci metti solo un medico a lavorare con turni massacranti.

Chi ci guadagna da tutto questo?

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ULTIM’ORA – GUAI SERI PER LA BOSCHI. ADESSO RISCHIA E ANCHE TANTO. ECCO CHE ARRIVA LA SANZIONE PER IL PAPARINO..

 http://direttainfo.blogspot.it/2016/03/ultimora-guai-seri-per-la-boschi-adesso.html

Diretta Informazioni

venerdì 4 marzo 2016



Bankitalia multa gli ex vertici di Banca Etruria per 2,2 milioni di euro. Sanzioni a 27 manager, 130 mila a papà Boschi
La Banca d’Italia ha deciso di sanzionare 27 esponenti ed ex esponenti della vecchia Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio, tra cui amministratori, sindaci e direttore generale, per un totale di 2,2 milioni di euro. Lo riferisce via Nazionale. “Il 1 marzo 2016 il Direttorio della Banca d’Italia, in seduta collegiale, ha disposto sanzioni pecuniarie nei confronti di 27 tra esponenti ed ex esponenti della vecchia Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio (Bpel), ora in liquidazione”, si legge in una nota.
Ai singoli sono state comminate sanzioni che vanno dai 52.000 ai 130.000 euro, a seconda del grado di responsabilità e del periodo di permanenza in carica di ciascuno. Alcuni dei soggetti colpiti dalle nuove multe erano già stati raggiunti da sanzioni pecuniarie nel settembre del 2014, quando Bankitalia aveva irrogato sanzioni per un totale di 2,5 milioni di euro. Il procedimento era stato aperto nel dicembre 2013 a seguito degli esiti di una precedente ispezione svolta nel corso di quell’anno.
Nell’elenco, secondo quanto scrivono Nazione e Corriere di Arezzo, figurano anche gli ultimi due presidenti, Lorenzo Rosi e Giuseppe Fornasari, i vice presidenti Alfredo Berni e Pier Luigi Boschi e l’ex direttore generale Luca Bronchi. Le multe più alte sono quelle elevate nei confronti di Rosi, Berni, Boschi e dei consiglieri Andrea Orlandi e Luciano Nataloni, pari a 130mila euro. Per l’ex direttore generale Luca Bronchi sanzione di 129mila euro, mentre per il predecessore di Rosi alla presidenza, ovvero Giuseppe Fornasari, è stata fissata una multa di 69.500 euro.
 
 
Via Nazionale evidenzia che gli esiti sono stati “particolarmente negativi” – con un giudizio numerico riassuntivo di 6 in una scala di crescente negatività da 1 a 6 – e condussero la Banca d’Italia a proporre al Ministro dell’Economia e delle Finanze di sottoporre la Banca ad amministrazione straordinaria, disposta il 10 febbraio 2015.
Anche nel caso delle altre tre banche interessate dal salvataggio con il meccanismo di risoluzione della crisi, che include il cosiddetto ‘bail-in’, erano stati avviati vari procedimenti sanzionatori, gli ultimi dei quali conclusi in aprile 2014 per la Cassa di Risparmio di Ferrara (15 persone per un totale di 1,1 milioni), agosto 2014 per la Banca delle Marche (18 persone per un totale di 4,2 milioni) e luglio 2015 per la Cassa di Risparmio di Chieti (13 persone per un totale di 0,6 milioni).
Per salvare Banca Etruria, CariChieti, Carife e Banca Marche è stato necessario un decreto del governo che accelerasse la possibilità di ricorrere al meccanismo dei ‘bail-in’, voluto dall’Ue nonostante le nuove norme entrassero in vigore a gennaio 2016 e le scoppio delle crisi sia avvenuto a novembre. Le crisi sono costati i risparmi a molti risparmiatori che avevano sottoscritto bond subordinati.
La procedura sanzionatoria. Le sanzioni decise all’inizio del mese, spiega Bankitalia, arrivano dopo “una lunga e articolata procedura iniziata nel maggio del 2015, a seguito degli esiti dell’accertamento ispettivo condotto presso la Bpel fra il novembre 2014 e il febbraio 2015”.
Nel corso dell’istruttoria si analizzano tutti gli elementi acquisiti e si effettua, anche alla luce delle istanze difensive degli interessati, una valutazione ponderata degli addebiti contestati e dei profili di responsabilità; nei casi di maggiore rilevanza e complessità, come quello di banca etruria, le valutazioni sono svolte da un organo collegiale interno alla banca d’italia che riunisce rappresentanti delle competenti funzioni della vigilanza. Nel rispetto del principio di separazione tra fase istruttoria e fase decisoria, al direttorio viene sottoposta la proposta conclusiva, trasmessa unitamente agli atti del procedimento.
 Il Direttorio acquisisce allora il parere dell’avvocato generale della banca d’italia sui profili di legittimità della proposta e adotta in seduta collegiale un provvedimento motivato, disponendo per ciascuna parte interessata l’applicazione di una sanzione, nei limiti definiti dalla normativa, oppure l’archiviazione, ove si ritenga di accogliere le controdeduzioni della parte stessa. Se lo ritiene opportuno, il direttorio può richiedere supplementi di istruttoria prima di pronunciarsi. Le decisioni sono tempestivamente comunicate agli interessati; contro di esse si può ricorrere nei termini e con le modalità previste dalla legge.
Anche nel caso delle altre tre banche oggetto del provvedimento di risoluzione della crisi del novembre 2015 erano stati avviati vari procedimenti sanzionatori, gli ultimi dei quali conclusi in aprile 2014 per la cassa di risparmio di ferrara (15 persone per un totale di 1,1 milioni), agosto 2014 per la banca delle marche (18 persone per un totale di 4,2 milioni) e luglio 2015 per la cassa di risparmio di chieti (13 persone per un totale di 0,6 milioni).

Libia, Prodi: ‘Non ci sono condizioni per intervento. Guerra è ultima cosa da fare’

http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/03/03/libia-prodi-non-ci-sono-le-condizioni-per-intervenire-la-guerra-e-lultima-cosa-da-fare/2514871/

Libia, Prodi: ‘Non ci sono condizioni per intervento. Guerra è ultima cosa da fare’

L’ex premier ricorda che la missione militare è stata prevista “solo dopo la richiesta di un governo unitario”. Obiettivo dal quale, dice, siamo “lontanissimi”. Berlusconi: “No ad azioni superficiali. Elevato rischio di causare vittime innocenti”. Secondo il Corriere della Sera, 50 incursori delle forze speciali dirette dai servizi segreti sono pronte a partire
di  | 3 marzo 2016
“Non ci sono le condizioni per cui si possa intervenire” in Libia e la guerra è “l’ultima cosa da fare”. Romano Prodi, ex premier e dal 2008 a capo del gruppo di lavoro ONU-Unione Africana sulle missioni di peacekeeping in Africa, intervenendo al Tg3 considera del tutto fuori luogo la possibilità di una missione a breve nel Paese nordafricano. “Attualmente – ha detto – siamo lontanissimi” da “un intervento militare“, perché questo ci può essere “solo dopo la richiesta di un governo unitario”, come hanno detto “il nostro presidente del Consiglio e l’Onu“. E sul ruolo guida di Roma nella missione libica, che gli Stati Unitisono disposti ad appoggiare “con forza”, Prodi spiega: “Un intervento può essere fatto solo in ambito Onu, con un ruolo serio dell’Italia” che, allo stesso tempo, “deve evitare di accrescere le tensioni contro di sé, di attirare le tensioni dei paramilitari e essere abbandonata. L’Italia deve essere impegnata con un ruolo serio ma non certamente sola”.
L’ex presidente del Consiglio motiva anche la sua contrarietà rispetto all’ipotesi di una Libia divisa in tre parti –Tripolitania, Cirenaica, Fezzan – perché “questi tre Paesi fra di loro chiederebbero protezione ciascuna a una potenza straniera o sarebbero oggetto di appetiti di Paesi vicini. Ci sono due strutture unitarie al momento – ha precisato – la banca centrale e la compagnia petrolifera e nessuno vuole una divisione che romperebbe questa fonte di risorse che li tiene insieme”.Intervenendo sulla presunta morte dei due ostaggi italiani avvenuta a Sabrata, Prodi si dice “propenso a credere a qualcosa di deliberato piuttosto che a un incidente” anche se sule causespecifica che al momento non ci sono certezze. “Avere quattro ostaggi italiani – ha detto – per l’Isis è un formidabile strumento di pressione”. Scoraggia un eventuale intervento militare anche Silvio Berlusconi, presidente di Forza Italia, che in una nota spiega come la morte dei due italiani “sottolinea drammaticamente anche la complessità della situazione libica e l’elevato rischio di causare vittime innocenti se si dovessero intraprendere interventifrettolosi o superficiali“.

Corriere della Sera: “50 incursori pronti a partire” – SeProdi ritiene che le condizioni per un intervento siano lontanissime, secondo il Corriere della Sera nelle prossime ore una cinquantina di incursori del Col Moschin partiranno per il Paese nordafricano per prendere contatto con gli agenti dei servizi segreti, dove ormai da tempo operano forze francesi e inglesi. Secondo il quotidiano di via Solferino il presidente del Consiglio ha firmato un decreto che definisce i contorni dell’operazione italiana in Libia, inclusi i rapporti di collaborazione tra i servizi segreti e le forze speciali della Difesa. Ci sono le regole d’ingaggio, tra le quali licenza d’uccidere e impunità per eventuali reati. C’è lacatena di comando, ci sono le modalità operative. L’Italianon solo è pronta a fare da capofila in una missione in Libia con tanto di accordo dei principali alleati occidentali, Stati Uniti in testa.

Il decreto si compone di 5 articoli, dei quali Matteo Renzi ha parlato con il presidente della Repubblica Sergio Mattarella alConsiglio supremo della Difesa e che hanno tra i punti principali il fatto che sarà l’Aise, cioè i servizi segreti per la sicurezza esterna, a dirigere le missioni delle unità speciali militari. Il provvedimento, secretato, in pratica prevede che il capo del governo nelle situazioni di crisi all’estero può autorizzare, attraverso il Dipartimento per le informazioni della sicurezza, i servizi segreti per l’estero ad avvalersi delle forze speciali. Quindi sarà Palazzo Chigi a pianificare e monitorare le missioni delle forze speciali all’estero.

Il governo, da un punto di vista formale, dice di attendere intanto la formazione di un governo di unità nazionale in grado di richiedere l’intervento della comunità internazionale. Per l’eventuale missione di peace enforcement sono già pronti 3mila soldati, ma per inviarli al di là del Mediterraneo servirà un passaggio in Parlamento.

NUOVO ELETTRODOTTO, I NO TAV SI OPPONGONO ALLE SERVITU’ DEI TERRENI: “L’OPERA DANNEGGERA’ LA VEGETAZIONE E I TERRENI AGRICOLI”

Giornale online indipendente – Diretto da Fabio Tanzilli – redazione@valsusaoggi.it

     03/03/2016 

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di FATIMA SOUDASSI

BUSSOLENO – Mercoledì sera si è svolta l’assemblea informativa sul futuro megaelettrodotto di Terna. Una serata organizzata dal movimento NO TAV, per parlare dell’opera sotterranea che partirà da Bussoleno per arrivare a Salbertrand passando per Bussoleno, Susa, Gravere, Chiomonte, Exilles e Salbertrand.

I presenti hanno potuto conoscere i motivi per cui i cittadini dovrebbero opporsi all’opera. Sono intervenuti Nicoletta Dosio, Mario Cavargna e Alberto Perino. L’elettrodotto trasporterà l’energia delle centrali nucleari francesi all’Italia. Secondo i promotori dell’incontro: “L’elettrodotto è inutile…l’Italia ha un surplus di energia disponibile pari al 50% in più del fabbisogno totale italiano. Il costo previsto è di 1.4 miliardi di euro che saranno pagati dai cittadini in vari modi”.

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Il progetto del maxi elettrodotto era fermo per ben 4 anni, ma ora si è fatta una variante del progetto, che riduce i tempi di esecuzione e abbassa i costi di realizzazione. Il cavo passerà ad una profondità di circa 2 metri: sarà largo 70 cm per lato con 10 m di servitù per lato, ciò significa che nessuno può operare entro quella zona dopo la stesura dell’elettrodotto. Il percorso sarà lungo 25 km e passerà prevalentemente lungo la statale 24, ma in alcuni punti si sposterà in zone edificabili e terreni agricoli.

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“La corrente che passa per i cavi sotterranei non genera campi magnetici, ma produce una quantità enorme di calore nel sottosuolo che – secondo i No Tav – porterà a danni irreversibili alla vegetazione. Inoltre non sono ad una profondità sufficiente da permettere i lavori nei campi agricoli. Se i contadini causeranno eventuali danni alle strutture che si trovano entro la zona di servitù, estesa per 20 m, si imbatteranno in risarcimenti milionari”.

L’elettrodotto ad alta tensione è continuo e inamovibile. Interferirà col passaggio dell’acqua nella valle, perché lungo la tratta taglierà ben 15 torrenti e i lavori dureranno 3 anni. Non vi è ancora alcuna autorizzazione da parte delle ferrovie italiane, nonostante il tracciato passi sotto i binari ferroviari.

L’opera è già stata autorizzata dai sindaci dei comuni valsusini coinvolti, i quali – secondo i No Tav – non avrebbero fatto nessun rilievo tecnico sul progetto. Si potranno presentare osservazioni riguardo l’elettrodotto entro giovedì 10 marzo, e proprio per questo si stanno svolgendo varie iniziative per apportare modifiche al percorso, dove è necessario, per dire NO alle servitù coattive dei terreni dei cittadini.
A Bussoleno è attiva una raccolta firme, da consegnare poi ai Comuni che hanno detto sì all’opera; di giorno nel bar/libreria di via Walter Fontan, e dalle 18 alle 23 all’osteria La Credenza. Anche negli altri paesi coinvolti saranno organizzati dei punti di raccolta firme, sempre entro la data del 10 marzo.

Sentenza baita Clarea: “Torino non è un luogo idoneo a tenere questi processi”.

http://www.autistici.org/spintadalbass/?p=1502

Spinta dal Bass

 sabato, marzo 5, 2016
Sentenza baita Clarea: “Torino non è un luogo idoneo a tenere questi processi”.

Solidali con tutte le no tav e tutti i no tav condannati.

Ha ragione l’avvocato Vitale nel video sotto, la situazione a Torino non è serena intorno ai processi contro i no tav. La pressione della procura è fortissima. Basta guardare alla quantità degli indagati e alla qualità dei reati contestati per capire che nella procura sabauda è in corso una vera e propria caccia alle streghe. 987 indagati fra il 2010 e il 2013. Nello stesso lasso di tempo i fascicoli aperti sono stati 193. I reati contestati vanno dalla violazione di sigilli alla costruzione abusiva, e poi resistenza, violenza, ingiurie, calunnie, minacce, aggressione, stalking, fino a giungere a quella che, nelle intenzioni dei pm, dovrebbe essere l’accusa definitiva e finale: terrorismo.

Lo scopo di tutto questo è chiaro: impaurire distribuendo mesi di galera a manciate, e derubricare una questione politica a problema di ordine pubblico (con il plauso di media e partiti). Noi crediamo che ancora una volta lorsignori abbiano fatto il conto senza l’oste. Tanto impegno, il triste finale di carriera di Caselli, risorse enormi spese per combattere il movimento, e cosa vi siete trovati per le mani? Uomini e donne condannate, 4 ragazzi in galera con accuse immonde,  decine di persone impedite nelle loro libertà…e una solidarietà verso i no tav diffusa e capillare in Italia e in Europa, ma soprattutto una Valle che è tutto fuorché rassegnata a subire le vostre angherie.

baita