Iran, gli ebrei al voto in Sinagoga: ‘Siamo iraniani’

e la leggenda che gli ebrei in Iran sono perseguitati e trattati male? Era una balla dei giornali pagati dagli Usa?
 
Sono in 20mila, ‘stiamo bene qui e non ce ne andremo’
 
Elisa Pinna e Mojgan Ahmadvand
TEHERAN
26 febbraio 2016
 
Nella sala della preghiera della sinagoga di Yusifad a Teheran, davanti al grande candelabro azzurro a sette braccia dipinto sulla parete di fondo, è stato allestito un seggio elettorale. Gli scrutatori sono musulmani, ma i votanti sono solo ed esclusivamente ebrei. La comunità ebraica iraniana, la più numerosa di tutto il Medio Oriente (ovviamente dopo Israele) con circa 20mila persone, ha diritto ad un proprio rappresentante nel nuovo Parlamento iraniano, o Majlis, così come gli armeni, i cattolici siriaci e gli zoroastriani, tutte minoranze ‘protette’ dalla costituzione islamica. A Teheran oggi si è votato anche nelle chiese e nei templi del fuoco.
 
Nella Sinagoga, il dovere elettorale è preso molto sul serio. Dati i numeri relativamente piccoli, stupisce il continuo via–vai di votanti, molti uomini con la kippah, donne velate, famiglie con bambini. All’ora di pranzo qualcuno porta grandi ceste di frutta e le appoggia sugli stessi tavoli dove si compilano le schede, prima di metterle nell’urna e di sigillare il voto timbrando l’indice della mano destra nell’inchiostro. I candidati in corsa sono due, Homayoun Samiha e Siamak Morsedes. “Noi ci sentiamo iraniani a tutti gli effetti. Stiamo bene qui. Non abbiamo problemi”, spiega all’ANSA Elyas Abbian, proprietario di una gioielleria nel grande bazar di Teheran.
 
Abbian dice di ricevere continue pressioni da Israele, specie dai suoi parenti, perché anche lui compia la sua alya, ovvero il ritorno alla Terra Promessa. “L’emigrazione non è però un obbligo”, sottolinea. Anche se non esistono rapporti diplomatici tra Israele e l’Iran – e anzi i due Paesi vengono spesso considerati nemici giurati – gli ebrei iraniani possono recarsi in preghiera a Gerusalemme. Nella sinagoga di Teheran, molti ammettono di essere stati in Israele, ma di essere poi tornati.
 
Chi doveva partire, ormai è partito. Ai tempi dello Scià vivevano in Iran circa 100mila ebrei. Poi la Rivoluzione del 1979 creò una situazione di paura. L’ayatollah Khomeini inquadrò gli ebrei come minoranza protetta ma i più non si fidarono. Gli ebrei hanno vissuto in Iran da 2500 anni, da quando giunsero in Persia liberati da Ciro il Grande, dopo la schiavitù di Babilonia. La storia della minoranza ebraica in Persia e poi in Iran è stata caratterizzata da alti e bassi, periodi di convivenza pacifica si sono alternati a periodi di persecuzioni e conversioni forzate. Dopo le tensioni vissute durante la presidenza di Ahmadinejad e il suo furore anti-sionista, per gli ebrei iraniani è cominciata una fase più positiva con Rohani. “Il sabato è rispettato come nostro giorno di festa, nelle nostre scuole si studia in ebraico, i nostri ragazzi possono fare il servizio militare vicino alle loro comunità, i nostri riti sono tutelati”, afferma Abbian. “Anzi, il 99,9% dei miei amici sono musulmani e non vi sono problemi di religione. Io partecipo alle loro feste e loro vengono al Tempio”. Abbian si ferma a parlare all’ingresso della Sinagoga, dove l’atmosfera sembra rilassata, tranquilla. Solo un soldato è di guardia, così come negli altri seggi. Gli ebrei iraniani sperano che il nuovo corso avviato da Rohani possa portare anche ad un dialogo con Israele? “Noi speriamo ovviamente di sì, però prima deve essere risolta la questione palestinese. Solo a questa condizione, Israele e Iran potranno diventare buoni amici”, risponde senza esitazione il negoziante del bazar.
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Presidente del Sudan: dietro ISIS e Boko Haram ci sono CIA e MOSSAD – VIDEO

by admin · 18 febbraio 2015
 
Penso che dietro queste organizzazioni (ISIS e Boko Haram) ci sia la CIA e il MOSSAD“.
 
Questa è l’accusa gravissima che il Presidente del Sudan, Omar al-Bashir, ha rivolto ai servizi segreti americani e israeliani.
 
Così, dai microfoni di Euronews, il Presidente del Sudan ha avuto il coraggio di affermare ciò che molti sospettano già da tempo. La dichiarazione è stata ripresa già da The Indipendent e sta facendo molto scalpore.
 
Ascoltate bene dal minuto 0:55.
 
 
E TANTO PER RICORDARE
Rivelazione shock di un combattente italiano:”I soldati dell ISIS sono imbottiti di dollari USA.IL VIDEO
Posted on luglio 13, 2015
 
Combattente-italiano-parla-dell-ISIS
Un combattente italiano che combatte al fianco delle milizie curde fa delle rivelazioni shock alla trasmissione “Piazza Pulita” su la 7.”i soldati dell’ISIS sono imbottiti di dollari,armi tecnologiche,smartphone di ultima generazione, telecamere per riprendere i combattimenti“.
 
Chi fornisce loro tutto ciò?Come mai i curdi quando perquisiscono prigionieri li trovano imbottiti di dollari americani?
 
Il combattente inoltre sottolinea il nostro errore nel sottovalutarli:”Il loro progetto è a lungo termine e non a breve termine come si pensa in Italia“.Questi ed altri inquietanti dettagli nell’intervista nel video seguente da non perdere.(L’intervista sopra citata inizia dal minuto 7:00)
 
 
 

VESCOVO KOS: “GIORNALISTI PAGANO PROFUGHI PER RIPRENDERE FINTI ANNEGAMENTI”

muore suicida una vittima dei salvataggi delle banche se se ne parla è strumentalizzazione, in verità non si parla di alcun suicidio italiano, si sa, nel mondo politically correct ogni vita ha un peso diverso, ovviamente monetizzabile
 
 
I giornalisti stranieri pagano 20 euro ad ogni ‘profugo’ che si fa riprendere fingendo di annegare, la denuncia arriva dal Metropolita di Kos e Nisyros, Nathanael.
La testimonianza è stata fatta dal religioso durante un’intervista radiofonica sulla radio greca Alpha 98,9 questo mercoledì.
Monsignor Natanaele ha detto, testuali parole: “ho assistito con i miei occhi alla scena, giornalisti televisivi stranieri pagano persone ( rifugiati ) 20 euro per recitare la parte di vittime di annegamento.”
 
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Il vescovo ha detto che i mass media stanno cercando di presentare un quadro falso degli eventi, lontano dalla realtà. Ha detto che “è peccato sfruttare il dolore umano”.

L’ordine impartito alla Nato: “Scaricate i migranti in Italia”

eterni alleati della mafia, prima con Lucky Luciano oggi con mafia capitale
 
Sui Balcani sono bloccati 150mila disperati. Adesso cercheranno di imbarcarsi nell’Adriatico. Alla Nato è arrivato l’ordine di traghettarli tutti in Italia
Sergio Rame – Ven, 26/02/2016 – 13:33
 
La Nato si prepara a innondarci di immigrati, clandestini o profughi che siano. I 150mila disperati bloccati lungo la rotta balcanica verranno traghettati sulle coste italiane dalla missione Kfor guidata dal generale di divisione Guglielmo Luigi Miglietta.
 
navi nato
L’ordine è stato impartito tempo fa, ma solo ora viene alla luce. “I primi sbarchi potrebbero avvenire fra due o tre settimane – denuncia l’ex ministro della Difesa, Mario Mauro, a Libero – con il risvolto un po’ grottesco di una invasione aiutata anche dalle forze militari nato che certo pensano anche a salvare le vite di quei poveracci”.
 
Con la chiusura delle frontiere d’ingresso all’area Schengen, le rotte degli immigrati stanno a poco a poco cambiando. Tra il Kossovo e l’Albania ci sono almeno 150mila immigrati bloccati che vogliono raggiungere i Paesi dell’Unione europea. “Sono chiuse le frontiere del Nord di Croazia, Ungheria e Austria – spiega Mauro a Libero – la rotta dei profughi si è bloccata in Serbia e Macedonia puntando ora sull’Albania dove non ci saranno barchette per trasportarli sulle coste italiane in Adriatico, ma vere e proprie navi in grado di portare migliaia di persone”. Al generale Miglietta sarabbe, infatti, arrivato l’ordine di procedere all’aiuto umanitario accompagnando gli immigrati in Italia e assistendoli anche con la fornitura di mezzi di trasporto militari. Peccato che, come aveva chiarito lo stesso Miglietta davanti alla commissione Difesa del Senato il 27 gennaio scorso, tra i disperati che premono sui confini europei ci sono anche tagliagole dello Stato islamico di origine kossovara. “Le autorità di Pristina – aveva spiegato Miglietta – sostengono che dal Kossovo sarebbero partiti 350 militanti verso il Califfato dell’Isis, ma secondo le intelligence occidentali quel numero sarebbe di gran lunga superiore, e circa la metà di loro sarebbe rientrata proprio seguendo i migranti e confondendosi in quelle folle”.
 
“L’attività di proselitismo vera e propria verrebbe condotta in Kossovo da imam non autoctoni e da organizzazioni non governative fra le oltre 8mila registrate nel paese, dal profilo nebuloso e dalle ampie disponibilità finanziarie – aveva continua Miglietta – il loro modus operandi è non solo quello di costruire moschee (ne sarebbero state costruite più di 100 in dieci anni) – aveva, poi, spiegato – ma soprattutto quello di provvedere al sostentamento dei nuclei familiari più indigenti, chiedendo in contropartita la frequentazione delle moschee fondamentaliste e l’adozione di atteggiamenti radicali nei costumi e nella educazione dei minori”. Adesso questa gente saraà traghettata dalla Nato in Italia, con il benestare di Matteo Renzi e Angelino Alfano. Che si apprestano ad accoglierli a braccia aperte.

Picchiano titolare centro profughi: “Dacci i soldi o facciamo un casino”

han fatto bene, con i milioni di euro che piovono a ste COSCHE MAFIOSE DELLE COOP.
Forse da non cittadini italiani il reddito di non cittadinanza riescono ad ottenerlo.
 
Due nigeriani si erano allontanati dal centro di accoglienza Gianal a settembre, ieri sono tornati e volevano essere reintegrati. La legge non lo consente, quindi hanno minacciato il gestore della struttura
 
Serena Pizzi – Ven, 26/02/2016 – 18:57
 
Due nigeriani si sono allontatati a settembre dal centro di accoglienza di Feroleto Antico (Catanzaro), ieri sono tornati: “Vogliamo i soldi se no facciamo casino”.
 
nigeriani
Feroelto Antico è un piccolo comune di due mila abitanti, ma nonostante le modeste dimensioni ospita nel centro di accoglienza “Gianal” 100 immigrati. Il gestore è Salvatore Lucchini, propietario dell’azienda Gianal. A settembre due nigeriani hanno abbandonato volontariamente il centro. Per la legge italiana, se trascorrono più mesi lontano dalla struttura, non possono più rientrarci. Questa è la regola, ma ai due immigrati poco importava e ieri sono ritornati nella struttura.
 
I due profughi hanno subito cercato il gestore e gli hanno imposto di riaccettarli nel centro. Salvatore, però, gli ha spiegato che non poteva perché sono rimasti troppo tempo fuori dal Gianal. I nigeriani, sentendo il rifiuto giustificato del titolare, si sono infuriati e hanno aggredito violentemente l’uomo. Dopo vari spintoni hanno proposto un patteggiamento: “Dacci 800 euro a testa e noi ce ne andremo. Se no, continueremo a fare casino” . Salvatore, temendo che scoppiasse una protesta generale nel centro, ha chiamato i carabinieri di Lamezia Terme. I due sentendo pronunciare il nome degli agenti sono scappati.
 
I militari in pochi minuti sono arrivati al Gianal e si sono messo sulle tracce dei due. Infatti, dopo poco, sono riusciti a prenderli e ad arrestarli. “Non sappiamo di preciso quanto resteranno in carcere, ma quel che è certo è che quando usciranno verranno rimpatriati nel loro Paese. A loro carico c’è un espulsione immediata dall’Italia” – ha spiegato il carabiniere. Gli agenti di Lamezia Terme hanno segnalato i due nigeriani alla Prefettura, sarà poi la polizia di Stato a doversi accertare che i due non facciano i furbi per rimanere nel nostro Paese.

Il crack del nucleare francese: conti catastrofici per Areva ed Edf

http://www.greenreport.it/news/energia/il-crack-del-nucleare-francese-conti-catastrofici-per-areva-ed-edf/#prettyPhoto

I contribuenti dovranno pagare il fallimento dell’industria nucleare francese

La voragine degli EPR, i reattori che doveva comprare l’Italia prima del referendum

[26 febbraio 2016]

crack del nucleare Francese

Il 25 febbraio Il Consiglio di amministrazione del gigante nucleare Francese Areva si è riunito per esaminare i conti dell’bilancio chiuso il 31 dicembre 2015 e ha comunicato che «Areva a appena trovato un accordo con 6 banche di prestito su un prestito ponte di 1,1 miliardi di euro, destinato ad assicurare la liquidità dell’impresa per l’anno fiscale 2016, il Consiglio ha deciso di differire di 24 ore la chiusura dei conti per permettere  la finalizzazione della documentazione tecnica afferente a questi finanziamenti. Di conseguenza, la pubblicazione dei risultati è stata rinviata di 24 ore».  Ma, come dicono quelli di Réseau Sortir du Nucléaire, il fatto che non sia ancora riuscita a chiudere i suoi conti  è «segno delle difficoltà inestricabili che attraversa l’impresa. Una cosa è sicura: il “fiore all’occhiello” dell’industria francese dovrebbe conoscere nuove perdite quest’anno. E’ inaccettabile che il salvataggio di questa filiera senza futuro incomba ai cittadini».

Le Mode rivela che «Secondo diverse fonti, lo Stato – che detiene l’86,5 % d’Areva – ha preteso all’ultimo minuto che questa somma non sia più rimborsata nel gennaio 2017, come previsto, ma piuttosto a giugno. Cioè dopo l’elezione presidenziale». La cosa non è piaciuta per niente ai banchieri e alla fine, dopo una notte di trattative serrate, condotte dall’Agence des participations de l’Etat (APE). Société générale, Crédit agricole, BNP Paribas, Natixis, il governo ha rinunciato a questo rinvio e Crédit mutuel e HSBC hanno accettato di accordare il finanziamento. Ma i preoccupatissimi amministratori di Areva hanno preferito assicurarsi che la  documentation technique  fosse davvero firmata, prima di validare i conti.

Il prestito di emergenza è indispensabile per permettere ad Areva di superare il 2016, anno durante il quale dovrà rimborsare circa un miliardo di obbligazioni, che arriveranno a scadenza a settembre.  Le Monde spiega che «La vendita dell’attività reattori del gruppo (Areva NP) a EDF per 2,5 miliardi di euro e l’aumento di capitale di 5 miliardi di euro promesso dallo Stato non interverranno prima di questa scadenza. Senza questo finanziamento di emergenza, Areva rischiava quindi l’insolvenza entro la fine del 2016 e i revisori dei conti non avrebbero potuto assicurare   la continuità operativa” dell’impresa, un concetto essenziale per poter chiudere il bilancio di esercizio».

E’ una situazione nota da mesi, ma l’intervento della politica ha contribuito a rendere ancora più opaco il fallimento del nucleare francese e il governo francese ha comunicato in ritardo alla Commissione europea il suo piano di salvataggio di Areva, che potrebbe soccombere sotto i colpi delle procedure per gli aiuti di Stato.
ieri la quotazione del titolo Areva è stato sospeso alla Borsa di Parigi e gli interrogativi sul fatto che Areva sia in grado di riprendersi si moltiplicano.  Dopo aver ceduto la sua attività di costruzione dei reattori a EDF, Areva ormai si occupa quasi solo del ciclo del combustibile: estrazione e arricchimento dell’uranio, trattamento delle scorie radioattive, smantellamento delle centrali. Ma con questa cessione in corso Areva vedrà ridursi il suo valore: i suoi dipendenti in tutto il mondo passeranno da 42. 000 a 20. 000 e il suo giro di affari si ridurrà da 8,3 a 5 miliardi di euro. Ma il suo debito già oggi supera i 6 miliardi di euro, dopo  8 miliardi di perdite accumulate in 5 anni e ce, probabilmente sono aumentate nel 2015. I finanziamenti necessari a tappare questa voragine  sono stati stimati in 7 milliardi di euro per i prossimi 3 anni e dovrebbero essere rivisti al rialzo, soprattutto per tener conto del disastro economico e tecnico dell’infinito cantiere del reattore EPR finlandese di d’Olkiluoto (OL3), in Finlandia, non ancora concluso dopo 10 anni e per il quale i finlandesi della TVO chiedono 2,6 miliardi di euro ai francesi, mentre Areva pretende 3,4 miliardi di euro dalla TVO. Dalla conclusione di questa disputa dipende gran parte della ristrutturazione della terremotata filiera del nucleare francese.

Gli EPR sono i reattori che Berlusconi doveva comprare da Sarkozy per costruire le 7 nuove centrali nucleari italiane che avrebbero dovuto avviare il rinascimento nucleare italiano, per fortna ci ha pensato il referendum a risparmiarci questa avventura verso la bancarotta. Forse gli italiani e la politica dovrebbero ringraziare le associazioni che ci hanno evitato questo disastro alla francese.

Infatti, l’altro gigante del nucleare transalpino, EDF, non è messo molto meglio di Areva. A gennaio EDF è stata scossa da diversi scioperi perché, a causa delle sue difficoltà finanziarie, ha annunciato la chiusura anticipata di diverse centrali a olio combustibile e a carbone. Thierry Gadault, caporedattore di Hexagones.fr e autore del libro “EDF, la bombe à retardement” ha ricordato che lo stesso amministratore delegato di EDF, Jean-Bernard Lévy, ha ammesso che la situazione di EDF è critica: se le entrate sono cresciute del 2,2%, nel 2014  i guadagni sono passati da 3,7 miliardi a 1,2 miliardi. «Per comprendere perché oggi la situazione è così complicata – dice Gadault-  bisogna risalire agli anni 2000 quando EDF ha acquistato delle imprese dappertutto nel mondo, hanno perso un ammontare mostruoso, si sono sovra-indebitati e oggi EDF non ha più soldi».

Ma, come per Areva, lo Stato francese è il principale azionista di EDF e per tirarla fuori dai guai dovrebbe sganciare  circa 5 miliardi di euro e rinunciare ai dividendi che gli spettano. Cosa molto difficile, vista la crisi economica. Quindi EDF non può più investire, ma secondo Gadault  «dovrebbe spendere 51 miliardi di euro per modernizzare ed aumentare la durata di vita delle sue centrali nucleari in Francia». E’ questa quella Gadault chiama “bomba a scoppio ritardato”: «Prolungando la durata di vita delle centrali, si prende il rischio di un incidente molto grave. Le centrali sono state costruite per durare 40 anni ed EDF vuole spingerle fino a 60 anni. Sappiamo che almeno una quindicina di reattori nucleari sui 58 in Francia sono in uno stato molto cattivo: crepe, contenimenti che non sono più sigillati… Un certo numero di casi sono estremamente inquietanti».

Anche secondo  Réseau Sortir du Nucléaire «Areva paga oggi la follia dell’EPR d’Olkiluoto e dei suoi investimenti disastrosi in Uramin. Lo Stato, azionista maggioritario di Areva, ha una importante responsabilità in questa situazione, per aver lasciato Areva commettere degli errori strategici monumentali e, ancora di più, per aver chiuso gli occhi sullo scandalo  Uramin, i sospetti di corruzione dei dirigenti e i possibili crimini di insider trading. Dato che Areva non conta di limitare le sue attività e prevede un piano sociale che colpirebbe  6.000 posti di lavoro, il Piano economico previsto avrà inevitabilmente delle ripercussioni sulla sicurezza, con un ricorso accresciuto al sub-appalto per diminuire i costi, una manutenzione limitata ed una pressione supplementare sui lavoratori.Gli anti-nucleari fanno notare che «Mentre è prevista una ricapitalizzazione di 5 miliardi di euro, alle fine saranno i contribuenti  – ai quali il nucleare è imposto –  che sopporteranno il peso del “salvataggio” di Areva. In periodo di austerità economica, mentre numerosi bilanci subiscono dei tagli drastici, è immorale che il denaro pubblico  continui a scorrere a fiotti per  salvare un’impresa sospettata di malversazioni. Pesantemente indebitata, Areva non potrà inoltre far fronte ai suoi incarichi per lo smantellamento e la gestione delle scorie. In virtù di una recente ordinanza, che prevede la solidarietà degli azionisti maggioritari in caso di défaillance dell’operatore, lo Stato, e quindi i contribuenti, dovranno di nuovo mettersi le man in tasca».Sortir du Nucléaire chiede che non ci sia accanimento terapeutico per una filiera in fallimento: «Fuga degli investitori, esplosione della fattura dell’EPR, provvigioni insufficienti per lo smantellamento e la gestione delle scorie radioattive, frodi e malversazioni in ogni genere di affari, lavori titanici, il “Grand carénage” (un vasto programma di lavori destinato a prolungare d la durata del funzionamento delle centrali nucleari al di là dei 40 anni). Le multinazionali EDF e  AREVA sono vicine ad essere messe al rogo per la loro fuga in avanti verso il tutto-nucleare. Un vero e proprio salasso finanziario si apre di nuovo per la filiera nucleare francese che dovrebbe logicamente, ancora una vola, essere colmato dai contribuenti, con la complicità dello Stato».

I no-nuke non hanno dubbi: «E’ la filiera nucleare francese nel suo insieme  che è in fallimento. Mentre  EDF, già appesantita dai costi futuri del “Grand carénage” è già indebitata a un livello di 37,5 miliardi di euro, esigere che acquisti una parte delle attività di Areva non ha alcun senso. Le ristrutturazioni previste e le ricapitalizzazioni annunciate sono solo delle manovre vane per lasciar pensare che un salvataggio della filiera sia possibile. Il nucleare è un pozzo senza fondo! Lo stato deve smetterla di inghiottire miliardi in questo  impossibile salvataggio di un’industria pericolosa, inquinante e superata, Per impedire la catastrofe industriale, la sola soluzione è quella di smettere di spendere impegnandosi subito per un’uscita dal nucleare e una riconversione verso un’autentica transizione energetica. In particolare, è più che mai il momento di mettere fine al ritrattamento delle scorie a La Hague ed alla produzione di combustibile MOX, operazioni care, inquinanti e inutili,  dato che gli impianti si degradano più rapidamente del previsto»

L’America ci spia ma non paga Expo

possiamo non condonare i nostri amati liberatori?
 
È di 26 milioni di dollari il buco lasciato dal Dipartimento di Stato per la realizzazione del padiglione a stelle e strisce a Milano
Camilla Conti – Sab, 27/02/2016
 
Milano – L’America ci spia e poi si fa pure bella all’Expo lasciando il conto da pagare. Mentre a casa nostra incalzano le polemiche sulle intercettazioni della Nsa ai danni del governo Berlusconi nel 2011, negli States la campagna elettorale per le presidenziali vede montare la polemica per il maxi buco da 26 milioni di dollari lasciato dal Dipartimento di Stato Usa ai privati che hanno contribuito alla realizzazione del padiglione a stelle e strisce nell’Expo 2015.
 
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Fornitori che hanno consegnato i lavori in tempo ma non sono stati ancora saldati. Le proteste sono state raccolte da Politico.com, il sito di informazione specializzato nella politica della Casa Bianca seguitissimo a Washington. E sono partite dalla Thinc Design, azienda di New York che fra le sue commesse conta anche il museo dedicato alla tragedia dell’11 settembre nella Grande Mela.
 
«Abbiamo fatto la nostra parte e ora ci sentiamo abbandonati», ha dichiarato il fondatore Tom Hennes che per l’Expo ha realizzato una passerella trasportandola da Coney Island a Milano e appeso i lampadari vegetali per decorare il padiglione. La fattura emessa? Un milione di dollari. Mai visti da mister Hennes.Nel mirino è finito soprattutto il Segretario di Stato, John Kerry, responsabile secondo l’accusa delle circa quaranta società non pagate perché anche se negli Stati Uniti non si possono utilizzare soldi pubblici per finanziare la manifestazione – è stato il Dipartimento a istituire nel 2013 la società no profit che ha gestito lo spazio milanese, la Amici del Padiglione Usa. «Una collaborazione tra la James Beard Foundation e l’International Culinary Center, in associazione con la Camera di Commercio Americana in Italia, la cui missione è concepire, progettare, raccogliere fondi e realizzare il Padiglione Usa e i relativi programmi a Expo Milano 2015 sotto gli auspici del Dipartimento di Stato americano», si legge ancora nel sito istituzionale di Expo. Lo stesso Kerry si era impegnato personalmente a promuovere una raccolta fondi fra i suoi alleati politici.
 
Il gruppo insomma era stato messo in piedi con la consapevolezza che il lavoro pesante sul fund raising sarebbe stato fatto ai «piani alti» come era già successo con l’allora segretario di Stato Hillary Clinton che per l’Expo di Shanghai del 2010 aveva tirato su oltre 60 milioni di dollari in soli nove mesi. Questa volta, invece, gli obiettivi di raccolta fra sponsor e donatori non sono stati raggiunti (finora sarebbero stati radunati solo 40 milioni di dollari per un budget del progetto che nel frattempo è lievitato a 60 milioni di dollari) e le fatture sono rimaste lì ad aspettare. Anche adesso che l’esposizione è finita.Tra le aziende esposte ci sono anche la svizzera Nussli, che deve rientrare di circa 14 milioni, Uvet e Simmetrico, che hanno curato logistica e interni, e devono incassare quasi 3 milioni di euro. Non solo. Secondo quanto riportato da Politico.com, gli americani dovrebbero ancora alla Expo spa più di un milione di dollari di affitto. Nonostante gli oltre sei milioni di visitatori che hanno fatto del padiglione Usa uno dei più gettonati, dell’avventura americana all’Expo rimarranno nella memoria soprattutto le foto ricordo della visita della first lady Michelle Obama con figlie ma anche la gaffe dello stesso Kerry (quel «Che merdaviglia», sfuggito a ottobre commentando il record della pizza più lunga del mondo premiata durante l’esposizione). A Rho (e a New York) stanno, invece, aspettando ancora i dollaroni per archiviare le fatture.

Bologna: vandalizzato monumento foibe. Pm: preoccupanti gesti di intolleranza

certi crimini e certe stragi sono giuste, i morti non sono tutti uguali, parola della società civile contro le discriminazioni
 
giovedì, 25, febbraio, 2016
pm-bologna
BOLOGNA, 25 FEB – “Plurimi e preoccupanti gesti di intolleranza che vanno stroncati sul nascere individuando e punendo gli autori”. Così il procuratore aggiunto di Bologna Valter Giovannini ha definito gesti come l’atto di vandalismo, nella notte, ad un monumento per i martiri delle Foibe.
Giovannini, coordinatore ‘ordine pubblico’ della Procura, si riferisce chiaramente, pur senza citarle, anche alle due contestazioni da parte di antagonisti al professor Angelo Panebianco, avvenute lunedì e martedì. 
(ANSA)

Mistero sul volo Londra-Los Angeles: 13 persone si sentono male per “strane sostanze” nell’aria

 un altro esperimento o un tentativo di false flag andato male?
  
mistero
di Ida Artiaco
 
Mistero ad alta quota. Gli inquirenti stanno cercando di capire che cosa abbia causato malori improvvisi al personale di bordo e ai passeggeri di un aereo dell’American Airlines diretto da Londra a Los Angeles, costringendo il pilota a invertire la rotta e a ritornare nello scalo di partenza per un atterraggio di emergenza. È successo ieri sera: il Boeing 777-300 stava sorvolando la città di Keflavik, in Islanda, quando una voce in filodiffusione ha dichiarato un “allarme sanitario” a bordo, annunciando che sarebbero tornati nel Regno Unito.
 
Almeno tra le sette e le 13 persone sono state colpite da uno strano malore, di cui ancora si ignorano le cause. Appena atterrati ad Heathrow, i passeggeri hanno raccontato gli attimi di panico vissuti in volo. «Eravamo già in viaggio da due ore e mezza – ha ricordato al Mirror Lee Gunn – quando all’improvviso hanno chiesto se ci fosse un medico a bordo, o personale sanitario, per soccorrere alcuni che non si erano sentiti bene». Vigili del fuoco e paramedici sono intervenuti immediatamente, mentre i bagagli imbarcati sull’aereo sono stati sequestrati e controllati da parte delle autorità, che non hanno dato ai proprietari nessuna spiegazione sulle ragioni alla base della confisca, anche se è stato specificato che sia da escludere l’ipotesi terrorismo.
 
A bordo c’era anche la boyband Race the Horizon, finalista del programma tv Britain’s Got Talent nel 2012. Uno dei membri, Kris Evans, ha dichiarato ai media locali di aver visto «intorno a lui gente collassare, addirittura una hostess è svenuta vicino al suo posto. Inizialmente tutti pensavano che ci fosse qualcosa nell’aria condizionata, poi c’è stato il panico».
 
Analisi condotte dagli investigatori negli attimi immediatamente successivi all’atterraggio hanno rilevato la presenza di «elevati livelli di sostanze non specificate» nell’aria all’interno della cabina. Gli inquirenti che indagano sull’accaduto, infatti, non hanno rivelato ulteriori dettagli sull’operazione. Anche l’American Airlines è stata abbastanza vaga nel comunicato diramato poco dopo l’incidente. «Tutti i membri dell’equipaggio – si legge – stanno bene, ed anche i passeggeri. Nessuno di loro ha richiesto, una volta rientrati a Londra, ulteriori cure mediche». Fatti alloggiare la notte scorsa in un albergo della City, tutti coloro che erano diretti a Los Angeles potranno partire regolarmente questo pomeriggio.
 
Giovedì 28 Gennaio 2016, 11:34 – Ultimo aggiornamento: 09:00