TAV, IL MINISTRO SCRIVE AI SINDACI NO TAV E CONFERMA LA FIDUCIA A FOIETTA / LEGGI LA LETTERA

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ValsusaOggi

Giornale online indipendente – Diretto da Fabio Tanzilli – redazione@valsusaoggi.it

     02/23/2016

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Il ministro Del Rio ha mandato una lettera in cui replica ai sindaci della Val Susa e Cintura Ovest che gli avevano scritto perché volevano sfiduciare il commissario Foietta. I destinatari della missiva sono i primi cittadini di Avigliana, Alpignano, Sant’Ambrogio, Venaria e Rivalta.

ECCO LA LETTERA DEL MINISTRO AI SINDACI

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“Appare necessario ricordare come l’istituzione dell’Osservatorio sia stata voluta proprio per creare un’occasione di confronto e dibattito su tematiche di forte interesse per il territorio, le popolazioni e le istituzioni coinvolte – scrive il ministro – l’obiettivo della designazione di un commissario per realizzare la Tav, appare chiaramente definito, e si occupa di tutte le attività che costituiscono la governance del progetto volto alla realizzazione della linea ferroviaria Torino-Lione, nel passaggio dallo stadio preliminare a quelli definitivo per la tratta nazionale, così come già avvenuto in precedenza per la tratta internazionale”.

Nella stessa lettera, il ministro parla anche del nuovo tavolo che sarebbe dovuto nascere coi sindaci: “Naturalmente anche l’avvio di un tavolo di un confronto permanente sulle tematiche in parola, aveva lo scopo di realizzare un ambito di interlocuzione, in cui, pur senza mettere in discussione la realizzabilità dell’opera, si dava voce anche all’espressione di istanze diverse”.

Da Del Rio, quindi, piena fiducia a Foietta: “In tale contesto, ritengo che l’esistenza di un Commissario dedicato non possa che rafforzare le condizioni per un trasparente confronto sulla tematica e sono certo che il Commissario Foietta adotterà ogni opportuna azione per garantire uno scambio efficace e costruttivo tra tutti i portatori di interessi”.

Renzi, Hollande e i No Tav: città blindata per il vertice dell’8 marzo

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Nel giorno dell’incontro tra il premier e il presidente francese a Palazzo Ducale mobilitazione contro le grandi opere di Carlo Mion

VENEIZA. Otto marzo a Venezia, giornata lunga sul fronte dell’ordine pubblico. Da una parte il vertice italo-francese Renzi-Hollande a Palazzo Ducale, dall’altra la manifestazione dei “No Tav” e “No Grandi Navi”.

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Da ieri sono iniziate due settimane di incontri, trattative e prescrizioni varie per impedire che la contestazione degeneri in atti di vandalismo o peggio ancora in scontri. È indubbio che in Questura c’è preoccupazione per la manifestazione che vede per la prima volta in città rappresentanti della galassia “ No Tav”, provenienti da tutto il Nord Italia. Ma non solo. Alla manifestazione organizzata dal comitato “No Grandi Navi” e che vede principale interlocutore Tommaso Cacciari del Centro sociale laboratorio Morion, stanno arrivando le adesioni di vari comitati che si battono contro le “aggressioni al territorio e le opere faraoniche inutili”. Tommmaso Cacciari è categorico: «Si vuole caricare di tensione una giornata per fare stare a casa la gente. Non saranno tollerati atti contro la città, nessuno farà scritte oltraggiose ai nostri monumenti. Ribadisco che noi amiamo Venezia, non quelli che vogliono realizzare la Tav, far passare le grandi navi o scavare un nuovo canale».

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Comunque sia, come avviene in occasione di queste grandi manifestazioni a rischio, sono iniziati gli incontri tra organizzatori e forze dell’ordine. In particolare con la polizia che ha il compito di gestire l’ordine pubblico. Per il momento gli organizzatori non hanno ancora avvisato ufficialmente la Questura della manifestazione e dei percorsi che intendono fare: solo dopo queste comunicazioni arriveranno le precisazioni del questore. I manifestanti intendono arrivare a Palazzo Ducale, o quantomeno nelle sue vicinanze. Infatti il vertice tra il premier Matteo Renzi e il presidente francese François Hollande, si svolgerà nel palazzo del Doge.

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Difficilmente la Questura consentirà un corteo lungo le calli del centro storico e tantomeno in piazza San Marco, dove da anni è vietata ogni manifestazione. Quindi inizierà la trattativa: da una parte saranno messi a disposizione i luoghi più lontani possibili da palazzo Ducale, mentre dall’altra si spiegherà di voler manifestare sotto Palazzo Ducale. Alla fine si troverà l’accordo, magari per il Bacino di San Marco con barche e motonave.

Comunque sia nei prossimi giorni si svolgerà il primo Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica per discutere le misure di sicurezza in occasione del vertice e di conseguenza si parlerà della manifestazione. Previsto l’impiego di alcune centinaia di uomini delle forze dell’ordine.

FALLISCE L’INCONTRO TSIPRAS-AGRICOLTORI, CONTINUANO BARRICATE, BLOCCHI STRADALI E DELLE FRONTIERE: E’ LA RIVOLUZIONE

in qualche quotidiano si afferma che son tutti “fascisti” (ovvio, chi manifesta sotto il governo amico è tale a prescindere) e bene fa Tsipras ad ordinare pestaggi e rappresaglie, per difendere la democrazia s’intende..si si fidatevi delle promesse di Tsipras, una garanzia…
 
martedì 23 febbraio 2016
 
ATENE – La Grecia di fatto è in una condizione rivoluzionaria, con barricate e blocchi insormontabili che paralizzano strade nazionali e autostrade, frontiere e valichi. Blocchi stradali che proseguono, organizzati dagli agricoltori greci che ieri, dopo la riunione tra il governo e i rappresentanti della categoria, non hanno comunque raggiunto un accordo con il primo ministro Alexis Tsipras.
 
Come riferisce l’agenzia di stampa “Ana mpa”, entrambe le parti hanno affermato che i colloqui sono stati significativi, ma che manca un consenso esplicito tra gli agricoltori circa l’esito della riunione. Una parte dei lavoratori sono favorevoli ad intensificare le azioni di protesta sulle autostrade, non volendo retrocedere sulle loro richieste.
 
Altri hanno invece espresso delusione perche’ il governo non sarebbe in grado di aggirare i suoi impegni in merito al salvataggio, e quindi sono ancor più arrabbiati di prima.
 
Ieri gli agricoltori al valico di frontiera greco-bulgara di Promachonas hanno annunciato che chiuderanno nuovamente la strada a tempo indeterminato, causando nuovi gravissimi disagi ai camionisti e alle auto su entrambi i lati della frontiera. Gli agricoltori al secondo valico di frontiera di Exohi dovrebbero fare lo stesso.
 
La decisione dei Comitati di agricoltori greci arriva dopo che il traffico e’ stato ripristinato in entrambi i valichi di frontiera domenica pomeriggio, dopo che i camionisti bulgari hanno organizzato dei contro-blocchi per protestare contro la azioni greche che stanno danneggiando i loro business, e dopo il sostanziale fallimento dell’incontro con Tsipras.
 
“Le proposte portate sul tavolo dagli agricoltori greci sono state definite una buona base di partenza per avviare il dialogo”, ha detto ieri Tsipras. Secondo il premier le richieste e le proposte degli agricoltori sono una buona base per le discussioni, aggiungendo che questo dialogo sarebbe dovuto pero’ iniziare molto tempo fa.
 
E’ infatti da oltre un mese che va avanti a oltranza la protesta degli agricoltori contro il taglio delle pensioni e l’aumento delle tasse su tutti i lavoratori del settore agricoltura, che in Grecia rappresentano quasi la metà, ormai, degli occupati.
 
E’ la Bce, con la Ue e l’Fmi che vorrebbero imporre agli agricoltori greci il taglio delle loro pensioni, già falcidiate da precedenti tagli fatti dai governi di centrodestra sempre sotto diktat della Troika, ed è  la reazione popolare di massa a questa follia e che ha generato blocchi stradali nelle principali arterie stradali del paese e al confine con l’ex Repubblica jugoslava di Macedonia e la Bulgaria, oltre a scioperi generali a catena che proseguono senza sosta, con violentissimi scontri di piazza.
 
Tsipras alla fine della riunione con i Comitati degli agricoltori ha aggiunto che “non possiamo elaborare una politica per la ristrutturazione produttiva del Paese senza prendere in considerazione le vostre proposte e le vostre posizioni, ma allo stesso tempo si deve prendere in considerazione il problema generale del paese e le condizioni fiscali in esame da parte della Troika”.
 
La paralisi produttiva e dei trasporti in tutta la Grecia continua, mentre sabato scorso il governo Tsipras ha fatto approvare in Parlamento una nuova legge che cancella i tagli alla sanità pubblica che erano stati imposti due anni fa dalla famigerata Troika. Questo, ha ulteriormente irrigidito le posizioni già divergenti tra la Commissione europea e la Grecia.
 
A questa situazione esplosiva sul piano sociale, economico e finanziario, si aggiunge la catastrofe dei migranti che in più di 100.000 da gennaio 2016 sono sbarcati in Grecia e la maggior parte vi sono rimasti, data la chiusura selettiva delle frontiere degli stati balcanici, dell’Austria, della Slovenia, e di molti altri Paesi Ue, come la Francia. La Grecia si può dire sia in una condizione rivoluzionaria dalel conseguenze ben più potenti e destabilizzanti per la Ue perfino del Grexit.
 
Redazione Milano
 
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Ecco come la Turchia sostiene i jihadisti

Feb 22, 2016
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Il leader terrorista libico Mahdi al-Harati
 
di Thierry Meyssan
 
La Russia ha sollevato la questione del futuro della Turchia, rimettendo al Consiglio di sicurezza una relazione d’intelligence sulle attività di sostegno di quel paese a favore dei jihadisti. Il documento include una decina di rivelazioni che mettono in questione il comportamento del MIT. Il problema è che ciascuna delle operazioni citate si riferisce ad altre operazioni in cui gli stessi attori hanno lavorato con gli Stati Uniti o i loro alleati contro la Russia. Queste indicazioni d’intelligence si aggiungono a quelle già disponibili sui legami personali del presidente Erdoğan con il banchiere di Al-Qa’ida e sulla ricettazione da parte di suo figlio del petrolio rubato da Daesh.
 
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Rapporto russo
 
La Russia ha fatto circolare presso i membri del Consiglio di Sicurezza dell’ONU un rapporto di intelligence sulle attività della Turchia in favore dei jihadisti che operano in Siria [1]. Questo documento consegna una decina di fatti che – presi uno per uno – violano una o più risoluzioni del Consiglio.
 
Così facendo, la Russia mette il Consiglio davanti alle sue responsabilità e, per estensione, diverse altre organizzazioni intergovernative. In base al diritto, il Consiglio dovrebbe chiedere le relative prove di queste affermazioni e convocare la Turchia per ottenere spiegazioni. Nel caso in cui fosse stabilita la colpevolezza della Turchia, dovrebbe decidere in merito a delle sanzioni da adottare ai sensi del capitolo VII della Carta, vale a dire ricorrendo all’uso della forza. Da parte loro, l’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico e l’Organizzazione della cooperazione islamica dovrebbero escludere dai loro ranghi questo Stato canaglia, mentre l’Unione europea dovrebbe far cessare i negoziati di adesione.
 
Tuttavia, una lettura attenta del rapporto di intelligence russo dimostra che i capi d’accusa potrebbero far aprire ben altri fascicoli e mettere in causa altre potenze. Quindi è più probabile che non si discuterà pubblicamente questa relazione, ma che si negozierà a porte chiuse il futuro della Turchia.
 
Il caso Mahdi Al-Harati
 
Nato in Libia nel 1973, Mahdi al-Harati è emigrato in Irlanda e lì si è fatto una famiglia.
 
Nel maggio 2010, si trova a bordo della Mavi Marmara, la nave ammiraglia della “Freedom Flotilla”, organizzata dall’ONG turca IHH per consegnare aiuti umanitari a Gaza. Le imbarcazioni sono piratate in alto mare da parte dell’esercito israeliano, provocando uno scandalo internazionale. I passeggeri sono prelevati da Tsahal, sequestrati in Israele e infine rilasciati [2]. L’allora primo ministro, Recep Tayyip Erdoğan, si reca in un ospedale per confortare gli attivisti feriti. Il suo ufficio di gabinetto diffonde una fotografia che mostra uno di loro mentre lo abbraccia come fosse suo padre. Si tratterebbe di un turco-irlandese, El Mehdi El Hamid El Hamdi, in realtà il libico-irlandese Mahdi al-Harati.
Nel luglio 2011, la sua casa a Rathkeale (Irlanda) viene svaligiata. 
 
La sua compagna, Eftaima al-Najar, chiama la polizia e dice che i ladri si sono impadroniti di preziosi gioielli egiziani e libici, oltre a 200.000 euro in banconote da 500. Contattato al telefono, Mahdi al-Harati ha confermato alla polizia di aver incontrato le autorità del Qatar, della Francia e degli Stati Uniti e di aver ricevuto questa somma dalla CIA per aiutare a rovesciare Muammar al-Gheddafi [3]. Ritornerà ancora sulle sue prime dichiarazioni, nel momento in cui la Resistenza libica si prenderà cura del caso [4].
 
Nel periodo luglio-agosto 2011, comanda la Brigata di Tripoli – di cui il fratello, Hosam al-Najjair, è ugualmente membro -, un’unità di Al-Qa’ida inquadrata da legionari francesi, incaricata dalla NATO di prendere l’hotel Rixos [5]. Ufficialmente, l’hotel è il centro della stampa internazionale, ma l’Alleanza è stata informata dal costruttore turco dell’edificio che ricomprende un piano interrato, accessibile dall’esterno, dove si rifugiano vari membri della famiglia Gheddafi e dirigenti della Jamahiriya. Per diversi giorni, combatte assieme ai francesi contro i soldati di Khamis Gheddafi [6].
 
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Erdogan con il leader terrorista Al Harati
 
Nel settembre 2011, la NATO lo nomina come vice di Abdelhakim Belhaj, leader storico di Al-Qa’ida diventato «governatore militare di Tripoli» [7]. Si dimette l’11 ottobre presumibilmente dopo una lite con Belhaj [8].
 
Tuttavia, nel novembre 2011, a fianco di Abdelhakim Belhaj, comanda un gruppo composto da 600-1500 jihadisti di Al-Qa’ida in Libia ex membri del Gruppo combattente islamico in Libia (LIFG) – che vengono registrati come rifugiati e trasportati via mare in Turchia sotto la supervisione di Ian Martin, ex segretario generale della Fabian Society e di Amnesty International, diventato rappresentante speciale di Ban Ki-moon.
 
Arrivati in Turchia, i jihadisti sono trasferiti in autobus, scortati dal MIT (servizi segreti turchi), verso la Siria. 
 
Si stabiliscono a Jabal al-Zouia dove creano per conto della Francia l’Esercito siriano libero (ESL). Per quasi due mesi, Abdelhakim Belhaj e Mahdi al-Harati ricevono tutti i giornalisti occidentali che cercano di coprire l’evento passando dalla Turchia presso quel che trasformano in un “villaggio Potemkin” [9]. Il gabinetto del primo ministro Erdoğan li mette in contatto con dei contrabbandieri che li trasportano in moto a Jabal al-Zouia. Là, vedono con i propri occhi migliaia di persone manifestare «contro la dittatura di Bashar al-Assad e per la democrazia». Una vota conquistata, la stampa occidentale deduce che ci sia una rivoluzione, fino a quando un giornalista del quotidiano spagnolo ABC, Daniel Iriarte, constata che i manifestanti non sono in maggioranza siriani, mentre riconosce i loro capi libici Abdelhakim Belhaj e Mahdi al-Harati [10]. Poco importa, lo spettacolo della Brigata dei falchi del Levante (Suqour al-Sham Brigade) ha avuto il suo effetto. Il mito di un ESL composto da «disertori dell’Esercito arabo siriano» è ormai nato e i giornalisti che lo hanno alimentato non riconosceranno mai di essere stati ingannati.
 
Nel settembre 2012, Mahdi al-Harati raggiunge la Libia per ragioni mediche, non senza aver prima formato con suo cognato un nuovo gruppo di jihadisti, Liwa al-Umma (la Brigata della Umma) [11].
 
Nel marzo 2014, Mahdi al-Harati scorta un nuovo gruppo di jihadisti libici che arrivano in Turchia via mare. Secondo il rapporto dell’intelligence russa, è preso in consegna dal numero 2 del regime, Hakan Fidan, il capo del MIT (servizi segreti), che è stato appena reintegrato nelle sue funzioni. Si uniscono a Daesh dal punto di frontiera di Barsai.
 
Questa decisione fa seguito a un incontro organizzato a Washington dalla consigliera nazionale di sicurezza Susan Rice, con i capi dei servizi segreti del Golfo e della Turchia al fine di affidare loro la continuazione della guerra contro la Siria, possibilmente senza dover utilizzare Al-Qa’ida e Daesh [12].
 
Nell’agosto 2014, Mahdi al-Harati è “eletto” sindaco di Tripoli con l’appoggio del Qatar, del Sudan e della Turchia. Dipende dal governo di Tripoli, dominato dai Fratelli Musulmani e ripudia quello di Tobruk, sostenutao dall’Egitto e dagli Emirati Arabi Uniti.
 
Il percorso di Mahdi al-Harati attesta i legami tra Al-Qa’ida in Libia, Esercito siriano libero, Daesh e la Fratellanza Musulmana, riducendo a nulla la teoria di una rivoluzione democratica in Siria. Dimostra anche il sostegno che questa rete ha beneficiato da parte degli Stati Uniti, della Francia e della Turchia.
 
Il trasferimento di combattenti di Daesh dalla Siria allo Yemen
 
Il rapporto dell’intelligence rivela che i servizi segreti turchi hanno organizzato il trasferimento di combattenti di Daesh dalla Siria allo Yemen. A seconda dei casi potrebbero essere stati trasportati in aereo o in nave verso Aden.
 
Questa imputazione era già stata formulata, il 27 ottobre 2015, dal portavoce dell’Esercito arabo siriano, il generale Ali Mayhub. A suo dire, almeno 500 jihadisti di Daesh erano stati aiutati dal MIT turco a recarsi in Yemen. Erano stati caricati su due aerei della Turkish Airlines, uno della Qatar Airways e uno degli Emirates. Arrivati ad Aden, i jihadisti sono stati divisi in tre gruppi. il primo è andato allo stretto di Bab el-Mandeb, il secondo a Marib, e il terzo è stato inviato in Arabia Saudita.
 
Queste informazioni, che erano state largamente sviluppate dai media arabi filo-siriani, sono state ignorate dalla stampa occidentale. Dal lato yemenita, il generale Sharaf Luqman, portavoce di soldati fedeli all’ex presidente Saleh, ha confermato l’accusa siriana e ha aggiunto che i jihadisti in Yemen sono stati accolti dai mercenari della Blackwater Academi.
 
 
Il “villaggio tartaro”
 
Il rapporto di intelligence russo evoca anche il caso del “villaggio tartaro”, un gruppo etnico tartaro, inizialmente basato ad Antalya, poi trasferito dal MIT più a nord, a Eskişehir. Anche se specifica che include i combattenti di Al-Qa’ida e che aiuta i combattenti islamisti in Siria, non spiega né il motivo per cui questo gruppo sia stato spostato più lontano dalla Siria, né quali siano le sue specifiche attività.
 
I tartari costituiscono la seconda minoranza russa e sono molto rari quelli che aderiscono all’ideologia jihadista dei Fratelli Musulmani o dello Hizb-ut-Tahrir.
 
– Tuttavia, nel marzo 2012, islamisti arabi del Tatarstan hanno devastato una mostra sulla Siria «culla della civiltà» al Museo di Kazan. Poco tempo dopo, il 5 agosto 2012, dei jihadisti, sia arabi sia tartari, si incontrano segretamente a Kazan, compresi i rappresentanti di Al-Qa’ida.
 
– Nel dicembre 2013, gli jihadisti tatari pan-turchisti del movimento Azatlyk (Libertà), lasciano il teatro siriano per raggiungere l’Ucraina e assicurare il servizio d’ordine in piazza, nella EuroMaidan di Kiev, in attesa del colpo di Stato; intanto altri militanti della stessa organizzazione manifestavano a Kazan.
 
– Il 1 ° agosto 2015, un Congresso Mondiale di Tatari è organizzato ad Ankara con il sostegno e la partecipazione dei governi ucraino e turco. È presieduto da un famoso agente della CIA durante la guerra fredda, Mustafa Abdülcemil Qırımoğlu (Cemilev), e decide di creare una ” Brigata musulmana internazionale” per “liberare” la Crimea. Cemilev viene senza indugio ricevuto ufficialmente dal presidente Erdoğan [13]. La Brigata dispone di un’installazione a Kherson (Ucraina). Organizza vari atti di sabotaggio in Crimea, tra cui un gigantesco black-out (che interrompe la corrente dall’Ucraina), dopo di che, non riuscendo a entrare massicciamente in Russia, va a rafforzare le truppe ucraine nel Donbass.
 
Se il Consiglio di sicurezza si mettesse a scavare sulla questione del “villaggio tartaro”, non mancherebbe di osservare che gli Stati Uniti, la Turchia e l’Ucraina sponsorizzano i jihadisti tatari in Siria, in Crimea e nel Tatarstan, compresi membri di Al-Qa’ida e di Daesh.
 
I turcomanni della Brigata Sultan Abdulhamid
 
Anche se la Turchia non ha mosso un dito per soccorrere i turcomanni iracheni massacrati da Daesh, si è appoggiata sui turcomanni siriani contro la Repubblica araba siriana. Sono organizzati dai “Lupi grigi”, un partito politico paramilitare turco, storicamente legato ai servizi segreti della NATO nella loro lotta contro il comunismo (la rete “Gladio”). Sono loro, per esempio, ad aver organizzato il tentato assassinio di Papa Giovanni Paolo II nel 1981 [14]. I Lupi grigi sono presenti in Europa, soprattutto in seno ai socialdemocratici belgi e ai socialisti olandesi. Hanno installato un coordinamento europeo a Francoforte. In realtà non sono un partito in sé, ma formano l’ala paramilitare del Partito d’azione nazionalista (MHP Milliyetçi Hareket Partisi).
 
Le Brigate turcomanne organizzano con il MIT il saccheggio delle fabbriche di Aleppo. Esperti turchi vanno a smantellare le macchine utensili che vengono spedite e riassemblate in Turchia. Contemporaneamente, occupano la zona di confine della Turchia, dove il MIT installa e controlla i campi di addestramento dei jihadisti.
 
Nel novembre 2015, è la star dei turcomanni siriani, il turco Alparslan Çelik -membro dei Lupi grigi e uno dei comandanti della Brigata Sultan Abdoulhamid-, a dare l’ordine di abbattere i due piloti del Sukhoi-24 distrutto poc’anzi dai caccia turchi assistiti da un AWACS saudita. Uno di loro sarà effettivamente fucilato.
 
Risulta che, nel 1995, i Lupi grigi avevano organizzato, con la società immobiliare turco-statunitense Celebiler isaat (che finanzia le campagne elettorali di Hillary Clinton), un vasto reclutamento di 10.000 jihadisti per andare a combattere in Cecenia. Una base di addestramento fu installata nella cittadella universitaria di Top Kopa a Istanbul. Uno dei figli del generale Dzhokhar Dudayev dirigeva il trasferimento dalla Turchia attraverso l’Azerbaigian a fianco del MIT.
 
Il rapporto di intelligence russo ha rivelato che il MIT ha costituito la Brigata Sultan Abdoulhamid -che comprende le principali milizie turcomanne – e che essa ha addestrato i propri membri presso la base di Bayır-Bucak sotto la direzione di istruttori delle forze d’intervento speciale dello stato maggiore dell’esercito turco e del MIT. Precisa che la Brigata turcomanna collabora con Al-Qa’ida.
 
Ogni ricerca un po’ più approfondita avrebbe portato il Consiglio di Sicurezza a riaprire vecchi fascicoli criminali e a constatare collegamenti tra la Brigata Sultan Abdoulhamid, i Lupi grigi, la Turchia, gli Stati Uniti e Al-Qa’ida.
 
L’IHH e İmkander
Il rapporto di intelligence russo rivela il ruolo di tre ONG umanitarie turche nella fornitura di armi ai jihadisti, IHH, İmkander e Öncü Nesil. La Dichiarazione finale del Gruppo di sostegno internazionale alla Siria (ISSG), riunito a Monaco di Baviera l’11 e il 12 febbraio, sembra confermare questa accusa, poiché stabilisce che d’ora in poi gli Stati Uniti e la Russia vigileranno affinché i convogli umanitari in Siria trasportino solo materiali umanitari. Fino ad allora, il governo di Damasco e la stampa accusavano costantemente le ONG di sostenere i jihadisti, ma non venivano ascoltati. A settembre 2012, una nave da carico noleggiata dal IHH trasportava armi alla Siria, a nome dei Fratelli Musulmani [15].
 
Conosco soltanto le prime due delle organizzazioni citate.
 
La IHH è un’associazione fondata e animata dal Partito della Prosperità turco (Refah) di Necmettin Erbakan, ma senza collegamento statutario o organico con esso. Fu dapprima registrata in Germania a Friburgo nel 1992 con il nome di Internationale Humanitäre Hilfe (HHI), poi in Turchia, a Istanbul, nel 1995, sotto il nome di İnsani Yardım Vakfı. Poiché il suo nuovo acronimo era İYV e non IHH, ha fatto precedere il suo nome da İnsan Hak ve Hürriyetleri, vale a dire, in turco, “Diritti umani e libertà”. Sotto l’apparenza di aiuti umanitari ai musulmani della Bosnia e dell’Afghanistan, li ha riforniti di armi, cosa che s’inscriveva nella strategia della NATO. Successivamente, ha sostenuto militarmente l’Emirato islamico di Ichkeria (Cecenia) [16]. Nel 2006, ha organizzato presso la moschea Fatih di Istanbul dei grandi funerali, senza il corpo ma con decine di migliaia di attivisti, alin onore del jihadista ceceno Shamil Basayev, che era stato appena ucciso dalle forze russe dopo il massacro di cui era stato il mandante nella scuola di Beslan [17].
 
L’IHH ha acquisito una fama mondiale organizzando con l’AKP (successore del Refah) la “Freedom Flotilla”, che doveva portare aiuti umanitari a Gaza rompendo il blocco israeliano, ancora una volta con l’approvazione della Casa Bianca che cercava di umiliare il primo ministro Benjamin Netanyahu. Tra i passeggeri della flottiglia si trovava il sunnominato Mahdi al-Harati. Il rapporto della Commissione delle Nazioni Unite presieduta da Geoffrey Palmer conferma che, contrariamente a quanto dichiarato, la flottiglia non trasportava alcun carico umanitario. Il che porta a concludere che l’IHH sapeva che non sarebbe mai arrivata a Gaza e solleva la questione degli obiettivi reali di questa spedizione.
 
Il 2 gennaio 2014, la polizia turca -che arriva a interpellare i figli di tre ministri e il direttore di una grande banca per riciclaggio di denaro – intercetta un camion di armi dell’IHH destinato ai jihadisti siriani [18]. Successivamente, perquisisce la sede dell’IHH. Convoca nei suoi uffici Halis B., sospettato di essere il leader di Al-Qa’ida in Turchia, e Ibrahim Ş., comandante in seconda dell’organizzazione per il Vicino Oriente [19]. 
Il governo riesce a licenziare i poliziotti e fa liberare i sospetti.
 
İmkander (in turco Fratellanza, con riferimento ai Fratelli Musulmani) è un’altra associazione “umanitaria”, fondata nel 2009 a Istanbul. Si è specializzata nell’assistenza ai ceceni e nella difesa dei jihadisti del Caucaso. Così ha organizzato una campagna mediatica in Turchia, quando il rappresentante di Doku Umarov (l’auto-proclamato “Emiro del Caucaso”), Berg-Khazh Musaev (detto Emir Khamzat) viene assassinato a Istanbul. All’epoca, il FSB si considerava in guerra contro gli Stati che sostenevano militarmente i jihadisti e non esitava a liquidarli in questi paesi (come Zelimkhan Yandarbiyev in Qatar, e Umar Israilov in Austria). İmkander organizzò un grande funerale alla moschea Fatih di Istanbul.
 
Il 12 e il 13 maggio 2012, con l’appoggio del comune di Istanbul, İmkander organizzò un congresso internazionale – nella tradizione dei congressi della CIA durante la guerra fredda – per sostenere gli indipendentisti del Caucaso. Al termine della manifestazione, fu creato in modo permanente il Congresso dei Popoli del Caucaso che riconosceva l’unica autorità dell’Emirato del Caucaso di Doku Umarov. I delegati accusarono l’Impero russo, l’Unione Sovietica e la Federazione russa di aver praticato il genocidio dei caucasici. In un video, l’emiro Doku Umarov faceva appello a tutti i popoli del Caucaso affinché si unissero al jihad. La Russia ha reagito vivacemente [20].
 
Nel 2013, la Russia ha chiesto al Comitato delle sanzioni 1267/1989 del Consiglio di sicurezza di collocare İmkander sulla lista delle organizzazioni legate ad Al-Qa’ida. Il Regno Unito, la Francia e il Lussemburgo si sono opposti [20]. In effetti, se İmkander rivendica di sostenere politicamente Al-Qa’ida nel Caucaso, la Russia non ha portato prove che fossero ritenute sufficienti da parte dell’Occidente in merito alla partecipazione alle operazioni militari.
 
Queste due ONG sono direttamente coinvolte nel traffico di armi nel caso dell’IHH e nel sostegno politico nel caso di İmkander. Dispongono del sostegno dell’AKP, il partito che il presidente Erdoğan ha creato per sostituire il Refah bandito dalla Corte costituzionale.
 
Che fare del rapporto di intelligence russo?
 
È poco probabile che il Consiglio di sicurezza esamini il rapporto di intelligence russo. La questione del ruolo dei servizi segreti è di solito trattata in segreto. In ogni caso, gli Stati Uniti dovranno chiarire che cosa intendano fare del loro alleato turco che è stato preso in castagna nel violare le risoluzioni del Consiglio.
 
Questi dati d’intelligence si aggiungono a quelli già disponibili sui legami personali del presidente Erdoğan con Yasin al-Qadi, il banchiere di Al-Qa’ida [21], e sul ruolo del figlio Bilal nel commercio del petrolio rubato da Daesh [22].
 
Indubbiamente, le spacconate turche che annunciano una possibile invasione militare in Siria sono solo un diversivo. In ogni caso, se scoppiasse una guerra tra la Turchia e la Russia, questo rapporto di intelligence sarebbe sufficiente a privare Ankara del sostegno dell’Alleanza atlantica (articolo 5 della Carta della NATO).
Thierry Meyssan
 
Tratto da Voltairenet
 
Traduzione
Matzu Yagi
 
Fonte
Megachip-Globalist (Italia)

Adesso appoggiamo Al Qaeda?

di Gianandrea Gaiani – 21/02/2016
 
Fonte: La Bussola quotidiana
 
Le truppe siriane e curde avanzano in tutto il nord e Ankara perde il controllo mostrando il suo vero volto e soprattutto il suo vero ruolo nel sostenere da ormai cinque anni i movimenti armati contro il regime di Bashar Assad, inclusi quelli jihadisti.
 
Sembrano confermarlo i bombardamenti aerei e d’artiglieria turchi che da cinque giorni cercano di fermare l’avanzata delle milizie di difesa popolare curde (Ypg), armate e appoggiate dai russi e alleate di Damasco che stanno strappando ai qaedisti di al.-Nusra e dello Stato Islamico gli ultimi tratti di confine. Nonostante dichiari di combattere l’Isis e abbia reso noto di aver ucciso almeno 200 combattenti del Califfato nelle ultime settimane, Ankara preferisce evidentemente condividere i 900 chilometri di frontiera con la Siria con i jihadisti piuttosto che con i curdi dell’Ypg, che considera alleati dei curdi turchi del Pkk e accusa dell’attentato che mercoledì ha ucciso una trentina di soldati turchi.
 
L’Ypg nega ogni coinvolgimento in un attentato che sembra voler regalare al presidente Recep Tayyp Erdogan il pretesto per un “casus belli” ma del resto il timore del governo turco ha radici antiche ed è legato al rischio che venga proclamato uno Stato indipendente curdo anche se le intese tra Ypg e Damasco prevedono solo una larga autonomia. Promessa da Bashar Assad e accettata dai curdi, consapevoli che l’alternativa, cioè la caduta del regime e l’avvento al potere dei movimenti jihadisti, non li vedrebbe cancellati con l’imposizione della sharia.
 
I turchi, nostri alleati nella NATO, non si sono limitati ad aiutare Isis e i qaedisti del Fronte al-Nusra con i bombardamenti ma per cercare di respingere i curdi che si avvicinano alla città di confine di Azaz hanno fatto entrare in Siria tra i 500 e i 2mila combattenti islamisti che combattono sotto le bandiere di al Qaeda che a quanto pare erano ospitati in Turchia, probabilmente nei campi di addestramento protetti dai servizi segreti di Ankara. I rinforzi jihadisti disporrebbero di armi pesanti e mezzi blindati, come riferiscono media locali, a conferma del peso rappresentato dal supporto turco.
 
Contemporaneamente il Califfato ha lanciato però una controffensiva contro i curdi nell’area di Ayn Issa, tra Raqqa e il confine turco a conferma dei sospetti che esista un coordinamento tra qaedisti, Isis e Turchia. La rabbia di Ankara è legata anche al fatto che i curdi stanno occupando quel settore del nord siriano, tra Marea e Jarablus in cui i turchi premono da tempo sugli alleati per poter istituire una “zona cuscinetto” protetta da una no-fly zone in cui schierare 10 mila militari e trasferire 2 milioni di profughi siriani attualmente ospitati in Turchia.
 
Una proposta che porterebbe la Turchia a schierare forze militari in Siria creando i presupposti per trascinare nel conflitto l’Alleanza Atlantica e che, ciò nonostante, viene oggi sostenuta con forza anche dalla Germania, ormai appiattita sulle posizioni turche nel timore che Erdogan apra le frontiere dell’Europa ad altri due milioni di profughi e immigrati clandestini. Il Cremlino ha ovviamente bocciato l’ipotesi di no-fly zone precisando che intende continuare a colpire i “terroristi” (termine con cui Mosca definisce tutti i gruppi islamisti dell’opposizione a Bashar Assad) nell’area di Aleppo e lungo il confine turco.
 
Quello che dovrebbe indurre a serie riflessioni sul ruolo strategico dell’Europa non è solo il sostegno della Merkel a Erdogan che aiuta ambiguamente lo Stato Islamico oltre ad ospitare, addestrare e alimentare le forze qaediste di al-Nusra e le milizie islamiste alleate dell’Esercito della Conquista, ma soprattutto il fatto che il Consiglio europeo ha deciso di chiedere alla Russia e al regime siriano di interrompere subito gli “attacchi contro i gruppi dell’opposizione moderata, che minacciano le prospettive di pace, avvantaggiano l’Isis e provocano la crisi dei rifugiati”. Espressione sibillina che non tiene ambiguamente conto della realtà.
L’avanzata delle truppe siriane appoggiate dai russi sta travolgendo le difese dei qaedisti, delle milizie salafite, dei fratelli musulmani e dello Stato Islamico: tutti movimenti che si pongono l’obiettivo di instaurare la sharia in Siria.
 
Sono questi i “moderati” che l’Europa vuole salvare dalle bombe russe? Al Consiglio d’Europa fingono di non sapere che i ribelli cosiddetti “moderati” ormai non esistono più o sono ridotti a piccole milizie di nessuna importanza militare e politica con l’esclusione delle Forze Democratiche Siriane guidate dai curdi e appoggiate dagli USA che però non vengono attaccate dallo schieramento russo-siriano.
Allora i casi sono due: o alla Ue la politica estera continua ad essere un optional affidata a improvvisati che non sanno ciò che dicono oppure a Bruxelles qualcuno ha deciso che in Siria siamo schierati al fianco dei jihadisti, alleati di al- Qaeda e Califfato. Forse con la speranza che se li aiutiamo contro Assad smetteranno di compiere attentati a casa nostra.
 
 
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Fuga e ricollocamento dei terroristi jihadisti che fuggono dalla Siria

saranno anche loro dei poveri “profughi” in fuga alla cieca ferocia del dittatore Assad?!?! I pennivendoli e servetti vari così li descrivono
 
Feb 22, 2016
 
Terroristas-hyen-de-siria
Terroristi in fuga dalla Siria
 
Terroristi stranieri stanno fuggendo dalla Siria e cercano altri paesi dove ricollocarsi
 
Fonti ben informate hanno confermato al giornale libanese Al Manar che centinaia di terroristi e mercenari hanno iniziato ad abbandonare il territorio siriano ed sono alla ricerca di altri paesi dove ricollocarsi. Un gran numero di questi è riuscito ad entrare in Giordania ed altri in Turchia per sottrarsi all’avanzata delle forze dell’Esercito siriano.
 
Alcuni di questi miliziani sono stati costretti a ritirarsi di fronte all’offensiva delle forze speciali dell’Esercito siriano, prima  di vedersi tagliate le vie di fuga verso la Turchia e sono riusciti a  fuggire passando il confine e mettendosi sotto la protezione delle autorità turche.
 
Secondo queste fonti, vari leaders dell’ISIS  sono  riparati  in  Libia, dove sperano di  trovare un ambiente propizio. L’ISIS ha incrementato le operazioni in questo paese nord africano, dove ha registrato una forte crescita negli ultimi anni.
Secondo le informazioni dell’agenzia Fars News, tra quelli che sono scappati in Libia, ci sarebbe lo stesso leader dell’ISIS, Abu Bakr al Bagdadi, che si sarebbe trasferito dalla Turchia, dove era rimasto ricoverato in ospedale per causa delle ferite ricevute nel corso di un attacco aereo in Iraq, verso la città di Sirte.
Fonti libiche hanno riferito all’agenzia che il Bagdadi si trova ora nella città di Sirte,  una città che si trova sotto il controllo dei gruppi takfiri dopo l’intervento della NATO che rovesciò il leader libico Gheddafi nel 20111.
 
I terroristi giordani sono rientrati alle loro case in Giordania, sove si trovano sotto la vigilanza dei servizi di sicurezza, che temono i loro ritorno ma che operano con cautela perchè non vogliono scontrarsi apertamente con le tribù a cui appartengono.
 
Alcune fonti private hanno manifestato al giornale libanese che i principi sauditi e ufficiali dell’intelligence dell’Emirato del Qatar sono stati viaggiando  fra le frontiere di Turchia e Giordania con la Siria, con il fine di contrattare questi terroristi per altre missioni, incluso per azioni contro avversari politici nei conflitti interni delle famiglie reali dei paesi del Golfo Persico.
 
Il giornale aggiunge che la fuga dei terroristi della Siria e la  loro sconfitta, di fronte agli attacchi dell’Esercito siriano e dei suoi alleati, presuppone un duro colpo per i regimi turco, saudita e del Qatar, tanto che adesso i patrocinatori di questi gruppi terroristi in Siria e nella regione temono il possibile collasso completo di questi gruppi ai quali hanno fornito appoggio in forma di denaro, armi ed equipaggiamenti nel corso di più di quattro anni.
Per questo i servizi di intelligence si preoccupano di riutilizzare questa manovalanza in altre operazioni segrete ai danni di altri paesi o gruppi dissidenti interni.
 
Fonti:   Al Manar      RT Actualidad
 
Traduzione e sintesi: Luciano Lago

Vertice Renzi-Hollande a Venezia per Valeria, i No Tav scaldano i motori: “Noi ci saremo”

21 febbr 16 Venezia Today : 

Il presidente del Consiglio ha ufficializzato domenica l’incontro italo-francese previsto per l’8 marzo. La galassia di associazioni ambientaliste si è data appuntamento in laguna

http://www.veneziatoday.it/cronaca/vertice-renzi-hollande-venezia-8-marzo-2016-no-tav-no-grandi-navi.html  

Sarà una lunga giornata l’8 marzo in laguna. Non solo perché è stato ufficializzato un incontro al vertice tra il presidente del Consiglio Matteo Renzi e il presidente francese Francois Hollande in memoria di Valeria Solesin, la ricercatrice 28enne uccisa a Parigi durante l’attacco terroristico al Bataclan, ma anche perché la galassia di sigle e associazioni che ruota attorno ai No Tav si è data appuntamento a Venezia per “la difesa dei territori e contro le speculazioni dei governi”. 

L’annuncio ufficiale del vertice bilaterale è stato dato dal premier Matteo Renzi durante l’assemblea nazionale del Partito Democratico: “Abbiamo scelto di tenere fortemente vivo il ricordo di Valeria Solesin – ha sottolineato – e con Francois Hollande abbiamo deciso di dedicarle il vertice bilaterale annuale tra Italia e Francia che si svolgerà l’8 marzo, perché Valeria aveva studiato i temi della donna. Durante quel giorno ricorderemo i tragici fatti di Parigi e la memoria della giovane”.

IL RINGRAZIAMENTO DEL PADRE DI VALERIA – “Ringrazio il presidente del consiglio Matteo Renzi di questo gesto e rivolgo il mio pensiero ai genitori di Giulio Regeni che in questo momento stanno passando il periodo più difficile della loro vita”. Così Alberto Solesin, il padre della ricercatrice veneziana uccisa al Bataclan di Parigi, commenta le parole del premier che ha annunciato la decisione di dedicare alla figlia Valeria il vertice bilaterale Italia-Francia che si svolgerà nel capoluogo lagunare l’8 marzo prossimo.

I NO TAV SI DANNO APPUNTAMENTO IN LAGUNA

– Dall’altra parte della barricata si posizionano i No Tav, che chiamano a raccolta le realtà venete. Nel mirino l’avvio “dell’iter parlamentare europeo di rettifica del protocollo di intesa sull’apertura dei cantieri” per la Torino-Lione. Si tratta di un invito pubblicato sul sito del movimento, che chiama a raccolta gli attivisti che si oppongono alla Torino-Lione.

“Pensiamo che la nostra presenza l’8 marzo a Venezia sia importante e ci stiamo organizzando per esserci – si legge sul sito del movimento – Invitiamo tutti i No Tav e tutti i comitati e le realtà attive sul territorio veneto e non solo a mobilitarsi insieme a noi, per continuare la battaglia più ampia per la difesa dei territori e contro le speculazioni dei governi italiano ed europeo. Mentre intorno a noi, in questa ingiusta Europa, si chiudono frontiere e si alzano barriere, pensiamo che Renzi ed Hollande non meritino una vetrina immacolata per mostrare i loro disastri. Ci vediamo a Venezia l’8 marzo. Avanti No Tav”.

Pronta la risposta a sostegno dei No Tav dei No Mose e No Grandi Navi, che hanno rilasciato un comunicato stampa in cui si dicono decisi a fare la loro parte, questa la dichiarazione: “Non possiamo che accogliere la proposta che ci viene dal Val di Susa e proporre a tutte le altre realtà del Veneto una giornata di mobilitazione generale, contro il modello di sviluppo caratterizzato dalle grandi opere inutili, dannose ed imposte  – si legge – A Venezia, città simbolo delle grandi opere – grandi bidoni, della grande retata contro la cricca del Mose che ha rubato e sperperato ben un miliardo di euro sui cinque che finora è costato il Mose, cercano la vetrina per stipulare altri accordi per il TAV in Val di Susa, opera invisa e osteggiata da trent’anni di lotte delle popolazioni della Valle.

Nella città dove nulla è cambiato dopo gli arresti del 4 giugno 2014, dove il commissariamento del Consorzio Venezia Nuova da parte dell’Autorità Anticorruzione, serve solo da “specchietto per le allodole” per continuare pervicacemente con un’opera inutile, che ha già devastato la laguna, che non finirà mai e che probabilmente non funzionerà mai, visto che i commissari non stanno neppure accertando le innumerevoli criticità sul funzionamento delle paratie segnalate da anni da scienziati e tecnici indipendenti e nonostante l’inchiesta della magistratura abbia segnalato come le mazzette servissero, appunto, non tanto per vincere gli appalti (il CVN ha la connessione unica), ma per far passare a un progetto sbagliato i vagli, i controlli e ottenere le autorizzazioni. Una grande opera che, pur se dovesse funzionare si rivelerebbe inutile, di fronte ai cambiamenti climatici che provocheranno l’aumento del livello del mare. 

Nella città dove un’altra grande opera si intende realizzare con lo scavo di un nuovo canale navigabile il Tresse – Nuovo per mantenere le grandi navi da crociera in Marittima senza farle passare per San Marco, quando esistono altri progetti che prevedono un nuovo terminale croceristico alla Bocca di Porto del Lido, fuori quindi dalla Laguna, salvaguardando i posti di lavoro, la salute degli abitanti e l’ambiente lagunare”.