I disastri del governo tra reversibilità e cessioni di sovranità

Feb 17, 2016
 
Gentiloni-Paolo
Ministro Gentiloni
 
Il 21 marzo 2015, i Ministri degli Esteri di Italia e Francia hanno concluso un clamoroso accordo che prevede la cessione di enormi porzioni di territorio marittimo a nord della Sardegna. Gli incontri bilaterali erano iniziati nel 2006 con Prodi e si sono svolti nel completo segreto dei media e del Parlamento. A farlo venire alla luce è stata la vicenda dei pescatori sardi e liguri, fermati dalle autorità francesi per sconfinamento marittimo, i quali ora si lamentano di aver perso una zona redditizia per la loro attività ittica. Per il Parlamento italiano l’accordo però non è ancora entrato in vigore, perché non ancora ratificato. Ma intanto in Commissione si discute per mettere mano alle pensioni di reversibilità.
 
Di Marco Muscillo
 
Quando invitiamo i lettori a dare priorità ai diritti sociali piuttosto che ai diritti civili, non lo facciamo perché siamo omofobi, razzisti o semplicemente pazzi, ma perché analizziamo la realtà dei fatti. Senza diritti sociali, i diritti civili sono svuotati del loro significato e non valgono assolutamente nulla, ed ora ne abbiamo anche la prova evidente: mentre in Parlamento si parla ancora di unioni civili, il Governo ha presentato alla Commissione Lavoro della Camera, un disegno di legge delega per andare a toccare le pensioni di reversibilità.
 
A lanciare l’allarme è stato il segretario generale dello Spi-Cgil, Ivan Pedrelli, con un articolo apparso su l’Huffington Post. In pratica, il disegno di legge prevede che le pensioni di reversibilità non saranno più considerate prestazioni previdenziali, bensì prestazioni assistenziali. Con questa mossa, l’accesso alla pensione di reversibilità sarà legato all’Isee e quindi al reddito familiare, andando a diminuire il numero delle persone che beneficeranno di questo diritto sociale. Oltre a questo, denuncia Ivan Pedrelli, la modifica rischia di aprire un contenzioso giuridico perché, attualmente, la reversibilità è legata ai contributi effettivamente versati e con questo nuovo provvedimento, i contributi versati resterebbero nelle casse dello Stato:
 
“In parole povere una sorta di “rapina” legalizzata. Perpetrata soprattutto ai danni delle donne perché l’età media degli uomini è più bassa e la reversibilità è quindi una prestazione che riguarda soprattutto loro. Donne che oltretutto sarebbero doppiamente colpite perché, come è a tutti noto, hanno una pensione mediamente inferiore a quella degli uomini. E che in futuro rischiano quindi di impoverirsi ulteriormente.”
 
Per estendere quindi il diritto di reversibilità anche alle coppie omosessuali, ne faranno le spese le povere vedove che già prendono pensioni da fame. Il risultato è che verrà riconosciuto il diritto civile, ma il diritto sociale verrà negato ai più, mantenendolo solo per coloro che dichiareranno un reddito familiare molto basso.
 
Ma le prese in giro non sono di certo finite qui. In Commissione Finanze della Camera è arrivata la bozza di decreto legislativo che recepisce la direttiva Ue 17 del 2014 detta “Mortgage Credit Directive” (direttiva sul credito ipotecario), che dovrà essere approvata entro il 21 marzo 2016. All’art.28 di tale decreto si legge:
 
“Gli Stati membri non impediscono alle parti di un contratto di credito di convenire espressamente che la restituzione o il trasferimento della garanzia reale o dei proventi della vendita della garanzia reale è sufficiente a rimborsare il credito”
 
Ciò significa che chiunque è detentore di un mutuo finalizzato all’acquisto di un bene che viene posto in garanzia, e non riesce a rimborsarne le rate (quante non si sa), può vedersi portar via tale bene dal creditore, cioè la banca o l’intermediario. Il creditore a questo punto provvederà a vendere il suddetto bene e il debitore si dovrà consolare ricevendo l’eccedenza tra il prezzo di vendita e l’ammontare del debito non rimborsato. Citiamo da Il Giornale:
 
“La bozza di decreto legislativo, però, compie un passo ulteriore rispetto alla normativa europea e prevede che «le parti del contratto di credito possono convenire espressamente, al momento della conclusione del contratto di credito o successivamente, che in caso di inadempimento del consumatore, la restituzione o il trasferimento del bene immobile oggetto di garanzia reale o dei proventi della vendita del medesimo bene comporta l’estinzione del debito, fermo restando il diritto del consumatore all’eccedenza». Quel «successivamente» è un po’ controverso: la nuova normativa varrà per i contratti stipulati dal 21 marzo in poi, ma proprio quell’avverbio sembra lasciare spazio di manovra a una modifica dei contratti di finanziamento in essere.”
 
La direttiva europea è però palesemente in contrasto con articolo 2744 del Codice Civile che vieta il “patto commissorio”, cioè vieta che in caso d’inadempimento del credito, il bene non possa passare nella disponibilità o proprietà del creditore. Infatti la prassi italiana prevede che la banca debba per forza passare dal Tribunale per avviare la procedura esecutiva. Capite che il decreto in preparazione sarebbe l’ennesimo aiuto dato alle banche, le quali potranno prendersi gli immobili senza passare dal Tribunale, riducendo così di molto i tempi. Il problema è che i debitori a questo punto non avranno più le garanzie che il sistema giudiziario forniva loro per difendersi e far valere le proprie ragioni.
 
Rimanendo in tema di banche, dobbiamo assolutamente segnalare e riportare le dichiarazioni di Antonio Patuelli, presidente dell’ABI, che finalmente pare essersi svegliato e in una intervista a Repubblica, prende una posizione netta contro il bail-in:
 
“Invito il Parlamento, il governo, la Banca d’Italia, la nostra componente del Parlamento europeo e il commissario italiano nella UE, a promuovere un’iniziativa forte e coordinata presso le istituzioni europee perché’ la normativa sul bail-in venga sospesa almeno fino a quando una direttiva del genere non sia resa compatibile con la Costituzione italiana e con il quadro d’insieme dell’unione bancaria, a tutt’oggi gravemente carente, in quanto manca il fondo di garanzia sui depositi, al quale i tedeschi si oppongono tenacemente. Basterebbe quest’atteggiamento a giustificare la rivalsa dell’Italia: finche’ insistete, noi non avalliamo il bail-in. Poi manca un codice unitario anche penale: è ancora possibile, per le diverse leggi esistenti, fare in un altro Paese più permissivo operazioni vietate in questo o in quello Stato. L’unione bancaria senza queste gambe non può reggere. Una volta risolte queste carenze, il bail in comunque non può essere reintrodotto senza modifiche sostanziali. La principale riguarda la retroattività, che in Italia è incostituzionale.”
 
Vogliamo invece concludere in bellezza, raccontando qualcosa che ha davvero del clamoroso. La notizia era già uscita fuori da diversi giorni ma sulle prime avevano tentato di farla passare come una bufala. Invece, a quanto pare è tutto vero (d’altronde quando ci si abitua a cedere sovranità, notizie del genere più molto scalpore): l’Italia ha ceduto parti consistenti di territorio marittimo a nord della Sardegna e parte in Liguria. Da inizio 2016 le autorità marittime francesi hanno iniziato a fermare, respingere e sequestrare alcuni pescherecci italiani nel Mar Tirreno. Il 13 gennaio scorso il peschereccio ligure “Mina” è stata tratta in fermo nel porto di Nizza e poi rilasciata su cauzione. Il peschereccio ha semplicemente fatto la rotta di ogni giorno e il capitano di bordo era sicuro di non aver sconfinato. Dopo il caso del Mina, i cinque stelle hanno subito richiesto un’interrogazione parlamentare. La Farnesina, tramite il sottosegretario Benedetto Della Vedova, ha confermato l’accordo bilaterale firmato a Caen, il 21 Marzo 2015 tra i Ministri Gentiloni e Fabius, ma ha spiegato che questo non è ancora in vigore perché il Parlamento italiano non l’ha ratificato.
 
La stessa cosa è successa in Sardegna, dove un peschereccio sardo una volta lasciato il porto di Alghero e raggiunte le tradizionali aeree di pesca al nord dell’Isola, si è sentito intimare dalle autorità francesi lo stop immediato, in quanto il peschereccio sarebbe entrato in acque territoriali francesi, in base all’accordo internazionale siglato dai Ministri degli Esteri di Francia e Italia. Il deputato sardo di Unidos, Mauro Pili, ha immediatamente denunciato il fatto e ha subito presentato un’interrogazione urgente ai Ministri degli Esteri e dell’Agricoltura. Dice il deputato:
 
“L’operazione maldestra e gravissima è stata compiuta in gran segreto e nessuna comunicazione è stata fatta ai soggetti interessati. Le stesse organizzazioni dei pescatori sono state colte di sorpresa e già stamane si sono riuniti ad Alghero numerosi operatori per decidere le azioni da intraprendere senza perdere altro tempo. Si tratta di un fatto di una gravità inaudita compiuta in dispregio non solo degli operatori economici sardi ma anche delle istituzioni. Il governo italiano ha scambiato la Sardegna come una colonia che si può cedere senza alcun pudore addirittura ad un’altra nazione. L’accordo siglato a Caen il 21 marzo del 2015 è stato fatto scattare nei giorni scorsi in modo unilaterale dalla Francia, considerato che lo ha già fatto ratificare al proprio parlamento. Non altrettanto ha fatto il governo italiano che lo ha tenuto nascosto e non lo ha mai sottoposto al parlamento. Un accordo che stravolge tutti gli accordi precedenti e particolarmente cede alla Francia una parte rilevante di specchio acqueo a nord est della Sardegna, comprendendo nella cessione gran parte delle acque internazionali da sempre utilizzate dai pescatori sardi. Le marinerie da Alghero a Golfo Aranci hanno sempre utilizzato quelle aree a mare senza alcun limite. Ora su quel versante il limite della Corsica passa dalle 12 miglia ad oltre le 40 miglia. Un’operazione gravissima – ha detto Pili – sia sul piano economico che giuridica. L’alt della Guardia Costiera francese alle imbarcazioni sarde è un atto grave e senza precedenti che deve essere immediatamente risolto con la revoca di quell’accordo bilaterale Italia e Francia del 21 marzo 2015 dove sono stati rivisti i confini marittimi delle due nazioni. E’ un accordo che non ha nessun valore proprio perché non è stato ancora ratificato dal Parlamento italiano”.
 
Cessione-del-mare-italiano
Cessione del mare territoriale italiano
 
La notizia ha stupito molti e allo stesso tempo anche alcuni parlamentari, tra i quali Roberto Calderoli, si sono esposti chiedendo spiegazioni. In pratica si è scoperto che oltre ad essere tutto vero, questo accordo firmato a Caen il 21 Marzo dello scorso anno, è il frutto di diversi incontri bilaterali per modificare la Convenzione sulle aree delle Bocche di Bonifacio del 1986, portati avanti in segreto fin dal 2006, quando era al governo l’amministrazione di Romano Prodi. Dal 2007 gli accordi sono stati interrotti fino al 2012, quando sono ripresi col governo Monti, fino alla firma del 2015. Cosa ha ottenuto in cambio l’Italia? Non si sa. La situazione è comunque in fermento e speriamo che presto il Governo vada a discutere in Parlamento sulla questione. Il deputato Mauro Pili ha anche aperto una petizione su Change.org per chiedere al Parlamento di non ratificare nulla. Intanto, eccovi i nuovi confini marittimi dell’Italia (in rosso le parti cedute):
 
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Arrestato Lazzaro, l’imprenditore si tav simbolo dei tifosi della Torino Lione

post — 18 febbraio 2016 at 21:15

lazzaroDefinire Ferdinando Lazzaro fa comprendere come il “sistema tav” sia un carretta malandata. Era il “povero imprenditore preso di mira dai notav” che andava a piangere in televisione, era

“uno dei principali riferimenti per LTF”, uno che dopo diversi fallimenti, era stato chiamato ad utilizzare i suoi macchinari per lo sgombero della Maddalena e a fare i lavori necessari per la fortificazione della cantiere/fortino. Uno stinco di santo, che quando aveva bisogno chiedeva aiuto ai politici del Partito democratico più favorevoli al Tav, personaggi come il consigliere regionale Antonio Ferrentino,l’attuale commissario del governo alla Torino-Lione Paolo Foietta e il senatore Stefano Esposito.

A dire il vero l’aureola non l’aveva meritata solo per la vicenda tav, ma anche per le inchieste sull’ ndrangheta, dove Lazzaro con la ditta Italcoge aveva ottenuto i primi lavori di fortificazione di quello che diventerà il cantiere tav, e aveva introdotto Giovanni Toro, una delle figure centrali dell’indagine sull’ndrangheta di qualche mese fa.

Una storia mai pulita, l’Italcoge è fallita e come tutte le ditte tav della val susa era intestata a familiari. Ci ricordiamo di quando Lazzaro veniva difeso dai politici della lobby del tav e andava in tv a piangere, e tante altre belle cose.

Il 14 marzo prossimo ci sarà l’udienza preliminare del procedimento per turbativa d’asta che lo aveva visto già finire in carcere. Dopo il fallimento della Italcoge, per continuare a lavorare nel cantiere Tav  aveva creato un’altra società – la Italcostruzioni – intestata a una terza persona, ma formalmente amministrata da lui. In questo modo è riuscito a partecipare alla gara per l’affitto di un ramo della fallita Italcoge e a vincerla, così da continuare a operare nel cantiere. Insieme a lui sarà a processo anche l’ex curatore fallimentare dell’azienda, Michele Vigna, condannato il 27 ottobre per “interesse privato in atto d’ufficio” in quanto aveva assegnato a un agente di polizial’incarico di sorvegliare magazzini e i macchinari della Italcoge

Bella roba, il più pulito ha la rogna come si suol dire

Invitiamo alla lettura un pò di articoli in archivio e  l’articolo odierno de Il Fatto Quotidiano:

Tav, “aderenze politiche” di imprenditore coinvolto in processo per mafia. “Per lui interventi del senatore Esposito”

Da IL FATTO QUOTIDIANO del 25 settembre 2015:

Tav, “aderenze politiche” di imprenditore coinvolto in processo per mafia. “Per lui interventi del senatore Esposito”

Giustizia & Impunità
L’informativa del Ros del carabinieri, agli atti dell’indagine San Michele sulla ‘ndrangheta in Piemonte, cita il parlamentare Pd ora assessore a Roma, l’ex anti-tav Ferrentino e il capo dell’Osservatorio sull’opera Paolo Foietta. Al centro, il patron della fallita Italcoge, Ferdinando Lazzaro, che in passato aveva denunciato intimidazioni sui cantieri. Ora è imputato nello stesso dibattimento per sversamenti illeciti

 Minacciato e fallito, nel momento di difficoltà l’imprenditore Ferdinando Lazzaro sapeva cosa fare: chiamava i politici Pd e gli amministratori favorevoli alla Tav Torino-Lione e chiedeva loro aiuto. Si tratta del senatore Stefano Esposito, ora assessore ai Trasporti al Comune di Roma. Nonché autore del libro “Sì Tav” insieme a un altro politico dem citato nell’informativa, l’ex dirigente della Provincia di Torino Paolo Foietta, ora commissario del governo e capo dell’Osservatorio sulla Torino-Lione. Infine, il consigliere regionale Pd Antonio Ferrentino. Adesso non sarà così facile per l’imprenditore cercare il loro aiuto. Lazzaro, più volte obiettivo di presunti atti vandalici dei No Tav, ha difficoltà più grandi: la settimana scorsa è cominciato il processo “San Michele” in cui è accusato dalla Dda di sversamento illegale di rifiuti, mentre la procura di Torino indaga ancora sul fallimento della sua Italcoge e aspetta la fissazione dell’udienza preliminare di un altro procedimento, quello per turbativa d’asta.

I contatti con la politica sono documentati da un’informativa inviata dal Ros dei carabinieri dell’ottobre 2012 nell’ambito dell’indagine “San Michele” sulla locale di ‘ndrangheta di San Mauro Marchesato (Kr) insediata nel capoluogo piemontese. Nell’informativa conclusiva dell’indagine si legge che Lazzaro, la cui società Italcoge era fallita nell’estate 2011, nella metà dell’aprile 2012 rischiava di perdere alcuni subappalti perché l’associazione temporanea di imprese Cmc non voleva affidarli a una società fallita. Per questo si dà da fare smuovendo il direttore generale di Ltf Marco Rettighieri, il presidente del Consorzio Valsusa Luigi Massa (ex senatore Ds) e il senatore Pd Stefano Esposito. I Ros scrivono che Lazzaro è riuscito a fare “intervenire in suo favore personalità politiche e quadri della committente Ltf”. Il politico Pd, apertamente Sì Tav, avrebbe contattato il presidente della Cmc di Ravenna in presenza di Lazzaro, che si lamentava della “posizione poco indulgente adottata da Cmc nei loro confronti” per l’ottenimento del movimento terra. La questione emerge in una telefonata intercettata tra Lazzaro e un altro importante imprenditore della Val di Susa, Claudio Martina, e quelle con Luigi Massa. Esposito ha replicato all’Ansa: “Non ho ricevuto nessun avviso di garanzia. Se sono indagato lo dicano altrimenti chiedo io ai Ros di rendere pubblica una segnalazione che feci”, dichiara riferendosi a una denuncia da lui fatta nel 2013.

In un’altra informativa agli atti dell’inchiesta, scritta nell’ottobre 2012, si legge: “Sono emerse altresì aderenze di Lazzaro con personaggi politici e della pubblica amministrazione, artatamente utilizzate per volturale alla neo costituita Italcostruzioni licenze e autorizzazioni giù nella disponibilità della fallita Italcoge”. Si tratta di una licenza per utilizzare una cava a Meana di Susa, una licenza rilasciata alla Italcoge, ma scaduta da due anni e mai rinnovata.

È il 3 settembre 2012 e nel cantiere sta per entrare una delegazione nazionale del Pd: presenti, tra gli altri, Stefano Fassina, l’ex presidente della Provincia Antonio Saitta e Luigi Massa, ex deputato Pds poi diventato presidente del Consorzio Valsusa, che raggruppa imprenditori locali vincitori di un appalto da 12 milioni di euro per lo smaltimento degli scarti. Lazzaro contatta il fratello Antonio, gli dice di aver appena parlato con Ferrentino: “Riesci a parlare con Ferrentino da solo. Le (sic) dici che abbiamo bisogno di mettere a posto due cose lì per la cava, per l’autorizzazione che non è mai arrivata”. Il 17 settembre 2012 dopo coinvolge anche il dirigente dell’area territorio e trasporti della Provincia di Torino Foietta. Secondo per il Ros avrebbe garantito “il suo interessamento per addivenire a una soluzione della vicenda”. Lazzaro gli chiede di intervenire: “Stavo facendo la pratica per il rinnovo. Poi nel frattempo la Italcoge che era titolare è andato giù e quindi loro a settembre dell’altro anno l’hanno archiviata e io nel frattempo poi cosa ho fatto? Avendo poi nel frattempo ripreso la società con un’altra partita Iva, quindi ho l’affitto del ramo d’azienda (vicenda oggetto dell’indagine per turbativa d’asta, ndr). Ripresentare tutto da capo sarebbe abbastanza macchinoso”. Foietta risponde: “Allora mi faccia una mail. Lei mi indichi anche il funzionario che aveva seguito la pratica (…). Quindi in modo da riuscire a risalire alla vicenda (…) E se però mi mette anche il nome specifico del funzionario con cui avete avuto rapporti mi è più utile, così vedo di evitare giri. Evito una ricerca”.

Dall’annotazione emerge anche la paura di Lazzaro per le notizie diffuse dai No Tav, dal leaderAlberto Perino e dal Movimento 5 Stelle di Torino sui suoi contatti con personaggi dubbi comeBruno Iaria, condannato in via definitiva il 23 febbraio scorso capo della locale della ‘ndrangheta diCourgné, assunto nel 2007 nella Italcoge. Nelle telefonate intercettate l’imprenditore spiega di aver sempre denunciato i calabresi che gli chiedevano il pizzo, ma – sottolineano i carabinieri – nelle banche dati delle forze dell’ordine non c’è nessuna denuncia del genere. Anzi, con alcuni calabresi fa affari: è lui che fa ottenere a Giovanni Toro, imputato per concorso esterno in associazione mafiosa nel processo “San Michele”, il subappalto per asfaltare il cantiere della Torino-Lione a Chiomonte.

Su queste relazioni la consigliera regionale Francesca Frediani e il senatore Marco Scibona del Movimento 5 Stelle chiederanno presto chiarimenti in Consiglio regionale e in Parlamento: “È inquietante la familiarità con cui tali personaggi si rivolgono ad esponenti di primo piano della politica piemontese – affermano -. Giova ricordare inoltre come Foietta e Ferrentino abbiano condiviso per molti anni e condividano tuttora con il neo assessore ai lavori pubblici di Roma Stefano Esposito un lungo percorso politico segnato dal sostegno al progetto Tav”.

 di  | 25 settembre 2015

Nuovo arresto per Ferdinando Lazzaro!

 venerdì, febbraio 19, 2016
Nuovo arresto per Ferdinando Lazzaro!

Ferdinando Lazzaro, ce lo ricordiamo bene, imprenditore dell’Italcoge, ditta appaltatrice dei primi lavori TAV, ce lo ricordiamo piagnucolare in TV contro quei cattivoni dei notav che non lo lasciano lavorare in pace.

Ce lo ricordiamo anche nel 2014, quando venne arrestato per una falsa fideiussione, finalizzata alla costituzione dell’Italcostruzioni, nata dalle ceneri dell’Italcoge, così come il suo nome ritornava nell’inchiesta San Michele vicino a quello di Giovanni Toro.

Sembra che Lazzaro, paladino di tutti gli imprenditori onesti, sia di nuovo oggetto di vessazioni, ma questa volta non dai temibili no tav, bensì dalla giustizia italiana: la Guardia di finanza gli ha notificato una seconda misura cautelare: Lazzaro assieme ad un familiare collaboratore dovrà rispondere del reato di bancarotta fraudolenta.

Secondo le indagini della Gdf di Torino, una serie di “condotte criminose” hanno portato al dissesto dell’Italcoge.
Ma va? Proprio non ce lo immaginavamo!
I due arrestati, secondo gli inquirenti, tra il 2007 e il 2011 hanno effettuato prelievi contanti per 2,262 milioni di euro dai conti sociali dell’azienda per scopi personali. Inoltre, il maquillage sui bilanci e le scritture contabili ha permesso a Lazzaro e al suo collaboratore di occultare quasi 5 milioni di euro.

Insomma nel cantiere TAV, solo bella gente!

La Costituzione economica – scheda 4

Quarta parte delle schede sulla Costituzione Economica a cura del prof. Luigi Pecchioli.

Dopo aver trattato nelle schede precedenti i diritti dei lavoratori “attivi” vediamo oggi cosa dispone la  per chi non lavora (senza sua colpa: ricordiamo che il lavoro è un obbligo sociale del cittadino, ex art. 4) o per chi non può più lavorare, per infortunio, malattia o anzianità: esaminiamo quindi l’art. 38

Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale.

I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria.

Gli inabili ed i minorati hanno diritto all’educazione e all’avviamento professionale.

Ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato.

L’assistenza privata è libera.

Innanzitutto si può notare che il mantenimento, l’assistenza sociale e l’assicurazione di mezzi adeguati sono veri e propri diritti di ogni cittadino, per cui lo Stato, che è chiamato a provvedere, non si può esimere, neanche per ragioni di bilancio o di difficoltà economica. In secondo luogo le caratteristiche per avere titolo a tali diritti sono per l’assistenza l’inabilità al lavoro, anche parziale (in quel caso vi è un diritto all’integrazione del reddito da sé prodotto, se non sufficiente) ed il fatto di essere comunque sprovvisti dei mezzi necessari, quindi non avere rendite, vitalizi od altri benefici che permettono di sostenersi autonomamente. Tali eventuali benefici devono essere stabili e non legati ad atti occasionali di beneficenza. Per la concessione di mezzi di sussistenza (che non è si badi la semplice sopravvivenza, ma la possibilità di vita adeguata alle esigenze personali, da coordinare con il limite già esaminato, previsto nell’art. 36. dell’esistenza “libera e dignitosa“) i requisiti sono essere o essere stati lavoratori e trovarsi nelle condizioni di non poter svolgere la propria attività per ragioni oggettive e gravi, come una malattia, seria e certificata (e qui si potrebbe aprire una discussione sugli abusi di chi è preposto a certificarla…), un’invalidità, anche questa riconosciuta e certificata, un infortunio che deve essere invalidante, anche temporaneamente, ed avvenuto in occasione o per causa di lavoro (vi risparmio la sterminata esegesi su cosa deve intendersi per “in occasione di lavoro”, problema che rappresenta oltre la metà del contenzioso assicurativo) o la vecchiaia, ovvero la fine prevista del rapporto lavorativo.

Discorso a parte merita la disoccupazione involontaria, che da diritto alla corresponsione di mezzi di sussistenza a patto che ci siano dei tentativi validi e seri, anche autonomi, di uscire da tale stato, tentativi che sono sotto il controllo di Enti appositamente creati, e la disponibilità ad accettare immediatamente qualsiasi lavoro adeguato alla propria formazione. Non è qui la sede per approfondire il funzionamento dei Centri per l’Impiego, ma si può dire che tra gli obblighi di attivazione del lavoratore disoccupato c’è quello di partecipare a corsi di formazione e riqualificazione per il reinserimento nel mercato del lavoro.

Perché è importante il fatto che si parla espressamente di diritti? Una risposta indiretta ce l’ha data la Corte Costituzionale nella famosa sentenza sul blocco dell’adeguamento pensionistico della c.d. Legge Fornero, da me già ampiamente trattata in occasione della sua pubblicazione: essendo diritti costituzionalmente riconosciuti e garantiti non possono essere compressi od eliminati se non temporaneamente e per esigenze di pari rango costituzionale, con il criterio del contemperamento degli interessi. La sciagurata apposizione del principio del pareggio di bilancio nell’art. 81 ha aperto la strada alla compressione di tutti i diritti sociali in nome della stabilità finanziaria, ma, e questa è stata la posizione della Consulta, questa compressione deve essere giustificata e non può in ogni caso eliminare di fatto il diritto compresso di pari rango costituzionale.

Ma come in pratica funziona il meccanismo di assistenza/sussistenza? Lo si ricava dal disposto dell’art. 2, il quale “richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale” a tutti i cittadini: attraverso il versamento di una quota del proprio reddito da parte di tutti i lavoratori per costituire dei fondi, gestiti o regolati dallo Stato, come impone il IV comma, che provvedano alla erogazione delle somme agli aventi diritto. L’INPS, l’INAIL, e le varie Casse sono l’estrinsecazione di questo meccanismo ed è questa la ragione per cui i contributi sono obbligatori.

A rigore per quanto riguarda le pensioni, l’unico meccanismo che rispetterebbe la lettera e lo spirito della Costituzione sarebbe quello a ripartizione: questo infatti attua quella solidarietà fra generazioni che è diretta espressione dell’art. 2 citato. Questo meccanismo però per sostenersi ha bisogno che vi sia un equilibrio fra lavoratori che vanno in pensione e lavoratori attivi, ovvero che la base contributiva cresca in maniera regolare per permettere il pagamento ad un numero crescente di pensionati. La crisi demografica, che ha spostato l’età media della popolazione che è diventata più anziana e la crisi economica che ha portato alla diminuzione della base di lavoratori attivi e dei loro redditi, ha portato il sistema (già messo in crisi dal boom del prepensionamento e delle pensioni c.d. baby degli anni ’70/’80) ad accumulare forti disavanzi ed il Legislatore, a partire dalla riforma Dini del 1995, ad optare per il metodo a capitalizzazione, ovvero legato al montante della capitalizzazione dei versamenti effettuati dal lavoratore, pur mantenendo una parte a ripartizione per finanziare soprattutto l’assistenza agli inabili al lavoro.

L’ultimo punto da esaminare è quello relativo all’assistenza privata che è definita sinteticamente “libera“: questa libertà va comunque correlata con quei doveri di coordinazione e controllo che lo Stato deve comunque attuare, affinché il privato agisca in conformità della legge e delle finalità pubbliche esplicitate nell’articolo in commento e con l’art. 41 (che esamineremo più avanti), il quale pone come limite all’iniziativa privata “il contrasto con l’utilità sociale” e vieta che essa possa svolgersi “in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana” (ed i casi di case di riposo od assistenziali private che trattavano in maniera inumana i loro assistiti fa capire che tale previsione non è così superflua). Anche la previdenza privata, che la riforma del 2007 ha posto come uno dei pilastri della previdenza complementare e che agisce necessariamente attraverso la capitalizzazione dei versamenti del lavoratore in fondi aperti, con un trattamento finale pensionistico calcolato secondo il rendimento atteso, pur essendo lasciata alla discrezionalità gestionale delle imprese assicurative è sottoposta a controllo, ma, d’altro lato, beneficia di esenzioni a favore del fondo (come la sua non pignorabilità e non sequestrabilità), che la rendono appetibile al lavoratore.

di  per Scenarieconomici.it

Riflessioni sull’arresto di Lazzaro

Attenti! Non cadiamo nel tranello. Stanno solo facendo volare gli stracci.
Quando in un sodalizio le cose vanno male, si rompono i rapporti tra i sodali e a rimetterci prima e più di tutti sono gli anelli deboli, i poveracci…
A Chiomonte le cose non girano come lor signori avevano auspicato. I NO TAV stanno rompendo troppo. Stanno controllando troppe cose. Vogliono sapere troppo. Fanno troppe domande e troppo scomode. Stanno scoprendo troppi altarini e potrebbero venire a galla verità che è meglio che non si svelino. 
Lor signori hanno bisogno di tranquillità ad ogni livello per poter raccontare le loro favole in giro per i palazzi del potere. Il momento è delicato, devono aprirsi i cordoni delle borse, bisogna andare lisci sull’olio. Erano riusciti a tranquillizzare i sindaci e a portarli attorno ad un tavolo ed ecco che quei rompiballe dei NO TAV che si annidano ovunque, anche nelle amministrazioni, si mettono in mezzo e i tavoli si rinviano sine die
I tecnici NO TAV con i consiglieri regionali pentastellati stanno mettendo a dura prova la tenuta dell’ARPA Piemonte e sui numeri diventa difficile barare, specie se chi li legge sa leggerli e interpretarli. 
E allora, forse, lor signori hanno pensato bene di confondere un po’ le acque. E così, forse, qualcuno ha pensato bene di utilizzare, ancora una volta, il capro espiatorio ben collaudato, perfetto, fatto apposta e su misura: l’imprenditore SI TAV più esposto e probabilmente “meno amato” dai NO TAV. 
Una buona pedina da bruciare per poter dire: vedete che quello che dite non è vero; il tribunale di Torino non è parziale, colpisce i NO TAV ma anche i SI TAV che sbagliano (500 a 2 è vero, ma queste sono quisquiglie). Noi il malaffare dal cantiere di Chiomonte l’abbiamo estirpato! La ‘ndrangheta l’abbiamo espulsa e mandata a giudizio! Cosa volete di più? Contestate solo per partito preso.
Già! Sono volati gli stracci. 
Ma, …e i pezzi da 90?
E quelli che, probabilmente, ricevevano per strani giri i quattrini “lasciati sul tavolo verde di Saint-Vincent” da sprovveduti imprenditori? 
E quelli che, magari, andavano in vacanza nei paradisi tropicali al posto di imprenditori con le mani bucate?
Rileggiamo questo pezzo uscito su L’Espresso del 1 luglio 2014: «…Lazzaro però lo tranquillizza, rassicurandolo sul fatto che erano d’accordo con Elia che ne bastavano dieci di centimetri perché «i carotaggi sarebbero stati fatti solo nei punti dove c’era più materiale» e chiediamoci: “ma questo Elia è, per caso, l’ing. Elia già dipendete di LTF e ora di TELT che sovrintende in cantiere? Come si mettevano d’accordo con Elia? Con un viaggetto al Casinò dove io perdo e tu vinci anche se siamo andati solo a berci due coppe di champagne e a mangiare qualche tramezzino; ma così, a Saint-Vincent, hanno registrato  il nostro ingresso e possiamo giustificare somme in entrata e in uscita altrimenti difficilmente giustificabili?
“Ci hanno usati, ci hanno spremuti come limoni, e ci hanno buttati via” (Lazzaro Ferdinando – agosto 2015 a Susa).
Com’è che in cantiere a Chiomonte si contano per pieni anche i camion che girano vuoti?
Com’è che in cantiere a Chiomonte, gli operai sono in fibrillazione perché, dicono, che ai primi di marzo la Venaus scarl (CMC, STRABAG, COGEIS, BENTINI) rinuncia o rescinde l’appalto per il tunnel geognostico e subentra (senza appalto?) un nuovo soggetto imprenditoriale?
Quali altre porcherie stanno cercando di coprire?
Pensiamoci e intanto confrontiamo cosa scrivono oggi quattro media on-line, e meditiamo sui fatti veri che non vengono raccontati, ponendoci sempre tante domande; una su tutte: “ma sto guardando la luna o il dito che la indica?”

Tav: arrestato imprenditore-simbolo dei favorevoli alla Torino-Lione. “Bancarotta fraudolenta” – 

Il Fatto Quotidiano

di Andrea Giambartolomei | 18 febbraio 2016

Ferdinando Giosué Lazzaro, ex titolare della Italcoge – poi fallita – è finito in carcere insieme a un suo familiare. Secondo i pm avrebbero sottratto dai conti correnti dell’azienda oltre due milioni di euro per giocare al Casinò di Saint Vincent. Sono accusati di avere dissipato oltre 5 milioni, tra beni, crediti e denaro

Ancora una volta l’imprenditore “simbolo” della Torino-Lione è finito nei guai. La terza indagine nel giro di pochi anni. Oggi la Guardia di finanza ha portato in carcere Ferdinando Giosué Lazzaro, 50 anni, spesso in prima linea per sostenere la Tav e l’assegnazione dei lavori alle aziende della Val di Susa. Lazzaro e un suo familiare e collaboratore sono indagati per bancarotta fraudolenta, un’indagine nata dopo il fallimento della sua Italcoge nell’estate 2011, che in quel periodo stava compiendo alcuni lavori preliminari al cantiere dell’alta velocità a Chiomonte.

Dall’inchiesta condotta dalla compagnia di Susa della Guardia di finanza, guidata dal capitano Mattia Altieri, è emerso che sono stati occultati poco meno di cinque milioni di euro tra crediti, denaro contante e beni dell’azienda. Tramite alcune società collegate alla Italcoge, secondo i finanzieri “tutte finalizzate a sottrarne le risorse”, sono state drenate le ricchezze. Ben 2.262.000 euro sono stati prelevati in contanti dai conti correnti tra il 2007 e il 2011 e spesso sono stati spesi non per le attività imprenditoriali di Lazzaro, ma per il divertimento della famiglia, come le giocate al Casinò di Saint-Vicent o i soggiorni in località di villeggiatura.

Non solo. Secondo le fiamme gialle i bilanci e le scritture contabili sono stati oggetto di una manipolazione “intenzionale e lucida” che ha permesso di distrarre, occultare beni, crediti e somme di denaro per 4,892 milioni di euro. L’indagine perbancarotta fraudolenta, coordinata dai sostituti procuratori di Torino Alberto Benso e Roberto Furlan, è la terza inchiesta in cui Ferdinando Giosué Lazzaro viene coinvolto negli ultimissimi anni. In questo momento l’imprenditore valsusino è coinvolto in due processi.

Il 14 marzo prossimo ci sarà l’udienza preliminare del procedimento per turbativa d’asta. Dopo il fallimento della Italcoge, per continuare a lavorare nel cantiere Tav l’uomo aveva creato un’altra società – la Italcostruzioni – intestata a una terza persona, ma formalmente amministrata da lui. In questo modo è riuscito a partecipare alla gara per l’affitto di un ramo della fallita Italcoge e a vincerla, così da continuare a operare nel cantiere. Insieme a lui sarà a processo anche l’ex curatore fallimentare dell’azienda, Michele Vigna, condannato il 27 ottobre per “interesse privato in atto d’ufficio” in quanto aveva assegnato a un agente di polizia l’incarico di sorvegliare magazzini e i macchinari della Italcoge.

Non è tutto. Lazzaro è anche uno degli imputati del processo “San Michele”, nato da un’indagine del Ros dei carabinieri e della Direzione distrettuale antimafia di Torino. In questo procedimento l’imprenditore deve rispondere dell’accusa di aver smaltito illecitamente alcuni rifiuti dei cantieri. Dagli atti di questa indagine, però, sono emersi elementi più interessanti. Dopo il fallimento, temendo di non poter ricominciare a lavorare nel cantiere di Chiomonte, Lazzaro si era mosso per ottenere un aiuto dai politici del Partito democratico più favorevoli alla Tav, personaggi come il consigliere regionale Antonio Ferrentino,l’attuale commissario del governo alla Torino-Lione Paolo Foietta e il senatore Stefano Esposito. Inoltre è grazie a Lazzaro che, all’interno del cantiere, è approdato un imprenditore come Giovanni Toro, attualmente imputato di concorso esterno in associazione mafiosa, autore della frase“Ce la mangiamo io e te la torta dell’alta velocità”. Secondo l’avvocatoMassimo Bongiovanni, legale di alcune parti civili nel processo “San Michele”, avvocato dei No Tav e rappresentante dei creditori della Italcoge, “Lazzaro veniva considerato da alcuni politici come il modello di imprenditore della Val di Susa”. Secondo lui questa “non è nient’altro che la punta di un iceberg”.

 

Nuovo arresto per Lazzaro, l’imprenditore valsusino Sì Tav: avrebbe distratto 5 milioni di euro

La Repubblica

E’ accusato di bancarotta con la sua ditta Italcoge

di OTTAVIA GIUSTETTI

Distrazioni per cinque milioni di euro: è di nuovo nei guai l’imprenditore simbolo della battaglia Sì Tav, Ferdinando Lazzaro ex titolare della ditta valsusina Italcoge arrestato questa mattina dalla Guardia di Finanza di Torino. Lazzaro è accusato  di  bancarotta al termine di una lunga indagine che ha ricostruito il complesso intreccio di società e le distrazioni che hanno portato Italcoge al fallimento nel 2011. Intorno alla capogruppo,  ruotava  una serie  di  società,  anche  operative,  costituite  per  vari scopi  ma  tutte  finalizzate a  sottrarne risorse. Lazzaro secondo l’accusa avrebbe effettuato prelievi  contanti  per complessivi  2.262.000  euro,  tra  il  2007  ed  il  2011,  dai  conti  correnti  sociali  per  scopi  prettamente personali, dal banco del casinò di Sain-Vincent alle spese per le vacanze sue o die famigliari, a  discapito dei  creditori,  fornitori  e dipendenti. Oltre  ai  prelevamenti  in  contanti,  sono  stati  accertati  trasferimenti  vari  di  denaro  che  venivano mascherati  attraverso  l’intenzionale  e  lucida  manipolazione  di  bilanci  e  scritture  contabili,  che hanno  permesso  di  distrarre,  occultare,  dissimulare,  distruggere  e  dissipare  beni,  crediti  e  somme di  denaro per  un  totale di  quattro  milioni  e 892  mila euro. L’imprenditore  valsusino,  nel  corso  dell’anno  2014,  era  già  stato  arrestato  per  una  falsa fideiussione,  finalizzata  alla  costituzione  di  una  nuova  società  familiare,  la  Italcostruzionj, che  doveva  sostituire  la  Italcoge  nei  lavori  di  costruzione  del  cantiere  Tav della  Torino-Lione  a Chiomonte.

Italcoge fu dichiarata fallita dal tribunale di Torino nel 2011. L’indagine delle Fiamme Gialle, sfociata in una ipotesi di accusa di bancarotta per distrazione, ha riguardato da un lato prelievi di contanti per 2 milioni e 600 mila euro effettuati dai conti correnti della società fra il 2007 e il 2011: denaro che sarebbe stato utilizzato per scopi personali, come le vacanze o le trasferte al casinò di Saint Vincent. Alla Guardia di Finanza risultano poi trasferimenti di denaro mascherati, attraverso la manipolazione di bilanci

e scritture contabili, per un totale di 4 milioni e 892 mila euro.
Lazzaro era già stato arrestato nel 2014 per una vicenda legata ad una fidejussione finalizzata a creare una nuova società, Italcostruzioni, che doveva sostituire Italcoge nei lavori nel cantiere del Tav a Chiomonte. L’imprenditore è anche imputato a Torino nel processo San Michele contro la ‘ndrangheta in Piemonte: non è accusato comunque di associazione mafiosa ma di reati ambientali.

 

 

Manette a due imprenditori in Valsusa per bancarotta fraudolenta

La stampa

Cinque milioni di euro sottratti dai conti dell’azienda, giocati persino al Casinò pur di poterli togliere dal patrimonio a disposizione dei creditori per il fallimento di Italcoge. Per questo la Guardia di finanza di Susa ha arrestato Ferdinando Lazzaro e il cognato Ignazio Farrauto, entrambi sotto inchiesta per bancarotta fraudolenta. Oltre ai prelievi in contanti e alle giocate ai tavoli verdi, i due cognati avrebbero ideato un sistema di società utilizzate per gestire lavori e cantieri, sempre in modo da sottrarre fondi (dal 2007 al 2011) al patrimonio della società dichiarata fallita nel 2011.  

La Italcoge era già stata coinvolta nelle polemiche per il cantiere Tav di Chiomonte, attività principale dove aveva concentrato la propria attività. 

 

BANCAROTTA DA 5 MILIONI, ARRESTATO L’IMPRENDITORE DI SUSA FERDINANDO LAZZARO

Redazione ValsusaOggi    02/18/2016    

In data odierna, militari del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Torino, hanno eseguito due ordinanze per l’applicazione di misure cautelari in carcere per il reato di bancarotta fraudolenta e diverse perquisizioni sul territorio della Provincia di Torino disposte dal Giudice per le Indagini preliminari del Tribunale di Torino, su richiesta della Procura della Repubblica di Torino.

I destinatari delle misure sono il noto imprenditore valsusino Ferdinando Lazzaro ed un suo familiare e stretto collaboratore.

Le indagini eseguite dalla Guardia di Finanza di Susa a seguito del fallimento della ITALCOGE spa, hanno evidenziato le responsabilità dell’imprenditore quale amministratore di fatto.

Le indagini, protrattesi alcuni anni a causa dei complessi fatti gestionali esaminati che hanno richiesto anche l’intervento di consulenti esperti nello specifico settore, hanno consentito di appurare una serie di condotte criminose che hanno portato al dissesto ed al conseguente fallimento della ITALCOGE spa (dichiarata fallita con sentenza del Tribunale di Torino nel 2011).

Le investigazioni hanno fatto emergere che, attorno alla citata società capogruppo, ruotava una serie di società, anche operative, costituite per vari scopi ma tutte finalizzate a sottrarne risorse.

E’ emerso che i destinatari delle misure cautelari, hanno effettuato numerosi prelievi contanti per complessivi 2.262.000 euro, tra il 2007 ed il 2011, dai conti correnti sociali per scopi prettamente personali e spesso ricreativi.

In diverse occasioni si è riscontrato come il denaro sia stato “utilizzato” presso il casinò di Saint-Vincent o per il pagamento di spese effettuate in località di villeggiatura o comunque a favore dei membri del nucleo familiare e a discapito dei creditori, fornitori e dipendenti.

Oltre ai prelevamenti in contanti, sono stati accertati trasferimenti vari di denaro che venivano mascherati attraverso l’intenzionale e lucida manipolazione di bilanci e scritture contabili, che hanno permesso di distrarre, occultare, dissimulare, distruggere e dissipare beni, crediti e somme di denaro per un totale di quattro milioni e 892 mila euro.

L’imprenditore valsusino, nel corso dell’anno 2014, era già stato arrestato per una falsa fideiussione, finalizzata alla costituzione di una nuova società familiare, la ITALCOSTRUZIONI, che doveva sostituire la ITALCOGE nei lavori di costruzione del cantiere TAV della Torino-Lione a Chiomonte.

L’attività di servizio in rassegna si inserisce nell’azione svolta dalla Procura della Repubblica e dalla Guardia di Finanza di Torino a tutela del rispetto e della corretta applicazione delle regole in campo economico e finanziario e rinvigorisce il controllo economico del territorio.

 

 

Tav: arrestato imprenditore-simbolo dei favorevoli alla Torino-Lione. “Bancarotta fraudolenta”

http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/02/18/tav-arrestato-imprenditore-simbolo-dei-favorevoli-alla-torino-lione-bancarotta-fraudolenta/2476030/

Tav: arrestato imprenditore-simbolo dei favorevoli alla Torino-Lione. “Bancarotta fraudolenta”

Giustizia & Impunità

Ferdinando Giosué Lazzaro, ex titolare della Italcoge – poi fallita – è finito in carcere insieme a un suo familiare. Secondo i pm avrebbero sottratto dai conti correnti dell’azienda oltre due milioni di euro per giocare al Casinò di Saint Vincent. Sono accusati di avere dissipato oltre 5 milioni, tra beni, crediti e denaro

di  | 18 febbraio 2016

Ancora una volta l’imprenditore “simbolo” della Torino-Lione è finito nei guai. La terza indagine nel giro di pochi anni. Oggi laGuardia di finanza ha portato in carcere Ferdinando Giosué Lazzaro, 50 anni, spesso in prima linea per sostenere la Tav e l’assegnazione dei lavori alle aziende della Val di Susa. Lazzaro e un suo familiare e collaboratore sono indagati per bancarotta fraudolenta, un’indagine nata dopo il fallimento della suaItalcoge nell’estate 2011, che in quel periodo stava compiendo alcuni lavori preliminari al cantiere dell’alta velocità a Chiomonte.

Dall’inchiesta condotta dalla compagnia di Susa della Guardia di finanza, guidata dal capitano Mattia Altieri, è emerso che sono stati occultati poco meno di cinque milioni di euro tra crediti, denaro contante e beni dell’azienda. Tramite alcune società collegate alla Italcoge, secondo i finanzieri “tutte finalizzate a sottrarne le risorse”, sono state drenate le ricchezze. Ben 2.262.000 euro sono stati prelevati in contanti dai conti correnti tra il 2007 e il 2011 e spesso sono stati spesi non per le attività imprenditoriali di Lazzaro, ma per il divertimento della famiglia, come le giocate al Casinò di Saint-Vicent o i soggiorni in località di villeggiatura.

Non solo. Secondo le fiamme gialle i bilanci e le scritture contabili sono stati oggetto di una manipolazione “intenzionale e lucida” che ha permesso di distrarre, occultare beni, crediti e somme di denaro per 4,892 milioni di euro. L’indagine perbancarotta fraudolenta, coordinata dai sostituti procuratori di Torino Alberto Benso e Roberto Furlan, è la terza inchiesta in cui Ferdinando Giosué Lazzaro viene coinvolto negli ultimissimianni. In questo momento l’imprenditore valsusino è coinvolto in due processi.

Il 14 marzo prossimo ci sarà l’udienza preliminare del procedimento per turbativa d’asta.

Dopo il fallimento della Italcoge, per continuare a lavorare nel cantiere Tav l’uomo aveva creato un’altra società – la Italcostruzioni – intestata a una terza persona, ma formalmente amministrata da lui. In questo modo è riuscito a partecipare alla gara per l’affitto di un ramo della fallita Italcoge e a vincerla, così da continuare a operare nel cantiere. Insieme a lui sarà a processo anche l’ex curatore fallimentare dell’azienda, Michele Vigna, condannato il 27 ottobre per “interesse privato in atto d’ufficio” in quanto aveva assegnato a un agente di polizia l’incarico di sorvegliare magazzini e i macchinari della Italcoge.

Non è tutto. Lazzaro è anche uno degli imputati del processo “San Michele”, nato da un’indagine del Ros dei carabinieri e della Direzione distrettuale antimafia di Torino. In questo procedimento l’imprenditore deve rispondere dell’accusa di aver smaltito illecitamente alcuni rifiuti dei cantieri. Dagli atti di questa indagine, però, sono emersi elementi più interessanti. Dopo ilfallimento, temendo di non poter ricominciare a lavorare nel cantiere di Chiomonte, Lazzaro si era mosso per ottenere un aiuto dai politici del Partito democratico più favorevoli alla Tav, personaggi come il consigliere regionale Antonio Ferrentino,l’attuale commissario del governo alla Torino-Lione Paolo Foiettae il senatore Stefano Esposito. Inoltre è grazie a Lazzaro che, all’interno del cantiere, è approdato un imprenditore comeGiovanni Toro, attualmente imputato di concorso esterno in associazione mafiosa, autore della frase: “Ce la mangiamo io e te la torta dell’alta velocità”. Secondo l’avvocato Massimo Bongiovanni, legale di alcune parti civili nel processo “San Michele”, avvocato dei No Tav e rappresentante dei creditori della Italcoge, “Lazzaro veniva considerato da alcuni politici come il modello di imprenditore della Val di Susa”. Secondo lui questa “non è nient’altro che la punta di un iceberg”.

di  | 18 febbraio 2016

TTIP: consentire alle multinazionali l’evasione fiscale

Tra le pieghe dell’accordo sul TTIP si potrebbero nascondere regolamenti che favoriscono le multinazionali che già oggi evadono miliardi di tasse.

Come ha già ripetuto più volte Stiglitz, premio Nobel per l’economia, il  non è un accordo di libero scambio, ma uno strumento per favorire e proteggere le .

Da anni, gli stati subiscono le pressioni dei colossi industriali che dominano i mercati globali. Al punto che è diventato sempre più difficile controllarli sia a livello nazionale che a livello internazionale. Spostamenti di sedi legali e operative, internazionalizzazione della produzione per utilizzare manodopera a basso prezzo, materie prime provenienti da tutti i paesi del mondo e metodi di produzione al di fuori di ogni controllo (si pensi alle ripetute accuse di sfruttamento del lavoro minorile nei confronti di grandi gruppi internazionali o ai danni ambientali causati i certe regioni dell’Asia e dell’Africa).

Ultima, ma non meno importante, la possibilità di sfuggire agli interventi fiscali da parte delle autorità dei singoli stati.

La prova di tutto ciò è contenuta in un rapporto diffuso recentemente da Citizens for Tax Justice. Secondo i ricercatori, le multinazionali avrebbero evitato il pagamento di tasse federali per un importo non inferiore al 35 per cento dei profitti. Una evasione che, ogni anno, costa alle casse federali circa 620 miliardi di dollari. Una somma che basterebbe per finanziare l’intero sistema scolastico americano per cinque anni.

La situazione non è diversa in Europa. Secondo i ricercatori di Eurodad, che riunisce 46 ONG impegnate nella lotta per un sistema economico e finanziario globale più equo, nel vecchio continente è sempre più diffuso il “tax dodging”, l’evasione fiscale. E, in base ai risultati rilevati, l’Italia sarebbe al terzo posto della classifica dei Paesi europei vittime di questo fenomeno (preceduta solo daLussemburgo e Germania che, a differenza dell’Italia sono sempre stati contrari alla creazione di registri pubblici dei beneficiari ultimi delle aziende e delle fiduciarie). Una evasione già denunciata dall’OCSE, l’organizzazione per la cooperazione economica, che proprio per contrastare le pratiche fiscali “aggressive” delle multinazionali e di alcune grandi aziende che operano su scala globale ha proposto un Action Plan on Base Erosion and Profit Shifting. Secondo l’OCSE, dal 2013 ad oggi, le multinazionali avrebbero sottratto al fisco circa 500 miliardi di euro.

Anche la Commissione europea pare conosca bene la problematica. Poche settimane fa, infatti, ha lanciato l’anti Tax Avoidance package, una serie di misure finalizzate a limitare questo modo di operare. Ad esempio, la norma comunitaria prevede l’obbligo per le multinazionali del web di rendere noti i profitti e le tasse pagate in ogni singolo stato. Un tentativo di imporre alle multinazionali di pagare le tasse dove sono dovute.

Per i governi europei, il danno derivante dalle pratiche fiscali al limite della legalità adottate dalle multinazionali ammonterebbe a circa 50-70 miliardi all’anno. “Fondi che potrebbe essere destinati a costruire scuole, ospedali, abitazioni per i senza fissa dimora”, ha osservato il Commissario agli Affari economici Pierre Moscovici.

Ma la cosa più assurda e che anche quando questa forma di evasione viene contestata, quasi sempre, le multinazionali, tra patteggiamenti e sconti di pena, riescono a pagare meno del dovuto: spesso alle multinazionali viene concesso di applicare il tax ruling, ovvero la possibilità di stipulare accordi particolari per pagare solo una parte del totale delle tasse che avrebbero dovuto pagare. Ad esempio, a dicembre scorso, molti giornali hanno lodato l’operato dell’Agenzia delle Entrate italiana e del governo (che se ne vantò largamente) che ha ottenuto dalla Apple il pagamento di 318 milioni di imposte arretrate. Nessuno ha fatto notare che la maxi-evasione da parte della multinazionale informatica ammontava, in realtà, ad una cifra ben maggiore: circa 900 milioni di euro.

Uno strumento che non piace all’Antitrust della Commissione europea, ma che evidentemente fa comodo a molti. A cominciare da alcuni paesi. L’Italia, ad esempio, ha stipulato accordi fiscali specifici con paesi in cui, stranamente, operano alcune multinazionali nazionali (come Eni). E c’è anche chi dice che questi trattati siano stati scritti in modo da favorire specificamente alcune aziende.

E mentre sui giornali (e sui social network) si lanciano slogan tipo “Sono finiti i tempi dei furbi” (Renzi, novembre 2014), si cerca in tutti i modi di evitare che le multinazionali trasferiscano all’estero le proprie attività consentendo loro di pagare meno tasse. Ad esempio, concedendo “patent box”, accordi riservati alle grandi aziende che prevedono una riduzione delle tasse sui proventi per i titolari di brevetti. Una misura presentata come strumento per attrarre gli investimenti, ma che, secondo alcuni, potrebbe violare le regole comunitarie.

La verità è che oggi, in tutto il mondo, le multinazionali hanno raggiunto un tale potere da riuscire a non sottostare più al controllo fiscale dei singoli paesi. Proprio quello che molto probabilmente verrà ratificato con il TTIP.

di C.Alessandro Mauceri per Scenarieconomici.it

“Lazzaro di nuovo in manette, la notizia non ci stupisce per niente. Esposito e Ferrentino prenderanno le distanze da lui?”

18  febbr 16

Frediani (m5s): 

http://www.m5sp.it/comunicatistampa/2016/02/tav-frediani-m5s-lazzaro-di-nuovo-in-manette-la-notizia-non-ci-stupisce-per-niente-esposito-e-ferrentino-prenderanno-le-distanze-da-lui/

Finisce in manette Lazzaro, l’imprenditore simbolo dei Sì TAV, nonché amico del Senatore Stefano Esposito e del Consigliere regionale Antonio Ferrentino, entrambi PD.

La solita accoppiata Esposito – Ferrentino, quando Lazzaro denunciò improbabili aggressioni da parte di fantomatici No TAV, si era subito mobilitata per dimostrargli la propria solidarietà. Inoltre sempre Esposito, solo nel settembre scorso, affermava: “Ferdinando Lazzaro è una figura da me straconosciuta, strafrequentata e strasentita”.

Ci domandiamo se, almeno questa volta, prenderanno le distanze una volta per tutte da questo oscuro personaggio oppure continueranno a far finta di niente?

Fin dall’inizio abbiamo nutrito forti dubbi sull’imprenditore in questione, dunque la notizia del suo secondo arresto nel giro di pochi mesi non ci stupisce più di tanto.

Ricordiamo inoltre come Lazzaro, secondo gli atti del processo San Michele, si impegnasse a richiedere l’autorizzazione in Prefettura per il transito dei camion di Toro (imputato per concorso esterno in associazione mafiosa) nel cantiere di Chiomonte. Lo stesso Toro, successivamente, ha asfaltato le strade del cantiere destinate ad ospitare i mezzi della Polizia.

BANCAROTTA DA 5 MILIONI, ARRESTATO L’IMPRENDITORE DI SUSA FERDINANDO LAZZARO

http://www.valsusaoggi.it/bancarotta-da-5-milioni-arrestato-limprenditore-di-susa-lazzaro/

ValsusaOggi

Giornale online indipendente – Diretto da Fabio Tanzilli – redazione@valsusaoggi.it

     02/18/2016    

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In data odierna, militari del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Torino, hanno eseguito due ordinanze per l’applicazione di misure cautelari in carcere per il reato di bancarotta fraudolenta e diverse perquisizioni sul territorio della Provincia di Torino disposte dal Giudice per le Indagini preliminari del Tribunale di Torino, su richiesta della Procura della Repubblica di Torino.

I destinatari delle misure sono il noto imprenditore valsusino Ferdinando Lazzaro ed un suo familiare e stretto collaboratore.

Le indagini eseguite dalla Guardia di Finanza di Susa a seguito del fallimento della ITALCOGE spa, hanno evidenziato le responsabilità dell’imprenditore quale amministratore di fatto.

Le indagini, protrattesi alcuni anni a causa dei complessi fatti gestionali esaminati che hanno richiesto anche l’intervento di consulenti esperti nello specifico settore, hanno consentito di appurare una serie di condotte criminose che hanno portato al dissesto ed al conseguente fallimento della ITALCOGE spa (dichiarata fallita con sentenza del Tribunale di Torino nel 2011).

Le investigazioni hanno fatto emergere che, attorno alla citata società capogruppo, ruotava una serie di società, anche operative, costituite per vari scopi ma tutte finalizzate a sottrarne risorse.

E’ emerso che i destinatari delle misure cautelari, hanno effettuato numerosi prelievi contanti per complessivi 2.262.000 euro, tra il 2007 ed il 2011, dai conti correnti sociali per scopi prettamente personali e spesso ricreativi.

In diverse occasioni si è riscontrato come il denaro sia stato “utilizzato” presso il casinò di Saint-Vincent o per il pagamento di spese effettuate in località di villeggiatura o comunque a favore dei membri del nucleo familiare e a discapito dei creditori, fornitori e dipendenti.

Oltre ai prelevamenti in contanti, sono stati accertati trasferimenti vari di denaro che venivano mascherati attraverso l’intenzionale e lucida manipolazione di bilanci e scritture contabili, che hanno permesso di distrarre, occultare, dissimulare, distruggere e dissipare beni, crediti e somme di denaro per un totale di quattro milioni e 892 mila euro.

L’imprenditore valsusino, nel corso dell’anno 2014, era già stato arrestato per una falsa fideiussione, finalizzata alla costituzione di una nuova società familiare, la ITALCOSTRUZIONI, che doveva sostituire la ITALCOGE nei lavori di costruzione del cantiere TAV della Torino-Lione a Chiomonte.

L’attività di servizio in rassegna si inserisce nell’azione svolta dalla Procura della Repubblica e dalla Guardia di Finanza di Torino a tutela del rispetto e della corretta applicazione delle regole in campo economico e finanziario e rinvigorisce il controllo economico del territorio