Il delirio di George Soros … e i veri nemici dell’Europa

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ISIS? NO PUTIN
In un recente editoriale sul Guardian (lo storico quotidiano britannico della sinistra laburista) George Soros, lo speculatore “illuminato”, è tornato a parlare di politica estera; ma, vuoi per l’età ormai avanzata, vuoi per il delirio di onnipotenza tipico di chi è abituato a manipolare impunemente verità e denaro, stavolta sembra aver superato la soglia del ridicolo.
 
Secondo Soros, la minaccia per l’Europa è Putin, non l’Isis.
E quale sarebbe la ragione di un’affermazione tanto azzardata? Semplice, Putin starebbe orchestrando la distruzione dell’Europa attraverso la crisi dei migranti. Siccome “l’obiettivo di Putin è la disintegrazione dell’Unione Europea –scrive Soros- il modo migliore per realizzarla è quello di inondare l’Europa di profughi siriani”.
I russi, in Siria, ci starebbero per bombardare la popolazione civile così da costringere milioni di disperati a fuggire e invadere il nostro continente.
Quindi l’esodo biblico d’immigrati che sta mettendo a rischio la tenuta sociale ed economica dell’Europa e il suo futuro, sarebbe opera di Putin. I barconi che attraversano il Mediterraneo, i milioni di profughi islamici (di cui più della metà non sono profughi) che premono ai nostri confini, il rischio di trasformarci in Eurabia, tutto questo sarebbe un complotto russo finalizzato a far implodere l’Unione Europea.
 
INCONGRUENZE
Che l’emergenza profughi sia iniziata molto prima dell’intervento russo in Siria, è una constatazione che non sembra scalfire le certezze di Soros. Così come nelle sue considerazioni, non vi è alcun cenno alle  “guerre umanitarie” che l’Occidente ha condotto in questi anni, destabilizzando l’intera area che va dal nord Africa, al Medio Oriente.
Non rappresenta un elemento di valutazione neppure il fallimento della “Primavera araba” e il disastro libico (altro capolavoro occidentale) che hanno aperto la porta al dilagare dell’integralismo islamico nel Mediterraneo; né il fatto che l’Isis sia un prodotto di laboratorio delle centrali d’intelligence americane e saudite, creato apposta per distruggere la Siria e costruire una entità salafita sul Mediterraneo come ultimo tassello di un effetto domino che avrebbe dovuto portare alla rimozione di tutti i governi dell’area ostili al potere dei regnanti del Golfo.
 
Ma al di là delle incongruenze storiche, perché la Russia dovrebbe cercare di distruggere l’Europa col rischio di ampliare la minaccia islamica non solo in Asia centrale ma anche ai suoi confini occidentali? Per Soros la risposta è semplice: siccome la Russia sta per finire in default (altra vecchia ossessione del finanziere), “il modo più efficace con cui il regime di Putin può evitare il collasso è causare prima il crollo dell’Unione Europea. Una UE a pezzi non sarà in grado di mantenere le sanzioni inflitte alla Russia dopo la sua incursione in Ucraina”.
 
Ecco che nello schemino semplice di Soros, tutto viene riportato al suo maggiore interesse: l’Ucraina e il governo fantoccio di Kiev ennesimo prodotto delle rivoluzioni democratiche costruite a tavolino nei think tank d’oltreoceano e nei consigli d’amministrazione delle banche d’affari e dei fondi d’investimento degli amici di Soros che poi lui fa nominare ministri anche se sono cittadini stranieri (le collusioni scandalose tra Soros e il governo ucraino le abbiamo rivelate in questo articolo del Luglio scorso).
 
Questa mescolanza tra delirio e ossessione, tra interessi e manipolazione della verità attraverso i media di sistema, porta Soros a negare persino l’evidenza: e cioè che l’Isis ha fermato la sua avanzata solo dopo che la Russia è entrata in campo.
 
UN AVVERTIMENTO ALL’EUROPA
Quello di Soros è in realtà un avvertimento agli europei: “lasciate perdere l’Isis che tanto l’abbiamo creato noi e quindi lo distruggiamo quando non ci servirà più. Voi occupatevi della Russia, e non sognatevi di decidere liberamente quali sono i vostri interessi strategici”.
 
L’articolo di Soros non va relegato nel capitolo “disturbi senili” perché è lo specchio di cosa passa nella testa dell’élite tecnocratica che domina l’Occidente, la cui folle ideologia mischiata ad un’aggressività senza scrupoli, ci sta spingendo verso la guerra globale.
Questa élite che è finanziaria e tecno-militare, contamina i governi occidentali, controlla la Nato, domina Wall Street e condiziona l’informazione globale; ha bisogno di allargare la propria sfera d’influenza nella ricerca compulsiva di dominio.
 
PERCHÈ L’EUROPA MUORE
A differenza di ciò che dice Soros, l’Europa sta morendo non per colpa di Putin ma a causa della perdita di sovranità (monetaria, democratica e militare) che sta distruggendo le economie, la coesione sociale e l’identità delle nostre nazioni. Passo dopo passo gli spazi di libertà si stanno chiudendo ed una élite di tecnocrati senza volto, alchimisti della moneta, burocrati e politici scodinzolanti sta prendendo il potere sulle nostre vite e sul nostro destino.
Sono questi i veri nemici dell’Europa.

Bene fa il governo Tsipras ad ordinare le cariche e far picchiare i manifestanti, son tutti “fascisti”

cosa non si fa per giustificare l’operato dei picchiatori per conto del governo, se questo è il governo di Tsipras. A parte che lo stemma è sul cappellino di una ragazza, dettagli, per criminalizzare la protesta va bene tutto, se non fossero tanto impegnati a difendere il traditore Tsipras si sarebbero accorti che le proteste in Grecia coinvolgono non solo agricoltori e che in piazza ci sono militanti di sinistra quanto di destra.
Quando la polizia carica i manifestanti di sinistra scrivono in altro modo però. Ovviamente non accade con un governo amico dato che quando vi è questi insediato NESSUNO MANIFESTA
 
 
‪#‎Grecia‬ Si chiama Panayotis Plassaràs “l’indignato agricoltore” che sabato scorso ad Atene insieme ad altri manifestanti ha sfasciato a colpi di bastone una volante della polizia. Ripreso dalle telecamere è stato identificato e a suo carico è stata aperta un’istruttoria. Secondo un servizio pubblicato dall’Ethnos di domenica scorsa, Plassaràs era uno dei “bravi” dell’ex deputato di Alba Dorata, Stathis Bukuras (uno dei membri di Alba Dorata processati per organizzazione criminale e partecipazione ad aggressioni razziste ai danni di immigrati). Intervistato dall’Ethnos ammette di aver preso parte a comizi e manifestazioni organizzate dall’ex deputato. Nega di essere membro di Alba Dorata di cui si dichiara semplice elettore. La sua affermazione però è smentita dalla fotografia pubblicata da VICE che lo ritrae pochi giorni fa (il 30 gennaio 2016) nella piccolissima isola di Imia durante la manifestazione di Alba Dorata a cui hanno preso parte rappresentanze di organizzazioni nazifasciste da tutto il mondo. Fra i partecipanti c’erano anche 50 neonazisti tedeschi che durante la loro permanenza in Grecia hanno reso onore ai soldati tedeschi sepolti al cimitero di Dionisos e hanno issato sull’Acropoli la bandiera del Reich.
traduzione da pagina fb Sosteniamo Syriza
foto cappellino

Il provvedimento sui pignoramenti saltato nella notte di Palazzo Chigi

La Ue dei popoli vuole pignoramenti più rapidi, mica per favorire le banche poverine che soffrono tanto. A quando l’esproprio coatto di ogni avere di ogni cittadino per accreditarlo alle banche?
Si vanifica l’effetto della «bad bank»
 
La norma che avrebbe accelerato il recupero dei crediti era stata annunciata più volte da Renzi e da Padoan. Doveva servire a far crescere il valore dei crediti deteriorati in pancia alle banche. Ma è sparita dalle misure prese al Consiglio dei ministri
 
Ne avevano tanto parlato. Lo aveva fatto Matteo Renzi in conferenza stampa da Palazzo Chigi poco dopo la metà del mese scorso: «Il modo migliore per ridurre le sofferenze delle banche — aveva detto il premier — è in primo luogo far ripartire l’economia, secondo accelerare le procedure di recupero dei crediti, che è un tema oggetto della nostra attenzione». Era tornato sull’argomento, poco dopo, anche Pier Carlo Padoan. Da Davos, alla fine di gennaio, il ministro dell’Economia aveva spiegato che il governo mirava ad alleviare i problemi delle banche «accelerando le procedure di recupero dei crediti». Prima che le università anglosassoni sterilizzassero il lessico economico, si chiamavano pignoramenti. E in ogni Paese le loro regole sono sempre il frutto di un arbitraggio puramente politico, al quale l’Italia sembra per ora aver rinunciato. Come funzionino molti pignoramenti, o il recupero dei crediti, non è un segreto.
 
Un debitore non riesce a far fronte ai propri impegni quindi la banca gli sottrae la casa, la terra o l’azienda per vendere tutto all’incanto. Quanto a questo, le regole di contabilità degli istituti oggi fissano equazioni precise: più brevi e certi sono i tempi per poter prendere legalmente possesso delle proprietà poste a copertura di un debito in default, più quel credito avrà valore nel bilancio della banca, o più alto sarà il suo prezzo nel momento in cui la banca stessa lo cede a un nuovo operatore. Succede il contrario quando la presa di possesso di un immobile è lenta e circondata dall’incertezza sull’esito finale delle procedure: il valore del credito nel bilancio della banca si deprezza, le perdite su ciascun prestito inesigibile aumentano, quindi l’erosione di capitale si aggrava e probabilmente in futuro l’istituto sarà in grado di concedere meno credito – e più caro – alla prossima impresa o alla prossima famiglia.
 
Per questo, dietro la tecnica, c’è sempre un dosaggio che spetta alla politica. Quando quasi un euro di prestito bancario ogni cinque è in un qualche grado di insolvenza, come attualmente in Italia, un governo deve scegliere suo malgrado chi privilegiare: i debitori insolventi che vogliono mantenere la loro proprietà il più a lungo possibile, oppure i creditori che cercano di prenderne possesso nei tribunali per poi venderla e recuperare almeno parte del prestito. Nel primo caso vincono gli interessi delle famiglie e delle imprese oggi in difficoltà. Nel secondo prevalgono le banche, ma anche gli interessi delle famiglie e delle imprese che chiederanno credito da domani in poi.
 
A giudicare dalle dichiarazioni del premier e del ministro dell’Economia, il governo sembrava aver scelto: rispetto alla situazione attuale, avrebbe spostato la lancetta un po’ più di prima dal lato dei creditori. Avrebbe accelerato le procedure giudiziarie di recupero, oggi così inefficienti che risultano fra le più incerte e lente d’Europa con una durata media di oltre sette anni.
 
Salvo che poi non è successo. Nel Consiglio dei ministri di una settimana fa che doveva decidere, il provvedimento è sicuramente entrato. Non ne è mai uscito, almeno non per ora. Secondo alcune ricostruzioni, a tarda sera sarebbe caduto senza troppe discussioni dal pacchetto delle misure sulle banche.
 
L’effetto immediato è che per adesso il sistema del credito non potrà contare su questa misura di sostegno che, probabilmente, sarebbe stata più efficace dell’ingranaggio della «bad bank» negoziato per un anno a Bruxelles fra polemiche crescenti. Non è difficile capire perché: gli operatori specializzati sono restii a comprare un credito da una banca italiana, perché sanno che in media occorrono sette o otto anni per recuperare una proprietà posta in garanzia. Si spiega così lo scarto di circa il 20% tra il valore di quei prestiti nei libri degli istituti e il prezzo che gli investitori sono pronti a riconoscere. Vendere un credito con i tempi della giustizia civile più lenti d’Europa (il doppio del secondo Paese più lento, la Slovenia) obbliga le banche a praticare sconti. Erode molto il capitale degli istituti e il loro sostegno ai nuovi investimenti, ora che in Italia i crediti deteriorati lordi sfiorano i 360 miliardi di euro.
 
Più delle stesse garanzie statali sui prestiti, previste dall’accordo con la commissaria Ue Margrethe Vestager, quel provedimento avrebbe mitigato questi problemi. Paolo Carrière, dello studio legale Cba, osserva che il governo ha varato altre riforme utili: un mercato nazionale unico per la vendita dei beni pignorati, procedure più omogenee per diversi tipi di debitori.
 
Ma perché Renzi abbia scelto di non accelerare per ora sui tempi della giustizia, dopo averlo annunciato tante volte, resta poco chiaro. Di certo l’intervento avrebbe sfavorito la vasta platea dei creditori oggi in difficoltà nel Paese. Magari, turbando anche la navigazione (troppo) tranquilla di tanti tribunali d’Italia.
 
17 febbraio 2016 (modifica il 18 febbraio 2016 | 00:05)