Occhetto è furioso: “Senza il vitalizio di cosa vivrebbero i miei figli?”

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SCRITTO DA: REDAZIONE NOTIZIE.IT

Achille Occhetto difende il vitalizio da 5mila euro al mese: “Mantengo moglie e due figli disoccupati”

Achille Occhetto, intervistato da Libero, difende i suoi 5860 euro netti che riceve mensilmente da quando, nel 2006, ha lasciato il Parlamento. Cifra pari a un totale di circa 33 mila euro percepiti a fronte dei 371,736 versati con una differenza di 261.201 euro.

In ogni caso non intendo fare dichiarazioni su questo». Al primo tentativo Achille Occhetto ci liquida in pochi secondi. No, non ha niente da dire sul vitalizio che riceve grazie al fatto di essere stato parlamentare dal 1976 al 2006: 5.860 euro netti al mese. Per un totale di 632.937 euro già percepiti contro i 371.736 versati, con una differenza, finora, di 261.201 euro. Tanto meno intende parlare del vitalizio della moglie, Aureliana Alberici, 3.791 euro al mese, che ha accumulato una differenza, tra contributi versati e percepiti, di 455.757 euro. 

Poi, cortesemente – va riconosciuto – ci richiama. Occhetto non ha bisogno di presentazioni: è il segretario della svolta, quello che traghettò il Pci al Pds e nel ’94, candidato dei Progressisti, perse con Silvio Berlusconi. Dopo l’avventura con Di Pietro, è sparito dalla scena politica. Sparito lui, ma non – così vuole la legge – il vitalizio che riceve. Gli facciamo un sunto dell’inchiesta e delle perplessità sul regime di cui, del tutto legittimamente, gode. «E cosa dovrei fare? Sono anche pronto a restituirli, ma vi assumete voi la responsabilità del fatto che finirei in povertà». 
Addirittura? 
«Il mio assegno è di 5mila euro. Ma è la mia unica fonte di reddito. Con questo mantengo anche i miei due figli che sono disoccupati, perché non ho mai approfittato del mio ruolo per trovare loro un posto». 
Però ammetterà che è un sistema sbagliato. Su questo siamo d’accordo?
«Può essere. Ma non è colpa di chi ne usufruisce. La cambiassero per i nuovi». 
Per i nuovi parlamentari è già cambiato. Il problema sono gli ex. La differenza tra versato e percepito è scandalosa. 
«Se le regole fossero state diverse, avrei accantonato dei soldi e mi sarei fatto un’altra pensione. E poi che è discorso è? Andando avanti, la differenza aumenterà. Dovrei morire così siete contenti?». 
E i pensionati con assegni da fame, come fanno? 
«Guardate il mio reddito. Non ho altre entrate. Se mi fosse tolto il vitalizio, di cosa vivrei? E di cosa vivrebbe la mia famiglia?». 
Non si parla di toglierlo, ma almeno di ridurlo. 
«Ma bisogna dirlo prima, così ci si attrezza in altro modo». 
È d’accordo, però, che questo sistema è sbagliato? 
«Questa legge aveva una sua ratio. Non sono pensioni, ma vitalizi. Permetteva ai parlamentari di fare politica senza rubare, senza arricchirsi. Io l’ho usata con questa ratio. Controllate la mia dichiarazione dei redditi. Non sono ricco». 
Si può far politica e poi, quando si smette, fare altro per mantenersi.
«Ma bisogna dirlo prima. Per questo la Costituzione vieta di rendere retroattive le norme. Io adesso come farei? Quei soldi mi servono per vivere e mantenere i miei familiari. Piuttosto, andate a controllare chi si è arricchito ingiustamente».
La vostra famiglia, però, può contare su due vitalizi, il suo e quello di sua moglie. 
«In una famiglia ci sono tante spese e tante situazioni che non potete conoscere. Per cosa volete mettermi alla gogna? È tutto secondo la legge. Comunque, scriva: se si decide di togliere il vitalizio, sia io, sia mia moglie ci conformeremo a questa decisione».

Droga, arrestati quattro carabinieri e cinque loro confidenti

http://roma.corriere.it/notizie/cronaca/16_febbraio_10/droga-arrestati-quattro-carabinieri-cinque-loro-confidenti-e7a27660-cfe7-11e5-b46f-b6e34893b4a5.shtml

Sottufficiali in servizio al nucleo investigativo di via In Selci a Roma. I reati vanno dall’associazione a delinquere finalizzata allo spaccio di stupefacenti al peculato. Il procuratore aggiunto: «Trasparenza è indispensabile contro la criminalità»

di Rinaldo Frignani e Ilaria Sacchettoni

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I carabinieri del comando provinciale hanno arrestato stamani quattro loro colleghi per reati che vanno dall’associazione a delinquere finalizzata allo spaccio di stupefacenti al peculato. Antonio De Cristofare, Massimiliano Marrone, Claudio Saltarelli, Brunello Sepe, questi i nomi dei quattro militari indagati insieme con cinque complici confidenti. Nel corso delle perquisizioni gli investigatori avrebbero trovato anche materiale utile allo spaccio.

Prestipino: «Risultato importante»

«La Dda di Roma è grata ai carabinieri che hanno eseguito l’arresto per la loro professionalità nello svolgere indagini così delicate che hanno permesso di conseguire un risultato importante. La trasparenza è indispensabile per una efficace azione di contrasto alla criminalità» ha detto Michele Prestipino procuratore aggiunto della Dda. Secondo le prime indiscrezioni, i carabinieri, facevano affari insieme con i confidenti su dosi di droga sequestrate che poi, però, non venivano fatte figurare. I guadagni conseguenza del traffico, erano poi spartiti nel gruppo.

Le indagini

Dopo l’inizio delle indagini i quattro militari dell’Arma sono stati destinati subito a una struttura logistica in attesa dell’esito degli accertamenti sul loro conto. «Gli approfondimenti investigativi — spiegano dal comando provinciale — sono stati affidati alla più prestigiosa unità investigativa della Capitale, capace di neutralizzare gli insidiosi stratagemmi e le cautele attuate dai carabinieri indagati per non incorrere nel disvelamento delle loro azioni illecite». Secondo chi ha indagato «il rigore con cui sono stati svolti gli accertamenti investigativi, la cura, la solerzia istituzionale, sempre rivolta a tutelare la sicurezza dei cittadini hanno consentito di smascherare i loschi traffici tra i quattro militari e i loro cinque complici confidenti — raggiunti dal medesimo provvedimento cautelare in carcere — i quali si occupavano della custodia e della successiva commercializzazione dello stupefacente sottratto nel corso di sequestri antidroga».

10 febbraio 2016 | 12:28

“In fondo alla linea ferroviaria Torino-Alessandria c’è un pacco”.

Tino Balduzzi

E’ stata correttamente riportata una mia affermazione a proposito dello studio di Rfi riportato da Foietta sugli interventi riguardanti la linea ferroviaria Torino-Alessandria, ovvero che “si potrebbe evitare di spendere 30 milioni di euro per rifare i cavalcaferrovia utilizzando per queste merci i carri ribassati”.
Credo però che, per chiarezza, sia il caso di fare una precisazione. Doverosa, perché con quelle poche parole sembra che io indichi la necessità di fare una cosa nuova, ovvero una cosa che richiede tempi ed investimenti, quando in realtà dico di continuare a fare ciò che si sta già facendo, evitando di fare una cosa inutile, ovvero rifare il cavalcaferrovia di corso Savona ad Asti e poco altro, cioè una “piccola opera inutile” da 30 milioni che Rfi pare voglia realizzare con soldi pubblici (vedi http://intermodale24-rail.net/news/news.html#3001).
Questo perché i carri ribassati vengono già utilizzati quotidianamente in tutta Europa, Italia compresa, Torino-Alessandria compresa. E infatti non è difficile vedere, al passaggio di un treno merci, che vi sono carri il cui pianale è circa una spanna più basso degli altri: quelli sono i carri ribassati.
Per essere più precisi va detto che un carro normale ha un’altezza di 117,5cm dal piano dei binari (in realtà 115,5cm in gran parte dei casi). Su tale carro è possibile portare i normali container marittimi, alti 260cm, tenendo conto del fatto che l’altezza tipica delle gallerie italiane (misurata allo spigolo del container) è di 383,5cm o poco più (C22 nella astrusa classificazione degli addetti ai lavori). Il problema riguarda i container “high cube” che sono alti 290cm, per i quali vengono utilizzati carri più bassi, tipicamente alti 82,5cm o poco più. La Torino-Alessandria è una C32, ovvero ha un limite di 393,5cm, da qui la quotidianità dell’uso di carri ribassati per i container high cube, che comunque sono meno della metà del totale dei container marittimi.
Lo studio di Rfi riportato da Foietta appare sospetto perché in gran parte d’Italia, ad esempio in tutta la linea tirrenica (intera Liguria compresa) ed in tutta la linea appenninica a sud di Bologna l’altezza utile è C22. Non solo, il fatto che in tutta Italia ci siano ben 1500km di gallerie (il 10% del totale delle ferrovie italiane) fa capire che, se davvero si vogliono portare le merci in ferrovia, tra alzare gallerie e cavalcaferrovia oppure usare carri ribassati la scelta sia obbligata a favore dell’uso di carri ribassati.
In realtà dietro all’enormità dei 30 milioni previsti molto probabilmente ci sta l’idea di alzare la linea non solo all’altezza C45 necessaria a portare gli high cube su carri standard, ma a C80/P410 (una sigla astrusa che sta a significare quasi 4 metri e mezzo) in modo tale da poter caricare sui treni sia i semirimorchi, completi di ruote, che le motrici. E il caricare anche le motrici risolverebbe uno dei principali problemi della Torino-Lione, ovvero il fatto che il trasporto tra Aiton e Orbassano dura solo circa 5 ore, troppo poco.
Troppo poco perché per usare la Torino-Lione non solo per il trasporto “non accompagnato” di semirimorchi (già di per sé uno spreco da bocciare), ma anche come “autostrada viaggiante” per il trasporto “accompagnato”, serve un viaggio di almeno 9 ore come sotto il Sempione e sotto il Brennero. Perché 9 ore è il riposo minimo obbligatorio che va rispettato per permettere alle aziende di autotrasporto di utilizzare un solo autista per attraversare l’Europa garantendosi un alto fatturato con il minimo dei costi e la presenza di un proprio uomo in tutte le operazione di carico e scarico (quelle legali e quelle no, per capirsi).
Peccato che per allungare il tragitto originario si arriverebbe al trasporto di camion su treno in pianura per centinaia di chilometri. Ovvero una tara da almeno 15 tonnellate (motrice+semirimorchio+1t/posto cuccetta) al posto di max 5 tonnellate (container marittimo o stradale) per trasportare un carico che può anche avvicinarsi alle 30 tonnellate ma che spesso è di 10 tonnellate o anche meno. Il tutto, però, su un carro ferroviario che ad ogni carico aggiunge almeno altre 20 tonnellate di tara. Uno spreco tanto evidente da ribocciare per l’ennesima volta la Torino-Lione.
Va anche detto però che questa operazione può essere vista come un modo per mettere “le mani avanti” da parte degli autotrasportatori in caso di affossamento della Torino-Lione, perché, è bene ribadirlo, da metà 2012 i normali camion alti 4 metri viaggiano già quotidianamente (5 treni al giorno) sotto la linea storica del Fréjus grazie ai carri Modalohr che caricano a poco più di 20cm dai binari.
Sul merito è bene dire che quell’investimento da 30 milioni percorre un vicolo cieco, perché nonostante le risorse profuse dalla lobby degli autotrasportatori in un Nord Europa privo di gallerie, il trasporto di semirimorchi alti 4 metri, con o senza autista+motrice, non si schioda da percentuali minime, perché costa caro e conviene solo a qualcuno, mentre il grosso, composto dai contenitori, è compatibile con tutte le gallerie.
Questa è l’ennesima prova del fatto che in Europa, e a quanto pare anche presso Rfi, contano le lobbies e non i cittadini, a partire dai pendolari.
Ma in Europa e in Italia nemmeno il buon senso conta, e lo spettacolare sfoggio di stupidità di treni che in pianura portano sistematicamente più tara che merce per centinaia di chilometri è un ulteriore esempio.

“Governi e Aziende saranno in grado di evitare gli errori delle grandi opere del passato?”

2 genn 2016 The Globe and Mail :

“VIA I  MEGAPROGETTI ! ARRIVANO  I TERAPROGETTI

E’ iniziata l’era dei terascandali

Doug Saunders

http://www.presidioeuropa.net/blog/move-megaprojects-teraprojects/ 

(http://www.theglobeandmail.com/opinion/move-over-megaprojects-here-come-the-teraprojects/article27973165/)  

L’epoca dei progetti governativi giganteschi ci domina. Mai nella storia dell’umanità sono stati impegnati così tanti soldi da così tanti  governi per costruire così tante cose gigantesche.

La domanda per il 2016 è :“GOVERNI E AZIENDE SARANNO IN GRADO DI EVITARE GLI ERRORI DELLE GRANDI OPERE DEL PASSATO?”

Si stima che gli investimenti previsti per le infrastrutture creeranno “il più grande boom degli investimenti nella storia umana”, lo afferma Bent Flyvbjerg (*), professore di Economia e commercio all’università di Oxford che valuta che l’otto per cento di tutte le spese governative, ovvero una cifra stimata tra  6.000 e  9.000 miliardi di US$ a livello planetario, sono destinate a megaprogetti. “Se consideriamo come progetti i provvedimenti per stimolare l’economia lanciati da Stati Uniti, Europa e Cina” scrive, insieme alle previsioni di spesa per il clima e la difesa, “… allora possiamo parlare in termini di progetti da migliaia di miliardi e quindi di ‘teraprogetti.’… Progetti di questa misura possono essere paragonati con il PIL delle prime venti nazioni nel mondo, simile in grandezza alle economie, per esempio, dell’Australia o del Canada.”

Per un po’ di tempo i megaprogetti sono stati fuori moda. Nei vent’anni precedenti la crisi economica del 2008 molti governi si sono allontanati da enormi infrastrutture ferroviarie, elettriche o di urbanizzazione e hanno generalmente favorito  iniziative locali: basta con le torri CN [torre a Toronto per le telecomunicazioni  alta più di 500 metri, N.d.T.) e le ferrovie ad alta velocità.

Gli aiuti dei paesi occidentali al terzo mondo si sono spostati da dighe e super-autostrade focalizzandosi nello scavo dei pozzi, nella distribuzione di reti anti-zanzara e vaccinando bambini – iniziative localizzate che evitano la corruzione, le spese eccessive e i risultati economici ambigui dei grandi progetti, ma anche evitando di affrontare le serie carenze infrastrutturali, come la dipendenza asiatica dal carbone o la mancanza di adeguate autostrade per trasportare merci in Africa.

Due grandi decisioni alla fine del 2015 garantiscono che i progetti molto costosi torneranno per davvero. A novembre il G20 ha concordato ad Antalya, Turchia, di espandere l’impegno per ripristinare la crescita economica prevedendo migliaia di miliardi nelle infrastrutture – un impegno che include la promessa del governo canadese di raddoppiare le spese sulle infrastrutture a 125 miliardi di CDN$ entro i prossimi 10 anni.

Poi a dicembre 2015, al COP21 sul cambiamento climatico a Parigi, 195 Paesi hanno promesso investimenti per l’efficienza energetica, la protezione contro i cambiamenti climatici e per sviluppare tecnologie che riducano  le emissioni di Co2,  per un totale di 13.500 miliardi di US$. Un’analisi dal Gruppo di Ricerca dei G2o che ha sede a  Toronto, intitolato “Mobilitare  Fondi per il Clima”, stima che mantenere il riscaldamento globale entro il limite di due gradi fissato dall’ONU richiederà finanziamenti per infrastrutture nei paesi sviluppati di 3.000 miliardi di US$ all’anno nei prossimi dieci anni.

Il Summit di Parigi non si è minimamente avvicinato a impegni del genere, necessari per fermare la tendenza del riscaldamento globale. Ha invece creato un punto di partenza sul quale i Paesi del mondo si sono accordati sul principio che per evitare la catastrofe climatica è indispensabile l’investimento di grandi capitali privati e pubblici in progetti coordinati diminuire le emissioni di CO2 e proteggere le città e i terreni agricoli dai danni provocati dal cambiamenti climatici.

E gli impegni assunti a Parigi includono un espansione del Fondo per il clima verde, indirizzato a sostenere economicamente la protezione del clima e i progetti energetici verdi nei Paesi in via di sviluppo, con un impegno di 10 miliardi di US$ per il 2015 (inclusi 300 milioni di US$ dal Canada), ma si prevede che si raccoglieranno 100 miliardi di US$ all’anno entro il 2020. Non salveremo l’atmosfera riducendo le nostre ambizioni o abbandonando l’industria (come preferirebbe un ramo del movimento ambientalista) ma costruendo ancora più in grande: i grandi progetti ci hanno messo nei guai e si spera che ci toglieranno da lì.

Il problema, nell’Epoca dei teraprogetti è che i governi non sono in grado di gestire nemmeno progetti da pochi miliardi di dollari. I mega progetti infrastrutturali hanno il costante primato di superare il preventivo iniziale, sono terminati generalmente in ritardo, spesso con la presenza della corruzione, sia per i governi che promuovono i progetti, sia per le grandi imprese d’ingegneria che li realizzano. I progetti ambientali hanno un record ancora peggiore: una dei pochi esempi di difesa contro l’innalzamento dei mari, il Progetto MOSE a Venezia, sarà terminato con vent’anni di ritardo e con un costo supplementare di 2 miliardi di US$.

Come nota il Dr. Flyvbjerg, la gestione dei megaprogetti non è migliorata durante i 70 anni presi in considerazione, e ciò dipende dal  “modello demolisci – ripara”:  promuovi fino ad una crisi, poi spendi ancora di più per salvare il progetto. Dice che modelli migliori stanno emergendo, ma pochi li conoscono.

Per quanto il mondo possa anche avere bisogno di questi bebè da migliaia di miliardi di dollari, prepariamoci all’epoca dei terascandali.

(*) http://www.sbs.ox.ac.uk/community/people/bent-flyvbjerg

Bent Flyvbjerg explains ‪megaprojects to The New Yorker: http://nyr.kr/1aIAd8X

<!–[if !vml]–>http://www.cambridge.org/er/academic/subjects/sociology/political-sociology/megaprojects-and-risk-anatomy-ambition

https://en.wikipedia.org/wiki/Megaprojects_and_Risk

 https://en.wikipedia.org/wiki/Bent_Flyvbjerg

Olimpiadi 10 anni dopo in Val Susa, altrochè celebrazioni!

….Per capire cosa è rimasto dieci anni dopo non si può che partire da qui, Cesana, la «Coverciano della neve», si diceva nel 2000.

Con le piste da discesa, la pista da bob e l’anello di fondo costruito per il Biathlon a Sansicario, era destinata a diventare un centro tecnico degli sport invernali come la cittadella toscana che ospita il quartiere generale del calcio. Oggi, il Biathlon sta per essere smantellato (costruiranno campi da tennis) e la pista da bob è una lastra di cemento disertata pure dai ladri: si sono già portati via tutto.  

«Se penso che mi sono fatto convincere, mi viene il magone».

A Roberto Serra, sindaco di Cesana dal 1999 al 2009, è toccato convincere una popolazione riottosa ad accettare la madre di tutte le sciagure olimpiche: la pista da bob. Avrebbero dovuto costruirla dieci chilometri più in là, a Beaulard, ma il terreno era franoso.

Allora avevano optato per Jouvenceaux, sotto Sauze d’Oulx, ben sapendo (ma dimenticandosi) che la montagna custodiva amianto.

C’era un impianto già pronto a un’ora d’auto, a La Plagne, in Francia: ma il ministro degli Esteri Frattini e il sottosegretario Pescante si impuntarono. La scelta cadde su Cesana: non c’era più tempo, più che una decisione fu un’imposizione. «Salirono tutti qui per rassicuraci: Frattini, Pescante, Ghigo, Chiamparino, perfino Alberto di Monaco (era presidente della Federazione di bob slittino, ndr). Accettammo. Sbagliammo».  

La pista è uno dei pochi segni tangibili dell’Olimpiade in Valsusa.

L’hanno usata venti volte. Costruirla è costato 110 milioni. Mantenerla, quasi 2 all’anno. Si farà pagare anche per togliere il disturbo: l’ultimo investimento è una consulenza da 100 mila euro affidata al Politecnico.

Per la prima volta si contempla anche l’«opzione zero»: smantellare tutto; nel 2006 si stimò un costo di 16 milioni. Il Comune, dopo anni di tentativi andati a vuoto ha scritto l’epitaffio: basta spendere per il bob, a noi interessa lo sci. Non lo volevano 15 anni fa, figuriamoci adesso. 

A Pragelato, invece, i trampolini del salto furono una scelta voluta.

«Organizzammo undici riunioni aperte», ricorda Valter Marin, eletto sindaco nel 1999, cinque giorni prima che i Giochi venissero assegnati a Torino. Si potevano realizzare due trampolini provvisori e smontarli a gare finite, o scommettere su una nuova vocazione. A Pragelato esagerarono: volevano la Coverciano del salto, anzi, «le elementari, medie, superiori e anche l’università». Costruirono cinque trampolini: due per le gare olimpiche (l’università) e tre per i giovani atleti da svezzare. Costo: 35 milioni. Manderemo gli sciatori più scarsi ad allenarsi qui, pensavano; qualcuno diventerà un buon saltatore.  

I trampolini sono fermi dal 2008. Per rimetterli sesto ci vorrebbe un milione, che il Comune non ha. Non ha nemmeno le risorse per rivitalizzare la pista per il fondo (20 milioni per cablarla) e un anno di gare ufficiali. A Sauze d’Oulx è andata pure peggio: l’ultima gara è stata anche la prima, l’impianto del Freestyle (9 milioni spesi e sei giorni di attività) è stato smantellato nel 2012. … “

https://www.lastampa.it/2016/02/09/cronaca/la-montagna-sedotta-e-abbandonata-impianti-chiusi-avanza-il-degrado-lsJmdvUhWzdMpFTs95p8XK/pagina.html

9 febbr 16 Valsusa Oggi :

“Olimpiadi 2006: dieci anni dopo, in val Susa nessuno festeggia / A Sestriere, il braciere olimpico rovinato dall’incuria

di Fabio Tanzilli

Dieci anni fa in alta Val Susa ci sono state le Olimpiadi, il più importante evento sportivo mondiale, ma nessuno sembra accorgersene.

Domani ricorre il primo decennale dall’inizio dei Giochi di Torino 2006, che aldilà delle criticità – di cui tratteremo nei prossimi giorni – hanno comunque permesso al territorio montano di fare dei grossi passi in avanti in termini di rinnovamento dell’offerta sciistica.

Eppure da Bardonecchia a Sestriere, da Sauze d’Oulx a Cesana/Sansicario, non è in programma alcuna celebrazione dell’evento.

Niente di niente: neppure un concertino, una mostra, un incontro pubblico almeno con le scuole della Valle. Ma per il resto, tutti zitti, eppure di testimonial (dai campioni di ieri e di oggi, dai volontari ai protagonisti di quell’evento) ce ne sono in Val Susa.

I bracieri celebrativi restano tutti rigorosamente spenti. Anche al Colle del Sestriere, dove, anzi, quello in centro paese è pure danneggiato, e rovinato dall’incuria del tempo.…..”

http://www.valsusaoggi.it/olimpiadi-2006-dieci-anni-dopo-in-val-susa-nessuno-festeggia-a-sestriere-il-braciere-olimpico-rovinato-dallincuria/

Richiesta di audizione

Dal resoconto di Seduta 8a Commissione permanente: “È inoltre pervenuta una richiesta di audizione, sollecitata anche dal senatore Scibona, da parte dei sindaci dell’Unione montana Valle Susa in relazione al progetto della TAV Torino-Lione.”

Legislatura 17ª – 8ª Commissione permanente – Resoconto sommario n. 211 del 03/02/2016

http://tinyurl.com/resocontocomm8a

http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=SommComm&leg=17&id=964295