NoTav, sentenza d’appello: “Attacchi a cantiere Alta velocità? Non sono atti di terrorismo”

21 dicembre 2015 |

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E’ stata confermata in appello l’assoluzione dall’accusa di terrorismo, a Torino, mossa a quattro attivisti NoTav. Il processo si riferiva all’attacco del 14 maggio 2013, al cantiere dell’Alta velocità di Chiomonte, in Val di Susa. Già in primo grado l’accusa di eversioneera caduta, ma la sentenza di secondo grado ha comunque confermato le condanne a 3 anni e mezzo per altri reati. I quattro giovani, ora agli arresti domiciliari, sono usciti dall’aula bunker fra abbracci e applausi dei numerosi NoTav presenti. Durante l’udienza, ilprocuratore generale Marcello Maddalena aveva detto che “per le leggi vigenti, ilsabotaggio è terrorismo”, ma il tribunale ha deciso diversamente. “Per la quinta volta un’autorità giudiziaria ci ha dato ragione – spiega al termine dell’udienza l’avvocato della difesa Claudio Novaro – affermando che il terrorismo non c’entra con i fatti in questione. Speriamo che questa sentenza serva alla Procura per fare autocritica su come in questi anni è stata affrontata la questione Tav”  di Simone Bauducco

“Non fu terrorismo” e ora andatevene in pensione!

post — 21 dicembre 2015 at 20:47

compressore-di-statoNon è terrorismo, lo dice anche la corte d’appello che quest’oggi ha assolto Chiara, Claudio, Nicolò e Mattia per questo reato andando poi a confermare la condanna di 3 anni e 6 mesi del primo grado.
Un ko secco, a fronte del tentativo della Procura Torinese di convincere la giuria popolare, attraverso argomenti “suggestivi”, ad inquadrare le azioni di lotta al cantiere nell’alveo del terrorismo e non in un contesto di lotta e conflitto più generali.
Possiamo dire che c’è l’hanno messa tutta, partendo dai fatti universalmente riconosciuti come attacchi terroristici ( metropolitana di Londra tra gli altri) fino a rispolverare la storia di casa nostra, dalle Brigate Rosse ai Nar…
Ci ha provato anche oggi Il procuratore generale Maddalena nelle sue repliche, stimolando ulteriormente la sua memoria storica fino a citare la morte di Giangiacomo Feltrinelli durante un’azione di sabotaggio nel 1972 a Segrate.
Maddalena, Padalino e Rinaudo avevano la missione di far trionfare il teorema del pensionato Caselli, ma hanno fallito clamorosamente. Certo, magari faranno ricorso perché una battaglia personale la si porta avanti fino alla fine, ma nulla cambierà.
Noi possiamo dire però ciò che resta di questa brutta storia ed è l’immagine di una procura che si fa politica e decide di provare a fermare un movimento popolare come il nostro che fa paura ai poteri forti di questo paese.
Restano impressi i volti di questi personaggi in cerca di gloria che concedono interviste e trattano con disprezzo ed arroganza chiunque provi a mettersi sulla loro strada.
Resta la collusione e il silenzio imbarazzante di molti, della stampa in genere in primis, che non ha risparmiato spazi alla loro propaganda mentre ha volentieri taciuto le nostre ragioni e tentativi di difesa.
Quello che abbiamo fatto noi invece è stato lottare dal primo fino all’ultimo giorno, insieme agli imputati No Tav, raccontando fino allo sfinimento le nostre ragioni e la realtà di quel pezzo di montagna che stanno distruggendo con la militarizzazione e la violenza.
Ne avremo molte di cose da dire, ma ci riserviamo di farlo poco alla volta.
Ora invitiamo Maddalena ad andarsene finalmente in pensione, di organizzare col suo amico Caselli, che non crediamo gli porterà rancore, qualche torneo di scopone nei circoli chic che di sicuro già frequentano. Altri, accumunati dall’età e dagli stessi valori morali, ne troveranno a tenergli compagnia…
Che si lascino tutto alle spalle, dichiarando la sconfitta e il loro fallimento.
Non ci aspettiamo di sicuro che qualcuno li chiami a rispondere delle schifezze a loro attribuibili, ma almeno non vedremo più quotidianamente la loro faccia sui tg, né sentiremo pronunciare in maniera ossequiosa i loro nomi.
Quelli, oramai, rimarranno scritti in tutte le sentenze del processo per il compressore bruciato con a fianco la parola FALLITI.

“No Tav, quell’assalto non fu terrorismo”: la Corte d’appello di Torino conferma le quattro assoluzioni

http://torino.repubblica.it/cronaca/2015/12/21/news/_no_tav_quell_assalto_non_fu_terrorismo_la_corte_d_appello_di_torino_conferma_le_quattro_condanne-129931329/

Respinta la tesi del procuratore generale Marcello Maddalena che ancora stamattina, nel processo per l’attacco al cantiere del 2013, aveva equiparato sabotaggio e atti terroristici citando anche Giangiacomo Feltrinelli. Condanne confermate per gli altri reati

di OTTAVIA GIUSTETTI

21 dicembre 2015
"No Tav, quell'assalto non fu terrorismo": la Corte d'appello di Torino conferma le quattro assoluzioni
I No Tav nell’aula del processo 

Non fu terrorismo l’attacco al cantiere della Tav la notte del 14 maggio 2013. Lo conferma la Corte d’Assise d’appello di Torino che ha confermato oggi la condanna ai quattro imputati, Mattia Zanotti, Niccolò Blasi, Claudio Alberto e Chiara Zenobi per il blitz di Chiomonte a 3 anni e 6 mesi, assolvendoli ancora una volta dall’imputazione di terrorismo che la procura di Torino aveva contestato fin dal momento degli arresti.
“Il sabotaggio è considerato terrorismo dalla legge”: aveva ribadito stamattina il pg Marcello Maddalenanell’aula bunker di Torino alla ripresa del processo d’appello ai quattro anarchici per l’attacco del 14 maggio 2013 al cantiere Tav in Valle di Susa. In primo grado gli imputati erano stati assolti dall’ipotesi eversiva e condannati a tre anni mezzo per altri reati. Maddalena, nel suo intervento, ha rievocato la storia del “traliccio di Segrate dove trovò la morte Giangiacomo Feltrinelli”. “Nel 1979 – ha ricordato Maddalena – le Brigate Rosse lessero un comunicato, durante un processo, in cui spiegavano che ‘Osvaldo (cosi’- si riferirono a Feltrinelli – ndr) non è una vittima, ma un rivoluzionario caduto combattendo in una operazione di sabotaggio”.

Condannati in primo grado a 3 anni e 6 mesi per l’attacco al cantiere dell’alta velocità, erano stati giudicati colpevoli di reati come resistenza, detenzione di armi e violenza. La procura di Torino aveva contestato il terrorismo fin dall’inizio, e la procura generale ci è ritornata anche in appello affidando l’estremo compito al procuratore generale in persona, al suo ultimo processo prima della pensione. Ma i quattro imputati sono stati scagionati a più riprese dalla Cassazione (nelle impugnazioni delle misure cautelari) da questa accusa. “Non facciamo nessuna confusione tra responsabilità individuale e collettiva – ha aggiunto Maddalena – ed e’ giusto che gli imputati rispondano esclusivamente di quello che hanno commesso. Non si puo’ pero’ ignorare che sapessero benissimo il contesto in cui la loro azione sa inseriva e come la stessa fosse destinata a proiettarsi nel futuro. Gli imputati si riconoscono nelle tappe piu’ cruente della lotta contro la Tav e questo e’ un passaggio importante per poter valutare l’ entita’ della pena”.

Scontri nella notte a Chiomonte
il materiale sequestrato

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Alcuni degli oggetti sequestrati dalla polizia nei boschi di Chiomonte dopo il tentativo di assalto alle reti del cantiere della Tav da parte di alcuni attivisti del movimento
foto FRANCESCA LAI

“Siamo ovviamente soddisfatti dell’esito del processo. E ora ci auguriamo che la procura di Torino faccia autocritica sull’atteggiamento tenuto in questi anni sui No Tav”. Così l’avvocato Claudio Novaro, uno dei difensori dei quattro anarchici assolti dall’accusa di terrorismo. I quattro giovani, ora agli arresti domiciliari, sono usciti dall’aula bunker fra abbracci e applausi dei numerosi No Tav presenti. La corte ha disposto anche la restituzione del materiale ancora sotto sequestro, fra cui alcuni libri.

Non fu terrorismo. In Appello di nuovo bocciato il teorema Caselli-Maddalena + VIDEO Interviste ai legali

lunedì, dicembre 21, 2015
Non fu terrorismo. In Appello di nuovo bocciato il teorema Caselli-Maddalena + VIDEO Interviste ai legali

Anche la corte d’Assise d’Appello rigetta il teorema Caselli!

Oggi, poco prima delle 16, la sentenza del processo contro Chiara, Claudio, Mattia e Nicolò.
L’attacco notturno al cantiere che portò all’incendio di un compressore non è paragonabile ad un’azione terroristica. Viene così confermata la condanna di primo grado. Sabotaggio, non terrorismo, 3 anni e 6 mesi di reclusione, anzichè i 9 e mezzo richiesti dalla procura.

«Siamo soddisfatti, la corte ha recepito le nostre deduzioni e ha smontato il teorema accusatorio», ha commentato l’avvocato Claudio Novaro, uno dei legali dei quattro attivisti. «Ci auguriamo ora che questa sentenza serva alla procura per fare una autocritica su come in questi anni è stata affrontata la questione Tav: accuse dure, utilizzo pervicace della carcerazione preventiva, udienze militarizzate. Un atteggiamento aspro che speriamo ora cambi».

Il PG Maddalena dopo la lettura della sentenza è uscito dall’aula senza commentare. La sua ultima battaglia prima della pensione è stata persa.

Un altro duro colpo è stato assestato ai detrattori del movimento no tav, è stata ribadita ancora una volta l’assurdità del teorema Caselli e si è nuovamente palesata la volontà di una procura politicizzata di accanirsi contro i no tav ipotizzando accuse di reato esagerate per colpire un movimento popolare che spaventa i poteri forti.

Un ringraziamento enorme va ai legali che hanno seguito il processo per l’immenso e ottimo lavoro svolto!

Nel video le interviste ai legali:

sentenza

Qui la Sentenza appello sabotaggio. Non terrorismo. Diretta aula bunker 21 dicembre 2015

No Tav, confermata assoluzione da accusa terrorismo. Difesa: Autocritica da Procura?

  • 21 DICEMBRE 2015
No Tav, confermata assoluzione da accusa terrorismo. Difesa: Autocritica da Procura?

Torino, 21 dic. (LaPresse) – Nell’aula bunker delle Vallette, a Torino, è arrivata l’attesa sentenza di secondo grado nei confronti di quattro attivisti No Tav di area anarchica accusati di terrorismo. Per i quattro imputati –Mattia ZanottiNiccolò BlasiClaudio Alberto e Chiara Zenobi – è stata confermata in appello l’assoluzione dall’accusa di terrorismo ed è stata nuovamente bocciata la richiesta della Procura, rappresentata in appello dal procuratore generale Marcello Maddalena.

Il processo si riferiva all’assalto del 14 maggio 2013, al cantiere Tav di Chiomonte, in Val di Susa. Cade l’imputazione di terrorismo, ma restano confermate le quattro condanne a 3 anni e mezzo di reclusione per altri reati.

L’avvocato della difesa Claudio Novaro, a LaPresse, ha dichiarato: “Per la quinta volta un’autorità giudiziaria ci ha dato ragione, affermando che il teorema terrorismo non c’entra con i fatti in questione. E’ forse ora che che la Procura di Torino cominci a ripensarci e a porsi domande”.

 PERINO: TERRORISMO MAI ESISTITO. “Ha vinto la Maddalena Libera Repubblica e non Maddalena che pensava fossimo ‘terroristi’. La procura si è voluta intestardire sul discorso di un terrorismo che non esisteva ed è stata sconfitta un’altra volta. Ha fatto sprecare soldi e tempo ai cittadini italiani”. E’ il commento Alberto Perino, leader storico No Tav.

20 Dicembre 1973: ETA giustizia Carrero Blanco

Sabato 20 Dicembre 2014 10:03

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Da diversi anni ormai, la dittatura fascista del generale Francisco Franco è scossa da un crescente malcontento sociale, che trova nelle mobilitazioni operaie la valvola di sfogo nei confronti di quello che è diventato il più longevo stato europeo guidato da un’esecutivo dichiaratamente reazionario e conservatore. La lettura di quegli anni, propagandata dal regime, parlava infatti di una crescente tolleranza nei confronti dei conflitti sociali, in un’ottica che aveva come obiettivo quello di smarcare il Governo spagnolo dal ricordo, ancora troppo vivo, degli orrori che i regimi nazionalsocialisti avevano perpetrato nella seconda Guerra Mondiale.

Al contrario però, mai come in quegli anni, Franco decide di attuare una feroce repressione contro tutti i suoi oppositori politici, concentrandosi con particolare accanimento nei confronti della popolazione basca in Euskal Herria. Dal 1961 fino alla morte del Caudillo, nel novembre del 1975, il Paese Basco viene sottoposto ben 9 volte allo stato di emergenza nel giro di neanche 13 anni, vivendo un totale di 4 anni e due mesi in condizioni di completa sospensione di ogni diritto civile fondamentale, con un potere di vita e di morte affidato alle Forze di Sicurezza dello Stato.

E’ in questo clima che Euskadi Ta Askatasuna, reduce dal grande processo di Burgos e dalle prime importanti vittorie ottenute sul campo politico e militare, decide di giustiziare il successore designato di Franco, l’ammiraglio Luis Carrero Blanco.

L’operazione, chiamata “Ogro” (“orco” in italiano”) come il soprannome del nuovo presidente spagnolo, dura quasi nove mesi e porta la firma del «Commando Txikia» di ETA.

I quattro giovani baschi ai quali è affidata l’azione cominciano a seguire le mosse dell’ammiraglio nell’aprile del ’73, dopo aver affittato un seminterrato al n. 104 di calle Coello a Madrid, dove fingono di svolgere il mestiere di scultori. In realtà, l’idea iniziale era quella di sequestrare Carrero Blanco per chiedere in cambio la liberazione di alcuni detenuti politici, ma quando a luglio l’ammiraglio era divenuto capo del governo la scorta era stata rafforzata ed il piano di sequestro abbandonato.

Poichè dalla sua abitazione di via Hermanos Becquer, l’almirante (come era anche chiamato Blanco) era solito seguire in automobile il medesimo tragitto fino alla chiesa di S. Francisco de Borja di calle de Serrano di fronte all’ambasciata americana, per poi ritornare seguendo sempre lo stesso transito, ETA decide che il modo migliore per uccidero è tramite un attentato dinamitardo.

Il lavoro si rivela però lento e dispendioso, dal momento che impegna contemporaneamente tutti i componenti della squadra nello scavo di una galleria di otto metri, dalla casa fino al centro della strada, con un prolungamento a T di tre metri. Mentre uno scava, l’altro passa la terra all’indietro al terzo che ne riempie i sacchi di plastica e il quarto accatasta i sacchi nel locale. Bisogna poi puntellare la galleria e preparare le cariche di dinamite, che sono tre, da quindici chili l’una, predisposte per l’esplosione simultanea con un filo elettrico. Un altro problema è quelllo di allontanare il più possibile l’interruttore che deve comandare l’esplosione stessa, per rendere possibile la fuga. Per questo venne previsto un filo che uscendo dalla finestra prosegua all’altezza del primo piano, fino all’incrocio con la calle Diego de Leon, a 50 metri circa.

L’operazione, prevista per il 19 dicembre, viene posticipata al giorno successivo. Poco prima dell’ora stabilita, uno degli “scultori” parcheggia, in seconda fila all’altezza della galleria, una “Morris” carica di dinamite, con il triplo scopo di rafforzare l’esplosione, obbligare l’automobile di Carrero Blanco a passare in mezzo alla strada e dare un punto di riferimento per un osservatore situato all’angolo Coello-Leon (il dispositivo detonatore, alimentato da tre batterie in serie, è sistemato dietro l’angolo e gli addetti, travestiti da operai dell’azienda elettrica, non possono vedere la via Coello). Quando la macchina dell’ammiraglio raggiunge la zona “ideale”, al segnale stabilito il contatto elettrico fa saltare in aria l’auto dell’ammiraglio.

L’automobile di Carrero Blanco vola per sei piani, oltrepassa il tetto di un palazzo e finisce su un balcone interno al terzo piano. Le guardie del corpo, scese malconce dall’automobile di scorta finita contro un muro, non si rendono conto dell’accaduto per molto tempo, mentre i quattro “etarras” hanno tutto il tempo per fuggire in tranquillità dalla capitale.

Nei giorni successivi, il Partito Comunista e vari esponenti dell’opposizione antifranchista e democratica, parlarono di provocazione, di possibile azione di “ultrà” fascisti, poi, di fronte alla circostanziata rivendicazione dell’attentato da parte di ETA, di atto irresponsabile che avrebbe fatto il gioco del regime. La realtà fu che tutto il popolo spagnolo, e non solo gli abitanti di Euskal Herria, furono ben felici della morte di colui che, a tutti gli effetti, si era dimostrato degno continuatore delle politiche del regime franchista.

Al governo subentrò Carlos Arias Navarro, estendendo a tutti i settori la sensazione che ci si trovasse di fronte all’imminenza di un passaggio di regime. In realtà apparve chiaro che il regime, per sopravvivere, doveva cambiare forma, mentre la sinistra patriottica basca intuì immediatamente che esso andava incontro ad una sorta di autoriforma verso una democrazia costituzionale “limitata”, evitando così la possibilità di una insurrezione armata popolare

Jet russo, aperta la scatola nera. Mosca: “Non ha sconfinato”

http://www.affaritaliani.it/esteri/jet-russo-aperta-la-scatola-nera-mosca-non-ha-sconfinato-398476.html?refresh_ce

Venti minacciosi tra Mosca e Ankara. E’ cominciato l’esame della scatola nera del Su-24 russo abbattuto dalla Turchia al confine siriano. Il Cremlino: “Abbiamo prove sufficienti che il jet non ha violato lo spazio aereo turco”

Venerdì, 18 dicembre 2015 – 10:13:00

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E’ cominciato l’esame della scatola nera del Su-24 russo abbattuto dalla Turchia al confine siriano. “Abbiamo prove sufficienti che il jet non ha violato lo spazio aereo turco”, ha assicurato il vicecomandante delle forze armate Sergei Dronov, spiegando che il SU-24 e’ stato abbattuto mentre volava nei cieli siriani a 5,5 chilometri dal confine turco.

L’apertura della scatola nera e’ stata trasmessa in diretta tv. Mosca ha comunicato che esperti britannici e cinesi parteciperanno all’indagine sui dati di navigazione del jet. Dronov ha affermato che 14 Paesi sono stati invitati a monitorare le indagini ma molti si sono rifiutati di partecipare. L’ufficiale ha pero’ aggiunto che alle procedure partecipano due “cittadini americani”, il presidente e il vice presidente della societa’ internazionale per le indagini dei disastri aerei. I risutati saranno resi noti lunedi’ prossimo.

La fumata bianca alla COP21

Posted on 20 dicembre 2015.

di Alfonso Navarra.

Eccolo finalmente, in ritardo di un giorno, e con un rinvio anche stamattina (dalle 9.00 annunciate si è passati alle quasi 19.00 di stasera), da Le Bourget di Parigi, il famoso, storico, “sospirato” (dalla élite mediatica e politica), accordo sul clima. Quello che – a modesto parere del sottoscritto, ispirato dalle critiche di Hermann Sheee al “minimalismo organizzato” delle conferenze, e alle pretese di mercificazione dell’aria (con il sistema della compravendita dei crediti di inquinamento), anche se rispettato, ci rovinerà comunque.
Quello che consente di suonare le trombe della vittoria, a Hollande, a Ban Ki-moon, praticamente a tutti i capi di Stato, ma anche alle associazioni ambientaliste come WWF e Greenpeace, è l’obiettivo ufficialmente raggiunto dopo tredici giorni di negoziati: “L’aumento della temperatura sarà mantenuto BEN SOTTO I DUE gradi”, è il titolone che sarà sparato sui giornali.
Ciò che è ufficiale, che sta davanti agli occhi di tutti, e quindi mi interessa come “problema da indagare”, da “antigiornalista” che usa il cervello e non le gambe per inseguire i pettegolezzi di corridoio, è che si tratta non di LOTTA al riscaldamento climatico, ma di MITIGAZIONE E ADATTAMENTO. A riflettere bene su questa realtà palese si dovrebbe, a mio parere, capire meglio il senso delle cose.
All’inizio c’è la questione dei TAGLI delle emissioni di CO2 e delle quote in cui devono essere distribuiti; ma si parla anche di un futuribile percorso verso le EMISSIONI ZERO, per il quale viene fissato un orizzonte “nella seconda metà del secolo”, che però non stabilisce passaggi né scadenze precise.
Ma a ben vedere gli stessi tagli non hanno una scadenza di partenza. Quindi si resterà fermi per anni, con obiettivi proclamati, ma non attuati, prima di iniziare davvero (forse) la cura alla “febbre del Pianeta”. Il buon senso comune non osserverebbe che il paziente, vale a dire l’ecosistema globale che ci permette di vivere, in questo modo potrebbe tirare le cuoia?
L’ipocrisia di fondo del circo mediatico-diplomatico della COP 21, con contorno, ripeto, delle grandi ONG accreditate a “spingere”, al sottoscritto appare evidente. Spiegatemi come si può conciliare la stabilizzazione del clima con il via libera via libera alle trivelle nell’Artico e ovunque e con il mantenimento dei 500 miliardi di dollari anni per incentivare i combustibili fossili (di cui a Parigi non si fa quasi menzione)!
Questa la situazione in cui l’ambientalismo mediatico delle grandi ONG si inserisce con il + 1 (ad es. più soldi al Fondo per i Paesi in via di sviluppo) sostanzialmente all’interno degli stessi parametri:  OXFAM, Greenpeace, WWF, etc., fatemi il piacere!
Non si coglie il principio di fondo: è il momento, questo, non della TRANSIZIONE, ma della RIVOLUZIONE energetica, che ciascun Paese può e deve (grazie alla pressione popolare) iniziare a percorrere da subito, senza stare ad aspettare gli altri, l’accordo di tutti, perché il 100% rinnovabili subito si basa (riprendo Hermann Sheer)  su tre azioni semplicissime: 1) chiudere il rubinetto dei finanziamenti pubblici ai combustibili fossili (in Italia 15 miliardi di euro all’anno); 2) stabilire la priorità delle FER nel dispacciamento in rete; 3) garantire, con le municipalizzate e le aziende locali, l’infrastruttura adeguata. Non servirebbe altro e misure come queste produrrebbero più trasformazioni di sistema di tutte le chiacchiere sull’”abbattimento del capitalismo” ed il “superamento della logica del profitto”, magari con contorno di convinzioni più o meno dichiarate sull’inevitabile necessità dell’insurrezione armata.
Molti “anticapitalisti” che non fanno l’analisi concreta della situazione concreta, che non si sforzano di esaminare, alla Luciano Gallino, ad esempio, come funzionano effettivamente le cose, sono i primi a credere alle favole che raccontano i veri “capitalisti”. Veramente credono che se l’ENI potesse fare più profitti col “sole” abbandonerebbe subito l’estrazione di gas e petrolio? Che esista un qualcosa che, sui grandi beni e servizi, possa chiamarsi “concorrenza economica sul libero mercato”?
E’ la favola a cui crede, per esempio, lo scienziato James Hansen, intervistato oggi sul sito di Repubblica, che pure giudica l’accordo “una frode, un falso”. Ecco le sue motivazioni: “E’ una sciocchezza dire: abbiamo l’obiettivo dei 2 gradi e cercheremo di fare un po’ meglio ogni 5 anni. Sono solo parole senza senso. Non c’è nessuna azione, solo promesse. Fino a che i carburanti fossili saranno i più economici, continueranno ad essere bruciati”. Quello che dimentichi anche tu, caro Hansen, è che i fossili sono economici in quanto spropositatamente sovvenzionati. E dimentichi anche di chiederti perché ciò si verifica. E’ un fatto casuale?
Gli anticapitalisti ideologici, come Hansen, insomma non si rendono conto che esiste un rapporto organico tra appoggio dello Stato, orientato dalla logica della potenza, e certe scelte economiche e tecniche, che devono essere coerenti con la realtà di una grande organizzazione economica che, anche grazie all’accesso alle casse dello Stato, concentra risorse e tecnologia.
L’ENI investirà come core business nel sole solo se si troverà il modo, conservando il rapporto con l’élite burocratica di Stato, di recintarlo e di sfruttarlo con tecnologie molto complesse e non liberamente disponibili: il profitto (la differenza tra costi e ricavi, che tra l’altro si misura in valori monetari ed è quindi legato alla complessa tecnologia sociale e politica della moneta) da solo non c’entra un beneamato tubo!
Ma rientriamo nel merito di ciò di cui tutti parlano sui media.
L’accordo della COP 21 in questione è il primo firmato subito da 195 Paesi, e la presidenza francese, come ci tocca sentire, se ne fa un gran vanto.
Lo scoglio più duro che si è dovuto superare nella fase finale è stato quello della “differenziazione di responsabilità” tra Paesi ricchi e Paesi in via di sviluppo, con l’India in particolare a puntare platealmente i piedi (ma anche la Cina dietro le quinte).
A tirare la coperta dal punto di vista dell’”ambizione” degli obiettivi (il famoso tetto di 1,5°C di aumento al posto di 2°C) abbiamo trovato invece Stati come Nigeria, Grenada o l’arcipelago polinesiano di Palau – mobilitati attivamente per difendere “passaggi chiave” dell’accordo sulla tutela delle aree vulnerabili (in particolare quelle che i mari stanno per sommergere).
Sui temi più spinosi si sono trovate formule di compromesso, ad es. sui “loss and damages”, il supporto ai paesi “vulnerabili” per affrontare i cambiamenti “permanenti e irreversibili”, che vengono dati per scontati, visto che appunto ci si deve adattare al riscaldamento climatico, che, repetita iuvant, può solo essere contenuto, non evitato.
I climatologi fissano i 2° C come “linea rossa” da non superare per evitare un precipizio catastrofico (ed è dubbio che gli scienziati stessi sappiano bene cosa intendono con questa espressione). La realtà, stando ai loro stesi calcoli, è che la traiettoria reali verso cui portano gli impegni presi dagli Stati portati alla Conferenza è di 3 – 3,5° C: un disastro di grandi, forse irrimediabili, proporzioni!
Mi fermo qui.
Sui dettagli dell’accordo basta il lavoro dei “giornalisti”. Cioè potete benissimo  leggere  (con attenzione critica) quanto comunica l’ANSA con il dispaccio che riporto sotto.
 
TITOLO DI APERTURA DI WWW.ANSA.IT
STORICO ACCORDO SUL CLIMA
Quindi la scheda sui punti principali dell’accordo la si trova alla URL: http://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/2015/12/12/scheda-clima-i-punti-principali-dellaccordo-di-parigi_fd6ee519-89ff-4852-8489-a0dc227d02b4.html
Ecco i punti principali dell’accordo finale della Cop 21 e della decisione che lo accompagna.
* RISCALDAMENTO GLOBALE – L’articolo 2 dell’accordo fissa l’obiettivo di restare “ben al di sotto dei 2 gradi rispetto ai livelli pre-industriali”, con l’impegno a “portare avanti sforzi per limitare l’aumento di temperatura a 1,5 gradi”.
* OBIETTIVO A LUNGO TERMINE SULLE EMISSIONI – L’articolo 3 prevede che i Paesi “puntino a raggiungere il picco delle emissioni di gas serra il più presto possibile”, e proseguano “rapide riduzioni dopo quel momento” per arrivare a “un equilibrio tra le emissioni da attività umane e le rimozioni di gas serra nella seconda metà di questo secolo”. * IMPEGNI NAZIONALI E REVISIONE – In base all’articolo 4, tutti i Paesi “dovranno preparare, comunicare e mantenere” degli impegni definiti a livello nazionale, con revisioni regolari che “rappresentino un progresso” rispetto agli impegni precedenti e “riflettano ambizioni più elevate possibile”. I paragrafi 23 e 24 della decisione sollecitano i Paesi che hanno presentato impegni al 2025 “a comunicare entro il 2020 un nuovo impegno, e a farlo poi regolarmente ogni 5 anni”, e chiedono a quelli che già hanno un impegno al 2030 di “comunicarlo o aggiornarlo entro il 2020”. La prima verifica dell’applicazione degli impegni è fissata al 2023, i cicli successivi saranno quinquennali * LOSS AND DAMAGE – L’accordo prevede un articolo specifico, l’8, dedicato ai fondi destinati ai Paesi vulnerabili per affrontare i cambiamenti irreversibili a cui non è possibile adattarsi, basato sul meccanismo sottoscritto durante la Cop 19, a Varsavia, che “potrebbe essere ampliato o rafforzato”. Il testo “riconosce l’importanza” di interventi per “incrementare la comprensione, l’azione e il supporto”, ma non può essere usato, precisa il paragrafo 115 della decisione, come “base per alcuna responsabilità giuridica o compensazione” * FINANZIAMENTI – L’articolo 9 chiede ai Paesi sviluppati di “fornire risorse finanziarie per assistere” quelli in via di sviluppo, “in continuazione dei loro obblighi attuali”. Più in dettaglio, il paragrafo 115 della decisione “sollecita fortemente” questi Paesi a stabilire “una roadmap concreta per raggiungere l’obiettivo di fornire insieme 100 miliardi di dollari l’anno da qui al 2020”, con l’impegno ad aumentare “in modo significativo i fondi per l’adattamento” * TRASPARENZA – L’articolo 13 stabilisce che, per “creare una fiducia reciproca” e “promuovere l’implementazione” è stabilito “un sistema di trasparenza ampliato, con elementi di flessibilità che tengano conto delle diverse capacità”.(ANSA).Quanto al testo dell’accordo finale, lo fornisco in allegato (grazie al sito di Repubblica, ma lo si può trovare sul sito ufficiale della Conferenza).

Il MS5 manda i difensori del pareggio in bilancio in Corte Costituzionale.

http://tgvallesusainfo.altervista.org/?p=80

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Posted on 20 dicembre 2015. 

di Avv. Marco Mori per Scenarieconomici.it

Sono rimasto sconcertato e gravemente amareggiato da quanto commesso dal movimento cinque stelle in merito all’elezione dei tre nuovi Giudici della Corte Costituzionale. Hanno firmato il Game over della democrazia.

Sapete la stima che ho per la base e per molti parlamentari ed europarlamentari del movimento, la passione con cui aderisco ad ogni iniziativa organizzata per la diffusione sulla verità di questa oscena dittatura finanziaria. Ma proprio per questo nessuno più di me può criticare aspramente e senza guardare in faccia nessuno chi manda in Corte Costituzionale tifosi puri del pareggio in bilancio.

Non so se Barbera e Prosperetti sostengano il pareggio in bilancio per mera ignoranza o grave malafede, ma resta il fatto che propongono come valido ciò che più di tutto ha spazzato via la nostra democrazia ed i nostri diritti costituzionali. Non si può mandare in Corte chi non comprende il ruolo costituzionale del deficit, non comprende la moneta e la contabilità pubblica, così non comprendendo la conseguente natura profondamente eversiva, in quanto lesiva della personalità giuridica della Repubblica, della modifica dell’art. 81 Cost. commessa da un traditore chiamato Mario Monti e dal suo manipolo di collaborazionisti (la cui maggioranza sono analfabeti giuridici che hanno votato solo ciò che gli è stato detto).

Questa è complicità in un colpo di Stato, non ci sono altre parole utilizzabili. Il ms5 non vuole i corrotti in Parlamento (giustamente), ma poi da le chiavi della consulta alla finanza. Come dire: pensiamo ai ladri di polli e lasciamo stare chi davvero si frega le nostre vite.

Chiedo alla base di reagire duramente, mettendomi a completa disposizione per ogni consulenza giuridica, difronte a questo pazzesco tradimento che, di fatto, mette la parola fine anche ai mie tentativi di difendere, nelle aule di giustizia la sovranità nazionale, appunto siamo al game over.

Tanto per dimostrarvi che non mi invento nulla e farci davvero del male, ecco la squallida difesa di Barbera al pareggio in bilancio pubblicata, purtroppo, su quella che dovrebbe essere una rivista di costituzionalisti (che non nomino per non fare pubblicità a chi tradisce la Costituzione) e non di amici della finanza speculativa:

“LA SENTENZA RELATIVA AL BLOCCO PENSIONISTICO: UNA BRUTTA PAGINA PER LA CORTE

Come è noto, con la “Sentenza Cartabia” (la n. 10 del 2015), la Corte aveva sancito la illegittimità costituzionale della “Robin Tax” ma nel contempo, stabilendo effetti pro futuro, aveva escluso il rimborso delle imposte pagate dai contribuenti, in nome degli equilibri di bilancio valorizzati dal nuovo art. 81 Cost. Essa aveva suscitato diversi dubbi, il principale dei quali così riassumibile: come conciliare la dichiarazione di illegittimità con la non applicazione retroattiva degli effetti della stessa, in particolare a quanti avevano promosso la questione incidentale davanti alla Corte? Dubbio non banale (e forse superabile; a ben altre ardite ricostruzioni la Corte ci ha abituato nei suoi sessanta anni di attività). Per il resto, trovavo pienamente condivisibili le parole della Corte in ordine al potere della stessa di regolare gli effetti delle proprie decisioni, atteso che “l’applicazione retroattiva della presente declaratoria di illegittimità costituzionale determinerebbe anzitutto una grave violazione dell’equilibro di bilancio ai sensi dell’art. 81 Cost.”. D’altro canto – aggiungeva la Corte – “già con la sentenza n. 260 del 1990, tale principio esige una gradualità nell’attuazione dei valori costituzionali che imponga rilevanti oneri a carico del bilancio statale”.

Bello vero? E Prosperetti? Anch’esso ha criticato la sentenza sulle pensioni così guadagnandosi il posto in Corte:

“La pensione garantita dallo Stato non può essere avulsa dalle congiunture economiche (omissis…)”.

Anche per questo “giurista” i diritti vengono dopo il denaro. Il fatto che la sovranità monetaria sia una prerogativa fondante degli Stati, che dunque non possono tecnicamente fallire, come ben ricorda l’ex Presidente della Corte Zagrebelsky, è ovviamente fatto ignoto ai nuovi imbarazzanti nominati a quello che una volta era l’organo di massima garanzia dello Stato.

Cari amici pentastellati, avete capito cosa avete combinato?
Questo è il game over!

Fassino-Chiamparino, Antitrust sorprende Su incompatibilità Virano, ‘formalismi rischiano penalizzare’

http://www.ansa.it/sito/notizie/cronaca/2015/12/18/fassino-chiamparino-antitrust-sorprende_17d92a7a-4dd0-4f62-af0a-bf84090d6541.html
Redazione ANSATORINO

18 dicembre 201518:03NEWS

(ANSA) – TORINO, 18 DIC – “La decisione dell’Autorità Antitrust ci coglie di sorpresa”. Lo affermano il presidente della Regione Piemonte e il sindaco di Torino, Sergio Chiamparino e Piero Fassino, commentando il parere sull’incompatibilità del direttore generale di Telt Mario Virano, per il precedente incarico di Commissario di Governo.
    “Affidarsi a interpretazioni solo formalistiche, prescindendo dal valutare gli interessi pubblici in gioco, può portare a conseguenze paradossali e pesantemente negative”.