8 dicembre il Prefetto decreta l’interdizione al cantiere di Chiomonte

In previsione della manifestazione dell’8 dicembre il Prefetto emette un’ordinanza per vietare l’accesso al cantiere di Chiomonte e di sgombero degli NPA

di Redazione.

Dopo lo schieramento delle Forze dell’Ordine di fronte all’ di  e l’ordinanza che voleva impedire la  a Susa, il  torna a decretare per la “sicurezza” dell’ordine pubblico in . Questa volta tocca al cantiere di . Voi pensavate che il problema dei cittadini fosse l’acqua che viene a mancare a  con ogni probabilità grazie al cantiere? Sbagliate! La vera “minaccia” per l’ordine pubblico sono le manifestazioni No Ta e quella dell’8 Dicembre terrorizza tutti. Interdizione della viabilità per certe zone di  e lotta ai facinorosi. Tocca agli  (Nucleo Pintoni Attivi) della Val Susa, che hanno montato un presidio nelle vicinanze del cantiere, a farne le spese. E’ intenzione delle Forze dell’Ordine abbattere il presidio per allontanarli dal cantiere (sempre più “strategico” e di rilevanza nazionale). Su sollecitazione del , il  ha emesso l’ordinanza qui sotto riportata.

Ordinananza Prefetto 1Ordinananza Prefetto 2Ordinananza Prefetto 3

Chiomonte, Val Susa. Sparisce l’acqua, restano i disastri

manifesto

3.12.2015, 17:07

Il disastro del TAV al Mugello

Il disastro del TAV al Mugello

Invito i miei lettori a fare un viaggio nel tempo, insieme a me, fra passato, presente, futuro del TAV.

Come? Seguitemi.

PASSATO: Leggendo un mio articolo del febbraio 2012 sul tema del disastro ambientale dei lavori del TAV, per quanto riguarda il danno idrogeologico, la sparizione di falde e fonti.

PRESENTE: Leggendo un articolo del dicembre 2015, su cosa succede alla disponibilità d’acqua a Chiomonte, comune dove si sta scavando il tunnel di prova del TAV.

FUTURO: Prevedendo cosa succederà in Valsusa e non solo, nel prossimo futuro, al bene comune acqua a causa del TAV.

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IL PASSATO. Valsusa: sparisce l’acqua, restano i disastri (Febbraio 2012).

Ho partecipato oggi al VII Congresso Nazionale di Medicina Democratica, che si sta tenendo a Milano, all’Università degli Studi, da ieri a domani.

Ero, insieme all’amico Luigi Robaldo della Val di Susa, nel gruppo di lavoro che ha riguardato i beni comuni: che cosa sono e come difenderli. Ho parlato di acqua, inteso come bene comune, primo indicatore dell’impatto ambientale di una “Grande Opera”, in questo caso dell’Alta Velocità.

Su un aspetto dell’impatto ambientale dell’Alta Velocità, infatti, non crediamo ci sia possibilità di grande discussione, di confronto fra previsioni da una parte e dall’altra, dato che riguarda quanto è già successo, quanto è evidente nell’ambito di opere precedenti: l’impatto sul bene comune acqua e il dissesto idrogeologico causato dalle grandi opere.

L’alta velocità Bologna-Firenze e quanto successo al Mugello costituiscono l’esempio più eclatante. Non servono sismografi – ci dice Paolo Rumiz in un suo noto articolo del 2009 – per capire dove passa il tunnel dalla Tav tra Bologna e Firenze. Basta seguire una traccia di foreste rinsecchite, alvei vuoti, macerie. Persino i cinghiali rifiutano di vivere lassù. Sopra la “grande opera” esiste una scia di “grandi disastri” che la segnala fedelmente. Il peggio è il sistema idrico distrutto: per ripagarlo non basterebbe una mezza finanziaria. Fra 750 milioni e un miliardo 200 milioni, per ventidue minuti di viaggio in meno. Spariti o quasi 81 torrenti, 37 sorgenti, 30 pozzi, 5 acquedotti: in tutto 100 chilometri di corsi d’acqua.

Per quanto riguarda la Val di Susa, occorre guardare al passato – con le grandi opere che la Valle ha già subito negli anni scorsi – e al futuro, in modo da valutare l’effetto combinato e non pensando ai singoli impatti non collegati temporalmente fra di loro: la sovrapposizione degli effetti mi venne insegnata, come principio, fin dai primordiali banchi di scuola media superiore, ma sembra che chi ha valutato con grande faciloneria l’impatto ambientale dell’Alta Velocità non ne abbia minimamente tenuto conto.

L’impatto di questa opera a livello idrico sarebbe rilevante. I precedenti grandi lavori hanno già inciso pesantemente sulle sorgenti della Valle di Susa: il raddoppio della ferrovia Torino-Modane ha provocato la scomparsa di 13 sorgenti nel territorio di Gravere e di 11 nella zona di Mattie, per restare ai casi più significativi. Le gallerie dell’autostrada tra Exilles e la val Cenischia hanno fatto scomparire 16 sorgenti delle frazioni di Exilles, oltre ad alcune altre nelle più disparate località. I lavori della centrale di Pont Ventoux, per una galleria di soli due metri di diametro, hanno prosciugato il rio Pontet, 2 sorgenti a Venaus, 2 a Giaglione, una decina in territorio di Salbertrand, tra cui quella che alimentava l’acquedotto di Eclause. Secondo il Rapporto Cowi redatto per conto della commissaria europea De Palacio, il solo tunnel di base dreneràda 60 a 125 milioni di metri cubi di acqua all’anno, che corrisponde al fabbisogno idrico di una città con un milione di abitanti. Oltre alla Torino che già abbiamo, avremmo un’altra Torino-equivalente a consumare acqua in Valle di Susa.

Quando si costruiscono opere in sotterraneo molto estese, si dovrebbe cercare di valutare le variazioni idrologiche indotte dall’opera nell’ambiente circostante alle lavorazioni. Bisogna capire se le opere in sotterraneo, in particolare le porzioni costruite in posizione “parietale” (in prossimità del versante), captano acque circolanti nelle rocce e/o sedimenti. Queste acque normalmente seguono il loro decorso naturale e tendono, nella loro diffusione sotterranea, a rifornire le falde profonde dei fondovalle. Se invece esistono degli scavi molto estesi, questi ultimi svolgono un’azione di vero e proprio “richiamo” delle acque, dovuto al fatto che il vuoto (lo scavo) determina una significativa diminuzione di pressione che agevola il processo di attrazione idrica. Un fenomeno del genere è evidente nelle condizioni di subduzione che molte volte caratterizzano le aree limitrofe ai pozzi di emungimento, soprattutto quando si prelevano quantitativi di acque superiori rispetto alle possibilità di ricarica naturale delle falde sfruttate. Ad esempio, la zona del fondovalle compresa tra Borgone Susa e Ferriere è interessata negli ultimi decenni da un costante e diffuso abbassamento della superficie topografica, nell’ordine di diversi millimetri, dovuto proprio a quest’ultimo fenomeno.

E’ stato valutato tutto questo dai proponenti l’opera? “Nemmeno per idea!” avrebbe risposto il vecchio Giorgio Bocca.

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IL PRESENTE: A Chiomonte arrivano le autobotti, la frazione Ramats ha poca acqua: colpa del cantiere tav? (dicembre 2015)

Arrivano le autobotti alla frazione Ramats!
Siamo stati purtroppo facili profeti!
Come avevamo previsto e temuto da venerdì 27 novembre, precedute dalla consegna dei boccioni di acqua da 25–30 litri per le necessità più urgenti della popolazione, sono in azione le autobotti per rifornire di acqua potabile la borgata S. Antonio.
La situazione è andata peggiorando ad iniziare dal 25 ottobre u.s. tanto da indurre fin da allora alla chiusura di tutte le fontane ed alla razionalizzazione dei consumi.

Il Sindaco Ollivier con un comunicato in data 5 novembre tranquillizzava la popolazione (nessun problema; una questione tecnica; “la ditta Acea, ha recentemente pulito le vasche; purtroppo la sorgente è molto piccola ed è occorso un po’ di tempo per riempirle nuovamente. Anche per questo motivo erano state chiuse le fontane; inoltre si è provveduto ad un controllo funzionale e delle eventuali perdite”. Se il problema continuerà dovranno essere fatti ulteriori interventi).
Ma la popolazione non era per nulla tranquilla, anche se si verificava un breve temporaneo miglioramento della situazione.
Dopo ripetute richieste di chiarimenti al Sindaco ed agli uffici, da parte del consigliere della frazione e del nostro gruppo, venivamo a sapere il 23 novembre, da una nota della Acea, che la portata rilevata in quei giorni era di 1,2 litri al secondo.

Sempre nella nota dell’Acea si legge “non abbiamo dati storici registrati, ma l’impressione è quella di un calo di portata rispetto all’anno precedente”.
In data 27 novembre la situazione è andata precipitando, pur permanendo la chiusura di tutte le fontane, tanto che alcune abitazioni sono rimaste prive dell’acqua.
La popolazione sempre più preoccupata ha contattato direttamente la ditta Acea, stante l’assenza di iniziative da parte dell’amministrazione comunale, ed ha richiesto una consegna immediata di boccioni di acqua per le urgenze più immediate.
Consegna che è avvenuta con sollecitudine da parte della ditta.
Sono quindi entrati in azione i rifornimenti con autobotte, con notevole difficoltà considerata la posizione della vasca di accumulo dell’acquedotto.
Purtroppo la situazione è determinata da un calo progressivo della portata della sorgente Rigaud ; la misurazione del 28 novembre ha attestato un calo della portata del 35% in soli 20 giorni (da 1,2 litri al secondo a 0,78 litri al secondo)!!
In tutta questa situazione che sta diventando drammatica per la popolazione, rileviamo il più totale disinteresse del Sindaco, dell’assessore ai LL.PP, della struttura.
La risposta che abbiamo ricevuto alle nostre segnalazioni è stata quella di ribaltare ogni competenza sulla società Acea che gestisce il servizio di distribuzione dell’acqua potabile.
Rileviamo la grave ed incomprensibile mancanza di dati storici registrati sulla portata delle sorgenti.
Ma come? La delibera Cipe n° 86/2010 di approvazione del progetto definitivo del Cunicolo esplorativo della Maddalena, collegato alla realizzazione della nuova linea ferroviaria To-Lione, non prevedeva fra le 100 ed oltre prescrizioni un monitoraggio preventivo e costante di tutte le sorgenti?
Ma a cosa servono i monitoraggi delle sorgenti che ci vengono propinati periodicamente come consiglieri comunali dalla società Telt, esecutrice dei lavori del cunicolo, se non riguardano le sorgenti che interessano la popolazione residente?
Cosa ha fatto a suo tempo l’amministrazione comunale per tutelare i diritti minimi della sua popolazione?
Fummo considerati dei “bastian contrari”, contrari a prescindere, quando nei consigli comunali criticammo aspramente la delibera Cipe n° 86/2010 di approvazione del Progetto Definitivo del Cunicolo esplorativo della Maddalena, soprattutto là dove elencava una serie infinita di prescrizioni; ben sapevamo che fine avrebbero fatto quelle prescrizioni; e questi fatti ne sono una dimostrazione.
Ci venne detto che esistevano piani di intervento nel caso di improvvise carenze idriche.
Dove sono questi piani? Per ora la situazione è tenuta in piedi grazie alla disponibilità e collaborazione dei tecnici della ditta Acea.
E’ chiaro che non è matematicamente dimostrato, che la carenza attuale di acqua sia conseguenza dei lavori del cunicolo esplorativo, ma allora ci deve essere dimostrata quale può essere la causa alternativa.
Forse l’amministrazione prima di pensare di utilizzare l’acqua di risulta dei lavori del cunicolo esplorativo della Maddalena per la creazione di Terme (vedasi delibera approvata dal gruppo consiliare di maggioranza del mese di maggio 2015), avrebbe dovuto garantire la fornitura dell’acqua potabile per i suoi cittadini.
Così non è stato! Questa è la sensibilità delle ultime amministrazioni di Chiomonte!
Chiomonte 29 Novembre 2015

I Consiglieri di “Insieme Chiomonte”
Giorgio GUGLIELMO, Giuseppe JOANNAS, Remo SIBILLE

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IL FUTURO: cosa succederà — a causa dei scellerati lavori del buco di prova del TAV — al bene comune acqua in Valsusa? E a Torino?

A Chiomonte si è svolta proprio in questi giorni una partecipatissima serata sull’acqua. Ma gia’ nel 2007 si era messo in evidenza che sarebbero state a rischio anche le sorgenti che alimentano circa 250000 utenze di torino. Perche’ l’acqua della val susa “abbevera” una bella fetta di torino.

Che cosa succederà, allora? Succederà che il buco di prova del TAV danneggerà pesantemente l’equilibrio idrico in molto comuni valsusini.

Ma, dopo, non succederà altro. Perché quella pazzia chiamata TAV Torino — Lione non si realizzerà mai. MAI.

Fermando questa assurdità transnazionale, eviteremo fra i tanti disastri e sprechi, anche quello idrogeologico e idrico.

In Francia la polizia arresta gli ambientalisti in nome della lotta al terrorismo

La polizia francese perquisisce un uomo a Le Pré-Saint-Gervais, a nord di Parigi, il 27 novembre 2015. (Laurent Emmanuel, Afp)
  • 03 DIC 201513.04

La giornata del 26 novembre dell’ambientalista Joel Domenjoud è cominciata con una telefonata in cui gli si comunicava che la polizia aveva sfondato la porta dell’appartamento occupato da un amico e che aveva arrestato almeno un paio di persone. Nel timore che il piccolo locale in cui abitava con la compagna, nel sobborgo parigino di Malakoff, avrebbe fatto presto la stessa fine, Domenjoud se n’è andato in tutta fretta.

Dopo gli attacchi del 13 novembre, rivendicati dal gruppo Stato islamico, il governo francese ha dichiarato uno stato di emergenza di tre mesi, durante il quale sono consentiti arresti domiciliari, perquisizioni senza mandato e limitazioni agli spostamenti delle persone. Inoltre sono state vietate le manifestazioni di piazza, tra cui le azioni di massa previste in occasione della conferenza internazionale sul clima, Cop21. Si è saputo di molti blitz effettuati dalla polizia contro persone senza relazioni con il terrorismo, e tra queste anche attivisti impegnati sulle questioni climatiche.

Violazione dei diritti fondamentali

Quella settimana Domenjoud l’ha passata in tribunale a battersi contro il divieto di manifestare e a preparare delle azioni alternative di protesta per la conferenza sul clima, cominciata il 30 novembre. Aveva atteso l’esito di quello che va sotto il nome di référé liberté, sostenendo che il divieto infrange i diritti fondamentali di chi vorrebbe manifestare, e chiedendo a un giudice amministrativo di revocarlo. Il giudice ha respinto la richiesta.

Domenjoud aveva anche presentato le richieste formali per consentire a un corteo di manifestanti di arrivare nel centro di Parigi passando in un paio di quartieri periferici. Al corteo partecipavano anche esponenti di una zone à défendre (zad) un’area nella Francia occidentale occupata da alcuni anni prima per impedire la costruzione di un aeroporto.

Tra le motivazioni del suo arresto c’era la partecipazione agli incontri preparatori per la Cop21

Dopo la telefonata, tuttavia, Domenjoud si è chiesto se sarebbe riuscito a partecipare alle attività per la conferenza sul clima. Si è fermato in una biblioteca vicino casa sua che gestisce come parte di un collettivo. Sbirciando fuori della finestra, ha intravisto dietro al palazzo quelli che gli sembravano dei poliziotti e ha stabilito che sarebbe stato più al sicuro in un luogo pubblico. Quindi è entrato in un caffè e ha cominciato a chiamare i giornalisti, gli operatori di organizzazioni non governative e i rappresentanti sindacali che conosceva.

“Ho detto di temere che sarei stato arrestato quella sera”.

Dalla vetrina del caffé, la piazza principale della città aveva tutta l’aria di brulicare di agenti in borghese. È corso in strada e si è infilato al volo in un autobus, spegnendo il cellulare. “Mi restavano poche ore da vivere”, mi ha detto.

Raggiunto sano e salvo il Centre international de culture populaire, una sorta di centro nevralgico dei movimenti sociali a Parigi, Domenjoud ha riacceso il telefonino. Lo chiamava la sua vicina libanese. L’ha informato che la polizia aveva fatto sgomberare lo stabile e poi gli ha passato un agente, il quale gli ha intimato di presentarsi alla stazione di polizia entro un’ora.

Portavoce suo malgrado

Quando Domenjoud è tornato a Malakoff, gli sono stati notificati gli arresti domiciliari per tutta la durata della conferenza, causa del suo presunto ruolo chiave nell’organizzazione delle proteste contro la Cop21. Tra le motivazioni del suo arresto, che menzionavano la gravità della minaccia terroristica e la presenza dei maggiori leader mondiali, c’erano la sua partecipazione agli incontri preparatori per la Cop21, l’organizzazione di seminari in un campo estivo antinucleare a Bure, e l’eventualità che potesse favorire le azioni di black bloc, i quali con ogni probabilità avrebbero compiuto atti di violenza, nonostante la presenza della polizia.

Domenjoud è uno dei 24 attivisti francesi posti agli arresti domiciliari per aver organizzato azioni di protesta contro la conferenza sul clima. Non conosce quasi nessuno degli altri ventitré, ma ne è diventato il portavoce de facto sui mezzi d’informazione da quando un’organizzazione per i diritti umani ha inserito il suo nome in un comunicato stampa. “Non posso rimanere nell’ombra se tutti sanno come mi chiamo”, ha dichiarato. In caso contrario, non è sicuro che si sarebbe espresso. “Diventare un personaggio pubblico è come essere processato”.

Ognuno potrebbe avere un posto se comunicasse di più. Forse ci sarebbero meno black bloc con il passamontagna

Domenjoud ha lavorato fino a tardi per mesi, prima degli attacchi del 13 novembre, dando una mano a coordinare i progetti per manifestazioni e incontri tra attivisti francesi e internazionali che sarebbero arrivati a Parigi per l’evento.

Tra loro figuravano anche nomi di rilievo, come Bill McKibben e Naomi Klein, e tutti richiedevano azioni di disturbo in grado di fare pressione sui responsabili perché non si limitassero a siglare l’accordo estremamente limitato previsto alla scadenza delle due settimane.

Parigi doveva essere il punto di partenza per costruire nei mesi e negli anni a venire un movimento internazionale più organizzato contro i sistemi che causano il cambiamento climatico. Il 13 novembre Domenjoud era in un caffè quando ha ricevuto un messaggio che l’ha informato dell’attacco terroristico avvenuto a tre o quattro chilometri da dove si trovava. Ricorda di aver scritto a un suo amico: “È impossibile prevedere tutte le conseguenze che ci saranno”.

“Abbiamo cominciato a smantellare mentalmente tutti i nostri progetti”, ha aggiunto Domenjoud. “Tutti avevano una gran paura di un attacco al corteo. Ci pensavano tutti – anche noi. Ma da un certo momento in poi la decisione dipende da te, non dalla sicurezza”.

Un movimento sociale

Domenjoud aveva contribuito a ideare un evento per il 29 novembre in modo da richiamare migliaia di persone. “Era una sfida enorme per la sicurezza”, ha detto, anche prima degli attacchi terroristici. “Lo stato di emergenza gli ha dato modo di risolvere il problema”.

Gli organizzatori avevano immaginato di creare alla partenza del corteo uno spazio di riunione per gli attivisti radicali, dove potessero fermarsi a scambiare idee se non erano interessati a partecipare a quella che per alcuni era una parata allestita dalle organizzazioni non governative. E questa è forse una delle ragioni per cui le autorità si sono sentite tanto minacciate da Domenjoud. “Sapevo che ci sarebbe stata un’ala radicale”, ha affermato. “Non sono responsabile di quello che può accadere. È un movimento sociale”.

Domenjoud parla con tutti, sostiene, e desidera che gli altri facciano lo stesso. “Ognuno è un po’ egoista”, aggiunge. “Ma ognuno potrebbe avere un posto se comunicasse di più. Forse ci sarebbero meno black bloc con il passamontagna e un’azione più radicale da parte delle ong”.

Le proteste si sono svolte anche il 29 novembre, ma su una scala molto inferiore a quella prevista inizialmente. Place de la République è stata riempita da undicimila scarpe donate da tutto il mondo. Per mezzogiorno erano state tutte portate via, e una catena umana si è formata lungo il percorso che avrebbe dovuto seguire la manifestazione, snodandosi per tre chilometri dal boulevard Voltaire fino a place de la Nation, appena interrotta dai cumuli di rose sfiorite davanti al Bataclan. Dopo mezz’ora si sono fatte vive al memoriale la sindaca di Parigi, Anne Hidalgo, e la presidente cilena Michelle Bachelet, scortate da automezzi neri della sicurezza.

‘C’erano tutte quelle cose sul continuare a vivere le nostre vite. Protestare è un modo per continuare a vivere le nostre vite’.

All’una precisa la catena umana si è sciolta e gli attivisti si sono dispersi. Dopo un’ora o poco più una piccola frangia più radicale si è materializzata su boulevard Voltaire ed è tornata indietro fra canti e slogan verso place de la République. Alcuni manifestanti hanno continuato a marciare intorno alla piazza, altre persone si sono mescolate a chiacchierare tra loro, mentre la polizia in assetto antisommossa si disponeva in modo da bloccare tutti gli accessi. Una nuvola di lacrimogeni si è alzata in un angolo. Poco dopo almeno altri due candelotti sono stati sparati verso il centro della piazza.

Creare spazi di dialogo

Samuel Zouari, dell’unione studentesca Solidaires étudiant-e-s, fissava le squadre di poliziotti che cominciavano ad avanzare verso il centro della piazza. Ha riferito che era venuto sapendo di rischiare l’arresto. “C’erano tutte quelle cose sul continuare a vivere le nostre vite, a uscire la sera e a fare quello che si pensa sia roba francese”, ha detto. “Protestare è un modo per continuare a vivere le nostre vite”.

Alla fine, 174 persone sono state tratte in arresto.

Il ruolo principale di Domenjoud nell’organizzazione della protesta contro la Cop21, mi ha detto, è stato quello di organizzare un’équipe legale, in parte per fornire assistenza a chi sarebbe stato comunque arrestato durante le manifestazioni di protesta, come quella di domenica. Ma ciò a cui teneva di più era il tentativo di creare spazi per il dialogo attorno alla conferenza. “Il mio obiettivo principale non era quello di avere una grande protesta. La cosa più importante era avere qualcosa da mangiare e un posto per dormire”, ha affermato. “Così potevamo incontrare le persone la sera e scambiarci gli indirizzi”.

Anche se deve andare a firmare il registro delle presenze alla stazione di polizia tre volte al giorno, Domenjoud è libero di muoversi nel suo quartiere di periferia. Ha cominciato a tenere degli incontri informali tutti i pomeriggi alle due e mezzo nella sua biblioteca collettiva, dove nonostante la pressione della polizia, gli attivisti possono ritrovarsi per costruire con calma un movimento.

(Traduzione di Alessandro de Lachenal)

Questo articolo è uscito su The Intercept.

L’incubo amianto sul Terzo Valico, Cociv decide di sospendere gli scavi

di GIUSEPPE FILETTO

 ore 10.50 del 3 dicembre 2015

 Dopo tre giorni un altro stop: i valori di fibre disperse sarebbero ancora alti

Sono bastati tre giorni di scavi al Terzo Valico, poi un fine settimana di riposo, e la ripresa sarebbe dovuta avvenire lunedì mattina. Così non è stato. Dopo i primi campionamenti ed esami effettuati dallo stesso Cociv (società di Impregilo, general contractor dell’opera per conto di Rfi) in autotutela, il comittente ha deciso di sospendere i lavori. Secondo quanto trapela, dentro la galleria di Cravasco i valori di fibre di amianto disperse nell’aria sarebbero ancora alti, pericolosi per i lavoratori.

All’interno del tunnel, definito di servizio e che in un secondo momento dovrà immettersi nelle “due canne” lunghe 25 chilometri e che dovranno sbucare in Piemonte, i lavori erano stati chiusi il 22 luglio scorso. Appunto per il rischio amianto sollevato dall’Asl e dall’Arpal. Adesso, fallisce, ancor prima di iniziare la fase vera di sperimentazione della durata di 15 cicli (uno scavo di 1,2 metri al giorno).

A quanto sembra, poco servirebbero le misure adottate dal Cociv per abbattere le polveri di amianto: le tre sezioni in cui è stata suddivisa la galleria. Nella prima zona, vicina al fronte di scavo e lunga 100 metri, secondo il piano studiato e presentato dal consorzio, è stato installato un aeratore di aspirazione del diametro di 2 metri, più alcuni cannoni che sparano acqua nebulizzata, formano delle cascate che dovrebbero far precipitare le fibre. Qui l’aria viene filtrata prima di essere spinta fuori; il materiale roccioso viene bagnato, caricato su camion coibentati (pure la cabina de guidatore è in depressione)

Nella seconda zona, detta di decontaminazione, i mezzi vengono lavati da getti d’acqua, gli operai a fine giornata si sottopongono a docce, si cambiano negli spogliatoi e lasciano le tute di lavoro. La terza zona è costituita dall’ultimo tratto di galleria, quello che collega con l’esterno.

Tutto questo sistema di abbattimento delle fibre aerodisperse, sicuramente, non ha funzionato. Così che lo stop dovrebbe protrarsi per 15 giorni, e considerato che dal 22 dicembre al 7 gennaio è prevista la sospensione dei lavori dovuta al periodo natalizio, probabilmente le operazioni di scavo all’interno del tunnel non potranno riprendere prima dell’Epifania.

Continuano, invece, i lavori fuori dalla galleria: nei parchi di abbancamento del materiale: la chiusura delle rocce amiantifere dentro i “big bag”, per poi trasferirlo in opportune discariche controllare della Germania.

Aldilà della data di ripresa dei lavori e dei rallentamenti rispetto alla tabella di marcia, tutto cio, ovviamente, fa saltare i costi dell’Alta Velocità Genova-Milano. Rischiano di diventare 50 volte superiori a quanto calcolato in progetto e di far sballare l’opera. A mettersi di “traverso” è l’amianto, e secondo quanto si teme, sui 14 milioni di metri cubi di terre da scavo che dovrebbero essere estratte dai 25 chilometri di gallerie, almeno un milione dovrebbero contenere alte percentuali del materiale cancerogeno: da smaltire in opportune discariche per rifiuti pericolosi.

Un metro cubo di rocce portato in una normale discarica costa 5 euro; la stessa quantità trasferita in Germania 250 euro. A conti fatti, quel milione di metri cubi di materiale farebbe lievitare i costi di circa 250milioni di euro.

La differenza, la fa la concentrazione di amianto nei materiali da scavo: se sotto il grammo per chilo di roccia, è classificato normale detrito; se, invece, è superiore, si parla di rifiuto speciale. Rischia (almeno per ora) di rimanere inutilizzata la Cava Castellari di Cravasco, che può accogliere oltre due milioni di metri cubi di terre, ma inerti. Così come tanti altri siti liguri.

Sul Terzo Valico al momento insistono due inchieste della Procura della Repubblica. Una riguardante la sicurezza negli ambienti di lavoro, per la quale è indagato il responsabile. Per l’amianto e lo smaltimento delle rocce, invece, nel registro degli indagati sono finiti il rappresentante legale di Cociv e il direttore della Calcestruzzi Spa, proprietaria della cava Castellaro di Isoverde. Dalla Procura della Repubblica di Genova sono chiamati a rispondere di ” smaltimento illecito di rifiuti pericolosi”. Il Cociv per avere abbancato in discarica terre ricche di amianto, la società per averle accolte.

«Il Terzo Valico è un’opera da portare avanti salvaguardando ambiente e salute, che sono prioritari – La giunta regionale segue con la massima attenzione l’andamento dei lavori. Così Giacomo Giampedrone, Assessore Regionale all’Ambiente e alle Infrastrutture.

ISIS boom – jihadista barricato in casa sta fare fuoco

http://www.dagospia.com/rubrica-29/cronache/isis-boom-jihadista-barricato-casa-sta-fare-fuoco-114155.htm

dago2 DIC 2015 10:10

1. ISIS BOOM! UN MILIZIANO JIHADISTA È BARRICATO IN CASA E STA PER FARE FUOCO CON IL SUO LANCIARAZZI RPG PER UN VIDEO DI PROPAGANDA. ECCOLO CHE LO IMPUGNA, SI ALZA, PRENDE LA MIRA MA POI NON CENTRA LA FINESTRA ED IL COLPO ESPLODE DENTRO LA STANZA! – VIDEO
2. NON È CHIARO SE L’IMBRANATO JIHADISTA SIA SOPRAVVISSUTO O MENO ALL’ESPLOSIONE. CERTAMENTE LA CAMERA È ANDATA DISTRUTTA. LE IMMAGINI ARRIVANO DA SAMARRA, IN IRAQ

l uomo si alza e prende la mira

L UOMO SI ALZA E PRENDE LA MIRA

Da http://www.blitzquotidiano.it

 Chiuso dentro una stanza, un miliziano jihadista dello Stato islamico esplode mentre prova a sparare, per un video di propaganda, con un Rpg. Non è chiaro dove e quando il video, caricato su YouTube, si stato girato. Nel video si vede il miliziano prendere la mira per cercare di far passare il colpo attraverso un piccolo buco nel muro della stanza.

  jadista bazuka

 

il miliziano fa fuoco con il bazooka

IL MILIZIANO FA FUOCO CON IL BAZOOKA

Il miliziano però deve aver sbagliato mira e il colpo è esploso dentro la stanza. Non è chiaro se il combattente jihadista sia sopravvissuto o meno. Certamente la camera è andata distrutta pochi secondi dopo l’esplosione. 

il jihadista con il suo rpgla stanza crolla e rimane una nuvola di fumo

IL JIHADISTA CON IL SUO RPG ** LA STANZA CROLLA E RIMANE UNA NUVOLA DI FUMO

PER FORTUNA C’È L’IMPERO DEL MALE!

http://www.famigliacristiana.it/articolo/per-fortuna-c-e-l-impero-del-male.aspx
 logo famiglia cristiana

venerdì 04 dicembre 2015

RUSSIA-TURCHIA

03/12/2015  Come ci hanno spiegato, i russi mentono sempre. Per fortuna! Pensate come dovremmo preoccuparci se, invece, i turchi aiutassero l’Isis, gli Usa aiutassero la Turchia che aiuta l’Isis, la Nato…

Vladimir Putin al poligono di tiro (Reuters).

Vladimir Putin al poligono di tiro (Reuters).

Noi occidentali siamo proprio fortunati! Sappiamo che la Russia è l’impero del male e che, quindi, nulla dalla Russia può venire che non sia menzogna. Pensate che disastro, se non fosse così.

Se non fosse così, dovremmo pensare che la Turchia, un Paese a cui l’Unione Europea, per mano della signora Mogherini (appunto Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, dicesi sicurezza!) vorrebbe consegnare 3 miliardi per controllare i confini e impedire che i profughi siriani si riversino verso l’Europa, usa uno dei suoi confini, quello con la Siria, per fare affari con i jihadisti che mettono a ferro e fuoco la Siria, producendo appunto quei profughi. Un bellissimo sistema, quello turco, per guadagnare tre volte su un’unica tragedia: comprando petrolio e opere d’arte dall’Isis; vendendo all’Isis armi e altre attrezzature e facendo passare i foreign fighters che vanno a rinforzare le sue file; infine, obbligandoci a versare milioni se non vogliamo veder arrivare i profughi.

Certo, l’impero del male ha prodotto foto e testimonianze. E anche chi scrive, visitando il Kurdistan iracheno, non ha mancato di notare le centinaia e centinaia di autobotti che ogni giorno partono per la Turchia, cariche di petrolio “clandestino”, quello che il Kurdistandovrebbe vendere attraverso il ministero del Petrolio di Baghdad e invece vende per conto proprio. Qualche tempo fa, inoltre, Hisham al-Brifkani, iracheno e presidente della commissione Energia della provincia di Ninive, aveva pubblicamente detto che le forniture di petrolio contrabbandato dall’Isis in Turchia avevano raggiunto un massimo di 10 mila barili al giorno, per assestarsi poi sui 2 mila barili, anche se molti altri esperti parlavano di un potenziale da 250 mila barili al giorno.

Ma non importa, per fortuna l’ha detto l’impero del male e noi sappiamo che son tutte frottole. Il che ci tranquillizza a cascata. Perchè se la Turchia è amica dell’Isis, che cosa sono gli amici della Turchia? Barack Obama, per esempio. Il superdemocratico Nobel per la Pace che, quando la Turchia abbatte un aereo russo dice “la Turchia ha diritto a difendere i suoi confini” come se la Turchia fosse stata attaccata, e quando i russi mostrano le foto dei traffici al confine ribatte “la Turchia non c’entra”? Se non sapessimo che l’impero del male mente sempre, potremmo persino pensare che è Obama a mentire. E’ Obama che spalleggia gli amici dei terroristi. E’ Obama che finge di combattere l’Isis, lasciandogli invece aperte tutte le porte di rifornimento: quelle della Turchia, certo, ma anche quelle del Golfo Persico, le cui monarchie continuano imperterrite a distribuire quattrini e armi ai jihadisti.

Dovremmo persino pensare (ma qui siamo proprio al colmo) che i satelliti del Pentagono hanno qualche disfunzione. Se un aereo russo esplode sul Sinai, dopo un paio d’ora sanno dirti per filo e per segno che cos’è successo. Ma se lunghissime colonne di autobotti attraversano il deserto (o una non meno lunga colonna di mezzi e blindati carichi di miliziani solca per ore il deserto per raggiungere Palmira) non vedono nulla. Misteri della tecnologia.

Non è dunque una gran fortuna sapere che l’impero del male mente sempre? E che sospiro di sollievo sapere che in ogni caso, a tenerlo a bada, c’è la Nato. L’Alleanza militare che per due anni ha taciuto sui maneggi della Turchia, e sul transito di armi e foreign fighters verso la Siria,ma si è tanto tanto preoccupata dei bombardamenti russi sui ribelli. E che adesso, di fronte al generale smandrappamento dei suoi amici, e al “liberi tutti” nell’intervento anti-Isis in Siria (Germania, Francia e Gran Bretagna perché l’opinione pubblica non sopporta più le ciance, la Cina in nome di vecchi alleanze), non sa far altro che organizzare qualche provocazione a base di aerei abbattuti, Governi ucraini all’attacco e inviti al Montenegro. 

Quindi che gran fortuna che l’impero del male menta sempre. Se no, sai quanto ci dovremmo preoccupare?

NOTA STAMPA TAV FIRENZE, IL M5S INCONTRA IDRA E SCENDE IN CAMPO CONTROL’OPERA

FIRENZE, 4 dicembre 2015 – Un’opera inutile, anzi dannosa, su cui anche l’Unesco ha mosso rilievi con una lettera spedita nei mesi scorsi: parliamo del sotto attraversamento Tav di Firenze. Il Movimento 5 Stelle ne ha parlato questa mattina in un incontro con l’associazione indipendente Idra, memoria storica sulla Tav toscana e in prima fila contro quest’opera.

All’incontro hanno partecipato il vicepresidente della Camera Luigi di Maio, per la Commissione Trasporti della Camera Diego De Lorenzis, per la commissione Giustizia Alfonso Bonafede. Per Idra presenti il presidente Girolamo Dell’Olio, il vicepresidente Pier Luigi Tossani, Sabina de Waal e laprofessoressa Teresa Crespellani.

Durante l’incontro sono stati delineati alcuni strumenti istituzionali da mettere in campo, sia per ottenere ulteriori informazioni sulla Tav, sia per poter contrastare quest’opera che – è stata la posizione di tutti – serve solo come “stipendificio” della politica, per dirla con le parole intercettate nell’inchiesta che ha portato agli arresti del ex super dirigente del ministero dei Trasporti Ercole Incalza. In questo modo si potrebberisolvere il nodo di Firenze in modo ottimale, nonché destinare le ingenti risorse pubbliche messe a disposizione, purtroppo in lievitazione permanente grazie ai meccanismi contrattuali, alle vere esigenze del Paese (trasporti pubblici, tutela del territorio, scuole, per citarne solo alcune).

Il Movimento 5 Stelle proporrà di audire Idra allaCamera, presso le commissioni Trasporti e Antimafia, mentre i parlamentari della commissione Trasporti del M5S organizzeranno un sopralluogo sui cantieri per la constatazione dei danni già in atto, inoltre siaccerteranno gli incrementi di spesa che già da adesso fanno ipotizzare un consistentedanno erariale.


Area Comunicazione M5S Camera dei deputati

TAPIE. RENDEZ L’ARGENT ! OU LA FIN D’UNE GRANDE ARNAQUE POLITICO-FINANCIERE IMPLIQUANT SARKOZY ET LAGARDE DIRECTRICE DU FMI …

# LUCMICHEL. NET/ Luc MICHEL/ 2015 11 04/

Avec Libé – PCN-SPO/

LM.NET - LM tapie rendez l'argent (2015 12 04) FR

L’affaire Tapie rebondit, comme un boomerang en pleine face de l’affairiste français.

La cour d’appel de Paris a condamné ce jeudi Bernard Tapie à rembourser plus de 404 millions d’euros obtenus en 2008 pour mettre un terme à son litige avec le Crédit lyonnais sur la revente d’Adidas en 1994 !

* Comment Tapie a fait fortune (et va tout perdre).

Lire sur LUCMICHEL. NET :

TAPIE EMBLEMATIQUE DE CE QUE LE SYSTEME FAIT DE PIRE …

sur http://www.lucmichel.net/2013/07/14/tapie-emblematique-de-ce-que-le-systeme-fait-de-pire/

RETOUR SUR L’AFFAIRE TAPIE.

OU COMMENT L’AFFAIRISTE AVEC L’AIDE DE SON AMI SARKOZY ET DE LA MINISTRE LAGARDE (AUJOURD’HUI DIRECTRICE DU FMI) AVAIT PENSÉ POUVOIR ROULER LA JUSTICE FRANÇAISE …

Retour sur le scandale d’état « Tapie-Lagarde-Sarkozy » :  Ce dossier judiciaire concerne l’indemnisation de Bernard Tapie, qui estime avoir été « arnaqué » par le Crédit Lyonnais quand ce dernier a été chargé de vendre Adidas. En 2008, un “tribunal arbitral” avait condamné le Consortium de réalisation (CDR, gérant le passif de la banque) à verser 285 millions d’euros de réparations à Bernard Tapie. Problème : Bernard Tapie aurait probablement reçu moins d’argent si la procédure avait emprunté la voie règlement judiciaire. Or c’est la ministre de l’Economie Christine Lagarde qui a tranché. La polémique sur l’affaire Tapie avait rebondi dès septembre 2010 lorsque Le Canard enchaîné (Paris) avait affirmé que l’ex homme politique et patron de l’OM empocherait effectivement 210 millions d’euros de l’Etat et non entre 20 et 50 millions, comme l’avait assuré deux ans plus tôt la ministre de l’Economie, Christine Lagarde.

D’après un document que s’est procuré l’hebdo français Marianne en février 2011, la procédure qui a permis à l’homme d’affaires d’empocher la somme de 220 millions d’euros dans le cadre de l’affaire qui l’opposait au Crédit Lyonnais n’est pas légale.Christine Lagarde devrait avoir à se défendre de son rôle dans cette affaire. D’après un document que Marianne s’est procuré, la Cour des comptes a ouvert un recours qui remet en cause la procédure par laquelle Bernard Tapie a reçu quelque 220 millions d’euros de la part de l’État en septembre dernier, dans le cadre de l’affaires qui l’opposait au Crédit Lyonnais – alors banque publique – sur la vente d’Adidas en 1993.

Sur le site Internet du journal Marianne, le référé, scanné, est daté du 3 février 2011 et met en avant les «dysfonctionnements caractérisés sur le dossier Tapie/Adidas». Notamment, selon ce document, ce n’était pas à l’État – et donc aux contribuables français- de payer cette somme à l’homme d’affaires, ami de Sarkozy. Pour rappel, lors de cette affaire, un organisme public, baptisé CDR pour Consortium de réalisation, a été créé et chargé de gérer le passif du Crédit Lyonnais. L’Établissement public de financement et de restructuration (EPFR), qui chapeaute le CDR, étant placé sous la tutelle de Bercy. «La rédaction actuelle du protocole (…) ne permet pas de fair bénéficier le Crédit Lyonnais de la garantie du CDR pour les contentieux relatifs au groupe Bernard Tapie», peut-on lire dans le recours.

Ce document a été présenté le 8 février 2011 aux députés de la Commission des Finances. Il a eu «l’effet d’une bombe», relate Marianne. En effet, ces députés ont été écartés dans ce dossier, alors qu’ils auraient du légiférer. Le gouvernement aurait du saisir le Parlement: il a donc un «défaut d’autorisation législative». En réalité, c’est Christine Lagarde qui a elle-même validé la décision: «J’ai examiné tous les aspects juridiques du dossier et en conscience, je l’assume parfaitement, je pense que c’était la bonne décision dans l’interêt de l’Etat», avait-elle dit sur Radio classique en septembre 2011.

En avril 2011, les députés PS – bien oublieux du rôle joué par le PS et Mitterrand dans l’ascension de Tapie – saisissent la justice pour dénoncer la gestion du dossier par Christine Lagarde, en écrivant au procureur général de la Cour de cassation. Leur but ? Saisir la Cour de Justice de la République, afin qu’elle étudie pourquoi le gouvernement a privilégié une procédure discrète et rapide pour mettre fin à l’affaire Tapie/Crédit Lyonnais, en lieu et place d’un règlement judiciaire, jugé plus strict.

Les socialistes évoquent donc un “faisceau d’indices” qui tend à montrer que les décisions prises “avaient pour objet de favoriser des intérêts particuliers au détriment de l’intérêt public”. Des doutes existent en effet à tous les étages de la procédure. Les neuf députés PS dénoncent également un “faux et usage de faux”, après avoir lu le rapport d’information rendu public. Dans l’avant-propos de ce rapport, le président PS de la commission des Finances de l’Assemblée, Jérôme Cahuzac, indique que l’ex-homme d’affaires aurait bénéficié d’un ajout de la mention “préjudice moral”, synonyme d’indemnisations supplémentaires. Quant au président du consortium de réalisation (gérant le passif du Crédit lyonnais), Jean-François Rocchi, président du CDR, a nié être intervenu en faveur de l’ex-homme d’affaires. Ce dernier a par ailleurs été mis en cause dans un rapport remis par la Première chambre de la Cour des comptes au procureur générale de cette institution.

Le président du groupe socialiste à l’Assemblée, Jean-Marc Ayrault – devenu ensuite premier ministre – , a lui expliqué sur Europe 1 que les députés reprochaient à Christine Lagarde de ne “pas avoir respecté la loi”. “Il y a un rapport de la Cour des comptes qui dit clairement que le Parlement aurait dû donner son autorisation à la procédure autorisée par la ministre”, a-t-il développé. “Je pense que c’est une décision qui a été prise au plus haut niveau de l’Etat”, a-t-il aussi argumenté. “S’agissant de l’argent des contribuables”, les sommes mises en jeu sont “exorbitantes”, a aussi pointé Jean-Marc Ayrault.

Le départ de Lagarde pour le FMI ressemble dès lors à une exfiltration … Mais il n’a pas arrêté la procédure en cours, procédure qui avait par ailleurs été au cœur des débats au FMI sur la nomination de Lagarde. Certains annoncent depuis « une honte nationale » à venir pour la France. Lagarde condamnée et chassée du FMI comme un vulgaire DSK ! La défaite judiciaire de Tapie ce jeudi n’inaugure rien de bon pour l’arrogante directrice du FMI …

Luc MICHEL

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LA MENACE DJIHADISTE SUR L’AFRIQUE (SUR SAHAR TV, LE MAGAZINE DE L’AFRIQUE, 1er DEC. 2015)

# PANAFRICOM-TV/ LUC MICHEL – PANAFRICOM-TV & SAHAR TV (Iran)/

2015 12 01/

PANAF-TV - SAHARTV LM djihad africain (2015 12 01) FR

Hebdomadaire LE MAGAZINE DE L’AFRIQUE,

présenté par le journaliste iranien Ahmad Nokhostine,

sur la TV iranienne francophone d’Etat SAHAR TV

 Video de l’émission complète sur : https://vimeo.com/147780870

 LA MENACE DJIHADISTE SUR L’AFRIQUE !

Luc MICHEL analyse au cours de l’émission, à partir des exemples du Nigéria et de la Tunisie, la menace djihadiste actuelle sur l’Afrique.

Des réseaux sectaires et criminels de jandis à la montée de Boko Haram et à la naissance de son « califat » (sur le nord-est du Nigéria et le Niger), de l’allégeance à Daech à l’inscription du djihadisme africain dans le djihadisme transnational et para-étatique de « l’état islamique » …

Sans oublier le Califat de Daech-Libye à Syrte et vers Derna, l’organisation de Moktar Ben Moktar sur le Sahara (vers Sebah en Libye saharienne) et la rivalité entre Daech et les restes d’al-Qaida en Afrique (Aqmi) où la vieille organisation djihadiste de Ben Laden ne s’est pas encore inclinée (contrairement au Levant où Daech l’a emporté) !

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