Ospedale di Susa: manifestazione e tensioni

Si è svolta a Susa la manifestazione contro la decisione di Saitta di chiudere il punto nascite dell’ospedale. Tensioni e polemiche contro Plano e le FfdOo

di Davide Amerio.

Un cordone di  in divisa antisommossa e 6 blidati posizionati davanti all’ di  hanno accolto oggi pomeriggio i manifestanti che si sono raccolti davanti l’ingresso per protestare (ancora una volta) contro la decisione della giunta Chiamparino e dell’assessore  di chiudere il reparto maternità e depotenziare – di fatto – la struttura ospedaliera a partire dal pronto soccorsocarabinieri

La Questura di Torino ha emanato un’ordinanza nella quale proibiva il corteo e la  davanti all’ospedale. Incredibilmente ha deciso di schierare una linea di forze dell’ordine assolutamente spropositata rispetto alla pacifica  in corso con l’intenzione di impedire la libertà di dissenso.

Diverse persone hanno contribuito con i loro interventi a motivare le ragioni della manifestazione e delle forti critiche alla giunta Chiamparino. Monica ha ricordato la carta dei diritti del fanciullo del 1924 nella quale la sicurezza sociale, di cura e di benessere delle mamme e dei bambini sono ritenuti fondamentali come pure il diritto alle cure mediche e di pronto soccorso.

Matteo Locatelli del Meet up  di Forno Canavese ha portato il suo saluto e la testimonianza dell’Ospedale di Courgnè nel quale è in funzione il sistema di Day Service che entrerà in funzione a Susa dopo la chiusura del . Morale: si paga il ticket e occorre prenotare per avere la possibilità di essere “curati” e se ci sono complicazioni devi comunque andare in una struttura “adeguata” come quella di . Peccato che qui ci sia la saturazione di quasi tutti i servizi, in particolare del Pronto Soccorso.

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L’ospedale di Susa è una struttura storica che ha superato guerre mondiali ma oggi non supera la prova della scure dell’austerità imposta dal governo Renzi e applicata da Saitta.
La chiusura avviane contro la volontà dei cittadini – dichiara la consigliera M5S ; la sovranità e del popolo e non dei politici e invece il rifiuto di esaminare proposte alternative per il punto nascite ha sempre e solo incontrato l’opposizione dell’assessore Saitta.

Contestazioni al sindaco Sandro Plano da parte dei manifestanti durante il suo intervento. Molti contestano al sindaco di aver firmato un accordo che di fatto  consente la chiusura progressiva dell’ospedale. Plano si è difeso ribadendo che comunque un sindaco deve ubbidire alla Legge adeguandosi. Ma non si sono placate le polemiche alla luce anche del decreto ministeriale che consente una deroga in favore delle strutture in aree disagiate e che Saitta non ha voluto prendere in considerazione nonostante le proposte del M5S in Regione.
Non solo, l’assessore alla Sanità ha più volte dichiarato pubblicamente che i “sindaci” della valle erano d’accordo sulla chiusura.

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La  con la gestione PD ha generato un buco di oltre 5 miliardi di euro – ha dichiarato  – e si dice certo che Saitta ha accelerato i tempi per non incappare nel decreto della Lorenzin che avrebbe potuto salvare il punto nascite di Susa. Al solito le conseguenze le pagano i cittadini. Molti i No Tav presenti alla manifestazione insieme al comitato delle mamme di Susa.

Momenti di tensione si sono avuti di fronte all’ingresso carrabile dell’ospedale bloccato da un doppio cordone di carabinieri per impedire l’accesso dei manifestanti dentro l’ospedale. I cancelli di ingresso erano già stati chiusi dal mattino. Non era mai successa una cosa simile – ribadisce la Batzella – qui si commettono violazione sulla libertà di espressione e di circolazione delle persone. Siamo in una dittatura. Chiudere l’ostetricia e il punto nascite è una violazione dei diritti di donne e bambini. Cosa succederà quando una partoriente avrà dei problemi urgenti e si dovrà recare sino a Rivoli? E come faranno quelle persone che in difficoltà economiche non possiedono un’automobile?

I sindaci dovrebbero ritirare l’accordo e il protocollo sottoscritto con la regione Piemonte, è ciò che viene chiesto da più parti.

La manifestazione è proseguita con un corteo pacifico per le vie di Susa animato da cori contro Saitta e la giunta Chiamparino. Il corteo è poi tornato davanti all’ospedale dove semplici cittadini sono intervenuti al microfono per dichiarare, non senza emozione, il proprio dispiacere e la propria frustrazione per una scelta pericolosa e scellerata per la collettività della Val Susa.

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(D.A. 29.11.15)

SIRIA: MOSCA AVREBBE ASSUNTO LA CAPACITÀ DI “OFFUSCARE” I CIELI E LA RETE SATELLITARE SPIA USA (CHE UFFICIALMENTE NON ESISTE)

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(di Franco Iacch)
28/11/15 

I russi avrebbero la capacità di “oscurare” i cieli siriani, compresi i satelliti nell’orbita bassa terrestre (LEO). Schierata fin dall’inizio del rischieramento russo a protezione della base di Hmeymim nei pressi del Bassel al-Assad International Airport, ma non entrata ancora in servizio (avvistata per la prima volta il 5 ottobre scorso), la piattaforma Krasukha-4 potrebbe adesso iniziare ad intraprendere azioni mirate di guerra elettronica contro radar terrestri ed aerei, compresi i Sistemi di Allarme e Controllo Aviotrasportati (Awacs).

Con un raggio operativo di 300 km, l’ultima versione del Krasukha, in servizio da meno di un anno, sarebbe in grado di disturbare, permanentemente, i dispositivi elettronici di rilevamento, compiendo attacchi mirati.

Progettati per difendere i sistemi mobili ad alta priorità come la piattaforme Iskander, i Krasukhapotrebbero adesso offuscare la rete di rilevamento delle postazioni radar turche in un perimetro operativo che comprenderebbe l’intera Siria orientale. Il Cremlino avrebbe inviato altri due sistemi Krasukha nella Regione: uno di questi sarà operativo dal porto di Tartus a protezione della flotta russa schierata a ridosso della costa siriana.

La Guerra elettronica o Electronic Warfare è la capacità di manipolare lo spettro elettromagnetico al fine di rilevare i bersagli nemici ed attaccarli preventivamente, impedendo loro di portare a termine la missione. Prodotti dalla KRET i Krasukha in Siria conferiscono ai russi la capacità di interrompere, ad esempio, le comunicazioni radio così come la raccolta attiva di intelligence ed annullare qualsiasi tipo di attacco missilistico convenzionale.

Si presume siano in grado di neutralizzare anche i radar ad apertura sintetica dei “Lacrosse” e degli “Onyx”, satelliti spia del National Reconnaissance Office. Sappiamo che il Krasukha-4 è entrato in azione in Ucraina orientale. In numerosi frangenti, le comunicazione ucraine sono state “spente” del tutto. Appare evidente che una rete formata dai Krasukha può da un lato monitorare l’intera rete aerea della NATO nella Regione e dall’altro offuscare la rete di intelligence multilivello: dai Lacrosse agli AWACS, dalle comunicazioni a banda X a quelle a banda J.

Progettato per contrastare la radio-localizzazione della rete satellitare della NSO (che ufficialmente non esiste), il Krasukha-4 non è immune alle contromisure elettroniche occidentali. Il problema, in questo caso, è che una tale azione sarebbe considerata un atto di guerra. Attaccare elettronicamente un sistema posto a protezione di un’area operativa (concessa dal Paese ospitante), significherebbe minare la già caduca situazione nella Regione.

La NATO non può fare altro che accettare l’entrata in servizio di tali sistemi a protezioni delle basi russe.

ARMENIA, 24 APRILE: ANNIVERSARIO DI UN GENOCIDIO DIMENTICATO

http://www.veja.it/2014/04/24/armenia-24-aprile-anniversario-genocidio-dimenticato/

— giorgio @ 00:04

Deir el Zoor-crocifissione di donne -cristiane armene

Questa immagine, scattata da un giornalista tedesco e conservata negli archivi del Vaticano, documenta il massacro delle donne cristiane armene nel deserto di Deir ez-Zor – Siria , il 24/04/1915 durante il genocidio da parte dei soldati turchi.

Intervista a Baykar Sivazliyan, docente universitario, esperto di Storia e letterature dell’area mediorientale e scrittore armeno.

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Baykar Sivazliyan

di GIANNI SARTORI

Iniziamo con qualche notizia biografica. In quali circostanze la sua famiglia è arrivata a Venezia?

Sono nato in una famiglia di sopravvissuti al Primo Genocidio del Ventesimo secolo.

I miei nonni venivano da parte di mio padre dalla città di Sivas e quelli di mia madre dalla città di Erzurum, entrambi situati in Anatolia, nell’Armenia Occidentale con una forte presenza armena di cittadinanza ottomana, annientata durante il Genocidio perpetrato dal governo Ottomano dei Giovani Turchi fra gli anni 1915-21. Attualmente in tutte due le città non esistono più armeni, come in tutta l’area circostante dell’Armenia Storica.

Successivamente, dopo il Pogrom del 1956 contro i greci e il golpe militare del 1960, le minoranze in Turchia non avevano più un futuro garantito. Nel 1966 i miei genitori mi hanno mandato, da solo, avevo 12 anni, a Venezia dove allora esisteva ancora un Collegio Armeno e dove ho finito le medie e il liceo. In seguito ho frequentato l’Università Cà Foscari. Subito dopo la laurea ho iniziato ad insegnare, prima nel Liceo Armeno e di seguito presso l’Università Statale di Milano, la lingua armena. Fra gli anni 1999-2005 ho avuto anche un incarico di insegnamento di Lingua e Letteratura Turca presso l’Università di Lecce, in quanto sono specializzato sia nella Storia Medio Orientale che in Lingua e Letteratura Turca.

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Il genocidio subito dagli Armeni è ancora argomento attuale di discussione e polemiche. È possibile quantificare il numero delle vittime? Quali metodi ha usato lo stato turco per operare questo sterminio?

Ovviamente chi organizza scientificamente un genocidio tenta di cancellare non solo le tracce ma anche gli indizi.

Nel caso della Amministrazione Ottomana gli “indizi” sono rimasti indirettamente, attraverso la documentazione degli archivi ottomani, la documentazione del Patriarcato Armeno di Istanbul e soprattutto come fonte imparziale, le relazioni dei Consoli Generali e degli Ambasciatori dei paesi occidentali (in modo particolare di quelli degli Stati Uniti, Russia, Germania, Italia, Francia , Inghilterra) e la documentazione delle missioni religiose operanti sul territorio Ottomano abitata dagli armeni. Secondo questi dati, almeno un milione e cinquecentomila armeni sono periti e circa altrettanti sono stati sradicati dal proprio territorio, sparpagliati nei diversi paesi del mondo formando la nuova Diaspora Armena, che oggi è più numerosa degli abitanti della Repubblica dell’Armenia. Per quanto riguarda le polemiche, io penso che siano diventate in mano al governo della Turchia un metodo per rinviare una seria discussione e la nascita di un pacchetto di soluzioni accettabili da tutte e due le parti. Capisco le difficoltà dei dirigenti turchi; purtroppo per decenni hanno mentito al proprio popolo, raccontando menzogne non soltanto riguardo alla questione armena ma per tutte le questioni storicamente importanti della nazione turca degli ultimi due secoli. Fanno parte di questa sfilza di bugie piccole e grandi la questione cipriota, quella curda, quella dei diritti umani, la situazione sociale ecc., ecc. Adesso però si sentono costretti ad aggiustare la mira ma ovviamente con molte difficoltà; il popolo turco è più informato e inizia a distinguere il vero dal falso. Non si può, per es., risolvere la questione curda dicendo che i genitori del Presidente Abdullah Ocalan erano di origine armena…i primi a non accettare più questa tragicommedia sono proprio i turchi.

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Cosa rappresenta l’attuale stato dell’Armenia? È stato in grado di salvaguardare la cultura, la lingua, l’identità del popolo armeno?

L’Armenia, nata nel 1918 e dal 1920 facente parte dell’ex Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, è diventata un paese indipendente nel 1991. È situata su un decimo del suo territorio storico, è la periferia di se stessa. Prima ancora di guarire dalle ferite del Genocidio, ha dovuto sopportare anche quelle della Seconda Guerra Mondiale in cui 250 mila armeni sono caduti con l’esercito dell’Unione Sovietica combattendo contro il nazismo .

La salvaguardia della cultura e della lingua è sempre stata una irrinunciabile priorità per gli armeni, assieme alla propria complessa identità. La nazione armena, preparata ed aperta all’integrazione, non ha però mai perso la propria cultura di appartenenza, anche quando ha dovuto lasciare la propria casa ed allontanarsi dalla terra dei propri padri. Lo stato dell’Armenia e le organizzazioni culturali della Diaspora sono stati complementari in questa opera colossale di salvaguardia della propria identità nazionale.

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Qual è la situazione della diaspora armena (sia nel mondo che nel Veneto, a Venezia in particolare…)?

La Diaspora Armena è molto vasta, in quanto frutto del Primo Genocidio del XX secolo e della conseguente deportazione dei sopravvissuti. Per parlare dei grossi numeri posso dire che in Francia vivono circa mezzo milione di Armeni, negli USA più di un milione, in Russia due milioni e a Istanbul in Turchia sessantamila persone. In Italia siamo circa 3.000 e nel Veneto non superiamo le 300 anime, a Venezia meno di 100.

Comunque vorrei ricordare che indipendentemente dalla quantità, Veneto e Venezia sono stati sempre dei centri importantissimi per l’armenità intera. I primi Armeni vennero già nel XII secolo a Venezia, come già nel 1299 i Veneziani avevano un Bailo nel Regno Armeno di Cilicia. Il primo Libro armeno a stampa è stato pubblicato nel 1512 a Venezia, la più grande Congregazione Armena della storia Culturale degli armeni ha tuttora sede sull’Isola di San Lazzaro nella maestosa Laguna di Venezia. Dal 1836 al 1996 è esistito il Collegio Armeno Moorat-Raphael di Venezia che ha forgiato tutti i migliori intellettuali armeni per più di un secolo e mezzo, sia per l’Occidente che per l’Oriente. 
Oggi gli armeni della Diaspora hanno decine di organizzazioni Culturali e politiche, sono impegnati individualmente nell’arte, nella cultura , nella politica , nelle professioni dei rispettivi paesi d’adozione. Nel Veneto per esempio sono molto famigliari i cognomi: Babighian, Arslan, Gianikian, Zekiyan, Pazargiklian, Mildonian, e tanti altri, stimati medici, intellettuali, architetti, studiosi, economisti, ecc.

Armeni impiccati ad Aleppo nel 1915

Armeni impiccati ad Aleppo

Il Parlamento curdo in esilio aveva pubblicamente riconosciuto le responsabilità dei curdi nel genocidio degli armeni. Quali furono le circostanze di questa complicità con lo stato turco e qual è l’importanza di questa dichiarazione?

L’Impero Ottomano si è sempre servito di gruppi sotto il suo controllo, per aizzare questi contro un’altra minoranza, sia nazionale che religiosa.

L’organizzazione feudale dei curdi ha fatto sì che l’imput del governo centrale Ottomano trovasse presto presa su una parte della popolazione che doveva obbedienza cieca al capo villaggio. Inoltre le proposte allettanti fatte ai curdi che avrebbero potuto impossessarsi dei beni degli armeni, comprese le donne (nella loro mentalità anch’esse facenti parte dei beni) ha fatto il resto. Non è un caso che quasi tutti i miei amici curdi abbiano almeno una nonna di origine armena e che continuino a chiamarmi “dayi”, parola turca che indica lo zio da parte della mamma.

In seguito i curdi hanno avuto nell’Armenia un grosso alleato. A Yerevan, capitale della Repubblica Armena, esiste tuttora un istituto rinomatissimo di studi curdi, un teatro in curdo e una radio in lingua curda. Tutto questo quando in Turchia, dove almeno un quarto della popolazione è di origine curda, solo la pronuncia del nome “curdo” o della parola “Kurdistan” significava essere sbattuti in galera senza un processo ed essere tacciati di separatismo o peggio ancora di terrorismo. A me personalmente fa molto piacere il pronunciamento del Parlamento curdo in Esilio, il rammarico sincero per il Genocidio degli Armeni, ma tanti altri armeni si aspettano una posizione più chiara da parte dei curdi. Una esplicita autodenuncia della loro complicità diretta; solo così la verità verrebbe in superficie e la giustizia potrebbe trionfare. Altrimenti questa dichiarazione rischia di diventare uno dei tanti proclami fatti da numerosi parlamenti dell’Europa e del Mondo che presentano dopo 90 anni il loro “dispiacere” per un fatto “increscioso”, certe volte senza nemmeno indicare chiaramente il responsabile e condannare apertamente la Turchia. Il cambio di regime o gli interessi concreti di oggi non possono indurci a digerire l’indigesto. Che senso avrebbe oggi condannare l’Olocausto, esternare il nostro dispiacere senza citare che c’è stato un regime nazista e uno stato scellerato che ha scientificamente organizzato l’annientamento del popolo ebraico?

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Probabilmente il genocidio degli armeni è stato il primo caso (per il XX secolo) in cui uno stato fece massacrare milioni di suoi cittadini…

I Giovani Turchi, nazionalisti, che avevano preso il potere nello stato Ottomano, scossi all’inizio del XX secolo dalle grosse perdite di territori e conseguente potere, hanno creduto che salvando la parte essenzialmente “turca” dell’Impero Ottomano, potevano sopravvivere al proprio sogno di panturchismo e di panturanismo e conservare quello che rimaneva dal vasto impero plurinazionale e multietnico. Si tratta di una questione, oltre che morale ed etica, soprattutto tecnicamente giuridica: l’assassinio di una intera nazione. Ed è proprio per questo motivo che i giudici turchi della corte marziale che portò in giudizio i dirigenti politici del Comitato Unione e Progresso (Giovani Turchi) e i capi militari del periodo di guerra, li accusarono il 26 aprile 1919, di “deportazioni… e sterminio di tutto un popolo che costituiva una comunità distinta”. Dopo tre mesi, il 19 luglio 1919, il verdetto della corte marziale condannò a morte in contumacia i principali dirigenti dell’epoca (tra loro i triumviri Taalat Pascià, Enver Pascià e Ahmed Gemal) e a 15 anni personaggi ritenuti di secondo piano. Oggi, con il senno di poi, possiamo affermare che non c’è stata una sufficiente memoria storica nel condannare questo Genocidio, altrimenti fatti tragici del genere non si sarebbero ripetuti durante gli anni bui del secolo appena passato anche nei confronti del popolo ebraico…

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Aveva detto che la questione non è solo quella degli armeni, dei curdi, di Cipro… ma della stessa Turchia, in crisi economica e sociale. Potrebbe ampliare questo concetto?

Come tutte le nazioni in crescita rapida anche la Turchia sta vivendo i guasti del capitalismo sfrenato. Io non sono un economista, posso solo constatare quello che vedo passeggiando nelle vie della città dove sono nato, Istanbul. Esistono due economie quella interna in lira turca e quella esterna in dollari o in euro. La gente arranca per arrivare alla fine della giornata in una situazione confusa ed economicamente molto precaria. I giovani non hanno prospettive; non aggiungerei la situazione dell’Anatolia che per errori di valutazione economica è stata completamente svuotata dei suoi abitanti e della propria produzione agricola, essenziale per il paese. Fino a un ventennio fa la Turchia era un paese assolutamente autosufficiente per il suo approvvigionamento alimentare; oggi è normale acquistare in negozio un pollo ungherese, burro tedesco e frutta che arriva da altri paesi mediterranei. Malgrado l’esportazione si faccia ormai con parametri e prezzi internazionali (e di conseguenza anche l’importazione), l’operaio continua ad essere retribuito con parametri “locali” assolutamente insufficienti per far fronte alla propria vita quotidiana. Questa situazione potrebbe creare a medio termine guasti significativi e preoccupanti nella sfera sociale del paese.

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In un nostro precedente incontro (aprile 2007), dopo le grandi manifestazioni in favore della “laicità e della democrazia” organizzate dal partito di opposizione CHP (Cumhuriyet Halk Partisi – Partito popolare Repubblicano, fondato da Ataturk), lei sembrava dubbioso sulla reale spontaneità di queste iniziative della società civile. Non escludeva che potessero essere state “manovrate” dai militari (anche se i manifestanti dichiaravano di essere scesi in strada “contro il golpe” minacciato dall’esercito). Cosa si nasconde in realtà dietro la contrapposizione tra “laici” e “religiosi”? Come giudica l’esplicito richiamo ad Ataturk esibito in tanti striscioni e bandiere anche nelle manifestazioni dell’anno scorso?

Mustafa Kemal Ataturk (“Padre dei turchi”) è il simbolo della Turchia moderna. Non sempre però rappresenta la laicità; più volte i numerosi regimi che hanno tenuto sotto il tallone il popolo turco, si sono serviti della figura di questo soldato-politico. Quando si trattava di consolidare il proprio potere, in ogni periodo più o meno nefasto della storia della Turchia, molti si sono serviti della figura del fondatore della Turchia “moderna”. I primi governanti della Repubblica Turca erano i membri riciclati del partito Unione e Progresso (Ittihat ve Terakki) che tennero saldamente in mano il potere nell’Impero ottomano a cavallo fra il 1800 e il 1900. Portarono alla disfatta il paese durante la Prima Guerra mondiale, si macchiarono del Primo Genocidio del XX secolo, quello armeno, fondarono il loro potere economico sulle ricchezze sottratte agli armeni e ai greci massacrati. Potrei fare un lungo elenco di personaggi che da lugubri assassini divennero ministri della nuova Repubblica. L’Occidente nella sua voluta distrazione, confonde i nazionalisti turchi con i laicisti che si trovano in tutte le strutture del paese turco, non solo nelle file delle forze armate. Tanto per parlare chiaro, gli assassini di padre Santoro, del giornalista armeno Hrant Dink e i torturatori di Malatya (18 aprile 2007, assalto alla casa editrice cristiana Zirva e uccisione di tre persone, nda) appartengono alla stessa radice.

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Sia i militari che la Tusiad (l’associazione degli industriali turchi) si erano mostrati ostili nei confronti di Abdullah Gul, il candidato del partito AKP (Adalet ve Kalkinma Partisi – Partito per la giustizia e lo sviluppo, nda) di Erdogan, ritenuto un “fondamentalista” per quanto moderato. Contrari anche alcuni partiti, sia di destra che di sinistra (al punto che Gul stava quasi per ritirare la propria candidatura). Può darci qualche chiarimento?

Quello che si svolge in Turchia non è una lotta tra laici e religiosi. Finalmente, dopo quasi 90 anni dalla fondazione della Repubblica Turca, si è assistito a una nuova spartizione del potere. I militari si sono visti sottrarre una parte delle loro prerogative di concessione “divina” a favore della società civile e delle minoranze. Ricordo che anche i curdi vengono considerati una minoranza, ma erroneamente.

Infatti su un quarto del territorio sono la massiccia maggioranza e ogni tre cittadini turchi uno è curdo. Attualmente attorno alle grosse città come Istanbul, Ankara e Izmir ci sono delle vere e proprie città “curde”. In questa nuova realtà, di spartizione, si è inserito anche il mondo islamico moderato della Turchia. L’Islam fa parte integrante della Civiltà Turca e non ha le sembianze dell’Islam integralista. La religione turca è stata sempre mite e tollerante nei confronti del diverso, dell’ebreo, del cristiano.

I Giovani Turchi erano tutti atei, non hanno organizzato il genocidio degli armeni per motivi religiosi, ma vedevano questo popolo come una minaccia all’integrità della Turchia. Negli anni successivi i loro eredi nazionalisti hanno fatto la stessa cosa con i curdi (e continuano ancora a farlo) che non sono cristiani ma islamici come i turchi. La religione in mano ai nazionalisti (che si presentano come paladini del laicismo) è stata un pretesto per l’oppressione. Anche gli industriali turchi oggi temono le spinte della massa operaia e della società civile come una minaccia ai loro interessi concreti. Hanno paura che domani, senza il pugno di ferro dei militari, potrebbero essere non più facilmente controllabili.

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Come viene ricordato in Turchia l’anniversario del genocidio armeno, il 24 aprile?

In Turchia non si ricorda il 24 aprile, Giorno della memoria del Genocidio degli Armeni. E’ vietato per legge. Malgrado i numerosi appelli di tanti intellettuali e membri della società civile turca, lo stato non ha avuto ancora il coraggio di riconoscere questa immane tragedia. Il governo di Erdogan ci è andato vicino, ma forse anche per questo motivo sta pagando una pesante fattura. Del resto non invidio i turchi onesti di oggi che devono fare una serie di conti con il passato per crearsi un presente dignitoso. La questione armena non è la sola. Esistono anche la questione curda, i diritti umani, la situazione sociale, la questione cipriota, le relazioni con i vicini (Grecia, Siria, Iran, ecc.). Numerosi intellettuali turchi, da anni, sono costretti a vivere fuori dalla Turchia e tantissimi sono stati giudicati in contumacia per reati di opinione. Il più grande sociologo turco vivente, Taner Akcam, è esule negli Stati Uniti. Il Premio Nobel per la letteratura Orhan Pamuk, il giorno dopo l’assassinio di Hrant Dink, ha preso il primo aereo per la stessa destinazione. A Parigi ci sono più intellettuali turchi che a Izmir.

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Una domanda per quanto riguarda il quadro internazionale. Negli ultimi tempi si ha l’impressione che gli Usa stesse “scaricando” la Turchia, forse a favore del Kurdistan “iracheno” e di alcuni stati dell’Asia centrale che darebbero maggiori garanzie, anche in materia di basi militari. La sua opinione?

Il mondo globale è diventato sorprendentemente pratico. Se un aeroporto in Turkmenistan costa centomila dollari all’amministrazione statunitense, perché gli Usa dovrebbero spendere milioni di dollari per avere la stessa pista di decollo in Turchia? Sembra che gli Stati Uniti, avendo puntato su un Kurdistan iracheno, l’unico pezzo dell’Iraq dove riescono a controllare “due case e tre strade”, abbiano deciso (ma non ancora confessato per il momento) per una sua autonomia. Così facendo, hanno scelto di andare in rotta di collisione contro i militari turchi che non potranno mai ingoiare un rospo di tali proporzioni. Vedono questa nuova realtà, come un primo pezzo di un futuro Kurdistan indipendente che inesorabilmente chiederà fra qualche anno i suoi territori a Nord, oggi sotto l’amministrazione turca.

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Quando si parla degli armeni viene privilegiato il discorso sul genocidio perpetrato dalla Turchia. Si rischia di dimenticare che esiste una Repubblica di Armenia che ha permesso a questo popolo di conservare la propria cultura e identità nonostante le tragiche vicissitudini. Che cosa rappresenta la Repubblica di Armenia?

La repubblica dell’Armenia attuale rappresenta per gli armeni di oggi, soprattutto un decimo del territorio dei propri avi. L’Armenia è il baluardo della cultura e delle tradizioni armene, per tutti gli armeni sparsi per il mondo che sono ormai quasi una decina di milioni: 3,3 milioni in terra armena, due milioni in Russia, più un milione nell’America del Nord, mezzo milione in Francia, altrettanti in Medio oriente e il resto sparso per il mondo intero. La parte della popolazione armena più controversa numericamente si trova in Turchia: ufficialmente ci sono 60mila armeni cittadini turchi e 30mila armeni cittadini dell’Armenia, e circa 10mila armeni di varie cittadinanze, cioè in totale circa 100mila. Per altre fonti invece pare che in Turchia ci siano almeno due milioni di armeni o armeni turchizzati. E’ sicuramente una questione molto delicata. Ogni tanto si mormora dell’armenità di qualche pezzo grosso turco oppure salta fuori l’armenità di alcuni turchi molto importanti del passato. Un esempio lampante, causa di grande scandalo, risale a circa un anno fa. La figlia adottiva di Mustafa Kemal Ataturk, la prima Ufficiale dell’aeronautica turca della storia, risultava figlia di una famiglia armena di massacrati. Gli armeni della diaspora guardano all’Armenia come una grande speranza della rinascita. La realtà dell’Armenia ha le sue radici in una storia plurimillenaria. E’ noto che anche gli storici dell’antica Grecia parlavano degli armeni e dell’Armenia. Malgrado l’unità nazionale e lo stato nazionale armeno abbiano cessato di esistere per molti secoli (precisamente dal 1375 al 1918) sul territorio geograficamente chiamato Armenia, non ha mai cessato di esistere il popolo armeno, anche sotto numerose dominazioni (araba, persiana, ottomana e russa). I due anni della Repubblica Armena Indipendente nata dopo il genocidio del 1915 sono stati il preludio difficilissimo della Repubblica Sovietica Socialista dell’Armenia che faceva parte dell’URSS. Per settant’anni, fino al 1991, è stato un angolo di rinascita per il popolo armeno. Cosa mai vista nella storia dell’unione Sovietica, dal 1948 numerose famiglie armene decisero di trasferirsi nell’Armenia Sovietica acquisendone la cittadinanza. Se pensiamo alla quantità di cittadini sovietici desiderosi di andare in occidente, possiamo capire l’originalità del fenomeno.

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Che ruolo hanno avuto gli armeni nella seconda Guerra Mondiale?

Malgrado fossero usciti da una immane tragedia come quella del Genocidio, gli abitanti dell’Armenia Sovietica hanno partecipato molto attivamente alla Seconda Guerra Mondiale.

Il popolo armeno in quel periodo contava circa un milione e trecentomila individui abitanti nella piccola Repubblica e perse nella guerra contro i nazisti 250mila dei suoi migliori figli. Va detto che gli armeni sono stati la popolazione sovietica che in proporzione ha dato più ufficiali e più eroi all’Unione Sovietica durante la Seconda Guerra Mondiale. Va precisato che anche la Diaspora armena ha partecipato attivamente e concretamente alla guerra antinazista finanziando un intero corpo d’armata di mezzi corazzati, chiamato “Sasuntzi David” dal nome dell’eroe mitologico degli armeni. Fra i primi gruppi di soldati sovietici che entrarono a Berlino, c’erano numerosi giovani del corpo di spedizione formato esclusivamente da armeni. Il popolo armeno sparso per il mondo, anche quando le divisioni politiche erano aspre, ha considerato l’Armenia la propria terra a prescindere dal proprio orientamento politico e tuttora numerosi esponenti della diaspora hanno una casa in Armenia e anche attività commerciali o economiche.

militari turchi posano accanto alle loro vittime

Militari turchi posano accanto alle loro vittime

Uno dei problemi legati alla Repubblica di Armenia è quello del Nagorno Gharabagh. Può tracciarne una breve storia?

Il “malessere” dell’Armenia nel sistema sovietico, nasce a cavallo fra gli anni ’80 e ’90 del secolo appena trascorso. Bisogna comunque dire che quel sistema aveva portato un vero benessere ai figli dei sopravvissuti al primo Genocidio del XX secolo. Il terribile terremoto del 1989 si è presentato come un detonatore del malessere degli armeni caucasici già assillati dal silenzio del potere centrale moscovita nei confronti del Nagorno Gharabagh. Questa popolazione aveva continuato civilmente a chiedere, nell’ambito della legislazione vigente sovietica, una maggiore autonomia e la liberazione dal sopruso delle autorità azerbaigiane cui era stata consegnata una intera regione a maggioranza marcatamente armena, circa il 97% della popolazione residente. Quale risposta alle richieste armene, le autorità locali azerbaigiane, approfittando anche della situazione molto confusa delle autorità sovietiche ormai arrivate alla fine della propria storia, prepararono con cura un eccidio nella località di Sumgait. Sumgait è un importante sobborgo di Baku, capitale dell’Azerbaigian, dove abitavano migliaia di famiglie armene di ingegneri e operai specializzati nel settore dell’estrazione del petrolio. L’intento era di dare indirettamente un segnale forte agli armeni, facendo capire che, se avessero continuato a richiedere più libertà e autonomia, la pazienza degli azeri poteva essere colma. In una notte furono trucidati centinaia di armeni, donne violentate, bambini soffocati nelle loro culle. Atrocità gratuite di ogni genere che sconvolsero l’intera armenità. Il popolo armeno, in Armenia e nella Diaspora, vide di nuovo il pesante incubo del genocidio e dell’annientamento fisico. Le proteste presso le autorità sovietiche servirono solo a far raccogliere i cadaveri e far scappare i sopravvissuti con le navi, verso il Turkmenistan, attraverso il Mar Caspio. Ancora una volta come altre, troppo volte nella sua tragica storia, la piccola e pacifica nazione armena è stata costretta a prendere le armi. Fino al 1993 gli armeni combatterono contro le forze armate azerbaigiane, tre volte più numerose, armate fino ai denti e aiutate da mercenari venuti da altre repubbliche dell’URSS. Contro gli armeni intervennero anche migliaia di nazionalisti turchi capeggiati dai “Lupi Grigi” arrivati direttamente dalla Turchia, in qualche caso portandosi dietro le armi con la matricola della Nato, sottratte o semplicemente prese dagli arsenali dell’esercito turco. Certe guerre però vengono vinte dai disperati e questo fu il caso del Nagorno Gharabagh. Gli armeni, perdendo più di 5mila volontari, presero il controllo del loro territorio, spinsero le forze armate azerbaigiane verso l’interno del loro paese, riuscendo ad occupare un territorio sufficiente per la migliore difesa strategica della  loro terra. Attualmente Nagorno Gharabagh è una repubblica autonoma non riconosciuta da nessuno, ma finalmente libera dall’oppressore turco. Da allora i rapporti di dialogo, se pur attraverso terzi, fra l’Armenia e l’Azerbaigian non si sono mai interrotti. Ovviamente, come si usa in Oriente, ogni colloquio precede o succede a delle scaramucce che purtroppo ogni tanto lasciano qualche morto nelle rispettive trincee. Intanto, nel 1991, è nata la Repubblica dell’Armenia, un paese di circa 30mila km. quadrati, con circa tre milioni e duecentomila abitanti. Il blocco attuato dalla Turchia alle sue frontiere, non aiuta lo sviluppo del paese, ma gli armeni sono ben allenati a vivere in condizioni difficili, prosperano lo stesso con un certo aiuto dai loro fratelli della diaspora.

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Una donna  ed un bimbo nel deserto di Der-el-Zor

Mi sembra di capire che nel complesso l’Armenia ha avuto un “rapporto privilegiato” con l’URSS. E oggi lo mantiene con la Russia. Da cosa deriva questa vicinanza?

E’ vero che gli armeni hanno un rapporto privilegiato con la Russia, per il semplice motivo che negli ultimi secoli gli interessi dei due paesi sono stati convergenti. Nel Caucaso l’unico paese che è corretto nei confronti della Russia è l’Armenia. I georgiani e gli azerbaigiani stanno cercando la loro prosperità e la loro potenza presso altre realtà mondiali. Ritengo sia una scelta strategica che a lungo andare darà i suoi risultati. Dopo tante sofferenze ed esperienze negative anche il popolo armeno ha imparato a destreggiarsi nella politica internazionale. Noi come sempre siamo ottimisti.

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Ma in passato ci furono problemi anche con i sovietici?

Tutte le repubbliche che facevano parte dell’Unione Sovietica avevano avuto problemi con il governo centrale. Io non credo che l’armeno di Yerevan avesse più difficoltà del russo di Mosca o del kazako o dell’uzbeko dell’Asia centrale. Vivere bene o vivere male è una questione di cultura e il mio popolo ne possiede una, radicata da cinquemila anni. Abbiamo vissuto molte esperienze, anche dolorose, ma siamo ancora qui per sorridere e “per passare questa nostra vita di due giorni”, come dice il poeta armeno Hovhannes Tumanian.

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Nella storia del popolo armeno c’è stato un movimento di liberazione nazionale analogo a quello curdo?

Non vorrei esagerare, ma tutta la storia armena è una lotta di liberazione nazionale.

Gli armeni hanno dovuto fare i conti giorno per giorno con i loro vicini, con tante realtà politico-militari che hanno occupato la terra armena durante lunghi secoli. Solo per dare un piccolo esempio posso precisare che l’Armenia, dalla caduta del regno di Cilicia nel 1375 alla nascita della prima Repubblica Armena nel 1918, per più di cinque secoli, non ha avuto uno stato centrale ed è stata governata nelle autonomie locali con la presenza delle forze straniere. Già nel 1009 i Selgiuchidi avevano iniziato a occupare la parte orientale dell’Armenia. In seguito ci fu la presenza degli arabi e poi, di volta in volta, la spartizione della terra armena fra i grandi imperi. Prima quello persiano, poi l’Ottomano e per ultimo la Russia zarista nella parte caucasica dell’Armenia. Le lotte più tremende però le abbiamo vissute nei confronti del nazionalismo turco. Iniziarono nella seconda metà dell’ottocento, culminando nel Primo Genocidio del XX secolo, organizzato a tavolino dai Giovani Turchi. Loro credevano che salvando la parte soltanto turca del decadente impero ottomano si poteva salvare la continuità. Tutto ciò che non era turco era da eliminare. C’erano tre principali minoranze e loro sono stati molto abili nell’annientare una alla volta queste componenti del tessuto civile dell’impero ottomano. Prima hanno diviso per religione, iniziando l’annientamento di quelle cristiane. Hanno usato molto abilmente la terza minoranza, quella curda, contro le prime due: armeni e greci. Dopo essersi sbarazzati dei cristiani, usando appunto i curdi come manodopera, si sono rivolti contro i curdi, il cui annientamento continua fino ai nostri giorni. L’Occidente, Italia compresa, sa benissimo quello che sta succedendo anche oggi nell’Anatolia Orientale, ma tace per potere continuare i suoi affari con la Turchia.

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Venezia: Isola di san Lazzaro degli Armeni.

Qual è il suo ruolo attuale, in quanto esponente della comunità armena in Italia, nei confronti della Repubblica di Armenia?

Ogni armeno, nel rispetto della sua appartenenza come cittadino di un qualsiasi paese, non dimentica mai la sua terra natale. Noi siamo degli individui molto integrati nel paese dove abbiamo deciso di vivere. L’Italia è stata una terra molto ospitale per noi armeni, anche prima del Genocidio. Potrei dire che salvato la nostra cultura, nella sua integrità, dando spazio e libertà d’azione a un grosso centro che è stato ed è tuttora l’Isola di san Lazzaro degli Armeni.

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Palazzo Zenobio degli Armeni. Collegio Armeno.  Dorsoduro ai Carmini, 2596 – Venezia

A Venezia fino al 1996 è esistito un Collegio che ha preparato gran parte degli intellettuali armeni iniziando dal 1836. Il lavoro più significativo che io personalmente riesco a fare per le mie due terre, per l’Armenia e per l’Italia, è quello di andare in tante scuole italiane di ogni ordine e grado, portare la mia testimonianza e raccontare la storia del mio popolo di appartenenza. Ho anche scritto molto su questi argomenti e per la Regione Veneto ho pubblicato due volumi che appunto parlano degli armeni del Veneto e della loro integrazione nell’ospitale terra veneta. Per desiderare la Pace bisogna anche portare degli esempi concreti. La Pace non è una cosa astratta. La convivenza, il reciproco riconoscimento e la concordia fra diverse culture e diversi popoli e religioni sono anche cose terribilmente pratiche: bisogna viverle con serenità, costruire assieme giorno per giorno.

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Un  delle tante colonne di deportati in pieno deserto

Ancora una domanda. La questione armena è entrata a far parte dei “Criteri di Copenaghen” per l’accesso della Turchia nella Unione europea?

Nei “criteri di Copenaghen” ci sono generiche richieste di “buon vicinato” con i confinanti della Turchia, Armenia compresa. Però ai primi di settembre 2006 la Commissione Esteri del Parlamento Europeo, fra centinaia di emendamenti acquisiti per sottolineare il rallentamento della Turchia nel processo di integrazione, ha inserito in modo assoluto il riconoscimento dl genocidio. E questo naturalmente ha fatto arrabbiare la Turchia perché accettandolo, dovrebbero rivedere i fondamenti della loro storia, mettere in discussione anche l’onestà dei padri fondatori. Ammettere, come ha fatto lo scrittore Akcam (processato, condannato a quindici anni e fuggito negli Stati Uniti) che “la nostra economia è fondata sul denaro, le case e le terre rubate agli armeni”.

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Questa mappa si trova in Jean Mecerian s.j., Le genocide du peuple armenien, le sort de la population armenienne de l’Empire ottoman, De la Constitution ottomane au Traite de Lausanne (1908-1923), Editions de l’Imprimerie catholique, Beyrouth, 1965. by denisdonikian.blog.lemonde.fr

E per concludere: dovendo fare una richiesta al popolo turco…?

I turchi sono un popolo mite e buono; questa loro eccessiva bontà ha fatto sì che numerosi capi, anche nella storia recente, abbiano potuto manipolare i sentimenti nazionali e soprattutto religiosi della popolazione, creando situazioni inaccettabili per il futuro. Personalmente chiederei di essere più coraggiosi nel fare ordine nei loro armadi storici, tirando fuori tutti gli scheletri scomodi. Sono una grande nazione, non devono temere le conseguenze, che saranno sicuramente più edificanti della attuale situazione, di questo continuo nascondersi dietro un dito. I principali popoli con i quali hanno avuto epiloghi tragici sono tutti loro vicini, sono popoli con cui hanno vissuto lunghi periodi di pace e di prosperità. E pensare che loro stessi chiamavano gli armeni, Millet-i Sadika (popolo fedele). Si deve ricominciare da quel punto.

Fonte: srs di Gianni Sartori, da L’Indipendenza del 15 aprile 2014

Linkhttp://www.lindipendenza.com/armenia-24-aprile-anniversario-di-un-genocidio-dimenticato/

L’OLOCAUSTO ARMENO

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Civili armeni in marcia forzata verso il campo di prigionia di Mezireh, sorvegliati da soldati turchi armati. Kharpert, Impero Ottomano, aprile 1915.

Con l’espressione “genocidio armeno” (in lingua armena Medz Yeghern, Grande Male) (1) ci si riferisce a due eventi distinti ma legati fra loro: il primo, quello relativo alla campagna contro gli armeni condotta negli anni 1894-1896 dal sultano Abdul Hamid II; il secondo, quello collegato alla deportazione ed eliminazione degli armeni compiute nel corso del Primo Conflitto Mondiale dal nuovo governo della Sublime Porta controllato dai Giovani Turchi.

In questa sede ci limiteremo a ricostruire i fatti salienti di quest’ultima persecuzione, soprattutto in virtù delle sue peculiari finalità e metodologie e per il fatto che essa viene ancora negata o contestata – nonostante l’enorme mole di documenti e testimonianze – dall’attuale governo turco. Il sostanziale rifiuto da parte dell’attuale governo di Ankara di riconoscere le responsabilità storiche della Sublime Porta rappresenta non soltanto un chiaro esempio di ‘negazionismo’, ma anche un ingombrante ostacolo all’ingresso nel consesso europeo di questo Paese retto sì da un regime laico ma ancora fortemente permeato di religiosità e di esasperato e malinteso spirito nazionalista.

Verso la fine del XIX secolo, la crisi politica, economica e sociale dell’impero ottomano si fece sempre più grave, sfociando in sedizioni e sommosse. A Salonicco un gruppo di ufficiali dell’esercito, affiancato da alcuni esiliati politici turchi confluiti nella Ittihad ve Terakki (il partito Unione e Progresso), iniziò a tramare contro l’incapace e retrogrado governo centrale di Costantinopoli, con l’obiettivo di intraprendere, anche con la forza, un necessario quanto urgente processo di modernizzazione dell’impero ormai sull’orlo del collasso.

Il 24 luglio del 1908, il Comitato Centrale di Unione e Progresso detronizzò il sultano Abdul Hamid II sostituendolo con il più malleabile fratello Muhammad. Seguì un breve periodo di euforia da parte delle minoranze etniche e religiose della Sublime Porta, tra cui quella armena, che confidavano nell’inizio di una nuova era caratterizzata da maggiori libertà.

Si trattò però di una semplice speranza destinata a svanire di fronte ai reali e non dichiarati intenti che in segreto animavano i cuori degli appartenenti ad un nuovo partito ‘progressista’, il Movimento dei Giovani Turchi, intenzionati sì a modernizzare economicamente e socialmente il loro agonizzante impero, ma anche ad unificarlo etnicamente e religiosamente, espandendone nuovamente i confini non ad occidente, come avevano quasi sempre fatto i sultani del passato, bensì ad oriente, in direzione della Persia, del Caucaso e delle immense regioni asiatiche centrali, abitate da popoli (tartari, azerbaigiani, ceceni, kazachi, uzbechi, kirghisi e tagiki) linguisticamente ed etnicamente affini al popolo anatolico.

La teoria geopolitica intorno alla quale ruotava questo piano si basava sull’ideologia panturanica. Secondo il padre di quest’ultima – l’orientalista, linguista ed esploratore ungherese Arminius Vambery (1832-1913) – l’impero ottomano avrebbe infatti potuto e dovuto allargare i suoi confini all’intera area caucasica e asiatico-centrale in virtù della già citata uniformità etnico-religiosa che caratterizzava l’intero “popolo” turco.

Fu per questa ragione che, il 26 gennaio 1913, un triumvirato di Giovani Turchi firmato da Enver Pascià, Taalat Pascià e Ahmed Jemal – nonostante i precedenti proclami inneggianti l’eguaglianza di tutti i sudditi della Sublime Porta – iniziarono ad organizzare un piano di persecuzione nei confronti di tutte le minoranze, prima fra tutte quella armena, mettendo in piedi un’efficiente struttura paramilitare, l’Organizzazione Speciale (O.S.), coordinata da due medici, Nazim e Shaker, e dipendente dal Ministero della Guerra e da quello degli Interni e della Giustizia.

Nel 1914, con l’entrata in guerra della Turchia a fianco degli Imperi Centrali, i Giovani Turchi poterono finalmente rendere più che palesi le loro intime convinzioni e dare il via ad una sistematica e scientifica persecuzione destinata a protrarsi per quasi tutta la durata del Primo Conflitto Mondiale.

Tra l’aprile e il maggio 1915, i turchi concentrarono i loro sforzi nell’eliminazione dell’élite economico-culturale e dei militari armeni.

Il 24 aprile 1915 (che verrà in seguito ricordata come la data commemorativa del ‘genocidio’), a Costantinopoli, circa 500 armeni furono incarcerati e poi eliminati. Tra le vittime vi era anche il deputato Krikor Zohrab che pensava di godere dell’amicizia personale di Talaat Pascià, molti intellettuali, come il poeta Daniel Varujan, giornalisti e sacerdoti.

Tra gli uomini di chiesa, Soghomon Gevorki Soghomonyan (più noto come il monaco Komitas), padre della etnomusicologia armena. Komitas fu deportato assieme ad altri 180 intellettuali armeni a Çankırı in Anatolia centro settentrionale. Egli sopravvisse alla prigionia e alla guerra grazie all’intervento del poeta nazionalista turco Emin Yurdakul, della scrittrice turca Halide Edip Adıvar e dell’ambasciatore americano Henry Morgenthau. Trasferitosi nel 1919 a Parigi, Komitas, sulla scorta degli orrori patiti, impazzì finendo i suoi giorni in un manicomio, nel 1935.

Tra il maggio e il luglio del 1915, gli ottomani, spalleggiati da bande curde (2) e da reparti formati da ex detenuti, setacciarono le comunità delle province di Erzerum, Bitlis, Van, Diyarbakir, Trebisonda, Sivas e Kharput, dove soprattutto i reparti curdi depredarono e massacrarono migliaia tra donne, vecchi e bambini e decine di sacerdoti a molti dei quali, prima dell’esecuzione, furono strappati gli occhi, le unghie e i denti.

Gevdet Bey, vali (governatore) della città di Van e cognato del ministro della Difesa Enver Pascià, era solito fare inchiodare ai piedi dei prelati ferri di cavallo arroventati.

Stando ad un rapporto del console statunitense ad Ankara, nel luglio 1915, diverse migliaia di soldati armeni inquadrati nell’esercito ottomano e reduci dalla disastrosa campagna del Caucaso (scatenata nel dicembre del 1914 da Enver Pascià contro le forze zariste al comando del generale Nikolai Yudenich ) furono improvvisamente disarmati dai turchi e spediti nelle zone di Kharput e  Diyarbakir con il pretesto di utilizzarli nella costruzione di una strada. Ma una volta giunti sul posto essi vennero tutti fucilati.

Solitamente, i turchi organizzavano le deportazioni di massa trasferendo i loro prigionieri in località piuttosto remote. Una delle destinazioni prescelte fu la desolata regione siriana di Deir al-Zor, dove centinaia di intere famiglie armene furono ammassate e lasciate morire di stenti in primordiali lager privi di baracche e servizi igienici..

In terra siriana vennero anche spediti migliaia di giovani ragazze e ragazzi armeni che riuscirono però a scampare alla morte in parte perché venduti a gestori arabi di bordelli per etero e omosessuali, e in parte perché rinchiusi negli speciali orfanotrofi per cristiani gestiti da Halidé Edib Adivart, una sadica virago incaricata da Costantinopoli di ‘rieducare’ I piccoli armeni.

Le deportazioni – annotò in questo periodo il diplomatico tedesco Max Erwin von Scheubner-Richter –furono giustificate dal governo turco con la scusa di un necessario spostamento delle comunità armene dalle zone interessate dalle operazioni militari (Anatolia orientale e nord orientale, n.d.a) (…) Non escludo che gran parte dei deportati furono massacrati durante la loro marcia. (…)

Una volta abbandonati i loro villaggi, le bande curde e i gendarmi turchi si impadronivano di tutte le abitazioni e i beni degli armeni, grazie anche ad una legge del 10.6.1915 ed altre a seguire che stabiliva che tutte le proprietà appartenenti agli armeni deportati fossero dichiarate “beni abbandonati” (emvali metruke) e quindi soggetti alla confisca da parte dello Stato turco”.

E a testimonianza dei risvolti economici della strage, basti pensare che “i profitti derivati all’oligarchia dei Giovani Turchi e ai suoi lacchè dai beni rapinati agli armeni arrivarono a toccare la cifra astronomica di un miliardo di marchi”.

Nell’inverno del ‘15, il conte Wolff-Metternich decise di riferire al ministero degli Esteri tedesco il protrarsi “di questi inutili e crudeli eccidi”, chiedendo un intervento ufficiale presso la Sacra Porta Venuti al corrente della protesta, Enver Pascià e Taalat Pascià chiesero a Berlino la sostituzione di Wolff-Metternich che nel 1916 dovette infatti rientrare in Germania.

Va comunque detto che non tutti i governatori turchi accettarono di eseguire per filo e per segno gli ordini di Costantinopoli.

Nel luglio 1915, ad esempio, il vali di Ankara si oppose allo sterminio indiscriminato di giovani e vecchi, venendo rimosso e sostituito da un funzionario più zelante, tale Gevdet, che nell’estate del ‘15 a Siirt fece massacrare oltre 10.000 tra armeni ortodossi, cristiani nestoriani, giacobini e greci del Ponto.

Resoconti sui molteplici eccidi sono registrati anche nelle memorie di altri addetti diplomatici francesi, bulgari, svedesi e italiani (come il console di Trebisonda, Giovanni Gorrini) presenti all’epoca in Turchia.

Nonostante tutto, il governo turco non si reputava ancora soddisfatto di come stava procedendo la risoluzione del “problema armeno”. “In base alle relazioni da noi raccolte – annotò il 10 e il 20 gennaio del 1916, il notabile Abdullahad Nouri Bey – mi risulta che soltanto il 10 per cento degli armeni soggetti a deportazione generale abbia raggiunto i luoghi ad essi destinati; il resto è morto di cause naturali, come fame e malattie. Vi informiamo che stiamo lavorando per avere lo stesso risultato riguardo quelli ancora vivi, indicando e utilizzando misure ancora più severe (…) Il numero settimanale dei morti non è ancora da considerarsi soddisfacente”.

Nel 1916, Enver Pascià, Taalat Pascià e Ahmed Jemal diedero quindi un ulteriore giro di vite, intimando ai loro governatori e ai capi di polizia di “eliminare con le armi, ma se possibile con mezzi più economici, tutti i sopravvissuti dei campi siriani e anatolici”.

In questa fase del massacro ebbe modo di distinguersi per efficienza il governatore del già citato distretto di Deir al-Azor, Zeki Bey, che – secondo quanto riportano James Bryce e Arnold Toynbee in The Treatment of Armenians in the Ottoman Empire, 1915–1916 – “rinchiuse 500 armeni all’interno di una stretta palizzata, costruita su una piana desertica, e li fece morire di fame e di sete”.

Durante l’estate del 1916, gli uomini di Zeki eliminarono complessivamente oltre 20.000 armeni.

A dimostrazione della criminale sfacciataggine dei leader turchi, basti pensare che Taalat Pascià arrivò a vantarsi dell’efficienza del suo governatore con l’ambasciatore americano Morgenthau, al quale egli ebbe anche il coraggio di chiedere “l’elenco delle polizze assicurazioni sulla vita che gli armeni più ricchi (deceduti nei campi di sterminio) avevano precedentemente stipulato con compagnie americane, in modo da consentire al governo di incassare gli utili delle polizze”.

Altrettanto crudele ed anche beffardo risultò il destino delle comunità armene dell’Anatolia orientale che, grazie anche all’intervento dell’armata zarista, erano riuscite a trovare momentaneo rifugio nelle valli del Caucaso. In seguito alla rivoluzione bolscevica del 1917, l’esercito russo si era infatti ritirato dall’Anatolia orientale e dalla Ciscaucasia, abbandonando gli armeni al loro destino. Rioccupata l’importante città-fortezza di Kars, le forze ottomane iniziarono una vera e propria caccia all’uomo, eliminando circa 19.000 cristiani. Identica sorte toccò a quei profughi armeni che, rifugiatisi in Azerbaigian, furono massacrati dalle locali minoranze mussulmane tartare e cecene che, nel 1918, nella sola area di Baku, ne eliminarono 30.000.

Ma la guerra stava ormai volgendo al termine e nell’imminenza del crollo della Sublime Porta, i responsabili delle stragi iniziarono a dileguarsi. Quando, nell’ottobre 1918, la Turchia si arrese alle forze dell’Intesa, i principali dirigenti del partito dei Giovani Turchi vennero arrestati dai britannici ed internati a Malta per un breve periodo.

A carico dei fautori e degli esecutori dei massacri fu intentato un processo svoltosi nel 1919 a Costantinopoli sotto la supervisione del nuovo primo ministro Damad Ferid Pascià che alla Conferenza di pace di Parigi, il 17 luglio 1919 aveva ammesso i crimini perpetrati ai danni degli armeni.

Lo scopo del processo di Costantinopoli non era in realtà quello di rendere giustizia al popolo armeno e di chiarire le colpe pregresse dell’amministrazione ottomana (cioè quelle di prima della Grande Guerra), bensì quello di scaricare tutte le colpe sui leader dei Giovani Turchi, sicuramente responsabili, ma che avevano potuto portare a compimento il loro piano di sterminio, grazie alla connivenza di larghi strati della  burocrazia civile e militare.

Il processo si risolse quindi in una farsa, senza considerare che nei confronti dei molti imputati condannati in contumacia (nell’autunno del 1918 quasi tutti erano riusciti ad abbandonare al Turchia), non furono mai presentate richieste di estradizione. Non solo. In una fase successiva anche i verdetti della corte vennero in gran parte annullati ed archiviati.

Nell’ottobre del 1919, a Yerevan, i vertici del partito armeno Dashnak, più che mai decisi a farsi giustizia, misero a punto un piano (l’Operazione Nemesis) per eliminare di circa 200 tra uomini politici, funzionari turchi e ‘collaborazionisti’ armeni ritenuti direttamente o indirettamente responsabili del genocidio.

Il 15 marzo del 1921, a Berlino, l’ex ministro degli Interni Talaat Pascià, il principale artefice dell’olocausto armeno, venne ucciso da Solomon Tehlirian che, tuttavia, dopo essere stato arrestato e processato, nel mese di giugno dello stesso anno sarà graziato da un tribunale tedesco.

Il 18 luglio 1921, fu la volta di Pipit Jivanshir Khan, coordinatore del massacro di Baku, assassinato a Constantinopoli, da Misak Torlakian. Il killer fu arrestato, ma rilasciato dalla polizia inglese.

Il 5 dicembre, a Berlino, l’agente Arshavir Shiragian eliminò l’ex primo ministro turco Said Halim Pascià. Shiragian scampò all’arresto, rientrando poi a Constantinopoli.

Il 17 aprile 1922, sempre a Berlino, Aram Yerganian, spalleggiato probabilmente da un altro sicario (il misterioso “agente T”) da lui ingaggiato, freddò Behaeddin Shakir Bey, coordinatore dello speciale Comitato ittihadista e Jemal Azmi, il ‘mostro’ di Trebisonda, responsabile della morte di 15.000 armeni, e già condannato, nel 1919, alla pena capitale da un tribunale militare turco che tuttavia non aveva ritenuto opportuno rendere esecutiva la sentenza.

Il 25 luglio 1922, fu la volta dell’ex ministro della Difesa Jemal Pascià che a Tbilisi cadde sotto i colpi di Stepan Dzaghigian e Bedros D. Boghosian.

Curiosa, ma decisamente consona al personaggio fu invece la fine di Enver Pascià, probabilmente il più ambizioso e idealista dei triumviri turchi, il “piccolo Napoleone” dell’impero e il più tenace propugnatore del movimento “internazionalista” turco. Rifugiatosi tra le tribù dell’Asia Centrale, dove pensava di realizzare il suo antico sogno panturanico, cioè la creazione di una Grande Nazione Turca, agli inizi degli anni Venti Enver scatenò una rivolta mussulmana contro il potere sovietico. Ma il 4 agosto 1922, nei pressi di Baldzhuan, località del Turkestan meridionale (oggi inclusa del territorio del Tagikistan) egli venne sconfitto e ucciso con pochi suoi seguaci da preponderanti forze bolsceviche.

Alberto Rosselli

NOTE:

 1) Il termine “genocidio” fu coniato negli anni Quaranta dal giurista americano di origine ebraico-polacca Raphael Lemkin proprio in riferimento alla repressione armena.

2) A proposito della collaborazione fornita dai curdi al governo centrale, va ricordata l’istituzione da parte del sultano dei reggimenti Hamidye, reparti paramilitari dipendenti dall’esercito e dalla gendarmeria turchi, che vennero largamente utilizzate per depredare o incendiare le comunità armene “ribelli”).

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A. Rosselli, Sulla Turchia e l’Europa, Solfanelli Editore, Chieti, 2006.

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H. M. Sukru, “The Political Ideas of the Young Turks”, in idem, The Young Turks in Opposition, Oxford University Press, 1995

Fonte: visto su STORIA VERITA’ DEL 4 febbraio 2011

Linkhttp://www.storiaverita.org/?p=74

L’ARMENIA E IL SUO GENOCIDIO. LE AMMISSIONI DI COLPEVOLEZZA

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A differenza dell’olocausto ebraico, riconosciuto e condannato da parte tedesca, quello armeno non è stato né riconosciuto né tanto meno condannato da parte della Turchia attuale, che anzi, in ogni occasione, sia pubblicamente che riservatamente, continua a negare il fatto che sia mai avvenuto un genocidio degli armeni.

Negli ultimi tempi, poi, sono stati messi in circolazione da parte della Turchia dei falsi documenti storici per depistare le ricerche degli studiosi del genocidio armeno.

Come se ciò non bastasse ad Istanbul e ad Ankara sono state intitolate vie e piazze ai nomi dei principali responsabili dello sterminio degli armeni. In onore di uno di essi, poi, è stato eretto un vero e proprio mausoleo ad Istanbul.

Inoltre la Turchia odierna non ha rinunciato alle sue mire espansionistiche, tant’è vero che il presidente Demirel ha ripetutamente affermato che la zona d’influenza turca si estende dall’Adriatico alla Cina. Il suo predecessore Ozal, ricordando il contenzioso con l’Armenia, ha affermato che forse la “lezione” data agli Armeni all’inizio del secolo non era stata sufficiente ed occorreva darne loro un’altra.

Anche negli anni successivi al genocidio non è mutato l’atteggiamento ostile della Turchia nei confronti degli Armeni là residenti, che, ridotti ad alcune decine di migliaia di persone quasi tutte concentrate a Istanbul, sono sottoposti tuttora ad un regime di discriminazioni e di vessazioni striscianti. Nel 1996 con il massimo degli onori e alla presenza del capo dello stato turco, furono traslate dall’Asia Centrale, e tumulate in Turchia, le spoglie di Enver pascià, un altro dei maggiori responsabili dello sterminio degli armeni.

Il semplice fatto poi che il 24 aprile – data in cui vengono commemorate le vittime del genocidio armeno – uomini politici stranieri, in varie parti del mondo, rendano omaggio alla memoria di queste ultime, suscita rabbiose e scandalizzate reazioni in Turchia.

E’ evidente che una Turchia che ha un simile atteggiamento costituisce un serio pericolo non solo per gli armeni, ma anche per la democrazia, la libertà e la pacifica coesistenza fra i vari popoli. Sarebbe come se in Germania attualmente non solo non venissero condannate le azioni di Hitler, ma venisse eretto un mausoleo in suo onore e in varie città tedesche vi fossero vie o piazze intitolate a Himmler, Goebbels, Goering ed inoltre le più alte cariche dello stato negassero l’esistenza stessa dell’Olocausto.

Ancora oggi gli stessi storici turchi non ammettono la verità del genocidio, in quanto sostengono non esistano documenti ufficiali che la comprovino, ovvero l’intenzione di distruggere un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso. Il fatto è che la Turchia ha sempre respinto il termine di “genocidio” nei confronti degli armeni, limitandosi a riconoscere che c’è stata solo “persecuzione” (solo 300.000 furono uccisi, secondo gli storici turchi). [Si vedano tuttavia queste importanti eccezioni]

Ma nonostante la negazione della Turchia e le sue reticenze, lo sterminio armeno è un dato di fatto incontestabile, ampiamente documentato oltre che dalle narrazioni dei superstiti, anche da parte di testimoni stranieri ed imparziali, quali l’ambasciatore americano Morgenthau ed altri diplomatici statunitensi, il pastore evangelico tedesco Lepsius, gli inglesi Lord Bryce e A. Toynbee, lo scrittore e filantropo tedesco Armin Wegner, il francese Henri Barby, per citare solo alcuni dei più noti.

Negli archivi americani, inglesi, francesi, tedeschi ed austriaci c’è poi una ricca documentazione al riguardo.

Infine vi sono i documenti di diretta provenienza turca, prodotti dalla corte marziale convocata per giudicare i responsabili del genocidio.

Il termine stesso “genocidio” è stato creato all’inizio degli anni ’40 del Novecento dal giurista americano di origine ebreo-polacca Raphael Lemkin, che ha coniato questa parola proprio in seguito all’impressione subita nell’apprendere le modalità dello sterminio degli armeni.

Negli anni immediatamente successivi al genocidio armeno, sebbene non fosse stato ancora coniato il termine “genocidio”, questo crimine fu condannato dai governi alleati già nel 1915 e inoltre dal Senato degli Stati Uniti, nel 1916 e 1920, dal Tribunale Militare turco nel 1919, nel 1921 dalla Corte Criminale di Berlino che assolse un giustiziere armeno che aveva ucciso Talaat pascià, principale responsabile dello sterminio armeno.

In seguito però venne steso un velo di silenzio sullo sterminio degli Armeni che fu sempre più dimenticato. In epoca più recente, e nonostante le pressioni esercitate da parte della Turchia, varie istituzioni nazionali ed internazionali hanno riconosciuto e condannato il genocidio armeno.

Nel 1984 è stato il Tribunale Permanente dei Popoli che nel corso della sessione dedicata a questo argomento, dal 13 al 16 aprile 1984, ha riconosciuto fra l’altro che “lo sterminio delle popolazioni armene con la deportazione ed il massacro costituisce un crimine imprescrittibile di genocidio ai sensi della convenzione del 9/12/1948 per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio”.

L’anno successivo è stata la “Sottocommissione per la lotta contro le misure discriminatorie e per la protezione delle minoranze” della Commissione dei Diritti dell’Uomo dell’ O.N.U. che nella seduta del 29/8/1985 ha riconosciuto, fra gli altri, anche il genocidio armeno.

Infine il Parlamento Europeo, nella seduta del 18/6/1987, riconoscendo il genocidio armeno e condannando l’atteggiamento della Turchia, ha invitato gli stati membri della Comunità Europea a dedicare un giorno alla memoria dei genocidi armeno ed ebreo. Oltre a ciò, proprio in considerazione dell’attuale atteggiamento turco nei confronti del genocidio armeno, il Parlamento Europeo ha posto quale precondizione all’unione della Turchia alla Comunità Europea il riconoscimento da parte turca dello sterminio degli armeni.

In epoca più recente, il 14 aprile 1995, la Duma (il parlamento) della Russia ha riconosciuto all’unanimità il genocidio armeno. Lo stesso anno il genocidio armeno fu riconosciuto dai parlamenti di Bulgaria e Cipro. Così pure il vice-ministro degli esteri israeliano, Iosi Beilli, nel corso della seduta del parlamento d’Israele del 27 aprile 1994, affermò che lo sterminio degli armeni era stato un vero e proprio genocidio. Nel 1996 esso venne riconosciuto da parte del parlamento della Grecia e l’anno successivo da quello del Libano. Nel 1998 furono i senati del Belgio e dell’Argentina a riconoscerlo. Infine il 29 maggio 1998 fu riconosciuto all’unanimità da parte dell’Assemblea Nazionale francese, nonostante la forte opposizione e le minacce ricattatorie della Turchia; mentre il 29 marzo 2000 il genocidio armeno è stato formalmente riconosciuto dal parlamento svedese.

Parallelamente a ciò, nell’ultimo decennio, anche vari parlamenti locali, come quelli dell’Ontario e del Quebec in Canada, del Nuovo Galles del Sud in Australia, quello dell’Uruguay e quelli di undici Stati degli Usa hanno condannato lo sterminio degli armeni (Massachusetts, California, New Jersey, New York, Wisconsin, Pennsylvania, Rhode Island, Virginia ed Illinois in ordine di tempo a partire dal 1978 al 1995).

Affermazioni simili, con sfumature diverse, sono state fatte da eminenti uomini di stato, come per esempio il presidente francese Mitterand, quello statunitense Clinton o da personalità politiche, da parlamentari e diplomatici europei ed americani.

In Italia, negli anni 1997-98, il genocidio armeno è stato riconosciuto da 21 Consigli Comunali di varie città: Roma, Milano, Genova, Firenze, Venezia, Padova, Parma, Ravenna, Bagnacavallo (RA), Camponogara (VE), Castelsilano (KR), Conselice (RA), Cotignola (RA), Faenza (RA), Feltre (BL), Fusignano (RA), Lugo (RA), Imola (BO), Russi (RA), Sant’Agata sul Santerno (RA), Solarolo (RA), Thiene (VI) e così pure dal Consiglio Regionale della Lombardia. Nel settembre 1998 una proposta di riconoscimento del genocidio armeno è stata presentata dall’onorevole G. Pagliarini (Lega Nord) alla Camera dei Deputati e sottoscritta da parte di più di 170 parlamentari, appartenenti a tutti i gruppi politici presenti in Parlamento. Il 31/3/2000 è stata posta all’ordine del giorno una mozione che mira al riconoscimento, da parte del governo italiano, del genocidio armeno.

A tutt’oggi il riconoscimento del genocidio da parte della comunità internazionale sembra ancora ben lontano dall’essere una realtà e i timidi tentativi, quali quello dell’Assemblea Nazionale Francese, di dare dignità storica ai fatti avvenuti in quegli anni sono stati tutti immediatamente insabbiati dalle inconsulte reazioni turche e dal vergognoso silenzio-assenso delle grandi potenze, primi fra tutti gli Usa, che hanno sempre dato maggiore importanza ai legami politico-militari con la Turchia.

La Francia è stato il primo paese europeo ad aver riconosciuto pubblicamente “il genocidio degli armeni”. L’Assemblea Nazionale francese, approvando all’unanimità una dichiarazione solenne, ha dato atto agli armeni (1,2-1,5 milioni di persone) di essere stati massacrati dai Turchi tra il 1915 e il 1918.

Si tratta di ”un gesto di riparazione morale nei riguardi di quel popolo”, ha sottolineato il Presidente della Commissione Esteri francese, Jack Lang. ”Non abbiamo niente contro l’attuale governo turco né contro il popolo turco”, ha specificato. Ma la reazione della Turchia all’approvazione del testo è stata durissima: “Questo gesto avrà conseguenze nefaste sui rapporti bilaterali”, hanno fatto sapere importanti esponenti del governo. Ankara ha già fatto sapere che intende boicottare le società francesi con una ritorsione economica.

L’Istituto di Studi Armeni di Monaco di Baviera ha recentemente dato inizio alla compilazione dell’elenco nominativo delle vittime del genocidio armeno. Si tratta di elencare i nomi di quegli armeni che nel corso degli anni 1915-1922 sono stati vittime del genocidio perpetrato ad opera dei turchi, sia ottomani che kemalisti e cioè tutti quegli armeni che negli anni 1915-22 sono morti o sono stati uccisi, rapiti o scomparsi a causa del genocidio, o della tragedia di Smirne del 1922, o dell’espulsione degli armeni dalla Cilicia nel 1920-21, oppure delle offensive turche contro l’Armenia orientale negli anni 1918-20.

Institut für Armenische Fragen e. V.
Steinsdorf str. N° 20
80538 München (Germania

Fonte: da L’Armenia e il suo genocidio

Link: http://www.homolaicus.com/storia/contemporanea/armenia/colpe.htm

A CHIOMONTE ARRIVANO LE AUTOBOTTI, LA FRAZIONE RAMATS HA POCA ACQUA / COLPA DEL CANTIERE TAV?

Giornale online indipendente – Diretto da Fabio Tanzilli – redazione@valsusaoggi.it

DOMENICA, 29 NOVEMBRE 2015

     11/29/2015  


Di Giorgio GUGLIELMO, Giuseppe JOANNAS, Remo SIBILLE (Consiglieri minoranza Chiomonte)

Arrivano le autobotti alla frazione Ramats!
Siamo stati purtroppo facili profeti!
Come avevamo previsto e temuto da venerdì 27 novembre, precedute dalla consegna dei boccioni di acqua da 25-30 litri per le necessità più urgenti della popolazione, sono in azione le autobotti per rifornire di acqua potabile la borgata S. Antonio.
La situazione è andata peggiorando ad iniziare dal 25 ottobre u.s. tanto da indurre fin da allora alla chiusura di tutte le fontane ed alla razionalizzazione dei consumi.

Il Sindaco Ollivier con un comunicato in data 5 novembre tranquillizzava la popolazione (nessun problema; una questione tecnica; “la ditta Acea, ha recentemente pulito le vasche; purtroppo la sorgente è molto piccola ed è occorso un po’ di tempo per riempirle nuovamente. Anche per questo motivo erano state chiuse le fontane; inoltre si è provveduto ad un controllo funzionale e delle eventuali perdite”. Se il problema continuerà dovranno essere fatti ulteriori interventi).
Ma la popolazione non era per nulla tranquilla, anche se si verificava un breve temporaneo miglioramento della situazione.
Dopo ripetute richieste di chiarimenti al Sindaco ed agli uffici, da parte del consigliere della frazione e del nostro gruppo, venivamo a sapere il 23 novembre, da una nota della Acea, che la portata rilevata in quei giorni era di 1,2 litri al secondo.

Sempre nella nota dell’Acea si legge “non abbiamo dati storici registrati, ma l’impressione è quella di un calo di portata rispetto all’anno precedente”.
In data 27 novembre la situazione è andata precipitando, pur permanendo la chiusura di tutte le fontane, tanto che alcune abitazioni sono rimaste prive dell’acqua.
La popolazione sempre più preoccupata ha contattato direttamente la ditta Acea, stante l’assenza di iniziative da parte dell’amministrazione comunale, ed ha richiesto una consegna immediata di boccioni di acqua per le urgenze più immediate.
Consegna che è avvenuta con sollecitudine da parte della ditta.
Sono quindi entrati in azione i rifornimenti con autobotte, con notevole difficoltà considerata la posizione della vasca di accumulo dell’acquedotto.
Purtroppo la situazione è determinata da un calo progressivo della portata della sorgente Rigaud ; la misurazione del 28 novembre ha attestato un calo della portata del 35% in soli 20 giorni (da 1,2 litri al secondo a 0,78 litri al secondo)!!
In tutta questa situazione che sta diventando drammatica per la popolazione, rileviamo il più totale disinteresse del Sindaco, dell’assessore ai LL.PP, della struttura.
La risposta che abbiamo ricevuto alle nostre segnalazioni è stata quella di ribaltare ogni competenza sulla società Acea che gestisce il servizio di distribuzione dell’acqua potabile.
Rileviamo la grave ed incomprensibile mancanza di dati storici registrati sulla portata delle sorgenti.
Ma come? La delibera Cipe n° 86/2010 di approvazione del progetto definitivo del Cunicolo esplorativo della Maddalena, collegato alla realizzazione della nuova linea ferroviaria To-Lione, non prevedeva fra le 100 ed oltre prescrizioni un monitoraggio preventivo e costante di tutte le sorgenti?
Ma a cosa servono i monitoraggi delle sorgenti che ci vengono propinati periodicamente come consiglieri comunali dalla società Telt, esecutrice dei lavori del cunicolo, se non riguardano le sorgenti che interessano la popolazione residente?
Cosa ha fatto a suo tempo l’amministrazione comunale per tutelare i diritti minimi della sua popolazione?
Fummo considerati dei “bastian contrari”, contrari a prescindere, quando nei consigli comunali criticammo aspramente la delibera Cipe n° 86/2010 di approvazione del Progetto Definitivo del Cunicolo esplorativo della Maddalena, soprattutto là dove elencava una serie infinita di prescrizioni; ben sapevamo che fine avrebbero fatto quelle prescrizioni; e questi fatti ne sono una dimostrazione.
Ci venne detto che esistevano piani di intervento nel caso di improvvise carenze idriche.
Dove sono questi piani? Per ora la situazione è tenuta in piedi grazie alla disponibilità e collaborazione dei tecnici della ditta Acea.
E’ chiaro che non è matematicamente dimostrato, che la carenza attuale di acqua sia conseguenza dei lavori del cunicolo esplorativo, ma allora ci deve essere dimostrata quale può essere la causa alternativa.
Forse l’amministrazione prima di pensare di utilizzare l’acqua di risulta dei lavori del cunicolo esplorativo della Maddalena per la creazione di Terme (vedasi delibera approvata dal gruppo consiliare di maggioranza del mese di maggio 2015), avrebbe dovuto garantire la fornitura dell’acqua potabile per i suoi cittadini.
Così non è stato! Questa è la sensibilità delle ultime amministrazioni di Chiomonte!
Chiomonte 29 Novembre 2015

I Consiglieri di “Insieme Chiomonte”
Giorgio GUGLIELMO, Giuseppe JOANNAS, Remo SIBILLE  

IN DIRETTA DA SUSA / CARABINIERI SCHIERATI DAVANTI ALL’OSPEDALE PER LA MANIFESTAZIONE / FOTO

Giornale online indipendente – Diretto da Fabio Tanzilli – redazione@valsusaoggi.it

DOMENICA, 29 NOVEMBRE 2015

     11/29/2015    

di FABIO TANZILLI E CORINNE NOCERA

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SUSA – Carabinieri schierati davanti all’ospedale, oggi pomeriggio, per impedire ai manifestanti di accedere al presidio sanitario, in occasione dell’iniziativa promossa contro la chiusura del punto nascite. Presente anche il sindaco di Susa, Sandro Plano. Per l’occasione il cancello e il portone dell’ospedale sono stati chiusi. Un scena inquietante.

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Alcuni manifestanti hanno appena provato ad entrate nel pronto soccorso, ma le forze dell’ordine stanno bloccando l’ingresso.

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VIDEO / SUSA, IL SINDACO PLANO FISCHIATO LITIGA CON BATZELLA ALL’OSPEDALE: “VERGOGNATI”, E LUI “NON AVETE CONCLUSO UN CAZZO”

Giornale online indipendente – Diretto da Fabio Tanzilli – redazione@valsusaoggi.it

DOMENICA, 29 NOVEMBRE 2015
     11/29/2015  

GUARDA IL VIDEO: PLANO LITIGA CON BATZELLA, POI I FISCHI

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SUSA – Il Sindaco di Susa, Plano, sbotta e litiga con un contestatore e con la consigliera regionale Batzella durante la manifestazione in corso oggi davanti all’ospedale. “Non rompere i coglioni – ha urlato Plano a un contestatore – lasciami parlare tu, non dire cazzate!”. Plano ha difeso il protocollo d’intesa siglato tra i Sindaci e Saitta. “C’è un obbligo di legge che ci vincola, dobbiamo adeguarci, è un dato di fatto. Abbiamo chiesto di potenziare il pronto soccorso”. “Sei un si tav” gli ha ribattuto il contestatore. “Puoi andare da un’altra parte? Non dire cazzate”.

GUARDA IL VIDEO: PLANO DIFENDE LA SCELTA DEL PROTOCOLLO E REPLICA AL CONTESTATORE

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Poi lo scontro con Batzella “Ma dammi il microfono, vergognatevi, sei un politico, non avete fatto il ricorso al Tar” ha gridato la consigliera. “Ma vai un po’ via, mi lasci parlare? Voi con il ricorso non avete concluso un cazzo” ha replicato il Sindaco. Il leader No Tav Perino ha provato a fare da paciere tra i due. “Mi lasci parlare?” Ha detto Plano “abbiamo chiesto a Saitta dopo il decreto Lorenzin di rivedere la chiusura del punto nascite”. Finito il discorso, è stato lo stesso Perino a dire “di non fare la guerra dei poveri” poi, difendendo i Sindaci: “Sono ingenui a volte, ma bisogna prendersela con i veri responsabili. È il Pd, con Chiamparino e Saitta che ha deciso di chiudere l’ospedale. È inutile prendersela con chi è più vicino a noi e coi Sindaci, anche se a volte fanno cazzate”.

Putin incassa le scuse turche e vede la fine delle sanzioni

http://www.ilgiornale.it/news/politica/putin-incassa-scuse-turche-e-vede-fine-delle-sanzioni-zar-st-1199497.html?utm_source=Facebook&utm_medium=Link&utm_content=Putin%2Bincassa%2Ble%2Bscuse%2Bturche%2Be%2Bvede%2Bla%2Bfine%2Bdelle%2Bsanzioni%2B-%2BIlGiornale.it&utm_campaign=Facebook+Page

il Giornale, ultime notizie

Lo zar sta per vincere su tutta la linea. Erdogan ora fa l’agnellino e la Francia lavora per cancellare le misure economiche anti-Russia

 – Dom, 29/11/2015 – 07:00

Lo scontro tra lo Zar e il Sultano per l’abbattimento dell’aereo russo da parte dei caccia turchi non è ancora finito, ma al sesto giorno – il primo sta vincendo largamente ai punti.

Erdogan non è ancora arrivato, e forse non arriverà mai per non perdere la faccia, a presentare scuse formali, ma sta abbassando sempre più i toni, e nonostante il quasi sprezzante silenzio con cui Putin ha reagito alla sua richiesta di un incontro chiarificatore a Parigi ai margini della Conferenza sul clima, ieri l’ha rinnovata esprimendo «tristezza» per l’accaduto e impegnandosi a evitare nuovi incidenti. «Questo evento ci turba molto – ha dichiarato in una intervista – e spero davvero che non accada di nuovo.

Lo scontro non rende felice nessuno». Intanto, il suo portavoce Ibrahim Kalim sosteneva contraddicendo platealmente la prima versione turca che parlava di reazione legittima a un’aggressione – che l’abbattimento non è stato un’azione ostile, e che non sarebbe avvenuto se l’aereo fosse stato identificato per tempo come russo. «La Turchia – concludeva – non ha mai colpito interessi russi e non intende farlo. Comunque, se l’incidente ha messo in crisi le relazioni tra i due Paesi, non le farà deragliare».Erdogan, che ancora venerdì, reagendo alle preannunciate sanzioni economiche di Mosca, invitava Putin a non scherzare con il fuoco, deve essersi reso conto di avere commesso un errore. La storia che il Sukoi-24 aveva ricevuto dieci avvertimenti prima di essere abbattuto, non ha retto visto che la presunta violazione dello spazio aereo turco è durata al massimo 17. Il suo tentativo di coinvolgere la Nato è fallito, perché il Consiglio convocato d’urgenza al di là di una solidarietà formale si è limitato ad invitarlo a evitare che lo scontro degeneri.

Molti membri dell’alleanza hanno sospettato fin dall’inizio che Erdogan abbia dato ordine di abbattere l’aereo, che non minacciava in alcun modo il suo territorio, soprattutto per ostacolare il riavvicinamento tra l’Occidente e una Russia che continua a sostenere Assad e a bombardare non solo l’Isis, ma anche varie altre formazioni ribelli armate e appoggiate dalla Turchia.Un altro fattore che ha giocato nella marcia indietro del Sultano è stata la immediata quanto efficace reazione di Mosca: reintroduzione dei visti per i cittadini turchi (cui Ankara si è ben guardata dal replicare con analogo provvedimento), virtuale divieto ai cittadini russi di recarsi in vacanza in Turchia (dove nel 2015 hanno costituito il 12% dei visitatori), minaccia di cancellare i piani per un gasdotto che aveva lo scopo di fare arrivare il metano in Europa senza più passare dall’Ucraina e blocco degli acquisti di alcuni prodotti turchi.In realtà, lo Zar ha capito che, alla fin fine, l’abbattimento del Sukoi potrebbe risolversi in un vantaggio per la sua politica di riavvicinamento all’Occidente. Ha appena incassato un accordo con la Francia per un coordinamento degli attacchi all’Isis e lo scambio di intelligence e, benché non abbia indietreggiato di un palmo sulla questione ucraina, registra un graduale ammorbidimento dell’America nei suoi confronti. Il suo prossimo obbiettivo è probabilmente la cancellazione, o in un primo tempo almeno l’attenuazione, delle pesanti sanzioni economiche comminate da Usa e Ue dopo l’invasione della Crimea. Sembra che Hollande si sia impegnato ad adoperarsi a questo fine in sede europea, dove potrà contare sicuramente sull’appoggio dell’Italia e di alcuni altri Paesi. La condizione, però, è che venga data piena applicazione agli accordi di Minsk, perché separare i due dossier Siria e Ucraina è per ora impossibile.

RAPPORTO UFFICIALE SU ABBATTIMENTO DI SU24: CI SONO LE PROVE CHE È STATO PIANIFICATO.

http://www.vietatoparlare.it/rapporto-ufficiale-su-abbattimento-di-su24-ci-sono-le-prove-che-e-stato-pianificato/

VIETATO PARLARE

27 novembre 2015 By  
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“Tutto e stato pianificato..” Gli aerei turchi che hanno abbattuto il SU-24 russi erano in attesa da più di un’ora.

Il Capo delle Forze aeree Spaziali russe colonnello generale Viktor Bondarev ha detto che ci sono evidenze che i Jet F 16 hanno abbattuto l’aereo russo SU-24 in maniera predeterminata.

Gli aerei turchi si sono precedentemente alzati in volo ed aspettavano il Su-24.

Il piano di volo del Su-24 era noto in quando ogni operazione russa deve essere preventivamente comunicata agli USA secondo il memorandum d’intesa firmato da Mosca e Washington il 26 ottobre.
In base a tale accordo, i russi hanno informato i loro omologhi americani circa la missione dei due bombardieri, operanti nel nord della Siria il 24 novembre 2015, comprese le zone di attacco e le altezze di operatività.

Ebbene secondo i dati rilevati dai radar siriani, i due F-16 sono stati in aria per oltre un’ora in attesa dell’aeromobile russo.

col gen russo

Colonnello generale Viktor Bondarev : “I risultati del controllo effettuato su dati oggettivi delle stazioni radar confermano che i due F-16C sono stati nella zona in servizio dalle 9 ore e 11 minuti alle ore 10 e 26 minuti , quindi per un’ora 1 e 15 minuti hanno stazionato nella zona ad una altezza di 2.400 metri’’.

Il colonnello generale Viktor Bondarev nella video conferenza ha rivelato che ‘’un simile atteggiamento indica un’azione pre-programmata tesa a tenere i caccia in prontezza operativa e al momento opportuno essere pronti a sferrare un agguato in aria sopra il territorio della Turchia’’.

Bondarev ha anche detto quanto tempo ci sarebbe voluto da parte  dell’aviazione turca per arrivare in zona: se davvero fossero stati allertati a causa della violazione del confine, secondo i suoi calcoli il volo verso il luogo del lancio del missile avrebbe richiesto 46 minuti, di cui 31 minuti necessari per coprire il tragitto del volo stesso, e i 15 minuti per la preparazione e l’attuazione del decollo.

colonnello generale Viktor Bondarev : “Così, l’intercettazione del Su-24M con i caccia F 16 che partono dall’aeroporto di Diyarbakir è impossibile, dal momento che i tempi di volo necessari sono maggiori del tempo minimo per attaccare obiettivo stabiliti in ​​12 minuti”.

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Chi ha violato il confine  non sono stati gli aerei russi ma sono stati gli aerei turchi.

colonnello generale Viktor Bondarev : “In conformità con i dati di registrazione forniti dal controllo obiettivo della difesa aerea, l’aereo turco era in Siria dello spazio aereo per 40 secondi ed è andato in profondità nel suo territorio per 2 km, e l’aereo russo non ha oltrepassato il confine di Stato”

Inoltre i militari sono stati informati in anticipo degli attacchi previsti dal piano russo. Il miliziano che ha fatto le riprese conosceva tempo e luogo dove sarebbe avvenuto l’attacco del Su-24 (un luogo controllato da terroristi provenienti dal Caucaso del Nord).

Dagli “Angoli di ripresa si è potuto determinare la loro posizione con buona accurtezza. E’ un territorio controllato da gruppi terroristici radicali provenienti dal Caucaso del Nord. L’operatore conosceva il tempo e il luogo in cui avrebbe potuto realizzare i suoi filmati esclusivi, “-  ha detto ai giornalisti.

Secondo lui, la copertura mediatica turca dell’incidente è stata istantanea. I missili “aria-aria” colpiscono l’aereo russo alle 10 e 24 e la pubblicazione su youtube avviene sorprendentemente solo 1 ora e mezza dopo che i fatti sono accaduti.

La ricerca del co-pilota russo del Su-24 è stato eseguita da un “gruppo ben attrezzato”.

Alla luce di queste evidenze il fatto che oggi il presidente turco Recep Tayyip Erdogan abbia suggerito alla Russia di “non giocare con il fuoco”, è veramente di una sfrontatezza inaudita.

Vietato Parlare

(le dichiarazioni rilasciate durante la conferenza stampa del Comandante Viktor Bondarev sono pubblicate in data odierna su Ruposter e altri giornali russi)

altro video dei ribelli:

rapporto abbattimento

Uno sguardo alla Grande Sala Operativa di Putin

https://aurorasito.wordpress.com/2015/11/28/uno-sguardo-alla-grande-sala-operativa-di-putin/

NOVEMBRE 28, 2015

Tyler Rogoway NWO Report 21 novembre 2015 – Russia Insider1030538032Apparentemente tratto da un film di James Bond, abbiamo dato un sguardo al nuovo super-centro nervoso militare russo in azione, chiamato Centro Comando della Difesa Nazionale (NDCC), mentre i bombardieri pesanti russi facevano il loro debutto nel conflitto siriano. Questa è stata anche la prima volta che i venerabili Tu-95 e i Tu-160 vedvano il combattimento. I video qui sono stati pubblicati dal governo e dai media russi, mostrando il centro presumibilmente al lavoro, con una missione in corso dei bombardieri pesanti visualizzata su uno schermo enorme. Il video può anche avere involontariamente mostrato che la Russia ha avanzato unità di artiglieria ben oltre l’avamposto operativo nella città portuake siriano di Latakia, qualcosa che il Ministero della Difesa russo nega ancora. Questo immenso centro di comando e controllo militare è stato costruito in modo incredibilmente veloce, in meno di due anni, dall’esistente della Ministero della Difesa lungo la Moscova, a solo un miglio e mezzo a sud del Cremlino. Secondo la stampa russa è “più potente del Pentagono”, e la struttura ospita molte nuovi centri di comando e controllo, tutti presumibilmente induriti contro attacchi esterni. Inoltre, un labirinto tentacolare di tunnel sotterranei, vie e strutture di trasporto sarebbe presente sotto il centroo. Tre piazzole per elicotteri, di cui una mobile, sono utilizzate per i movimenti della dirigenza militare e politica della Russia tra i vari edifici. Il fulcro di questo complesso aggiornato è un veramente impressionante e gigantesco atrio centrale costruito in vetro e acciaio. La decisione di r-costruire l’impianto del Centro Comando della Difesa Nazionale fu presa da Vladimir Putin nel maggio del 2013 per la necessità di modernizzare, consolidare ed espandere il centro comando, controllo e informazioni di Russia e riuniendoli nel nuovo “governo in periodo bellico”. Tre grandi aree di controllo, simile ad un auditorium, del complesso comprendono il Centro di Controllo delle Forze Nucleari Strategiche, il Centro di Controllo operativo che analizza le minacce, e il Centro di Controllo delle attività che seguirebbe contratti e attività militari generali. Il Ministro della Difesa russo Sergej Shojgu descrisse l’impianto all’inaugurazione: “La creazione del centro è un passo importante verso la formazione di uno spazio unico per la soluzione dei compiti nell’interesse della Difesa del Paese, che permetterà lo svolgimento continuo di qualasi analisi della situazione e sviluppare i mezzi per rispondere ai cambiamenti e coordinare rapidamente l’attività degli organi federali del potere esecutivo nella Difesa“. Una delle sale comando e controllo si presenta in una versione futuristico e più luminoso di quanto descritto nel classico film da guerra fredda Dr. Stranamore. È dotato di una zona soggiorno centrale ad anelli e unos chermo di 180 per proiettare video continuamente. C’è anche una zona salotto e teatro per gli spettatori. Tablet PC appaiono in ogni postazione. La sala comando e controllo che abbiamo visto presieduta da Putin questa settimana è gigantesca con file e file di ufficiali seduti nelle postazioni dai computer identici, e tre anelli con postazioni. Sul secondo livello, in pieno centro, seduti dietro una balaustra in vetro smerigliato con una stella a cinque punte blasonata sopra, vi erano Putin ei suoi generali.
Durante il video, sembra che la sala sia utilizzata più che altro per dei briefing giganteschi, domandandosi cosa diavolo facciano tutti questi ufficiali davanti ai terminali di computer e su scrivanie molto pulite? Forse nel corso di un potenziale scambio nucleare, questi ufficiali avrebbero tutti un ruolo, ma sembrava che per le finalità di quel giorno e per le telecamere, l’impianto sia stato utilizzato come un gigantesco cinema. Nel caso dei computer, il nuovo centro utilizzerebbe solo componenti russe in modo da limitare le possibilità di spionaggio e cyber-intrusione. Questi terminali sono tutti collegati a un super-computer, il cuore del centro che sarebbe l’aggiornamento totale di ciò che Russia aveva utilizzato in passato. In realtà, i leader militari russi sostengono che il NDCC ha molto più potenza di calcolo del Pentagono, tre volte di più, secondo loro, e 15 volte la capacità di memoria. Questa potenza di elaborazione estrema sarà utilizzato per elaborare avanazati modelli matematici dei giochi di guerra col supporto dei più comiuni centri comandi, controllo e comunicazioni e attività di collegamento dati. Il terzo centro è una cavernosa sala rivestita in legno che non sembra avere scopi strategici rispetto alle altre due sale di controllo. Questo sarebbe il “centro di controllo delle attività quotidiane“, per lo volto a riunioni su appalti, informazioni e pianificazione militare meno urgente. Ancora una volta, tablet PC, avvolgenti schermi edelaborati lampadari sembrano essere di gran moda. Secondo notizie frammentate, altre strutture di comando e controllo nel Centro di Comando della Difesa Nazionale sembrano esistere oltre ai tre principali. Tra essi, ciò che sembra un Centro Comando operativo aereo, simile al Combined Air Operations Center statunitense, da cui si dirige la campagna aerea della Russia in Siria. Inoltre, la sala riunioni e controllo dell’esercito russo è stato appena aperto, decorata da legno dalle ricche tonalità più probabile da trovare in un vecchio tribunale che in un bunker militare. Sulla base di queste due note, si potrebbe pensare che ci sia qualcosa in opera per la Marina russa.
La Russia cercan di modernizzare le proprie forze dopo decenni di abbandono, anche se la strada è difficiltosa con il Paese in crisi economica per il crollo dei prezzi del petrolio e le sanzioni internazionali a causa dell’adesione della Crimea e il coinvolgimento nel conflitto in Ucraina. Il Centro Comando della Difesa Nazionale è chiaramente uno di questi progetti di modernizzazione, che da alla Russia una propria versione sfavillante del Pentagono. Non abbiamo modo di sapere quanto di ciò sia spettacolo e quanto funzionale. Né sappiamo per certo che altri usi potenziali questa struttura gigantesca possa avere. Indipendentemente delle reali capacità, è impressionante e alla fine, forse, è tutto ciò che conta.1019722230-1728x800_cdifesa russa

Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora

Ferrovie nuovo cda in area renziana

La nomina del cda delle ferrovie italiane presenta alcune vicinanze eccessive al solito Renzi.

ALTA VELOCITA’ TOKYO GIAPPONE

Il  ha fretta di privatizzare le  dello stato e quindi cambia il CdA in toto . Il nuovo presidente si chiama , ingegnere di nascita bresciana ma di quarti di “Nobiltà” , messo alla guida di ATAF, l’ex municipalizzata dei trasporti fiorentina per guidarne la , realizzata il primo gennaio 2013.

Ora tutta questa mossa è, per lo meno, curiosa: ci permettiamo di far notare alcuni punti.

A) ENA sull’Arno: ormai il numero di fiorentini o di manager che hanno operato nella renziana  è talmente elevato da farci sospettare che la prestigiosa ENA francese, la scuola nazionale di amministrazione che , su base meritocratica, sforna la maggior parte dei dirigenti amministrativi francesi, deve essersi spostata in terra di Tuscia. Altrimenti non ci si spiega un tal numero di nomine di gente che si è sciacquata la lingua in Arno.

B) I ritardi ed i contrasti sul processo di privatizzazione non sono dovuti a isterie del precedente CdA, come vogliono far passare i soliti mass media, ma ad oggettive difficoltà strategiche del processo stesso.  Ferrovie dello Stato è costituita da Trenitalia, i  ed i servizi,e da RFI, le infrastrutture , cioè la rete ferroviaria e le stazioni.  Ora mentre la prima società potrebbe competere sul mercato  con altre aziende, RFI è destinata, per sua natura, ad operare in una situazione di monopolio. Nello stesso tempo, come si è ben compreso, non è possibile sviluppare un mercato competitivo privato sul trasporto ferroviario finchè una società controlla sia il trasporto sia le infrastrutture, perchè in questo caso i competitori sul trasporto verranno sempre, direttamente o indirettamente, ostacolati, come è avvenuto ad Arena (fallita) , ad , e come avviene a DB, i cui treni non vengono annunciati nelle stazioni. Ora mentre il ministro Padoan voleva una privatizzazione rapida, di FS nel suo complesso, tanto per far cassa di 4 miliardi (ma causando , secondo il Fatto quotidiano, un danno erariale per 7..)  , il ministro dei trasporti Delrio, renziano DOC, era invece propenso ad uno scorporo di RFI e quindi una privatizzazione di trenitalia. Ora non essendo d’accordo neanche i ministri, non era possibile lo si fosse nel Cda. Quindi, per ora FS non si privatizza.

C) Mazzoncini è stato nominato in quella posizione, oltre che per l’evidente renzitudine, anche perchè è stato il privatizzatore della municipalizzata fiorentina dei trasporti  ATAF quando Lui era sindaco. Questa privatizzazione non fu per nulla una passeggiata, ed alle spalle portò alla creazione di comitati cittadini, scioperi, proteste etc, ma la volontà di  era talmente forte che non la fece votare neppure dal consiglio comunale. Inoltre la privatizzazione fu seguita da un vero e proprio “Spacchettamento” della società , che fu praticamente fatta a pezzi fra diverse entità. Il servizio ti trasporto urbano fu acquistato da un consorzio facente riferimento (70%) a …. FS. quindi fu una privatizzazione apparente: il Comune vendeva una società il cui pezzo maggiore veniva acquistato da un altro pezzo dello Stato. Un abile gioco di prestigio, che vede ora premiato l’amministratore dell’epoca con il posto di presidente del CdA della società che lo comprò….  Insomma gira e rigira Mazzoncini e FS si incontrano sempre.

Vedremo cosa succederà alla privatizzazione di FS, se verrà compiuta “Cum grano salis” oppure alla carlona, tanto per fare cassa ed “Ammuina”. Le premesse, per ora, non sono delle migliori.

di Fabio Lugano per Scenarieconomici.it