Francia: Ragione, Sentimento, Guerra & Terrorismo

Un riflessione di un nostro lettore sulla guerra, sul terrorismo e su quanto sta accadendo nel mondo con epicentro la Siria.

Contributo di Fabrizio Bertolami.

Commentare i fatti di  è difficile. La componente emotiva degli avvenimenti, può avere il sopravvento. L’elevato numero di morti e feriti, i luoghi in cui si sono svolti gli attentati, la giovane età delle vittime sono elementi che toccano il cuore di tutti noi.  è l’Europa. Siamo stati, o abbiamo parlato con chi è stato, almeno una volta in quella città. E’ parte di noi sin dai libri di scuola. Piangiamo  ma lo facciamo per noi. E poi, con quale serenità affronteremo ancora i nostri viaggi? Rinunceremo a qualche concerto o a qualche partita in curva? Dobbiamo avere paura anche qui? La componente razionale chiede però il suo tributo in termini di analisi. Perchè ? Perchè quei luoghi? Chi è il mandante? Tra tutte, questa suona come la domanda più scontata ma non lo è.

Vi sono state rivendicazioni a vario titolo. Alcuni rallegramenti da parte di qualche cellula scovata a chattare sul web, ma non esiste, al momento, prova certa che sia stata opera del sedicente ISIS. L’unica speranza è che, almeno questa volta, riescano a prendere un terrorista vivo per poterlo interrogare (…). L’obiettivo della vendetta è però già la , con i bombardamenti dei caccia francesi e l’intensificarsi di quelli russi. L’intervento è stato approvato all’unanimità dal Consiglio d’Europa ma la missione francese non è avvenuta sotto l’egida dell’Europa Unita. Inoltre non è possibile chiamare in causa l’articolo 5 della carta atlantica, ovvero la difesa collettiva a fronte di un attacco ad un membro della NATO, in quanto l’ISIS non è una realtà statuale e la , in quanto Stato, non è chiaramente dietro gli attentati di Parigi. La  agisce da sola contro la .

Perchè, se anche quanto è avvenuto è opera dell’ISIS, questa entità al momento “vaga” in Siria. Appena dieci anni fa l’avremmo chiamata  tra la Francia e la Siria. Oggi cos’è? E poi, l’attacco allo stadio, durante la partita Francia, Germania può essere letto come un attacco all’unione europea, alle sue due nazioni più rappresentative, oppure è una minaccia per i prossimi campionati di calcio della prossima estate? Un obiettivo dei terroristi è già riuscito: seminare il dubbio. Al momento la reazione dell’Europa è scomposta. Gli stadi però vengono già fatti evacuare in via precauzionale. Un altro obiettivo è raggiunto: limitazione delle libertà personali. La reazione degli USA non va oltre il cordoglio e la  continua a bombardare. Ma soprattutto a far guadagnare terreno all’esercito di Assad dandogli copertura aerea e intelligence satellitare. Non solo.

La parte meridionale della Siria è battuta da almeno 20 mila Iraniani delle Brigate Al Quds, ovvero i marines persiani, che stanno guadagnando terreno. Spalleggiate da qualche migliaio di Hezbollah libanesi. La Siria è oggi, come sempre, il punto d’incrocio delle potenti forze mediorientali, che hanno logiche totalmente differenti dalle nostre, quelle occidentali. Non si scontrano solamente le due correnti storiche dell’Islam, il Sunnismo e lo Sciismo, ma anche le sfere di influenza delle Grandi Potenze della regione e gli interessi delle grandi potenze occidentali per lo sfruttamento della risorsa energetica dei prossimi decenni: il gas. La Siria è il naturale sbocco per il gas iraniano che inizierà a voler fluire verso i mercati europei non appena terminate le sanzioni americane sul (legittimo, ndr) programma nucleare. La Siria è però contemporaneamente il punto di approdo di gas e petrolio individuato dagli Emirati Arabi ed in parte dall’Arabia Saudita. Chiudere la porta agli iraniani è di vitale importanza per i sauditi, sia in chiave economica che politica. Inoltre un aumento delle esportazioni di idrocarburi dall’area del golfo andrebbe a detrimento delle esportazioni russe in Europa. Ecco uno dei perché della presenza russa in Siria. Un altro è la possibilità di mantenere la  entro la sua sfera di influenza energetica ed eventualmente prenderla alle spalle in caso di attacco militare. Un altro ancora è la voglia e la possibilità di esserci e contare. In Siria quindi si scontrano Iran e Arabia Saudita, il primo sciita e il secondo culla della Sunna. Gli alleati del primo sono l’Hezbollah Libanese, ovvero l’unica parte di esercito libanese realmente funzionante e ovviamente Assad. Questiè il vertice del clan che governa la Siria sin dal ’48, di confessione Sciita ma di pratica Alawita. In pratica una specie in via di estinzione ma che non vuol sparire Dall’altra troviamo la , che vorrebbe diventare essa stessa il paese di transito delle condotte verso l’Europa e le petromonarchie del golfo, piccole ma piene di concessionarie Toyota e stazioni di servizio.

La Turchia è inoltre interessata ad evitare che si formi uno stato curdo ritagliando parte di Iraq del nord, Siria ed appunto Turchia. Primariamente, quindi, Ankara combatte per questo. La lotta all’ISIS è solo al secondo punto. I curdi lottano per loro stessi e quindi contro tutti. Hanno un appoggio dagli iraniani, da un lato, e dagli americani, dall’altro, alla loro causa ma per ragioni geopolitiche differenti. E poi c’è l’ISIS, che si è conquistato uno spazio in tutto questo scenario che non è autonomo ma è chiaramente orientato verso una visione dell’Islam vicino a quella della Casa di Saud e delle altre monarchie arabe. La sua opera in Siria danneggia tanto Assad quanto i Curdi a nord mentre in Iraq agisce nel territorio non controllato dagli  facendo puntate nel campo avverso tramite attentati. Ben dotata militarmente l’ISIS non è una mina vagante sorta dal nulla ma una strategia ben orchestrata e ben finanziata, per rendere progressivamente caotica tutta l’area che dal golfo persico va verso il mediterraneo. Il fulcro del commercio energetico dei prossimi decenni. E se con ISIS indichiamo anche Al-Nusra o Al-Qaeda abbiamo completato il quadro dell’intricata situazione siriana. Manca qualcuno? Si.

Ovviamente ci sono anche Russia e Stati Uniti. La prima sotto gli occhi di tutti, i secondi in supporto nascosto dei propri interessi geopolitici nella regione. Entrambe sedute ai tavoli di Vienna, di Antalya e di qualsiasi altro posto per discutere una soluzione politica ad un dramma geopolitico che sta generando sofferenza nei popoli coinvolti, nessun escluso, e sta pericolosamente assomigliando ad un male mal curato che si diffonde in un corpo sano. Oggi è Parigi. Ma è stata Madrid, Londra, Mumbai, Mosca. Solo un accordo politico al massimo livello, infatti, può garantire una conclusione del conflitto e una stabilizzazione della regione. Ma i due fronti opposti sono determinati. Al momento, nei fatti, un asse è rappresentato da USA, Turchia, Arabia Saudita, Qatar e Emirati Arabi Uniti. Ed un altro è formato da Siria, Russia, Iran, Iraq, Cina e in parte Egitto. Non si può più dire “per procura” di chi si sta facendo la guerra. Ognuno ha i suoi alleati palesi e nascosti. L’Europa invece sta con i primi. Ma anche un po’ con i secondi. I soldi sauditi fluiscono copiosi a Londra, Parigi e anche Roma. E’ però anche vero che il presidente iraniano Rouhani avrebbe dovuto visitare Roma e Parigi proprio nel weekend degli attentati ed ha annullato la sua visita. Sono quasi certo che venisse per parlare di gas ed import-export.

Le stragi in Europa non si risolvono militarizzando le città, cosa insostenibile nel lungo periodo, ma agendo sulle cause che portano una persona a partire dal medioriente per venire in Europa, a Parigi, scendere da un furgoncino e sparare all’impazzata contro un bar. E morire poi mezz’ora dopo. Questo è un conflitto di Potenze a l’ancienne ma combattuto dai servizi oltre che dagli eserciti. Non aver previsto un evento così vale di per sé una sconfitta militare. La guerra con l’ISIS, se c’è, è asimmetrica per sua stessa natura e non può essere combattuta con gli attuali mezzi. Gli attentatori di Parigi hanno agito in maniera mirata, circoscritta, ed in 8 hanno provocato 130 morti e 300 feriti.

Un missile terra aria sparato da un Mirage o da u SU-24 costa centinaia di migliaia di euro e per uccidere 130 persone abbatte un intero isolato. Non c’è proporzione. Inoltre “loro” possono portare il caos da “noi”, ma noi il caos lo abbiamo portato da loro già da tempo e si sa, caos più, caos meno…Ai tempi del  italiano, negli anni ’70, si soleva dire: “bisogna asciugare l’acqua di cui si nutre il . Ecco appunto, l’acqua è un bene prezioso. Cominciamo ad assetarli.

Il Tribunale Permanente dei Popoli risponde alle insinuazioni di Gian Carlo Caselli

Il Tribunale Permanente dei Popoli risponde alle insinuazioni di Gian Carlo Caselli

Pubblichiamo la risposta di Gianni Tognoni, segretario generale del Tribunale Permanente dei Popoli, alla lettera di Gian Carlo Caselli apparsa su La Repubblica e che faceva seguito alla sentenza del TPP. Caselli, come d’abitudine quando si tratta di questioni legate al Tav, si lasciava andare a insinuazioni e pregiudizi. Ecco la replica:

GENTILE direttore, abbiamo letto la lettera di Gian Carlo Caselli nella cronaca torinese del suo giornale. I suoi contenuti risultano fortemente lesivi dell’identità e delle attività del Tribunale Permanente dei Popoli (Tpp), includendo informazioni fuorvianti e giudizi ancora più inquietanti. Ricordiamo che:
1. Il Tribunale dei Popoli è un’istituzione con oltre 35 anni di vita e una attività rigorosamente condotta sulla base di precise regole, attraverso più di 40 sessioni internazionali, i cui risultati sono stati riconosciuti ai più alti livelli istituzionali del sistema delle Nazioni Unite.
2. Il Tpp non è dunque un «sedicente tribunale». Direttamente generato dai Tribunali Russell degli anni ’60 e ’70, il Tpp è la più antica istituzione appartenente a quel sistema di tribunali di opinione sempre più riconosciuti nella dottrina del diritto internazionale e dei sistemi giuridici come componente imprescindibile dello sviluppo di un diritto in grado di rispondere, con la reale partecipazione dei cittadini, a questioni espulse dalle sedi giurisdizionali statali e sovrastatali.
3. Mai, nonostante la criticità e la delicatezza dei giudizi pronunciati (da quelli sui desaparecidos, già ai tempi della dittatura argentina, a quelli su Bhopal e Chernobyl, a quelle recenti sul genocidio dei Tamil) i metodi di accertamento dei fatti e i giudizi del Tpp sono stati oggetto di contestazioni de facto e de iure.
4. Se Gian Carlo Caselli si fosse informato seriamente (come si può attendere da una persona con una storia professionale, istituzionale e umana tanto qualificata) saprebbe che: a) il Tpp ha comunicato tempestivamente e secondo Statuto l’atto di accusa e il conseguente invito alla difesa alle parti in causa; b) tutte le procedure relative ai rapporti con queste stesse parti sono documentate nel dettaglio nel testo che introduce il dispositivo; c) tutto il procedimento si è svolto a Torino e ad Almese nel più pieno rispetto delle opinioni e senza un neppur lontano accenno a «chiedere la testa degli imputati».
5. Ci stupisce ancora di più e rattrista profondamente che Gian Carlo Caselli abbia potuto esprimere giudizi inqualificabili (e che si preferisce perciò qui non ripetere) sui membri e le competenze della giuria nel loro complesso, e in modo specifico, sul presidente di questa sessione. I nomi e le qualifiche dei giudici sono illustrate nel dispositivo della sentenza e ulteriormente verificabili. Per quanto riguarda le competenze più specificamente giuridiche – e più violentemente diffamate – è importante far notare che il presidente della giuria della sessione realizzata a Torino dal 5 all’8 di novembre è Philippe Texier, già magistrato della Corte di Cassazione francese e membro, oltre che presidente per numerosi anni, del Comitato di diritti economici, sociali e culturali dell’Ufficio dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite (1987-2008); e che i suoi componenti sono giuristi, economisti e difensori dei diritti umani le cui competenze sono riconosciute a livello internazionale.
 
GIANNI TOGNONI – Segretario generale Tpp

Notizie dal Controsservatorio Valsusa – Un processo da vedere

Sul sito del Controsservatorio Valsusa sono disponibili tutte le registrazioni audio/video relative alla recente sessione conclusiva del Tribunale Permanente dei Popoli dedicata a “Diritti fondamentali, partecipazione delle comunità locali e grandi opere” 

In 63 video sono presentati l’esposizione dell’atto di accusa, tutte le testimoninaze, le requisitorie finali, la lettura della sentenza e delle raccomandazioni.

A breve sarano note le motivazioni.

 Sono passate meno di due settimane dalla storica sentenza con cui il Tribunale Permanente dei Popoli (TPP) ha condannato “l’intero sistema delle grandi opere inutili e imposte” elencando in particolare le violazioni di diritti fondamentali commesse in Val di Susa e i responsabili di tali violazioni.

Una sentenza che non ha potuto passare inosservata e che ha già scatenato qualche reazione scomposta: ad esempio in un articolo pubblicato da Repubblica” si parlava di “sedicente tribunale” paragonandolo a chi “raccatta oggetti privi di valore e pezzi di ciarpame” e via denigrando. Segno che la sentenza ha colpito nel segno.

Lo stesso articolo, riferendosi al pubblico, parlava di “piazza” selezionata e ristretta, ma rumorosa: mettiamo le registrazioni audio/video anche a disposizione di chi esprime rancore rodendosi il fegato (vedi la replica del TPP)

 Nel dispositivo della sentenza letto da Philippe Texier viene riconosciuto alle persone che si mobilitano contro il TAV e contro altre grandi opere inutili e imposte il ruolo di “sentinelle che lanciano l’allarme” riprendendo letteralmente una formulazione contenuta in risoluzioni del Consiglio d’Europa che definisce regole vincolanti (e disattese) per i giudici dei diversi paesi.

 Sbaglierebbe chi volesse attribuire alla conclusione a cui è giunto il TPP un valore soltanto per la Valsusa: nella sentenza si parla di un modello  consolidato  di  comportamento  nella  gestione  del  territorio  e  delle dinamiche  sociali  ogni  volta  che  ci  si  trova  in  uno  scenario  di  approvazione  e realizzazione  delle  grandi  opere  infrastrutturali”.

E aggiunge:  “i governi  sono  al  servizio  dei grandi  interessi  economici  e  finanziari,  nazionali  e  sovranazionali  e  delle  loro istituzioni  nel  disporre  senza    limiti  né  controllo  dei  loro  territori  e  delle  loro risorse: si ignorano totalmente le opinioni, gli argomenti, ma ancor più il sentire vivo   delle   popolazioni   direttamente  colpite.   Ciò   rappresenta,   nel   cuore dell’Europa, una minaccia estremamente grave all’essenza dello stato di diritto e  del  sistema  democratico  che  deve  necessariamente  essere  fondato  sulla partecipazione  e  la  promozione  dei  diritti  ed  il  benessere,  nella  dignità,  delle persone.

 Questa sentenza potrà rappresentare un valido sostegno per tutte quelle comunità che vivono situazioni analoghe a quelle passate al setaccio dal TPP. Per la Valsusa non è certo un punto di arrivo ma un riferimento da cui ripartire per dare maggior vigore a una domanda di democrazia e di diritti: la stessa domanda che arriva da tante altre realtà in cui  sono violati gli stessi diritti.

  Il nostro augurio è che tutte queste realtà, utilizzando anche il sostegno della sentenza appena pronunciata,  possano riconoscersi nelle parole di una componente della giuria, la cilena Sara Larrain, che riferendosi alla lotta no tav ha detto: “Il conflitto genera dolore, ma anche una  grandissima opportunità per costruire una comunità di lotta per i diritti“.

DUE APPUNTAMENTI CON FULVIO GRIMALDI E IL DOCUFILM: L’Italia al tempo della peste

Contro la Nato, contro la guerra alla Siria, contro gli scempi dello Sblocca Italia e del TTIP
“L’ITALIA AL TEMPO DELLA PESTE – GRANDI OPERE, GRANDI BASI, GRANDI CRIMINI”
 
A VIGNOLA (MO), 21 NOVEMBRE, ORE 21, “CIRCOLO RIBALTA”
A POMPEI (NA), 11 DICEMBRE, ORE 21, “PompeiLab”, Via Astolelle 120:
Pompei peste