Tarcisio Bertone: “Vivo in 296 metri ma il mio attico è di tutti”

Tarcisio Bertone:

“Non so come difendermi, è una vergogna. Difendersi dalle calunnie è quasi impossibile. Le vittime sono impotenti”. Il cardinale Tarcisio Bertone in una intervista al Corriere della Sera ribadisce che l’appartamento in cui vive non lo ha ristrutturato con i soldi della Fondazione Bambin Gesù per i bimbi malati. L’alloggio gli è stato “assegnato d’accordo con Papa Francesco” ma per la ristrutturazione, “ho sostenuto io le spese”, “come risulta da una precisa documentazione, ho versato al Governatorato la somma: dal mio conto”. Bertone ha pagato “300 mila euro: ho pagato con i miei risparmi per un appartamento che non è di mia proprietà e resterà al Governatorato”.

Secondo voi è normale che un cardinale viva in 300 metri? Vota

Ma la Fondazione Bambin Gesù avrebbe versato 200 mila euro: “Così dicono. Solo dopo ho saputo che erano state presentate fatture anche alla Fondazione. Io non ho visto nulla”, “ho dato istruzioni al mio avvocato, Michele Gentiloni Silveri, di svolgere indagini per verificare cosa sia realmente accaduto”.

La polemica è anche sul fatto che il Papa vive in 50 metri quadri mentre lui in un “appartamento di 296“. Ma “non ci vivo da solo“, mette le mani avanti Bertone: “Abito con una comunità di tre suore che mi aiutano, c’è anche una segretaria che il Santo Padre mi ha concesso per scrivere la memoria di tre Papi, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco. C’è la biblioteca, l’archivio, le camere per tutti…”. Più un terrazzo con vista San Pietro… “Non esiste nessun attico. Io abito al terzo piano e il terrazzo non è mio, è stato risanato durante i lavori ma è quello condominiale, in cima al palazzo. E’ di tutti gli inquilini, cardinali e arcivescovi, che ci vivono”.

Processo No Tav – Appello per una solidarietà ovunque

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Riceviamo e diffondiamo:

Appello per una solidarietà ovunque

La lotta al treno veloce in Val Susa ha messo chi governa di fronte ad un problema molto più grosso della mera realizzazione dell’opera: la partita in gioco è di ben altra portata.
Chi ha deciso di lottare, con ostinazione e con la capacità di dotarsi degli strumenti necessari, ha stravolto i piani di chi voleva costruire quella linea ferroviaria. In discussione c’è la capacità dello Stato di controllare un pezzo di territorio e una popolazione ostile a una decisione calata dall’alto, che minaccia valli,  montagne  e le vite di chi le abita.
Per far sì che ritorni l’ordine, con la gente contraria chiusa in casa e i lavori al cantiere indisturbati, chi amministra e gestisce si è dotato nel tempo di svariati dispositivi per meglio  punire, controllare e prevenire. Così, mentre la Valle viene militarizzata, in Tribunale si accumulano fascicoli a carico dei “facinorosi No Tav” e i Pubblici Ministeri studiano nuove strategie per sfiancare chi lotta: dalle ingenti pene pecuniarie alle condanne penali esemplari.
La mossa indiscutibilmente più audace è stata l’accusa di terrorismo contro Chiara, Claudio, Mattia e Niccolò e successivamente contro Francesco, Graziano e Lucio per un sabotaggio al cantiere di Chiomonte nella notte del 13 Maggio 2013. 
Questo paradigma accusatorio, già rigettato in Corte di Cassazione e nel primo grado di giudizio, verrà probabilmente riproposto nel processo d’appello a carico dei primi quattro che riprenderà il 30 novembre. A sostenerne la validità, dopo Rinaudo e Padalino, scenderà in campo il Procuratore Generale Marcello Maddalena, ormai sull’orlo della pensione.
L’accusa si basa principalmente su un articolo del codice penale, il 270 sexies che proclama, tra le altre cose, che è terroristica l’azione che intende costringere fattivamente “i poteri pubblici o un’organizzazione internazionale a compiere o astenersi dal compiere un qualsiasi atto”.

Non c’è bisogno di essere dei giuristi per capire le implicazioni di un simile articolo di legge : ogni lotta che scelga di oltrepassare i recinti del dissenso consentito e di intralciare praticamente un progetto di Stato e gli interessi particolari di cui si compone, si espone ora non solo a scudi, manganelli, ruspe e denunce ordinarie, ma anche alla minaccia di queste norme anti-terrorismo.
Per questo motivo la logica accusatoria alla base dei processi per “terrorismo” non minaccia unicamente  la libertà dei sette inquisiti e dell’intera lotta No Tav, ma quella di tutti coloro che non hanno intenzione di rinunciare a lottare, in Valle come altrove.

Come reagire? Di certo non tornandosene tutti a casa in buon ordine. Come le reti si possono tagliare, gli scudi rompere, i mezzi sabotare, anche il dispositivo del “terrorismo” non è inattaccabile.
L’enorme solidarietà che si è diffusa all’indomani degli arresti ce lo ricorda. Non è stato una semplice reazione in difesa di sette compagni, ma un’energica spinta propositiva talvolta in grado di non perdere la volontà di mettere i bastoni tra le ruote ai responsabili dell’opera, ognuno con i propri mezzi. 
I lavori al cantiere hanno continuato ad essere disturbati, i macchinari delle ditte sono spesso stati sabotati, i principali finanziatori e sostenitori della Torino-Lione, come il PD e le agenzie dell’Intesa – San Paolo, sono stati in vario modo attaccati, così come l’alta velocità in tante sue arterie ha subito blocchi ed intoppi, mostrandoci, una volta di più, la capillarità delle infrastrutture e la loro vulnerabilità.

Il processo di appello ricomincerà il 30 novembre e non durerà che qualche settimana.
In questo periodo, torniamo a discutere e organizzare la solidarietà a Chiara, Mattia, Claudio, Niccolò, e a Graziano, Francesco, Lucio, in valle come in città. Diamo vita a iniziative, benefit, azioni di informazione e di disturbo, ognuno secondo le proprie possibilità, ognuno dove abita e lotta.

Compagni e solidali degli imputati

Lun, 02/11/2015 – 19:18

La Tav in val Susa al Tribunale permanente dei popoli

http://torino.repubblica.it/cronaca/2015/11/05/news/la_tav_in_val_susa_al_tribunale_permanente_dei_popoli-126677014/

Convocata a Torino una sessione che dovrà decidere se c’è stata violazione dei diritti fondamentali delle comunità locali da parte del sistema delle grandi opere

La Tav in val Susa al Tribunale permanente dei popoli

Si è aperta stamattina a Torino la sessione del Tribunale permanente dei Popoli, l’organismo internazionale indipendente composto da esperti di tutti i continenti, dedicata alla violazione dei diritti fondamentali delle comunità locali da parte del sistema delle grandi opere, nello specifico il Tav in val di Susa.

I membri del tribunale affronteranno temi quali la partecipazione negata e la manipolazione dei dati; l’esclusione dei cittadini e delle istituzioni e la sostituzione del confronto con la repressione. “Proveremo che in Val Susa – dice Livio Pepino, del Controsservatorio Valsusa – le istituzioni hanno consapevolmente estromesso le popolazioni interessate, escludendo di fatto ogni procedura di informazione e confronto”. L’evento si concluderà domenica ad Almese, in val di Susa, con la lettura della sentenza, priva comunque di effetti giuridici.

“L’unità è sempre stata la forza della nostra lotta”, ha detto il leader del movimento No Tav, Alberto Perino, sentito dal Tribunale permanente dei Popoli. “Il Tav è un’opera che deve essere fatta a prescindere. Ci hanno perfino accusato di essere terroristi, e questo solo perchè ci opponiamo a un’opera devastante sotto tutti i punti di vista”.