Notizie dal Controsservatorio Valsusa

Senza precedenti

La sentenza che verrà pronunciata tra pochi giorni in Val di Susa non ha precedenti, almeno in Europa.
Per tre giorni i giudici ascolteranno una quarantina di testimonianze che documenteranno irregolarità, omissioni, soprusi, violazioni di diritti, abusi, violenze e quant’altro.

Sarà il Tribunale Permanente dei Popoli (TPP) a pronunciarsi domenica 8 novembre su “Diritti fondamentali, partecipazione delle comunità locali e grandi opere: dal Tav alla realtà globale” dopo aver preso in esame numerose denunce: testimonianze dirette sul TAV in Valsusa, sull’aeroporto di Notre Dame des Landes in Francia, sul MUOS di Niscemi, sul MOSE di Venezia. Ma i giudici ascolteranno anche relazioni su altre realtà: dalla miniera a cielo aperto di Rosia Montana in Romania alla linea ferroviaria “Y basca” in Spagna, dal progetto HS2 nel Regno Unito al ponte di Messina e alle trivellazioni per la ricerca di idrocarburi in diverse regioni d’Italia. E altre ancora. (scarica il programma dei quattro giorni)

Sotto accusa risulterà l’intero “sistema” delle grandi opere che incide pesantemente sui meccanismi complessivi di funzionamento delle istituzioni e della stessa democrazia: non un’accusa generica ma un preciso elenco di responsabilità documentate di organismi, società, governi e istituzioni.

Nelle nostre precedenti newletter e sul nostro sito abbiamo già informato sul percorso che ci ha portato a coinvolgere il TPP sul tema dei diritti violati in Valsusa e non solo: siamo ora alla fase conclusiva e ci auguriamo che i nove giudici provenienti da diversi paesi dell’Europa e dell’America Latina si esprimano con chiarezza raccogliendo le nostre denunce.

Non può sfuggire l’importanza della sentenza che verrà emessa domenica prossima in Val di Susa: l’hanno sicuramente colta Salvatore Settis, Raul Zibechi, Tomaso Montanari, Alex Zanotelli, Luciano Gallino, Giovanni Palombarini, Paolo Maddalena, Marco Aime e Ugo Mattei: potete leggere i loro messaggi di sostegno sul nostro sito.

Il nostro augurio è che ad essi si aggiungano molte altre voci, che siano migliaia coloro che cercheranno di dare il massimo risalto possibile a un pronunciamento che potrà (e dovrà) avere significative e importanti ricadute nei diversi territori. La sentenza di per sè non sarà certo in grado di mettere la parola fine alle tante violazioni di diritti fondamentali commesse in nome di un progresso i cui effetti devastanti sono sotto gli occhi di tutti, ma su di essa potranno contare le tante resistenze che portano intere comunità a voler essere protagoniste del proprio futuro.

Chiediamo a ognuno di fare la propria parte, consapevoli che i grandi media faranno di tutto anche questa volta per mettere il silenziatore su una sentenza sicuramente scomoda.

Seguite il nostro sito, seguite nei prossimi giorni le nostre pagine FaceBook e Twitter, rilanciate le notizie, gli articoli, i commenti, rompete il muro del silenzio.
Nei giorni successivi alla sentenza pubblicheremo sul sito http://controsservatoriovalsusa.org tutte le registrazioni audio/video delle testimoninaze e i materiali allegati.

Sostenete il Controsservatorio Valsusa!

Forse il Dott. Caselli non diceva davvero.

 http://www.camerepenali.it/cat/7163/forse_il_dott_caselli_non_diceva_davvero.html
 02/11/2015

La Giunta replica al Procuratore di Torino.

Il blog di Giancarlo Caselli apparso su “Il Fatto Quotidiano” del 31 ottobre fornisce una chiara rappresentazione delle idee che l’ex Procuratore di Torino ha in materia di giustizia.

In parte le conoscevamo già, e non sono per nulla rassicuranti.

Avvocati insaziabili, paragonati ai berluscones superstiti, che coltivano improbabili istanze garantiste che lo infastidiscono.

E così il Procuratore si lamenta che l’imputato abbia facoltà di non rispondere o che abbia diritto di mentire, regole queste basilari che trovano riferimento anche in brocardi antichi (nessuno può essere obbligato a farsi del male: “nemo tenetur se detegere”).

Si incupisce per la circostanza che l’imputato (che, bontà sua, ha il sacrosanto diritto di essere difeso) possa avere “addirittura” due avvocati. Trascura il Procuratore quale sia la sproporzione di forze tra chi fa le indagini (Procura, Polizia giudiziaria) e chi le subisce, per cui poter godere della assistenza di due difensori sembra il minimo.

Si dispiace che, qualora la difesa non sia di fiducia, lo Stato provveda al pagamento del difensore d’ufficio, ma dimostra di avere le idee poco chiare sul punto, poiché l’affermazione è doppiamente sbagliata: ed invero, chi è assistito d’ufficio, se ha i mezzi, è tenuto al pagamento delle competenze del difensore e chi non ha i mezzi è ammesso al patrocinio a spese dello Stato, anche se assistito dal difensore di fiducia, come è giusto che sia in un Paese che coltivi il principio di uguaglianza e creda nel diritto di difesa.

Si duole del fatto che l’imputato possa svolgere indagini difensive e che il codice consenta di eccepire delle nullità (che il Procuratore chiama “cavilli”) in grado di travolgere “l’intero faticoso lavoro di anni”, dimenticando che se il lavoro è fatto male è necessario che venga travolto (le nullità più gravi devono essere rilevate d’ufficio dal giudice in qualunque stato e grado del processo) e che la parità delle parti (enunciazione sulla quale il Procuratore non sarà d’accordo) può persino prevedere la seccatura che chi è accusato tenti di difendersi provando.

Fatte queste premesse, il Procuratore passa all’analisi dell’art. 111 della Costituzione e rileva che il principio della ragionevole durata del processo non sarebbe osservato. Ecco la ricetta: interruzione della prescrizione “quantomeno dopo la condanna di primo grado”, tacendo che così i processi sarebbero davvero interminabili e, non poteva mancare, abolizione del secondo grado di giudizio, trascurando che il 40 per cento delle sentenze di primo grado vengono riformate in appello e che, se non ci fosse stata questa noiosa forma di garanzia, Enzo Tortora e molti altri sarebbero finiti condannati.

Aggiunge il Dott. Caselli, pur difendendo (d’ufficio) la motivazione dei provvedimenti giudiziari, che in altri Paese si può essere condannati o assolti con un fogliettino “15×20 su cui sta scritto unicamente guilty o not guilty”, tacendo che si tratta di Paesi rispettabili, con tradizioni diverse, che hanno la giuria popolare e magari un giudice veramente terzo e separato nella carriera rispetto al pubblico ministero.

Conclude il Dott. Caselli sostenendo la necessità di una riforma organica delle impugnazioni, ma, soprattutto, insiste per la cancellazione di alcuni “punti vergognosi”. Tra questi il divieto di reformatio in peius (evidentemente senza che vi sia una impugnazione da parte della Procura), definito come un antico retaggio del diritto romano, mentre, invece, risponde a un criterio di civiltà giuridica e la previsione di adeguate multe “per chi presenti ricorsi pretestuosi o dilatori”, tacendo ancora una volta che già esistono tali previsioni e che la pretestuosità di un ricorso è cosa opinabile, specialmente per chi la pensi in modo diverso dal Dott. Caselli.

Il quadro d’insieme tratteggiato in modo sommario quanto perentorio dal Dott. Caselli, che esprime addirittura lamentele su istituti di garanzia antichi e non certo liberali e democratici, potrebbe spaventare, se non fosse che chiunque comprende che a tutto c’è un limite e, dunque, il timore cede il passo alla razionalità, così che le affermazioni del Procuratore vanno ascritte alla categoria delle provocazioni o delle amenità, non volendo immaginare, neppure per un momento, di doverle qualificare come il peggiore esempio di populismo giudiziario.

La Giunta

Roma,2 novembre 2015

No a Trident Juncture, scontri tra le forze dell’ordine e gli antimilitaristi. Esercitazioni sospese

http://lanuovasardegna.gelocal.it/regione/2015/11/03/news/no-a-trident-juncture-scontri-tra-le-forze-dell-ordine-e-gli-antimilitaristi-1.12380491

Porto Pino, alta tensione davanti al poligono di Teulada: finanza e polizia in assetto antisommossa caricano i manifestanti, alcuni dei quali riescono ad aggirare il cordone di sicurezza e a entrare nella base

Lo scontro tra i manifestanti e le...

Lo scontro tra i manifestanti e le forze dell’ordine a Porto Pino

PORTO PINO. Alla fine è successo: la tensione tra le forze dell’ordine e i manifestanti contro l’esercitazione Trident Juncture è salita al punto da sfociare in uno scontro.

Nel primo pomeriggio di oggi, martedì 3, le forze dell’ordine in assetto antisommossa hanno caricato gli antimilitaristi a Porto Pino, vicino al poligono militare di Teulada dove si stanno svolgendo le esercitazioni della Nato.

Ma un gruppetto di una decina di antimilitaristi è riuscito a entrare nel territorio della base. Poco dopo le esercitazioni sono state sospese.

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Fonti della polizia affermano tuttavia che la conclusione delle manovre nel pomeriggio era già prevista dal programma di Trident Juncture.

 I dieci manifestanti entrati nel poligono sono stati fermati dalla vigilanza interna e saranno denunciati per essersi introdotti in un’area interdetta al pubblico.

Tornando agli scontri, una cinquantina di persone hanno tentato di sfondare il cordone di sicurezza predisposto per impedire che il corteo si avvicinasse alla struttura militare.

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Teulada, il faccia a faccia tra antimilitaristi e poliziaPorto Pino. Faccia a faccia tra la polizia, schierata a protezione dei confini del poligono, e gli antimilitaristi che protestavano contro l’esercitazione Nato a Teulada. E’ il momento che ha preceduto gli scontri avvenuti nel pomeriggio di oggi, martedì 3. Alcuni manifestanti sono riusciti a entrare nel territorio della base, poco dopo le manovre sono state interrotte. L’ARTICOLO

Immediata la reazione degli uomini della guardia di finanza e della polizia che hanno impedito l’azione degli antimilitaristi, che sono stati bloccati in una lingua di terra vicino alle saline che separano il parcheggio davanti a Porto Pino dal poligono.

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In mattinata si erano già avuti momenti di tensione quando gli attivisti delle varie associazioni erano stati fermati tra due blocchi di forze dell’ordine che impedivano a loro di proseguire verso la zona dove si svolgono le esercitazioni militari. Molti di questi erano riusciti ad aggirare le forze dell’ordine e a dirigersi, insieme a un altro migliaio di persone che manifestavano in modo del tutto pacifico, verso il poligono.

La situazione sembrava sotto controllo e poi è degenerata con un tentativo di blitz da parte degli antimilitaristi, che in un primo momento sembrava essere stato respinto. Poi, però, si è saputo che l’area del poligono era stata violata da una decina di manifestanti.

La protesta si è conclusa intorno alle 18, quando gli antimilitaristi hanno lasciato alla spicciolata Porto Pino. Alcuni di loro hanno denunciato di essere rimasti feriti durante gli scontri con la polizia.

La Questura vieta il sit-in sgombero di Askatasuna

La Questura vieta il sit-in sgombero di Askatasuna
novembre 02 2015
di Giulia Zanotti

Doveva essere il Guy Fawkes torinese pronto a riportare ordine e legalità in città. Ma i piani di Luca Olivetti, aspirante candidato del centro destra per le elezioni amministrative della prossima primavera, sono stati mandati in fumo dalla Questura di Torino.
Infatti, a quanto pare il 5 novembre non ci sarà nessuno sgombero del centro sociale Askatasuna di corso Regina Margherita 47, come invece aveva annunciato l’avvocato nei mesi scorsi e con tanto di cartellone pubblicitario gigante. Già, perchè per Olivetti non si trattava solo di una provocazione lo sgombero di quelli che definisce “quattro scarafaggetti rossi figli di papà”, ma di una mission da portare avanti fino in fondo.
E così dopo aver dato appuntamento per il 5 novembre alle ore 20 settimana scorsa era anche andato in Questura accompagnato dal consigliere comunale di Fratelli d’Italia Maurizio Marrone per depositare la richiesta di autorizzazione al sit-in in corso Regina Margherita che sarebbe dovuto trasformare in sgombero.
Ma la risposta del questore Salvatore Longo ha messo fino ai sogni di gloria del nostrano Guy Fawkes. «Per motivi di ordine e sicurezza pubblica» da via Grattoni è arrivato il divieto di svolgere la manifestazione, che subito Olivetti ha postato sul suo Facebook lamentandosi di come «a Torino si può occupare, delinquere ma non disturbare, protestare legalmente».
Evitato lo sgombero di Askatasuna c’è già chi aspetta un nuovo cartellone pubblicitario che annunci la prossima protesta di Olivetti.

questura-olivetti

Perù. Anche Lima ha il suo muro della vergogna. Di qua i ricchi di là i poveri

Per molti è già il “muro della vergogna”, per altri, semplicemente, una risposta all’insicurezza del paese, una difesa dalla delinquenza proveniente dai quartieri più poveri e fatiscenti.

lima baraccopoli
Si tratta di un  lungo 10 chilometri che trasforma in gate community il quartiere di Las Casuarinas, dove le abitazioni possono arrivare a costare oltre 5 milioni di dollari. Una comunità chiusa, distinta dalla povertà e l’insicurezza, con la vista migliore si possa godere su . Di là dal muro, il panorama cambia. Il distretto di San Juan de Miraflores, con uno dei suoi tanti barrios, come Vista Hermosa (Bella vista). Nome ironico per un quartiere fatto di baracche in legno e plastica, spesso senza luce né acqua corrente, in cui una casa non arriva a costare 300 dollari.

muro peru lima

Il “muro della vergogna” non è solo ovviamente una divisione spaziale, territoriale: è divisione sociale con cui si vuole avvalorare il diritto alla proprietà privata e soprattutto alla sua difesa da ogni possibile intrusione.

“Tutto il mondo ha diritto a recintare la sua proprietà per proteggerla” dice alla Bbc Elke McDonald, uno degli abitanti della zona più ricca, che sorge a partire dagli anni Cinquanta, “Abbiamo sempre comunque avuto rapporti con l’altra parte. La mia domestica e il mio giardiniere sono di là”.

La costruzione del “muro della vergogna” ha avuto invece inizio negli anni Ottanta ricorda sempre McDonald “al tempo del terrorismo e delle invasioni del . È una realtà che in  dobbiamo difenderci dalle invasioni, non necessariamente soltanto dai vicini”.

Le “invasioni” non sono che il tentativo delle popolazioni rurali di inurbarsi, cercando di sfuggire alla miseria delle campagne, attirate dalle possibilità della grande città. Ma l’invasione si ferma contro il muro, appunto, tra quartieri di baracche venuti su dal nulla senza permessi e senza pianificazione.

Muro mai terminato, perché i poveri continuano ad arrivare. Così, l’ultimo tratto del “muro della vergogna” non ha che tre anni, tanti quanti ne ha Vista Hermosa, e vi si è aggiunto il filo spinato come ulteriore deterrente.

spiaggia

La segregazione distingue classi sociali, occulta agli occhi dei benestanti la realtà ben più misera dei barrios del distretto di San Juan de Miraflores, in cui, sì, la criminalità la fa da padrone, stando ai dati della Ong Ciudad Nuestra, secondo i quali il 48% dei nuclei famigliari contano almeno un morto ammazzato.

È una causa. Una giustificazione che si cerca di rendere plausibile, il cui effetto è però appunto quello della distinzione, della segregazione. Una storia già vista, che viene da lontano secondo l’urbanista Pablo Vega Centeno, che a «Rt» dice: “È la paura sociale della vicinanza. In quasi tutta l’America Latina ci reggiamo sulla questione della sicurezza interna seguendo la logica della paura per l’esterno, della esclusione”.

Il “muro della vergogna” di Lima non segue che un modello radicato e ripetuto: come quello di San Paolo, in Brasile, per esempio, che cinge la favela Paraisópolis (altro nome ironico) tagliando fuori 70.000 abitanti dal resto della città; di là il lussuoso quartiere di Morumbí.

Del resto, i muri si stanno moltiplicando in tutto il mondo. Siamo ben distanti dall’abbattere le barriere: ne stiamo erigendo sempre di più, più alte, più armate, più estese.

di Massimo Bonato da _omissis_

Sindaci e Delrio “nuova” stagione di dialogo con Foietta

Turchia, la polizia irrompe nelle sedi di due emittenti critiche con Erdogan

Ma come? Erdogan il portatore di democrazia ? Ah già, in Siria mica a casa sua…..

Pubblicato il 29 ott 2015

di Andrea Barolini

A pochi giorni dalle elezioni legislative, due tv critiche nei confronti del presidente Erdogan sono state assaltate e oscurate dalle forze dell’ordine.

Mercoledì 28 ottobre 2015, a quattro giorni dalle elezioni legislative, la polizia turca ha fatto irruzione nelle sedi di due televisioni – Bugün TV e Kanaltürk – considerate vicine alle opposizioni al presidente Recep Tayyip Erdogan. Il tutto è avvenuto mentre le telecamere delle due emittenti trasmettevano in diretta: i poliziotti, in tenuta antisommossa, e dotati di cannoni ad acqua e gas lacrimogeni, si sono mossi fin dall’alba.

Giunti sul posto, hanno incontrato una strenua resistenza organizzata dai dipendenti e da centinaia di manifestanti (a poche settimane dall’attentato che ha ucciso decine di persone nel corso di un corteo ad Ankara). Dopo alcune ore, gli agenti hanno superato la barriera umana eretta in difesa delle sedi, e attorno alle 16:30 (ora locale) hanno imposto lo stop alle trasmissioni. Numerose persone sarebbero state arrestate.

Entrambi i canali sono di proprietà della società Koza-Ipek, accusata da un giudice turco di “fare propaganda” per conto di Fethullah Gülen, ex alleato di Erdogan che dagli Stati Uniti dirige un’influente rete di Ong, media e imprese considerate “organizzazioni terroristiche” dalle autorità. Tra i mezzi d’informazione controllati ci sono anche due giornali, Bugun e Millet, la cui pubblicazione è stata bloccata in tipografia nella mattinata del 29 ottobre.

Il presidente turco ha in particolare accusato Gülen di costruire “uno stato parallelo” con l’obiettivo di ottenerne la destituzione: per questo sono state moltiplicate negli ultimi tempi le procedure giudiziarie e le azioni contro le realtà che gravitano attorno a Koza-Ipek.

Il presidente turco Erdogan ha ordinato l’operazione di polizia contro le tv di opposizione, giudicata inaccettabile da numerose Ong ©Gokhan Tan/Getty Images

“Le elezioni sono imminenti, ed è possibile che nei prossimi giorni sarà difficile far ascoltare la nostra voce”, ha commentato Selahattin Demirtas, co-presidente del Partito democratico dei popoli (Hdp, formazione politica pro-curda), secondo quanto riferito dall’agenzia Afp. Proprio il voto dei curdi potrebbe essere determinante, dopo l’exploit che l’Hdp ha avuto alle ultime elezioni. “Il potere sta dimostrando cosa ne sarà di questo paese se alle elezioni non si metterà fine all’oppressione”, ha aggiunto Eren Erdem, deputato del partito socialdemocratico Chp.

L’Unione europea ha reagito dichiarandosi “preoccupata” dell’intervento della polizia turca, e ha lanciato un appello al “rispetto della libertà di espressione”. “La persecuzione degli organi di stampa critici ha raggiunto un livello estremamente inquietante”, ha dichiarato la Ong Reporter senza frontiere. Emma Sinclair-Webb, dell’associazione Human Rights Watch ha parlato di gesto “senza precedenti dai tempi del colpo di stato militare del 1980”.

http://www.lifegate.it/persone/news/turchia-polizia-emittenti-opposizione-erdogan