PUNTINI SULLE I: YEMEN, ASSAD, PUTIN, PAPA, TSIPRAS, CORBYN, SANDERS, IGLESIAS…

http://fulviogrimaldi.blogspot.it/2015/09/puntini-sugli-i-yemen-assad-putin-papa.html

MONDOCANE
 

 

LUNEDÌ 28 SETTEMBRE 2015

 
“Cosa valgono cinque milioni di dollari, quando ho l’amore di otto milioni di cubani?” (Teofilo Stevenson, pugile cubano, vincitore di 3 medaglie d’oro olimpiche, quando gli offrirono quella somma per diventare professionista e battersi negli Usa con Mohammed Ali)
 
“Dieci morti nel tentativo di passare le frontiere blindate dell’Inghilterra contro pochissime migliaia di persone. Pattugliamenti,fili spinati,ecc…Ma quella e’ la culla della democrazia europea, mica dei nazisti ungheresi qualsiasi. Poche centinaia di siriani e la frontiera della Danimarca chiusa,con la polizia che aveva l’ordine di ARRESTARE qualsiasi giornalista volesse documentare con immagini gli eventi. Ma quella e’ la civilissima Nordeuropa culla delle socialdemocrazie, mica i nazisti ungheresi, perdipiù coglioni perche’ la stampa filma qualsiasi cosa senza censura”.(Luca). 

”Il Partito Comunista Cubano chiede ai militanti di andare alla messa, di andare a ricevere papa Francesco, praticamente come se fosse un compito del partito. Cosa con cui io non sono affatto d’accordo… Andare ad una messa questo no, perché qui c’è libertà di culto e io non credo, pertanto non devo andarci.”  (Aleida Guevara, figlia del Che)
“L’Argentina di Bergoglio è stata in grande misura complice dell’ assassinio e della sparizione di più di 30.000 argentini. Non so dov’era il papa in quel momento. Cosa ha fatto veramente? Non lo so”. (Aleida Guevara, figlia del Che)
 
Una primavera vera
 
Intanto, in un mondo cui i fumi dei turiferari di Bergoglio hanno annebbiato vista e cervello, un altro paese arabo va sparendo dalla carta geografica e dal concerto umano. 20 milioni di yemeniti senza cibo e senz’acqua per il blocco umanitario della coalizione a guida saudita e a padrinaggio occidentale, da marzo sono sottoposti a un uragano di bombe sganciate da aerei Usa e indirizzate da tecnologie israeliane. Se a volte si abusa del termine “genocidio”, questo non è il caso. Su un paese che, prima, con una rivoluzione di massa contro il tiranno filo-Usa Saleh e, poi, con la rivolta armata della sua popolazione scita (Houthi), a cui si sono uniti l’esercito e vasti settori progressisti sunniti, contro il clone del primo, Hadi, la coalizione necrofaga Atlantico-Golfo esercita la sua bulimia di morte.
 

 
Ho vissuto per due anni in quel paese, povero, ma ancora Arabia Felix, come l’avevano conosciuto i romani. Sebbene dilaniato da colpi di Stato e separatismi, inevitabilmente manovrati dall’Arabia Saudita e concordati con USraele per scongiurare che il paese a cavallo di Mar Rosso, Corno d’Africa e Stretto di Hormuz potesse compromettere il controllo sul più massiccio traffico di petrolio e merci del mondo, la vita scorreva, la nazione resisteva. Tanto da aver poi prodotto un’insurrezione – primavera vera, laica, popolare, quella yemenita – che, spazzati via i proconsoli dell’imperialismo e della vandea wahabita, era riuscita a liberare l’intero paese, da Sanaa ad Aden. A opporsi erano rimasti solo i gruppi terroristici di Al Qaida, preventivamente installati da coloro che li avevano già generati in .Libia, Iraq, Siria, Nigeria e che dovevano fornire ai droni assassini Usa il pretesto per colpire i gangli infrastrutturali del popolo insorto sotto la guida di partito rivoluzionario e antimperialista, Hansarullah.
 
In poche settimane, tra il 2014 e il 2015, la rivoluzione aveva eliminato dalla scena i mercenari di AQAP (Al Qaida in the Arabic Peninsula) e aveva conquistato il paese dal Nord di Marib fino alla propaggine sud-est di Hadramuth, dal Mar Rosso al Golfo di Aden. Allo Yemen si apriva un nuovo capitolo di storia all’insegna di emancipazione, autodeterminazione, sovranità popolare. Un incubo per chi in questo territorio tra due continenti e due mari, tra due stretti, Bab el Mandeb e Hormuz, aveva individuato la chiave per il dominio geopolitico non solo regionale. Ed è stato il via libera ai vassalli feudatari del Golfo, padroni di paesi governati dalle proprie famiglie e popolati da schiavi, per i quali uno Yemen democratico, di cittadini liberi dalle radici millenarie, costituiva un’aberrazione dal terrorizzante potenziale contagioso.
 
 
All’aviazione, agli armamenti, all’intelligence,  forniti dall’Occidente e da Israele, non sono bastati sette mesi di bombardamenti stragisti (per l’ONU, a fine settembre, le vittime, quasi tutte civili, donne, bambini, senza la benefica sorte, questi, della misericordia riservata dai bravi europei ai figli dei rifugiati, rasentavano le 6.000) e neppure un blocco navale criminale che ha perfino impedito la forniture umanitarie vitali, farmaci, vettovaglie, acqua. Le navi iraniane o irachene che le portavano, venivano rimandate indietro e, semmai, fornivano lo spunto per rinverdire la propaganda che trasformava la rivoluzione popolare in complotto iraniano per estendere “l’arco scita”. Svaporata Al Qaida, è arrivata la fanteria dell’imperialismo, Isis, dotata stavolta di ben altri mezzi, uomini, regole d’ingaggio. E sono iniziati i massacri e le atrocità, le deflagrazioni nelle moschee con centinaia di morti, insomma la missione  che i mandanti affidano ai sicari dello Stato Islamico, nella speranza che il terrore finisca con il fiaccare la popolazione nel suo sostegno alla Resistenza, più di quanto non abbiano saputo domarla bombe, fame e sete.
 
Quando penso ai miei tempi nello Yemen, insieme al calore dei suoi gentili  e sorridenti abitanti, all’ospitalità e amicizia sempre prontissime, alla preferenza, tutta araba, per la vita collettiva, alla cura amorosissima per i bambini, al fervore intellettuale dei giovani, dominano l’immaginario le fantastiche, fiabesche abitazioni verticali, antiche di millenni. Mattoni di fango solidissimi, decorati fino ad altezze vertiginose con fantasmagorie di calce bianca. Arabeschi, filigrane, archi e merli, interrotti da lampi di vetri multicolori alle finestre. Musei e siti archeologici senza uguali nella regione, risalenti al 1° millennio avanti Cristo, alla civiltà dei Sabei. Questa sconfinata e ineguagliabile ricchezza di un popolo incontaminato, che, con l’aiuto di generose spedizioni archeologiche, li ha curati e custoditi con perizia e amore, non esiste più. Polverizzata dai sauditi, tanto parvenu volgari quanto cavernicoli ignoranti, raccattati dai britannici nei caravanserragli, dotati di corona e messi lì, a far da palo al colonialismo.. Caricature della depravazione dinastica inglese, garanti delle comuni predazioni e della comune obliterazione dei diritti dell’uomo.
 
Qualche pigolìò dal breve fiato si è udito in Occidente sulla cancellazione delle memorie dei popoli e dell’umanità a Palmira, Nimrud, Niniveh, sulla devastazione e sui furti, gestiti dagli Usa, nel Museo Nazionale e nella Biblioteca Nazionale a Baghdad. Sull’assassinio dello Yemen, anche attraverso la cancellazione di cultura, storia, identità, non s’è alzato che qualche sopracciglio. Eppure sempre gli stessi sono i committenti, dello stesso mercenariato gli esecutori. E’ identico è lo scopo. Quello dei conquistadores quando, oltre a compiere genocidi, sgretolavano a cannonate le opere nel tempo dei popoli nativi. Questo, forse, è il connotato più forte e letale dell’imperialismo, il suo fine escatologico. Privare le terre delle loro presenze storiche, umane (ed ecco gli svuotamenti chiamati migrazioni, con il bonus imperialista aggiunto della destabilizzazione dei luoghi d’arrivo) e testimoniali.  Quelle che danno il nome a mondi e popoli, la consapevolezza di sé e la sopravvivenza nel tempo. Il proprio contributo alla vicenda umana. Perché, senza nome, non sei nessuno, anche per te. Estirpare le radici che sorreggono e alimentano la pianta e ne favoriscono la continuità e l’espansione. Da un albero mozzato spesso rinascono virgulti. Da uno sradicato, viene solo secchezza e putredine. Le classi dirigenti dell’Uccidente lo sanno, lo praticano. Il culto monoteista di Mamona celebra così i suoi riti.
 
Restiamo nel mondo arabo. A Tripoli si sono inventati un capo-scafista (no, questo non si chiama Nato, sarebbe solo un subalterno), Salah al Maskhout, e parrebbe che si siano anche inventati la sua esecuzione da parte di quattro pistoleri con armi e munizioni dell’ambasciata Usa. Però commandos italiani, che avrebbero sopraffatto, “con incredibile efficienza e precisione”, la superiorità numerica e di armi della di lui guardia del corpo. Cosa che rende del tutto incredibile l’attribuzione a forze speciali del nostro pasticcione paese. Siamo quelli di Abu Omar, noi. Senza uno squadrone Cia non combiniamo niente. Salvo qualche strage di Stato, ma anche lì obbediamo a ordini di servizio da fuori e da molto in alto, vedi Gladio. E c’è un altro elemento che mette in dubbio una paternità italiana. Gli scafisti sono la manovalanza dei trafficanti, e i trafficanti sono i tour operator di coloro che governano il business militare e civile delle migrazioni di massa. Guai a disturbare questo business e la geopolitica che lo governa e non solo per i profitti del racket. Soprattutto per disseminare nel vento popolazioni, spargere sale sui loro territori e, al tempo stesso, sgambettare qualche alleato, l’UE?,  che non si rizzi troppo in piedi.
 
Figurati se gli scagnozzetti della Pinotti e di Gentiloni possano aver anche solo immaginato di intralciare questa remunerativa strategia. Anche perché irritare i Fratelli musulmani di Tripoli, che gestiscono gli imbarcaderi sulla loro costa e il cui capo-Congresso, Nuri Abu Sahmain, si qualifica apertamente amico del boss presuntamente ucciso (ma che poi ha telefonato chiedendo che cazzo succede) e che ha alle spalle potentati investitori in Italia come il Qatar, non è proprio cosa nostra.
 
 
A proposito di sgambetti, c’è una notiziola intrigante. I curdi del PYD, quelli d Kobane, tanto cari a tutti coloro che vorrebbero oscurare la vera, grande, quadriennale lotta del popolo siriano e, dunque, assolutamente credibili, ci rivelano che il profugo sgambettato col figlioletto in braccio dalla stronza ungherese e perciò divenuto un idolo dei misericordiosi e destinatario di offerte d’asilo da mezzo mondo, ha un nome: Osama Abdul Mohsen, E chi è questo Osama? Nientemeno che un terrorista di Al Nusra, la formazione Al Qaida che, con l’Isis, condivide gli oneri e onori Nato di stuprare e massacrare donne e bambini siriani. Rivelano i curdi che il figuro,  della città di Tel Abyad, entrò nelle bande terroriste fin dal 2011, combattè contro i curdi a Amudeh e Serekanieh e fuggì quando il PYD conquistò la zona. Sarebbe colpevole di atrocità contro i  civili, da allenatore di una squadra di calcio nel 2010 avrebbe causato tumulti finiti con 50 curdi ammazzati, e nella sua pagina Facebook abbondano le foto di lui miliziano impegnato in bravate con i suoi compari. C’è da chiedersi chi l’abbia mandato in Europa e se sia una “rara flor”, oppure se faccia parte di una missione per qualche False Flag dalle nostre parti. A Madrid lo ha abbracciato Cristiano Ronaldo (The New Free Syrian Press, 21 Settembre 2015).
 
Siria, la trappola di Putin
Ottime notizie dalla Siria. Premetto che se si accende una luce sulla Siria martirizzata e resistente, ciò è dovuto  a quasi cinque anni di fantastica lotta, sotto la direzione di Assad e del Baath, di un popolo di cui ho documentato i sentimenti, l’amore per il proprio presidente e la determinazione, nel film “Armageddon sulla via di Damasco”. Un popolo che già nelle precedenti tre guerre contro Israele aveva dimostrato il suo valore. Ovviamente la Russia di Putin, non più quella di Medvedev che aveva subito l’annientamento della Libia, ha giocato un ruolo decisivo. Non fosse stato per Mosca, le orde Nato si sarebbero già da tempo abbattute dal cielo, in soccorso alle bande di briganti mercenari che ne costituiscono la fanteria in tutto il Medioriente e che in 5 anni non hanno saputo avere la meglio sulle forze armate dello Stato e sulle sue milizie popolari (che non sono solo scite, né in Siria, né in Iraq, come vorrebbero le cronache del “manifesto”, ligie alla vulgata della guerra civile confessionale. Sia l’esercito, sia le forze popolari di autodifesa comprendono tutte le confessioni presenti nei due paesi).
 
Nelle ultime settimane, di fronte al ventilato intervento di terra della coalizione uccidentale, già anticipato dai turchi con la zona cuscinetto oltre il confine siriano, Putin s’è mosso sui due fronti.
Su quello diplomatico ha coinvolto in dialoghi per una composizione politica del conflitto le varie parti in causa, con incontri diretti tra il ministro degli esteri Lavrov e i governanti del Golfo, fino a quello con un Obama in grave difficoltà per i fallimenti successivi di tutte le sue opzioni, ultima quella che tentava di risuscitare la famosa forza ribelle moderata, risoltasi con l’ennesimo passaggio di quattro gatti raccattati in Siria, subito passati armi e bagagli con gli alqaidisti di Al Nusra. Ha affermato perentoriamente, insieme all’Iran, contro tutti i corvi, anche nostrani, che diffondevano voci su un abbandono russo di Assad, come nessuna soluzione alla crisi fosse possibile tagliando fuori il legittimo presidente della Siria e che l’unica forza effettiva contro il terrorismo jihadista era quella siriana. Ha ribadito l’evidenza solare di una finta guerra contro l’Isis pretesa dagli Usa e dagli alleati del Golfo, guerra che se fosse vera avrebbe potuto spazzare via i terroristi in men che non si dica, a partire dalle linee di rifornimento.
 
 
Mentre Obama, Netaniahu e soci si divincolavano nella paralizzante contraddizione tra il proprio uso contro Assad dei jihadisti importati da ogni dove, e la conclamata identificazione degli stessi quale apocalittica minaccia all’Occidente, Putin è passato al fronte militare. A Latakia arrivano mezzi e armamenti avanzati, a rinforzo dello schieramento governativo, e porti e aeroporti sulla costa vengono potenziati per accogliere aerei e truppe di Mosca. Se è vero che in Occidente si vuole combattere il terrorismo jihadista, fa capire Putin, ecco noi ci stiamo, siamo pronti. In quattro e quattrotto il carcinoma che tanto spaventa la “comunità internazionale” e dai cui orrori scappano le sterminate folle che invadono l’Europa, può essere sradicato. Per la seconda volta, come dopo la False Flag delle armi chimiche di Assad, disinnescata da Putin con le prove che si trattava di operazione sotto mandato turco e con la consegna dell’intero arsenale chimico siriano, il presidente Putin salva la Siria dall’olocausto pianificato dal mostro tricefalo Nato-Israele-Golfo. E una mano gliela dà, nel segno del blocco euroasiatico costituito tra Mosca e Pechino, anche la Cina. E’ del 25 settembre, come rivela Igor Morozov, presidente del Comitato per gli Affari Esteri della Federazione russa, la decisione cinese di partecipare alla lotta contro l’Isis.Una flotta cinese, composta da portaerei e incrociatori, è entrata nel Mediterraneo.
 
Siccome tout se tien in Medioriente, in parallelo Mosca costruisce a Baghdad un coordinamento per la sicurezza, l’intelligence e le operazioni di difesa dall’Isis, tra Iraq, Russia, Iran e Siria. L’intento dichiarato, secondo il premier iracheno Al Abadi, è “monitorare i movimenti delle bande terroriste e degradarne il potenziale militare”. In concreto, la mossa sembra indicare un ulteriore impegno iraniano, con le brigate Al Quds, a fianco dell’esercito di Baghdad e delle milizie popolari scite-sunnite, e ulteriori forniture di armi e mezzi russi, compresi aerei da combattimento. Devono rimpiazzare quelle che gli Usa hanno cominciato a negare quando i rapporti tra Washington e Baghdad sono andati deteriorandosi in seguito alle innumerevoli accuse mosse dagli iracheni sui lanci Usa di armi e rifornimenti alle unità dell’Isis.
 
Dalle capitali che fin qui avevano sostenuto, con mercenari e consenso politico, le ragioni dell’eliminazione di Assad e dello squartamento della Siria, si iniziano a flautare voci sulla possibilità di contemplarne la permanenza, almeno per una “fase di transizione” (benissimo, poi saranno i siriani a decidere, come hanno già ripetutamente fatto). A Cameron il parlamento britannico ha negato il consenso all’intervento (ovviamente trascurando l’annosa presenza sul campo delle teste di cuoio SAS). A Berlino, le cui posizioni contano più di ogni altra, si è detto chiaro e tondo che a un attacco contro la Siria non si partecipa. E perfino Roma, dell’internazionalmente irrilevante Renzi, nicchia. Solo un omuncolo, un autentico quaquaraquà, il presidente francese Hollande, pensa di giocare d’anticipo scatenando in contropiede i suoi quattro Rafale. Ovviamente l’obiettivo Isis strombettato dal sottopancia Nato è il solito falso scopo. Hollande è l’unico che ancora insiste a urlare via Assad. Ma se la sua grandeur d’accatto  ha potuto esercitare muscoli colonialisti in Costa d’Avorio, Libia, Mali e dintorni, qui le cose le decidono i grandi.
 
 
Apocalissi biblica?
Dopo anni in cui l’Uccidente, Israele e sgherri regionali, hanno utilizzato ogni immaginabile mezzo per dissanguare e spopolare Siria e Iraq, i due popoli sono ancora in piedi. E i loro alleati sono potenti e sanno muoversi assai meglio. E’ concepibile che Obama tenti una fuga guerrafondaia in avanti e rischi nei cieli sopra Baghdad e Damasco la conflagrazione universale finale? Quella a cui puntano gli apocalittici che prendono per manuale d’istruzioni la bibbia. Per passare alla storia, a due passi dalla fine del mandato, come colui che ha provocato l’ultima guerra mondiale? Si tratta di psicopatici, è vero, al servizio e comando di psicopatici ancora più fuori di testa, ma un po’ di calcoli costi-benefici, c’è da sperare, li sappiano ancora fare.
C’erano alcune altre cose da dire. Ma già sono troppo lungo per molti. Mi limito a qualche telegramma.
 
Papa-Cuba-Usa
Su papa e Cuba, la figlia del Che (vedi sopra) ha detto in nuce quel che è successo all’Isola da quando è stata presa al guinzaglio da tre pontefici e un presidente Usa. Meravigliosa, ma non stupefacente perché ricorrente, l’unanimità  degli orgasmi sinistri e destri nel giubilo per le astratte genericità buoniste che Bergoglio ha sciorinato a manetta tra l’Avana e Washington, alla corte di un rinnegato della rivoluzione e di un criminale di sette guerre e innumerevoli terrorismi. Ha condannato la pena di morte. Bene, bravo, grazie. Detto dal capo di un’organizzazione che nei secoli ha fatto fuori e fatto far fuori più gente da sola di tutte le altre messe insieme, non è male. Intanto, ciò che conta, al di là dei carezzevoli bla bla bla, è l’America Latina, già in corso di guevarizzazione, da riconsegnare al cattoliberismo della dottrina sociale della Chiesa. Meno Stato è più scuole, ospedali, media cattolicamente privati. Raul ha già detto sì. Obama e gli americani si sono commossi.
 
Volkswagen, che combinazione!
Avete fatto caso alla tempistica della micidiale botta data alla Germania con la siringata al curaro al suo cuore industriale? Alla Fiera di Francoforte, la Merkel stava incitando l’industria automobilistica tedesca ad altre grandi imprese imperialiste. Magari con il sostegno dei validissimi quadri siriani appena accolti. Magari a ulteriore danno dell’agognata egemonia automobilistica Usa. E uno. E due, più importante, Merkel aveva appena dichiarato che a partecipare alla guerra alla Siria non ci pensa nemmeno e che, sull’Ucraina, si atteneva agli accordi di tregua di Minsk. Sale sulle ferite aperte nel corpaccio imperialista dall’offensiva diplomatica e militare russa.
 
Il fatto è che, come si è saputo, tutti sapevano tutto della truffa al gas asfissiante Berlino, Washington, Bruxelles. Greenpeace l’aveva denunciata nel 2013, i media ne avevano parlato. Il fatto è anche che di truffa e avvelenamento collettivo campano governi e case automobilistiche. Tutti e tutte. Basta pensare allo scherzetto dei filtri Diesel italiani che bloccano le polveri grosse, ma bruciandole, poi ne diffondono di microscopiche, infinitamente più micidiali. Mortali.
Torna in mente quella intemerata reporter investigativa della Gabanelli che, seccato l’eterodosso Di Pietro con un reportage zeppo di falsità e calunnie, ha servito al potere multinazionale il ben più succoso piatto ENI. Tangenti all’Algeria!  Potete scommetterci l’intero vostro TFR che non c’è società petrolifera al mondo che non lubrifichi i governanti  da cui si aspetta che le diano accesso ai giacimenti. Ma l’ENI lavorava alla grande sia con gli arabi (quasi monopolista in Libia e Algeria), sia con i russi. Partner di Gazprom e padrona di giacimenti in Siberia, costruiva con i russi il gasdotto South Stream che tagliava fuori gli americani. Fetente, d’accordo, basti pensare alla Val d’Agri e alle trivelle in Basilicata. Ma un po’ troppo nazionalista. Parolaccia. Ci ha pensato Gabanelli e la testa dell’Eni, Scaroni, è saltata.
 
Tsipras, un boia santo subito
Pare che la fenomenologia Tsipras si stia moltiplicando. Avete presente quel brav’uomo di Sanders, candidato democratico che sta sopravanzando la gorgone Hillary con promesse di giustizia sociale e pace? Qualcuno dei suoi sicofanti nostrani ha menzionato la conferenza in cui, contestato da chi gli rimproverava la solidarietà a Israele, ha risposto “Basta! Chiudete il becco!”? E qualcuno vi ha fatto notare che l’altro ancor più brav’uomo, Corbyn, ha inveito contro  il tiranno Assad da obliterare? Oppure vi hanno fatto trapelare che Pablo Iglesias di Podemos ha espresso tutta la sua solidarietà al martire della democrazia venezuelana Leopoldo Lopez, altro brav’uomo che, dopo aver sostenuto il golpe contro Chavez del 2001, si è ribellato al Venezuela di Maduro con pogrom terroristici di bande fasciste (43 morti, centinaia di feriti) e sabotaggi economici ed è stato ingiustamente condannato al carcere dal dittatore erede di Chavez?  Rispetto all’altro idolo, Tsipras, questo è niente.
 

 Faccio fatica a parlare di questo personaggio, esecutore testamentario del suo popolo. Ma faccio ancora più fatica a parlare dei corifei che continuano a intrecciargli sul capo corone d’alloro e ad andare in processione salmodiando novene e peana. Un’autentica macchia nera sulla storia trimillenaria di un popolo che ha bucato con la luce della ragione e della bellezza l’oscurità della superstizione e delle tirannie, le quali tutte  di superstizione si nutrono. Vinta un’elezione col trucco del colpo ravvicinato ai dissidenti, grazie all’astensione di un greco su due, la perdita di un terzo dei voti e quindi il consenso del 20% scarso, il “manifesto” lo ha salutato in prima pagina con questo fuoco d’artificio:su gigantografia: “BENE, BRAVO, TRIS”.

 
Dove il “bene”, immagino, è per come ha fregato chi non ci stava a buttare nel secchio il proprio paese ed era appena nato. Il “bravo”, lo deve aver suggerito la lobby, ormai egemone nel giornale, per aver rinnovato abbracci, effusioni e alleanza con Kammenos, capo del partito ancora più di destra e quindi in coalizione, da poco reduce dalla congiunzione ideale, materiale e militare a Tel Aviv con il fratello Netaniahu.  
 
Il capo dell’unica democrazia in Medioriente, d’ora in poi, potrà contare, per la promozione militare dell’eletta civiltà sionista, sull’intero territorio greco, con tutte le sue armate. Proprio quelle che, grazie alle cure tedesche, hanno precipitato il paese nell’abisso di un debito che, grazie a Tsipras, ne curerà le esequie. Tutto questo non può disturbare la fede a prescindere di chi aveva già offerto ogni comprensione allo Tsipras, ancora in fieri, che giurava fedeltà alla Nato e all’UE.e nominava la signora Bilderberg, Spinelli, a capo dell’analoga buggeratura italiana (felicemente estinta). Per convocare  ai festeggiamenti  di colui che ai greci ha inflitto un cappio ancor più stretto di quello che in massa avevano respinto col referendum, il “manifesto” ha usato le sue pagine come trombe del giudizio. E dalle tombe sono emersi i Marco Revelli, i Guido Viale, le Norme Rangeri, i Burgio, tutte le teste d’uovo della “vera e unica sinistra”, in gran parte anche un po’ rincitrullite poiché spossate dall’inane fatica di Sisifo di far risalire il masso che poi regolarmente gli ricade in testa. Tutti, con grande coerenza, a battere le mani in standing ovation al masso piombato in testa alla Grecia.
 
Pubblicato da alle ore 19:56

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LUC MICHEL : LA GUINEE EQUATORIALE A NOUVEAU DANS LA TOURMANTE (‘BOUQUET SPECIAL’ SUR AFRIQUE MEDIA TV, NDJAMENA 12 SEPT. 2015)

PANAFRICOM-TV & AFRIQUE MEDIA/

2015 09 12/

PANAF-TV - LM sur AM ge à nouveau ds la tourmente (2015 09 12)  FR

LUC MICHEL :

LA GUINEE EQUATORIALE A NOUVEAU DANS LA TOURMANTE

‘ LE BOUQUET SPECIAL’ SUR AFRIQUE MEDIA TV, NDJAMENA, 12 SEPT. 2015,

présenté par Juliana Tadda.

 Video sur le Website de PANAFRICOM-TV https://vimeo.com/140473916

Luc MICHEL analyse les derniers rebondissements de l’affaire dite « des biens mal acquis » à Paris et leurs implications. Il explique pourquoi la crise de la CORED, la soi-disant « opposition équato-guinéenne en exil », pilotée par Paris, Berlin et Madrid, et le ralliement de sa faction dite CORED-PP au processus de dialogue national ouvert par le président équato-guinéen, sont directement liés à ces rebondissements.

Images filmées durant le direct dans les studios de AFRIQUE MEDIA à  Ndjamena (Tchad)

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Usa, figuraccia in Siria: i “supersoldati” anti-Isis si arrendono subito

Ecco un bell’esempio di mistificazione della narrazione, si finge stupore davanti alla “resa” dei ribelli anti assad che passano da combattenti dell’Isis a arrendevoli per spavento FINGENDO DI NON SAPERE CHE SONO UN FRONTE UNICO DELLA MILIZIA DELL’ISIS CREATA DAGLI USA

26 settembre 2015

Tel Aviv – Nuovo smacco per il Pentagono in Siria: i ribelli addestrati in Turchia, appena entrati in azione, hanno consegnato armi e munizioni ai jihadisti di Al Nusra. Anziché combatterli, hanno offerto ciò che avevano pur di poter fuggire. A confermare l’imbarazzante episodio è Patrick Ryder, portavoce del Comando Centrale delle truppe Usa a Tampa, Florida, secondo il quale è avvenuto fra il 21 e 22 settembre.

Circa 70 ribelli addestrati dagli americani erano entrati in Siria per iniziare a compiere azioni offensiva quando, al primo contatto con i jihadisti di Al Nusra espressione di Al Qaeda, “gli hanno consegnato almeno il 25 per cento del loro equipaggiamento”. Ovvero, sei pick-up con le mitragliatrici pesanti montate sul retro e le relative munizioni.

Per Ryder «se tali informazioni dovessero rivelarsi accurate si tratterebbe di una grave violazione degli accordi sottoscritti da parte di chi partecipa ai programmi di addestramento». La vicenda ripropone l’inaffidabilità dei ribelli addestrati dagli Usa dopo il precedente episodio, avvenuto in agosto, quando 54 di loro erano entrati in Siria ed avevano subito pesanti perdite – fra morti, feriti e catturati – a causa di un attacco portato sempre da Al Nusra.

Non si può escludere che la decisione del secondo gruppo di cedere l’equipaggiamento per poter fuggire sia stato motivato proprio dal timore di subire un’analoga sorte. Ciò significa che il programma di addestramento di ribelli siriani da parte degli Usa, finanziato con oltre 500 milioni di dollari dal Congresso di Washington, non ha ancora prodotto unità in grado di combattere.

Per ammissione stessa del capo del Pentagono, Ashton Carter, «abbiamo solo 4 o 5 ribelli operativi in Siria». Sarcastico il commento del giornale israeliano “Haaretz”: «Si tratta dei soldati più costosi della storia militare, per ognuno di loro sono stati spesi circa 100 milioni di dollari».

La Russia si rinforza a Latakia

Almeno 15 aerei cargo russi con materiale e personale sono atterrati nelle ultime settimane in una base militare siriana nella provincia di Latakia, nel cuore della zona alawita roccaforte dei sostenitori del regime. Lo ha riferito una fonte militare locale: «Da due settimane e fino a stamane, un aereo da cargo russo è atterrato ogni mattina nella base militare di Hmeimim», ha detto. Secondo la fonte, in totale «almeno 15 aerei di questo tipo, con i colori della bandiera russa, hanno trasportato equipaggiamento e personale», nella base situata nell’aeroporto civile e militare Basel al-Assad, 25km a sud di Latakia. Durante l’atterraggio e il decollo, gli aerei sono scortati dai caccia. «Dopodiché alcuni camion scaricano gli aerei e trasportano il carico fuori dall’aeroporto», ha aggiunto la fonte. Da settimane, Washington allerta del rafforzamento della presenza russa in Siria con aerei da combattimento, sistemi di difesa aerea e sofisticato equipaggiamento.

http://www.ilsecoloxix.it/p/mondo/2015/09/26/ARMejn5F-supersoldati_figuraccia_arrendono.shtml

Milano: brasiliano da’ fuoco alla palazzina e va al bar a guardare lo spettacolo

Le 30 famiglie dove saranno accolte e sfamate?!?! Se lo saranno. Grazie risorse.

sabato, 26, settembre, 2015

Per motivi ancora sconosciuti avrebbe dato fuoco al suo appartamento, all’ultimo piano di uno stabile in via Palladio, a Milano. Poi, prima che le fiamme fossero visibili, è uscito di casa ed è entrato in un locale poco distante per poi mischiarsi tra la folla di curiosi che, poco dopo, si è assiepata presso lo stabile per assistere alle operazioni di spegnimento del rogo.

 incendio-pompieri

E’ accaduto a tarda ora, ieri sera, quando i carabinieri della compagnia ‘Porta Monforte’ sono intervenuti in via Palladio per un incendio di vaste proporzioni che aveva interessato un appartamento sito all’ultimo piano. La prima preoccupazione dei militari è stata quella di aiutare i vigili del fuoco nello sgombero dell’edificio, per porre in sicurezza le 30 famiglie presenti. In particolare si sono dovuti prodigare a fornire assistenza ad un’anziana 92enne, sola, che non intendeva abbandonare il domicilio per nessuna ragione.

Superata la fase dedicata al soccorso, sono scattate le indagini che sin dai primi accertamenti si sono indirizzate su un evento di natura dolosa. E’ a quel punto che i militari hanno individuato quello che ritengono ‘il piromane’, un giovane brasiliano di 36 anni che vive nell’appartamento da solo ed è conosciuto dai condomini per le sue intemperanze e la sua instabilità. Era con la folla di curiosi a guardare ‘la scena’.

Arrestato, non ha fornito spiegazioni ed ha negato i fatti ma alcuni vicini lo hanno notato uscire da casa poco prima che le fiamme interessassero l’intero appartamento; si è allontanato a piedi ed ha raggiunto un locale poco distante ove ha dichiarato di avere trascorso la serata nel tentativo di crearsi un alibi. La persona è nota per avere alla spalle un passato particolarmente problematico, ricco di episodi criminali tra cui spiccano episodi analoghi. L’appartamento è stato dichiarato inagibile. adnkronos

La strana azienda del babbo che arruolava clandestini

Un antirazzista, per giunta devoto a far fruttare le risorse mica si può mettere sotto accusa. Mica se ne deve parlare, vuoi mettere con il caso Ruby su cui son stati scritti libri poemi e paginate di giornali per anni? Poi la prostituzione fa PIL

La “Arturo” di Tiziano Renzi finì nei guai per gli immigrati-strilloni. Tra gli stranieri un futuro uxoricida e uno sfruttatore di prostitute

Massimo Malpica  – Sab, 26/09/2015 – 08:40

Al centro di tutto c’è una srl, la Arturo, che Tiziano Renzi fonda nel 2003 restandone socio al 90 per cento, con il restante 10 per cento delle quote in mano alla sorella, Tiziana.

La società apre una sede a Genova, dove deve occuparsi della distribuzione del Secolo XIX , in subappalto proprio dalla Chil, altra società di famiglia dei Renzi fino al 2010, al centro dell’inchiesta genovese.

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E a inizio 2007 la Arturo assume, come strilloni, un gruppo di stranieri. Tutto bene, tutto in regola? Mica tanto. Gli extracomunitari devono lavorare da mezzanotte alle sei del mattino, tutti i giorni, per 28 euro al giorno. E senza rimborsi spese per l’uso del mezzo proprio. Così la notte del 12 aprile del 2007 molti dei dipendenti della Arturo mettono in scena una protesta, bloccando l’attività e chiedendo di essere «messi in regola». Qualcuno, però, chiama le forze dell’ordine. Che arrivano per sedare una lite, ma in realtà scoprono che «tra gli scioperanti, tutti stranieri, vi erano alcuni non in regola con il permesso di soggiorno».

I guai, però, non li passa Renzi. Che, appena un mese prima, con fortunato tempismo, ha lasciato la carica di amministratore unico a un suo vecchio conoscente, il fotografo e regista Pier Giovanni Spiteri. Che per il suo ruolo si becca la denuncia per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Gli stranieri irregolari, invece, finiscono in questura per l’identificazione. A verbale resta l’elenco dei loro nomi. Tra gli «strilloni» dell’azienda di Renzi Senior c’era anche il nigeriano Talatu Akhadelor, che un anno più tardi ammazzò la compagna colpendola con un tagliere e poi soffocandola. E nell’elenco di dipendenti «clandestini» stilato quella notte spicca anche il nome di Saturday Osawe, che ha poi cambiato mestiere finendo condannato, nel 2010, per riduzione in schiavitù finalizzata allo sfruttamento della prostituzione.

Un terzo nome di quella lista è finito anni dopo sui giornali, ma per un altra storia. Si tratta di Evans Omoigui, che nel 2013, dopo aver vinto la causa di lavoro con la Arturo, non essendo stato saldato dall’azienda – che nel frattempo era stata cancellata – si era arrampicato su una gru minacciando di uccidersi. A rileggere la sua storia, si scopre tra l’altro che proprio all’indomani della protesta, finita con l’arrivo della polizia e con la denuncia della società per aver assunto clandestini, l’uomo, insieme ad altri colleghi, era stato licenziato de facto , trovando i cancelli della Arturo chiusi. Nelle deposizioni di fronte al giudice, sia Evans che altri colleghi sostengono che la polizia era stata chiamata «dai responsabili» dell’azienda, dopo che i lavoranti avevano chiesto un aumento. Ed Evans durante il processo ha spiegato al giudice di aver chiesto lumi al suo supervisore, Adeniji Taoreed, che gli avrebbe risposto così: «Mi disse che non poteva più farmi lavorare. E che per chiarimenti dovevo rivolgermi al signor Tiziano Renzi, di Firenze».

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George Soros: «Se il premier porta a termine le riforme l’Italia crescerà più del resto d’Europa»

Come non potremmo eseguire gli ordini di un filantropo antirazzista speculatore ricercato  in Malesia, un simbolo della società civile vedi sui CV

Mai che in 500 vadano a protestare contro il Pd ed il compagno Renzi

Il finanziere di origini ungheresi domani incontrerà Renzi a New York: «Il futuro dell’Ue si decide sui migranti: investire nell’accoglienza può dare grandi frutti»

di Federico Fubini

 Dopo la fine della crisi finanziaria in Occidente, a 85 anni George Soros ha smesso di vivere ogni giorno sui mercati. Alla gestione diretta di Quantum, il suo fondo da circa 22 miliardi di dollari, adesso preferisce l’impegno nelle sue fondazioni che aiutano i rifugiati e i migranti in Italia, in Grecia, lungo tutte le rotte dei Balcani e in Ungheria. Si è convinto che le prospettive dell’Europa – inclusa la ripresa dell’economia – si decidano sulle sue capacità di assorbire i nuovi stranieri. Domani lo dirà a Matteo Renzi, quando lo incontrerà a New York .

 Dopo gli choc di questi anni, lei crede davvero che l’area euro stia tornando a una crescita solida?

«L’economia europea in effetti sta migliorando, se la ripresa non verrà danneggiata da nuovi episodi di instabilità finanziaria come quelli delle ultime settimane. La mia impressione – dice Soros – è che alla politica monetaria delle banche centrali venga chiesto troppo, più di quanto possa dare. Ci sarebbe bisogno di una politica di bilancio che incoraggi la crescita, eppure questo è esattamente quello che manca».

Vuole dire che i governi dell’area euro dovrebbero gestire i conti con un approccio più espansivo?

«Sì, serve una politica di bilancio espansiva, che sostenga la ripresa. Del resto la soluzione alla crisi migratoria, e persino la soluzione alla crisi ucraina e alla minaccia rappresentata dalla Russia, richiedono che l’Europa faccia degli investimenti seri. Darebbero grandi frutti: accogliere i migranti e i rifugiati e impegnarsi nel garantire loro una sistemazione produrrebbe un effetto molto positivo per l’economia europea. Ma tutto questo implica uno stimolo di bilancio».

Crede che anche l’Italia questa volta riuscirà a partecipare alla ripresa dell’area euro?

«Sinceramente, per le prospettive dell’Italia ho buone speranze. Matteo Renzi è riuscito a introdurre dei cambiamenti importanti nel mercato del lavoro. Adesso sta affrontando il problema dei crediti incagliati e delle sofferenze nei bilanci delle banche, e dopo questo passaggio l’economia italiana potrebbe in realtà crescere più in fretta del resto d’Europa».

Perché dà tanta importanza alla crisi migratoria per la crescita economica?

«In negativo, perché la crisi migratoria minaccia di distruggere l’Unione Europea. Non dimentichiamo che la Ue sta vivendo varie crisi allo stesso tempo e questa è solo una di esse. La Grecia, la guerra in Ucraina, il rischio di uscita della Gran Bretagna dall’Unione e la stessa crisi dell’area euro sono le altre. Angela Merkel ha dimostrato di essere una vera statista, perché ha capito quanto sia critica la questione migratoria. Senza una politica realmente europea su questo fronte, il fatto che ogni Paese si muove per proprio conto potrebbe distruggere l’Unione. Di certo ha già distrutto Schengen, l’accordo sulla libertà di movimento delle persone. E il mercato unico sulla libertà delle merci attraverso le frontiere europee può essere la prossima vittima».

Crede che la soluzione sia un sistema vincolante di quote che distribuisca migranti e rifugiati nei vari Paesi?

«Dobbiamo arrivare a creare una organizzazione europea che cooperi con i vari Stati disposti ad accettare i rifugiati. I dettagli dipenderanno dalla volontà e dalla capacità dei singoli Paesi di assorbire nuovi arrivi. È evidente che quella della Germania è superiore a quelle di Grecia o Ungheria. Ma questa capacità di assorbimento bisogna anche svilupparla. Oggi l’agitarsi più vuoto e inutile mi pare sia in Francia e in Gran Bretagna: per entrambe la capacità di accogliere risulta molto sotto a quanto dovrebbe essere. Anche solo per ragioni demografiche, l’Europa ha bisogno di un milione di nuovi arrivi ogni anno. E i Paesi che ne accoglieranno di più, sono quelli che cresceranno di più in futuro».

Vede una concorrenza fra Paesi europei, quali riescono ad attrarre gli stranieri più qualificati?

«Certamente sì. I siriani che arrivano in Europa tendono a essere istruiti e rappresentano una fonte molto qualificata di lavoro per il futuro. Il perché è ovvio, se ci si riflette: per affrontare il viaggio fino alla Germania questi rifugiati hanno bisogno di un bel po’ di denaro. Ciò significa che è la crema della società siriana che attualmente sta affluendo in Germania. E la Germania è interessatissima ad accoglierli».

Intanto la Grecia è travolta dagli sbarchi. Ritiene almeno che il suo futuro nell’euro sia assicurato?

«Purtroppo il problema greco non è risolto, perché quel Paese ha dovuto accettare condizioni che gli sono state imposte. Non le ha scelte. C’è un atteggiamento ostile in Grecia di fronte all’idea di realizzare davvero quei piani, dunque questa è una ferita che continuerà a infettarsi e a assorbire un sacco di risorse. Molte più di quanto sarebbe giusto».

Cosa intende dire, che la Grecia non va più finanziata?

«Dico solo che l’ammontare speso per la Grecia è almeno dieci volte più vasto di quello speso per l’Ucraina, un Paese che non chiede altro che di avanzare nelle riforme. È un paradosso. C’è un Paese che vuole essere un alleato dell’Europa, ma viene trascurato. E c’è un altro Paese che è un suddito riluttante dell’Europa e riceve francamente, decisamente, troppo».

Suggerisce di spostare risorse e attenzione all’Ucraina?

«Purtroppo gli europei sono stati molto miopi. La nuova Ucraina nata con la rivoluzione di piazza Maidan sarebbe una grande risorsa per l’Europa, investirvi varrebbe veramente la pena. Ma ciò non viene capito e questa totale incomprensione sta mettendo a rischio la sopravvivenza stessa dell’Ucraina, il migliore alleato dell’Europa di fronte alla pressione della Russia putiniana».

26 settembre 2015 (modifica il 26 settembre 2015 | 08:36)

http://www.corriere.it/esteri/15_settembre_26/george-soros-se-premier-porta-termine-riforme-l-italia-crescera-piu-resto-d-europa-0d6deb1e-6417-11e5-a4ea-e1b331475bf0.shtml

Ucraina, deputato della Rada: Procura aprirà un’indagine a carico di Yatsenyuk

I golpisti  dei banchieri in Ucraina portatori di civiltà e democrazia, come in Italia, ma che strano…

© AP Photo/ Efrem Lukatsky

26.09.2015(aggiornato 13:58 26.09.2015)

Il deputato della Rada suprema Sergey Kaplin sostiene che il primo ministro dell’Ucraina Arseny Yatsenyuk avrebbe ricevuto una tangente di 3 milioni di dollari.

Il parlamentare ucraino Sergey Kaplin ha dichiarato che il tribunale del rione Pechersky di Kiev ha accolto la sua istanza, obbligando la Procura Generale ad aprire un procedimento per corruzione a carico del primo ministro Arseny Yatsenuk, il quale, secondo il deputato, avrebbe intascato una tangente di 3 milioni di dollari.

Secondo Kaplin, la tangente sarebbe stata pagata per la nomina di Vladimir Ischuk a direttore generale del gruppo RRT (azienda statale di radiotelevisione, telecomunicazioni e comunicazioni satellitari).

“Yatsenyuk risponderà per la tangente di 3 milioni di dollari! Accettando la mia denuncia, il tribunale del rione Pechersky ha obbligato la Procura Generale ad aprire un procedimento a carico del capo di governo. La procura deve far luce sulla tangente che il premier ha intascato per la nomina di Vladimir Ischuk a direttore generale del gruppo RRT”, — ha scritto il deputato su Facebook.

Kaplin ha pubblicato anche una fotocopia della sentenza del tribunale.

Il documento obbliga “le autorità competenti della Procura Generale dell’Ucraina a iscrivere le relative informazioni al Registro unico delle indagini pregiudiziali sulla base della denuncia di Kaplin Sergey Nikolaevitch, inoltrata a mezzo di interpellanza parlamentare del 05.08.2015,… e ad aprire un’indagine pregiudiziale”.    

Leggi tutto: http://it.sputniknews.com/mondo/20150926/1236602.html#ixzz3mwFMuWqM

Futuri bimbi in vendita con tanto di listino prezzi

Maledetta natura, per fortuna che ci pensa la scienza…e tutto fa Pil e progresso

A Milano un luminare americano cerca clienti per ovuli e uteri in affitto. E spiega come infrangere la legge

Stefano ZurloSab, 26/09/2015 – 16:12

Bambini in vendita nel cuore di Milano. Per una cifra che va dai 75mila a i 120mila dollari il cliente, coppia gay o etero fa poca differenza, può programmare un figlio chiavi in mano.

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Agghiacciante e illegale, almeno da noi in Italia, ma tutto documentato. Anche con un video girato di nascosto.

La denuncia è dell’associazione ProVita: due suoi membri si fingono una coppia gay e giovedì scorso incontrano nel centro di Milano, in un salone che di solito ospita eventi privati, un esperto arrivato apposta dagli Usa: il professor Said Daneshmand della Fertility Clinic di Las Vegas. Là avviene tutto alla luce del sole, qua, chissà ancora per quanto, la legge 40 sbarra la strada a chi vuole costruire un neonato a propria immagine e somiglianza. Il medico offre tutto il kit necessario e spiega tutti i passaggi della procedura che avverrà all’estero: una donna donerà, a pagamento naturalmente, i suoi gameti; un’alta affitterà l’utero e partorirà. I due papà dovranno solo consegnare il proprio sperma, dell’uno o dell’altro o mischiati, non fa differenza. Certo, le cifre in gioco sono alte ma la clinica offre tutti gli strumenti per ricevere il figlio senza problemi: la scelta, ad esempio, di raddoppiare le donne, un mamma per gli ovuli e l’altra per l’utero, serve proprio per spezzare qualunque legame affettivo, segmentando la catena di montaggio della vita come fosse quella di una fabbrica. Gli ovuli hanno un prezzo alto: fra i 5 e i 10mila dollari, ma, vuoi mettere, si può anche provare a costruire l’ometto futuro inseguendo il mito della perfezione: «Al momento della selezione dell’ovulo – chiedono i due inviati “clandestini” di ProVita- possiamo scegliere secondo i nostri canoni di preferenza?; magari una bella bionda, alta 1 metro e 80».

Basta mettere mano al portafoglio e qualunque sogno può diventare realtà: la madre surrogata, quella che nel linguaggio politicamente corretto porta a compimento una gravidanza per altri, costa fra i 15 e i 30mila dollari; l’esame dell’embrione viaggia sui 10mila dollari e con altri 2-5mila dollari si può programmare l’esame del feto alla decima settimana, per controllare che tutto proceda per il meglio. In caso contrario la madre surrogata è costretta ad abortire. Alla fine il prezzo arriverà a quota 100-120mila dollari: insomma, questi figli se li possono permettere solo genitori benestanti. Lo staff della Fertility Clinic pensa a tutto. C’è pure una squadra di avvocati che segue gli aspiranti genitori in un altro passaggio delicato: la stesura del contratto, anzi dei contratti con la venditrice di ovuli e con la gestante. Che perdono ogni diritto sul baby, casomai in corso d’opera cambiassero idea. Tutto è pensato per abbattere i costi e proprio per questo le due mamme vengono selezionate con criteri molto rigidi per ridurre al minimo qualunque problema. Il neonato viene al mondo all’insegna della globalizzazione e della delocalizzazione. Poi, col rimpatrio, si trova anche il modo di regolarizzare la creatura. Basta fare scalo, in Europa, in un altro Paese e da qui passare poi in Italia. Lo specialista rassicura, altre coppie presenti nel salone confermano: «Molti nostri amici gay hanno bambini e non hanno avuto alcun problema». Il meeting si chiude fra sorrisi e preventivi, quasi si trattasse di vendere un prodotto qualunque.

Ora la onlus prepara la denuncia in procura e il presidente Toni Brandi lancia l’allarme dal sito www.notizieprovita.it: «I bambini non possono essere mercificati. E invece la legge sui diritti civili apre le porte dell’adozione alle coppie omosessuali e favorisce il ricorso all’aberrante pratica dell’utero in affitto».

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