Grecia futuro dell’Euro e dell’Europa. La situazione.

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Sono giornate di fibrillazione queste, per la Grecia, per l’Europa e per l’Euro. Le analisi si sprecano e tutti vogliono dichiarare la propria interpretazione. Ci siamo messi alla ricerca di notizie, delle chiavi di lettura e vogliamo fornire ai nostri lettori non già soluzioni bensì un panorama delle idee per cercare di capire. Mettetevi comodi.

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di Davide Amerio.

Nella situazione in corso si intrecciano fronti contrapposti che operano su piani diversi. Un piano è politico (voto Si/No al referendum indetto), un altro è quello economico (situazione reale delle economie nei paesi dell’eurozona), l’ultimo quello giuridico (efficacia e conseguenze dei trattati e degli accordi internazionali). Questa mattina avrà luogo l’ennesima riunione dell’eurogruppo con Tsipras per trovare un’ulteriore mediazione sui debiti impagati da parte della Gecia (1,6 miliardi verso il Fmi), quelli in scadenza a breve (3,5 miliardi alla Bce il 20 luglio) e per esaminare la richiesta di Atene di dilazionare e rinegoziare tutti i debiti.

Se l’onere di “pagare i debiti” è universalmente riconosciuto, è la genesi di questo debito che viene messa in discussione. C’è chi afferma – come Gianni Pardo – che i Greci hanno vissuto oltre le loro possibilità:

In questi giorni si discute molto di democrazia, di sovranità, di egoismo dei più ricchi e di vittime dello strapotere altrui e si dimentica il nocciolo del problema, che è economico o forse, ancor più semplicemente, aritmetico.(…)

Il principio fondamentale è che nessuno può sperare di vivere a tempo indeterminato a spese altrui. Può riuscirci, occasionalmente, qualche individuo, ma non possono riuscirci tutti (perché mancherebbe chi paga) e non possono riuscirci interi Paesi, perché prima o poi il conto viene presentato.(…)

Quando un Paese contrae debiti, è per spendere oggi il denaro che conta di guadagnare domani. E se ci riesce, quel debito è stato un investimento produttivo, del tutto lodevole. Se invece non ci riesce, e addirittura, per rimborsare le cambiali che vanno scadendo, contrae nuovi debiti, il gioco può continuare finché i creditori sono più contenti di incassare gli interessi di quanto non siano spaventati di perdere il capitale. Ma ciò non potrà andare avanti all’infinito. Arriverà fatalmente il momento in cui questo equilibrio si romperà e il debito sarà pagato con un’enorme inflazione, con una guerra, con un fallimento, con qualche terribile crisi epocale. [1]

Per la prima fila contro i “cattivi e pigri” Greci sgomita il bocconiano Francesco Giavazzi che in un articolo pubblicato su Financial Time giunge a scrivere delle vere e proprie “chicche”:

Ma l’euro non può essere un sostituto per una maggiore integrazione politica. Infatti, senza tale integrazione, l’euro non può sopravvivere – e oggi, la Grecia si frappone su questa via

Cinque anni di negoziati che non hanno ottenuto praticamente nulla (le poche riforme che erano state adottate, come una piccola riduzione del numero esagerato di dipendenti del settore pubblico, da allora sono state rovesciate dalla coalizione guidata da Syriza). E’ abbastanza chiaro che i greci non hanno alcun desiderio di modernizzare la loro società. Si preoccupano troppo poco di un’economia rovinata dal clientelismo

I leader europei, invece di dedicare i loro summit alla questione di come difendere meglio i nostri interessi economici e militari, agonizzano su cosa fare per la Grecia [2]

Lucio di Gaetano  sul FQ si scatena contro gli economisti che contestano l’euro affermando, detta sinteticamente (anche perché lui ci dedica 2/3 del pezzo), che non conoscono nulla del sistema finanziario e tutta la loro azione è puramente pubblicitaria per avere visibilità e carriera. Sulla possibilità dell’uscita della Grecia dalla moneta unica il suo parere è diverso da precedente ma molto interessante:

A chi conviene l’uscita della Grecia dall’Euro? E qui la risposta è abbastanza semplice. Non conviene a nessuno: non conviene all’Eurogruppo perché dimostrerebbe che l’Unione non ha un futuro federale, non ha un futuro politico, è destinata prima o poi a naufragare sotto il peso degli egoismi nazionali; non conviene alla Bce, perché dimostrerebbe che il QE non è sufficiente a bilanciare la frammentazione delle economie locali e che 14 anni di moneta unica si possono dimenticare semplicemente sbattendo una porta; non conviene al Consiglio Europeo, che darebbe una clamorosa dimostrazione della propria incapacità di risolvere i problemi interni; non conviene alla Grecia a meno che non si creda davvero di poter fare affidamento su Putin per pagare pensioni e stipendi. [3]

Affonda la lama nel ventre molle greco Alberto Annicchiarico che sul Sole24Ore riporta una impietosa analisi sullo stato della previdenza del paese ellenico:

(…) l’enorme dipendenza degli istituti previdenziali dai sussidi, sia sotto forma di introiti fiscali specificamente destinati alle pensioni, sia sotto forma di «rabbocchi» diretti dalle casse dello Stato. Come si vede, la somma dei contributi versati da lavoratori e datori di lavoro agli istituti previdenziali, e il reddito derivante dagli investimenti effettuati dagli istituti (che include plusvalenze, interessi sulle obbligazioni e sui depositi e rendite fondiarie), nel 2014 ammontava ad appena il 57 per cento delle entrate.(…)

Questo «sussidio di sopravvivenza» ammonta a 13 miliardi di euro l’anno, una cifra equivalente al 14-15 per cento delle entrate complessive del Governo di Atene. Alla data del 2014 questi trasferimenti superavano del 6 per cento la media 2006-2008, per compensare il calo del 23 per cento dei contributi, il calo del 74 per cento degli introiti fiscali destinati alla previdenza e il calo dell’81 per cento del reddito da investimenti degli istituti previdenziali. Complessivamente, gli afflussi di denaro verso gli istituti previdenziali sono scesi del 18 per cento. [4]

Vista sotto questi profili non c’è storia: o la Grecia si sottomette ai voleri della Troika, oppure paga, oppure perisce. Chi è causa del suo mal pianga se stesso. Ma è proprio così?!?
Riprendiamo l’esame dall’articolo di Giavazzi e vediamo cosa scrive Karl Whelan, professore di Economia alla University College di Dublino, nel suo articolo parlando di quello pubblicato su F.T.:

Ospitando regolarmente le opinioni di persone del calibro di Hans-Werner Sinn e Niall Ferguson, la pagina editoriale del Financial Times sta guadagnando la sfavorevole reputazione di pubblicare spazzatura sull’economia. Questo nuovo articolo del professore italiano Francesco Giavazzi sulla Grecia (“I greci hanno scelto la povertà, facciamoli andare per la loro strada”) primeggia con la sua combinazione di imprecisione e infelici stereotipi nazionali.[2]

Whelan prende in considerazione punto per punto le affermazioni del nostro Giavazzi e replica confutando con dati tecnici di riferimento. In sintesi [2]:

1) Pubblico Impiego: In base alla Relazione del 2014 della Commissione Europea sulla Grecia “L’occupazione totale nel settore pubblico è scesa da 907.351 nel 2009 a 651.717 nel 2014, con un calo di oltre 255.000 unità. Questo è un calo di oltre il 25%. Davvero si può chiamarla una “piccola riduzione?”

2) Deficit di Bilancio: “La Grecia ha ridotto il suo deficit di bilancio dal 15,6 per cento del PIL nel 2009 al 2,5 per cento nel 2014, una scala di riduzione del disavanzo che non si è vista in nessun’altra parte del mondo (dati Ocse). Questa riduzione ha coinvolto massicci tagli alla spesa pubblica ed è stata ottenuta nel contesto di un’economia in costante contrazione. Il professor Giavazzi è uno di quelli che sostengono l’idea che forti contrazioni fiscali possono essere espansive. Bene, le esperienze della Grecia e di altri paesi hanno fermamente screditato questa idea.”

3) Riforme Strutturali: queste sono il tipo di riforme molto amate dagli “eurocrati”, sottolinea Whelan, orbene per la Grecia “Il rapporto Doing Business 2010 classificava la Grecia come il 109-esimo paese al mondo in cui fare affari, una classifica estremamente bassa. Il rapporto 2015 classificava la Grecia 61a, un aumento di 48 posizioni.”

4) Le Riforme sulle pensioni: “I governi greci negli ultimi anni hanno introdotto una serie di riforme a lungo termine nel loro sistema pensionistico. Per una descrizione di tali riforme, si vedano le pagine 39-40 del Rapporto sull’Invecchiamento 2015 della Commissione Europea.

Il rapporto spiega anche l’impatto nel lungo periodo delle riforme pensionistiche che sono state emanate in tutta l’UE. (…) La Grecia (contrassegnata come EL) passa da una delle più basse età medie di pensionamento nello scenario senza riforma ad una delle più alte dopo la riforma. In questo senso, la Grecia ha intrapreso la più significativa riforma delle pensioni in Europa (e non è stata abrogata dai tribunali, come è accaduto in Italia alle riforme delle pensioni approvate dal governo di Mario Monti).

La situazione del paese ellenico assume qui contorni ben diversi. Allora perché tanto accanimento e tanta rigidità nei suoi confronti? Qui entriamo in un terreno scosceso dove lentamente ai tecnismi economici si sovrappongono fattori politici e finanziari. Il prof. Nino Galloni ha recentemente illustrato in un convegno a Rivoli (avremo modo di parlarne) la sua conclusione sulla tipologia di capitalismo in atto in questo periodo storico. Un capitalismo “ultrafinanziario” completamente sganciato dall’economia reale e di mercato. Se la cornice è questa, allora assumono molto rilievo le affermazioni degli economisti che sostengono da tempo come la costruzione della moneta comune sia stato un artifizio non sostenuto da una struttura politica adeguata, sopratutto su un modello democratico.

Illustra Antonio M. Rinaldi:

Il maggior problema in questo momento in Europa non è più tanto il disastro economico e sociale compiuto a causa delle politiche seguite, ma l’aver affidato la sostenibilità dell’euro esclusivamente a metodi che prevedono la rinuncia da parte dei cittadini dei sacrosanti diritti fondamentali che sono alla base di qualsiasi democrazia.
Non si tratta più pertanto di fare solo valutazioni in termini prettamente economici per evidenziare le incongruenze generate dalla moneta unica, ma di denunciare a gran voce che per rendere sostenibile questo modello economico l’unico sistema adottato sia quello di estraniare i cittadini dalle più elementari forme previste dalla democrazia. E’ questo il vero pericolo a cui stiamo andando incontro con la complicità più o meno consapevole dei vari governi nazionali dei paesi dell’eurozona. Ai danni provocati da una costruzione monetaria e fiscale errata, ora si stanno sommando quelli ancora maggiori per poterle rendere sostenibili! [5]

Si intravede la chiave possibile di lettura degli avvenimenti. L’euro è stato fondato su teorie non adeguate al mercato europeo. Lo sostengono anche premi Nobel come Paul Krugman:

E’ ovvio da tempo che la creazione dell’euro e’ stata un terribile errore. L’Europa comunitaria non ha mai avuto le pre-condizioni per una singola valuta di successo” Quelle cioè che, negli Stati Uniti, hanno consentito durante la “Grande recessione del 2007-2009” di proteggere equanimamente i cittadini di Washington insieme a quelli della Florida (e di tutti gli altri 48 Stati della federazione americana) [6]

Joseph Stiglitz

… la vera natura della disputa sul debito greco… e’ tra il potere e la democrazia molto piu’ che tra il denaro e l’economia [6]

Osserva ancora Rinaldi nel suo intervento:

Non è più accettabile che più di un cittadino europeo su dieci, per essere precisi l’11,1%, sia disoccupato, con una distribuzione alterata all’interno della stessa area valutaria che va dal 4,7,% della Germania e 5,7% dell’Austria al 25,6 della Grecia, passando dal 22,7% della Spagna dal 12,4% dell’Italia e dal 10,5% della Francia, con una discriminazione nel godimento del suo diritto alla giustizia sociale previsto dall’art. 2 di Lisbona (TFUE) che sancisce che l’Unione si basa “su un’economia sociale di mercato fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso sociale… combatte l’esclusione sociale e le discriminazioni e promuove la giustizia e le protezioni sociali. Essa promuove la coesione economica, sociale e territoriale e la solidarietà tra gli Stati membri”.

Perché non si stanno perseguendo questi obiettivi, sostituiti invece con quelli a tutela dei mercati, in nome di una stabilità che nei fatti sta determinando sempre più l’allontanamento dei cittadini dal centro dell’interesse delle azioni dell’Europa? Perché nessuno si ribella? L’Europa non merita rispetto perché è proprio la prima a non avere il rispetto del fondamentale diritto di ciascun cittadino: avere garantita la dignità di un lavoro! Inoltre va ricordato fermamente che le Costituzioni democratiche europee non si basano sulla forte competitività così come sancito nei Trattati, ma sul valore dell’inderogabile dovere di solidarietà economica, politica e sociale [5]

Il divario tra la visione comunitaria dei Trattati e lo spirito che animò l’idea di un’Europa dei popoli pare essere svanito tra le pieghe degli interessi finanziari delle banche e dei fondi di investimento con la complicità dei governi. Ancora Rinaldi:

A Cipro e in Grecia abbiamo assistito alle prove generali di come è stato possibile annientare Paesi imponendo politiche economiche funzionali solo agli interessi dei creditori. Gli pseudo salvataggi compiuti nei confronti della Grecia nella realtà sono serviti solo a tentare di mettere al sicuro i rischi contratti precedentemente dal mondo finanziario e bancario, trasferendoli agli Stati per mezzo dei meccanismi previsti dai Fondi Salva Stati e dai prestiti bilaterali.

Ricorda Pietro de Sarlo:

L’attuale crisi economica nasce nel 2006 con la crisi dei titoli subprime che culminò con il fallimento nel 2008 della Lehman Bothers e che produsse perdite nel sistema bancario mondiale per circa quattromilacento miliardi di dollari (stima 2009 del FMI), ossia quasi la metà dell’attuale debito dei governi centrali dell’area euro.
Quindi una crisi generata dalla finanza e non dai debiti sovrani. Ma gli effetti di tale crisi si ripercossero su tutte le economie, in particolare in Europa dove il Patto di Stabilità e Crescita firmato nel 1997 prevedeva che il disavanzo statale dei paesi aderenti all’euro non potesse superare il 3% del PIL e il debito pubblico sul PIL il 60%. I paesi che superavano tale soglia dovevano rientrarvi in un periodo di 20 anni. Il patto così formulato nasceva dalle paure tedesche di abbandonare il marco per tuffarsi in una moneta potenzialmente debole. (…)
Il limite del patto era nella sua rigidità poiché non prevedeva nulla su cosa fare in momenti di forte crisi come la grande depressione derivante dalla citata crisi dei subprime. Tutti i paesi dell’area euro entrarono in difficoltà ma la situazione iniziò a precipitare quando nel 2009 Papandreou rivelò che i bilanci pubblici della Grecia, inviati in Europa dai governi precedenti, erano stati ‘taroccati’ e da quel momento iniziò lo psicodramma collettivo della crisi greca che invece di risolversi si complica ogni giorno di più. [7]

Errori iniziali che si ripercuotono nel tempo; mancanza di lungimiranza; miopia economica e politica. Questi gli ingredienti della crisi in corso. Adesso la Grecia svela l’inganno affermando semplicemente il proprio diritto a decidere democraticamente. Spiega Lidia Undiemi:

Lo scontro in atto tra la Grecia e la Troika (ovvero il Mes) sta mettendo a nudo la natura essenzialmente politica della crisi europea, che si sta consumando a colpi di “ricatti” finanziari con i quali l’organizzazione internazionale cerca di obbligare il governo Tsipras a venir meno al proprio mandato mediante l’attuazione di riforme contrarie all’impegno assunto con il popolo ellenico, già messo in ginocchio dalle precedenti politiche di austerità con cui accordo dopo accordo, rinnovo dopo rinnovo, sono stati divorati diritti ed eliminati pezzi importanti dello Stato sociale. Il commissariamento della Grecia è in atto dal 2010, la maggior parte dei finanziamenti ricevuti in cambio delle riforme sono serviti per salvare gli interessi finanziari privati dell’Eurozona, e non certo per far quadrare i conti pubblici. Il debito pubblico greco è infatti aumentato vertiginosamente proprio con l’avvio dei “piani di salvataggio”, sino al 2009 era poco meno del 104 per cento, nel 2010 è salito al 148,3 per cento sino a toccare, nel 2013, il 178 per cento. Ciò, si badi bene, è accaduto in tutti i paesi in cui è intervenuta la Troika. La più grande operazione di socializzazione delle perdite e privatizzazione dei ricavi sperimentata in Europa negli utlimi decenni. [8]

La posta in gioco è sempre più alta. Sul piano politico in troppi rischiano di rimetterci la faccia con il proprio elettorato. Ammettere di aver sbagliato significherebbe dar ragione a quanti hanno sostenuto che l’euro è la causa della crisi dei paesi e che si è verificato quanto previsto dalla Teoria delle Aree Valutarie Ottimali: in assenza di equilibro e omogeneità delle economie i paesi “forti” lo diventano sempre di più e quelli deboli vengono schiacciati. ImpietosamenteAlberto Bagnai spiega:

La cosa importante è capire che l’austerità non è una bizza, né una virtù, della signora Merkel. L‘austerità è la conseguenza inevitabile dell’adozione dell’euro: se non puoi svalutare la moneta, per promuovere le esportazioni dalle quali ottenere la valuta forte necessaria per saldare i debitori esteri, devi svalutare il lavoro. (…) da anni ci frantumano le gonadi con l’idea che un euro senza austerità sia possibile (errore blu per il quale boccerebbero e bocciano i loro studenti del primo anno) dovranno rassegnarsi. Il fatto che l’aggiustamento fiscale sia reso necessario dal fatto di avere inibito quello di cambio oggi è sancito dal “Rapporto sul completamento dell’Unione Economica e Monetaria”, firmato il 22 giugno dai cinque presidenti (Juncker, Tusk, Draghi, Dijsselbloem e Schulz), che fa strame della disonestà intellettuale di chi da cinque anni si arrampica sugli specchi per non ammettere un errore storico di proporzioni inaudite. [9]

Che cosa può accadere? Se lo domandano in molti. Ma questo dipende inevitabilmente dal fatto se ci si ostinerà a perseguire sulla strada della sterile austerità con la compressione dei diritti e la limitazione delle libertà personali per fronteggiare le possibile rivolte che si potrebbero generare a seguito della continua distruzione dello stato sociale per milioni e milioni di persone.

Concludiamo questa lunga panoramica (augurandoci sia stata utile per capire la complessità del problema e la posta in gioco) con l’intervento di Loretta Napoleoni:

Alla Grecia si chiede di rispettare la decisione dei membri della Troika non il programma elettorale del nuovo governo, nello specifico: il libero arbitrio di Atene in materia monetaria non esiste. Qualora insistesse per esercitarlo allora la punizione sarà l’uscita dell’euro (…) con tutte le conseguenze tragiche che questa condizione comporta. Si badi bene qui non ci troviamo di fronte ad una nazione che prima della creazione dell’euro ha optato per non aderirvi, come è successo con il Regno Unito, la Danimarca e la Svezia, ma di un paese che ha rinunciato alla sovranità monetaria più di quindici anni fa.

Naturalmente (…) le élite al potere non sbagliano mai. Ci troviamo di fronte ad una dittatura assoluta ‘perfetta’ che ha rimpiazzato molto probabilmente una democrazia ‘aberrante’, un regime dove è stato abolito il diritto di sbagliare. Anche Bruxelles non sbaglia mai, avete per caso sentito la Merkel apostrofare le banche tedesche per aver prestato troppi soldi alla Grecia? O gli eurocrati come Mario Monti ammettere che la Grecia non aveva “i numeri” per entrare nell’euro, che accettare la sua candidatura è stato un errore?

(D.A. 01.07.15)

Per approfondimenti:

[1] Il Fato della Grecia – Gianno Pardo – scenarieconomici.it

[2] Il FT delude nuovamente: Francesco Giavazzi sulla Grecia – Karl Whelan –Vocidall’estero.it

[3]Grecia, perché uscire dall’euro è un suicidio politico e strategico – Lucio di GaetanoIlFattoQuotidiano.it

[4] Finalmente tutto quello che avreste voluto sapere sulle pensioni greche – Alberto Annicchiarico – econopoly Il Sole24Ore.com

[5] Rprendiamoci la democrazia – Antonio M. Rinaldi – intervento al convegno “THE DEMOCRACY OF THE EURO” promosso dal Gruppo Parlamentare Europeeo EFDD presso il Parlamento Europeo il 30.6.2015 pubblicato su scenarieconomici.it

[6] Grexit: Krugman e Stiglitz danno la colpa all’Europa della Troika, non ai greci –Roberto Marchesi – IlFattoQuotidiano.it

[7] Signora C. Lagarde lei è licenziata e le spiego perché – Pietro de Sarloscenarieconomici.it

[8] Grecia, la straordinaria lezione di democrazia contro il ‘ricatto’ dei mercati – Lidia Undiemi – IlFattoQuotidiano.it

[9] Grexit: quelli che ‘la democrazia trionfa (ma anche no) – Alberto BagnaiIlFattoQuotidiano.it

[10] Grexit, nessuno sa davvero cosa succederà – Loretta Napoleoni – IlFattoQuotidiano.it

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