Tav il PD valsusino si affida a un Commercialista!

Il PD valsusino ha bisogno di una manina per dirimere la situazione della contrapposizione interna sul Tav. La risolvono con un commercialista!

pd

di Davide Amerio

Chi di opposizione ferisce… di opposizione perisce… verrebbe da dire! Ne sa qualcosa il PD valsusino il quale, riferisce un trafiletto di La Repubblica, ha deciso, nella controversia interna sul Tav, di affidarsi ad un commercialista per dirimere la questione.

I circoli della zona hanno eletto il dott. Angelo Roccotelli quale incaricato di guidare l’attività  in una zona “calda” per il Partito Democratico.

La curiosità sta tutta nella descrizione e nell’intervista al diretto interessato. Un perfetto esempio di politichese ciarliero che preannuncia equilibrismi circensi mica da ridere e non siamo certo noi a invidiare l’”equidistante” commercialista.

Ci viene però il sorriso a sentir parlare di “sensibilità diverse” sulla questione Tav. Il modo elegante dei politici per esprimere due fazioni che non sono d’accordo pressoché su nulla. Sulla posizione “equidistante ma a favore del dialogo con le istituzioni” ci domandiamo se, per meglio calarsi nella parte, il nostro Roccotelli verrà edotto sull’uso della forza e dei manganelli in Val di Susa, magari con qualche prova pratica diretta sulla sua persona.

Lo Stato che ha “diritto nel sostenere la realizzazione e dall’altra ci sono le ragioni di chi può protestare” offre già il preludio della furbesca interpretazione tra chi ha un “diritto” e dall’altra chi “ha ragioni” (ma solo per protestare) escludendo altri diritti che non siano quelli della mera protesta. Classico giudizio di valore calato con nonchalance per creare psicologicamente la separazione tra chi è nel giusto e chi lo è ma solo in riferimento a un ambito ben preciso (la protesta).

Plano e Esposito hanno entrambi le loro ragioni ma senza fare di questa vicenda un Totem” e qui siamo alla fumettistica disneyana della lotta tra Paperino e Cip e Ciop che litigano girando intorno a un presunto pezzo di legno. La riduzione della vicenda Tav a un Totem indica la volontà di non perdere troppo tempo in discussioni da parte di chi, è evidente, ha già scelto e ha un mandato ben preciso e noi ci immaginiamo già quale possa essere. Difatti la frase successiva è l’apoteosi dell’escamotage usato dal PD da decenni a questa parte per cacciarsi fuori dagli impicci; un leitmotive buono per tutte le stagioni: “ci sono problemi più importanti a partire dalla crisi del lavoro“. Per chi se lo ricorda uno dei più divertenti usi mediatici di questo ‘principio’ lo regalò Fassino di fronte a una assemblea di iscritti leggermente inferocita dal fatto che il PD non avesse fatto nulla per fermare Berlusconi in venti anni. “Abbiamo dato priorità al lavoro”, fu la difesa di Fassino. Peccato che il ‘lavoro’ continui a mancare e Berlusconi continui a dormire su comodi guanciali approntati dalla sinistra.

Facciamo i nostri migliori auguri al commercialista in questione ma egli non pensi di travisare impunemente in dialetto politichese ciò che i valligiani ben conoscono da decenni. La questione Tav è di una semplicità disarmante oramai. Se esiste un problema di lavoro in Val di Susa lo è in relazione al fatto che la politica governativa punta da anni solamente alla realizzazione del Tav con la compiacenza delle organizzazioni criminali. In una valle come questa ci sono infinite possibilità di creare posti di lavoro nel settore del turismo ma se lor signori hanno un problema di Totem interno non si illudano di farci fessi con discorsetti da maestrina dalla penna rossa, seppur ‘equidistanti’.

D.A. 02.03.15

Se un agente prende a calci un notav è solo concitazione e va archiviato

Venerdì 27 Febbraio 2015 13:47

ennio

Sappiamo bene che dei giornali non ci si può fidare e se non avessimo decine di processi aperti con innumerevoli episodi di violenza da parte delle forze dell’ordine ce ne saremmo accorti sicuramente prima ma tant’è…

Stamane (ieri mattina ndr) la redazione torinese di Repubblica aveva dato notizia di un’archiviazione richiesta da Rinaudo per i fatti di violenza ben documentati dal dossier “operazione Hunter”, in realtà dopo nostra verifica sappiamo che l’archiviazione decretata del gip è quella riferibile al pestaggio avvenuto ai danni di un giovane No Tav torinese in data 19/07/2013.

Stiamo parlando di quella sera ben impressa nella memoria del movimento, in cui quasi tutti i fermati durante l’iniziativa di lotta serale furono picchiati prima di essere arrestati e Marta, la No Tav pisana, fu sessualmente molestata dagli appartenenti delle forze dell’ordine nonostante Rinaudo si rifiuti di ammetterlo.

Quella sera il giovane No Tav in questione, fermato dalla polizia, fu trascinato per metri fino all’interno del cantiere e una volta raggiunto un luogo tranquillo e distante dal luogo da loro definito dei “disordini” fu picchiato da diversi uomini della polizia.

La sfortuna dei questurini torinesi volle che la Rai, per sbaglio, riprese quella scena mandandone in onda sul tg pochi secondi e la procura fu costretta ad aprire un fascicolo, d’ufficio, ai danni del poliziotto che si vedeva chiaramente nell’atto di prendere a calci il ragazzo in stato di fermo e coricato a terra.

In fase di indagini difensive fu chiesto alla stessa il filmato originale che però non fu mai consegnato…perchè? Non è dato sapersi.

In quell’occasione il No Tav fermato fu tradotto in carcere con le costole incrinate e il naso rotto, per essere poi portato in ospedale dal carcere poiché il giudice all’udienza di convalida ne aveva osservato le condizioni pessime di salute.

Nei motivi di archiviazione ritroviamo quanto di peggio si possa pensare, ossia che nonostante l’evidenza del pestaggio non si può dire che il poliziotto indagato l’abbia fatto per volontà vessatoria quanto, piuttosto, perché si trovava a fronteggiare un esteso e grave disordine (ma come, si vede benissimo dal video che il ragazzo è a terra, oramai inerme, circondato da 4 o 5 poliziotti e all’interno dal cantiere, lontano quindi dai luoghi della carica, dopo la quale comunque non ci furono più contatti tra le parti).

Il Gip asserisce inoltre che la frattura costale, documentata dall’ospedale, avrebbe dovuto avere una prognosi superiore di venti giorni per essere rilevante e che sarebbe facoltà del tribunale disporre ulteriori indagini in tal senso, ma visto che ritiene che le costole (e il naso aggiungiamo) al ragazzo non le abbia rotte la polizia al momento dell’arresto (e come si è fratturato quindi? A questo non da risposta…) esse non sono necessarie.

Nessun nesso casuale quindi tra il pestaggio e le lesioni riportate a seguito di esso.

Oggi quindi impariamo tutti una nuova legge: i No Tav le costole e il naso se li rompono da soli!

Però una cosa la diciamo, vergogna infinita per la procura e il tribunale di Torino.

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Qui di seguito l’articolo errato, pubblicato prendendo per buone le informazioni di La Repubblica.

Apprendiamo dai giornali che questa mattina è stato archiviato il caso di uno dei poliziotti che partecipò al pestaggio di un notav il 3 luglio al cantiere della Maddalena. Il movimento rese pubblica l’Operazione Hunter dove da immagini e filmati (presenti nei fascicoli della procura ma mai presi in considerazione) si vedevano chiaramente diversi agenti delle forze dell’ordine prendere a calci e bastonate un notav arrestato. Un lungo percorso di omertà e ostruzionismo dalle parti del palazzo di giustizia di Torino che ha man mano respinto e archiviato le posizioni e le responsabilità chiarissime delle forze dell’ordine nel pestaggio.

Oggi su richiesta del solito pm con l’elmetto Padalino arriva l’archiviazione,del giudice delle indagini preliminari Eleonora Pappaletter ,con la motivazione che il fatto “era avvenuto durante i disordini alla Maddalena e il poliziotto non avrebbe ferito il manifestante. Il No Tav era andato in ospedale ed era stato ricoverato per una costola rotta, ma secondo il tribunale tale ferimento sarebbe stato dovuto ad altre ragioni.”

Risultato chiaro e premio per chi esegue con forza quello che evidentemente alla procura non dispiace, e sancisce il fatto che se un agente prende a calci un notav a terra è solo concitazione!

Tra parentesi, uno dei ragazzi che ha subito le violenze delle forze dell’ordine il 3 luglio non solo è stato indagato per il maxiprocesso ma è stato condannato persino ad una pena superiore alle richieste della procura.

Vergogna

da notav.info

Expo, viaggio nel cantiere di Rho col prof. Ponti: “Rimangono dubbi su gestione evento”

 ponti
“Ormai ci si deve augurare che tutto funzioni a meraviglia e che l’Expo 2015 sia un grande successo, ma i dubbi sulla gestione dell’evento rimangono tutti”, spiega il prof. Marco Ponti, economista esperto in infrastrutture e trasporti, che ci ha accompagnati in un tour dentro il cantiere di Rho, dove sono in corso i lavori per l’allestimento dell’area espositiva che aprirà i battenti il primo maggio. “A tutt’oggi, ad esempio, non c’è un progetto per l’utilizzo degli spazi dopo il semestre dell’evento”. Ma prima di tutto “occorre domandarsi se sia sensato aver investito miliardi pubblici per infrastrutture di mobilità che non portano all’Esposizione universale“. Non basta dire che Expo porta lavoro e rimette in moto l’economia, “perché era necessaria un’analisi delle alternative, su cosa era possibile fare a parità di investimento, e quest’analisi non è stata fatta”. Altra questione è se Milano sia pronta all’evento (guarda il vox fra i milanesi): “Se i visitatori previsti arriveranno tutti, e si stimano più di venti milioni di presenze, non è difficile prevedere problemi seri di ricettività e di mobilità, tanto dei mezzi pubblici quanto dei trasporti privati”. E i contenuti dell’esposizione? “Il tono complessivo dell’Expo è più di pubblicità di ottimi cibi italiani e internazionali che di risoluzione del problema della fame nel Mondo; si usa cioè un tema eticamente rilevante per obiettivi di natura molto diversa”
 di Piero Ricca, riprese e montaggio Matteo Fiacchino

I No Tav e le comunità perdute sotto tonnellate di cemento

 Valigia Blu
Infiltrazioni mafiose, roghi, intimidazioni: il dramma della Val Susa, anziché lasciare macerie, ha favorito la nascita e il radicamento di una comunità laboratorio di democrazia e cultura. Quello che manca al paese.
Posted by Michele Azzu on 1 marzo 2015 in Post
corteo no tav

“Ho ritrovato la mia infanzia in Val Susa”, questo ho pensato entrando nell’appartamento che i No Tav ci hanno lasciato per dormire, in questi giorni di riprese per Valigiabu. Guardando dalla finestra vedo le Alpi innevate, non saprei indicare esattamente su una mappa la mia posizione attuale, eppure non potrei essere più vicino alla mia Sardegna (quella stampata nella mia memoria).

Già dall’inizio di questo viaggio mi sono trovato più volte a tornare nel passato. Come in stazione a Torino: appena scesi dal vagone ho riconosciuto Boosta, il tastierista dei Subsonica, mentre mangiava un panino da McDonalds. Anche la mia prima volta a Torino, era il 2012, incontrai un membro della band, Max Casacci, che metteva i dischi da Giancarlo ai Murazzi.

C’è qualcosa che riporta indietro, della Val Susa. Tornando qui dopo diversi anni ho ripensato a quando c’era Berlusconi al governo: sembrava che manifestando avremmo ottenuto un paese migliore. È anche figlia della solidarietà che ci lega da quei giorni, l’ospitalità ricevuta dai No Tav. “È casa di mia madre”, mi spiega al telefono Claudio Giorno, attivista che ho conosciuto in quegli anni, “D’inverno viene a stare da noi, quindi la casa è vuota, potete starci tranquillamente”.

E poi lì, in quell’appartamento sotto una montagna, trovare la mia infanzia. Gli infissi di legno degli anni ’60 (quelli in cui il vetro sbatte), le porte di casa in legno laccato e ottone, il letto e l’armadio come l’aveva mia nonna (ma il suo era ricoperto di buchi di tarlo). I soprammobili, perfino i fornelli, sono gli stessi delle case dei miei parenti e amici di quando ero piccolo. Quando non si badava agli ascensori, ai portoni in vetro e acciaio, ai terrazzi grandi come eliporti.

Non è un caso, forse, se tutto questo mi è tornato in mente in Val Susa, dove da 25 anni una comunità si oppone alla costruzione del treno ad alta velocità Torino-Lione. Mi sono chiesto: “Da quanto tempo non vedevo una casa come questa?”. Nel mio vecchio quartiere, in Sardegna, hanno buttato giù tutte le case di uno o due piani. Ci vivevano spesso persone anziane. Come la vecchietta della casa a un piano, senza intonaco e col tetto rosso, al suo posto ora c’è un palazzo a sei piani. O la nonna del mio amico che stava sempre alla finestra, anche lì ora è sorto un casermone.

Per non parlare dell’enorme distesa di centri commerciali che si estende attorno la città in cui sono cresciuto: “Questa zona è stata un laboratorio per l’urbanistica italiana”, mi spiegava un amico architetto a natale, mentre entrando in città dall’aeroporto imprecavo come al solito alla vista dei cantieri. Un laboratorio, già, perché l’Italia è una repubblica fondata sugli appalti. E i No Tav, questo, lo sanno meglio di tutti: “Qui non c’è spending review”, mi spiega Claudio Giorno mentre ci guida in giardinetta per le strade della valle. “Col cantiere prima e la militarizzazione poi, qui arrivano fiumi di soldi. I No Tav fanno comodo”, conclude.

Ma la valle è tutto meno che un avamposto selvaggio. “Quella è l’autostrada”, spiega Valerio Colombaroli che ci accompagnerà al cantiere: “E poi c’è questa statale, l’altra statale, la ferrovia e il binario morto”, conclude. Salendo sul colle ci fermiamo a guardare dall’alto: è un reticolo di cemento e ferro. “Guarda il treno che arriva”, dice Giorno indicando a Valle, “È completamente vuoto. Il traffico merci è in calo da 20 anni”. Dalla collina si vede, in basso, il presidio No Tav di Borgone, una casetta in legno col comignolo. Ci dirigiamo lì: “Qui c’è il miglior caffè della Val Susa”, annuncia Valerio.

“La Val Susa è la Twin Peaks italiana”, penso. Ci sono tanti misteri irrisolti, personaggi loschi, un mondo a parte con regole proprie, situato in mezzo ai boschi. Mistero numero uno: se i treni sono vuoti, se gli abitanti non la vogliono, se la valle è già iper costruita… perché si vuole (ancora) realizzare la Tav? Mistero numero due: chi ha bruciato il fabbricato che si trova di fronte al presidio di Borgone? “Era il vecchio presidio”, racconta Giorno, “Qualcuno gli ha dato fuoco”. Poco lontano, qualcuno ha scritto con una bomboletta spray: “Si Tav”.

Sono bruciati altri due presidi negli ultimi anni. “Hanno bruciato la facciata di quella chiesa”, indica Giorno mentre guida, “E anche quel centro congressi”. C’è scritto ‘speculazione’ ovunque, sulla Val Susa. I roghi, il malaffare, gli appalti e le infiltrazioni mafiose in qualsiasi altro posto avrebbero lasciato solo macerie. Qui è accaduto il contrario: “Abbiamo già vinto”, dice Valerio in un momento di silenzio. “Sto qui da una vita ma non conoscevo nessuno”, spiega. “Con l’opposizione alla Tav siamo diventati una comunità. Pochi giorni fa c’è stato il funerale di un attivista, c’era una folla a salutarlo”.

Anche Francesco Guccini, il cantautore modenese, è voluto venire qui a presentare il suo libro con Marco Aime, antropologo vicino al movimento. In tanti sono venuto a vederlo ma la fila è composta: siamo, dopotutto, in Piemonte. Chiamo Luca, che ha accompagnato Guccini nel viaggio, e grazie a lui riusciamo a fargli un paio di domande: “Mi sembra assurda la vicenda di Erri De Luca, non ha alcun senso”, commenta il cantautore sull’imputazione per istigazione a delinquere dello scrittore. “Su da me forse (…) dovrebbero fare una strada che distruggerà la parte di là dal fiume… se sarà il caso cercherò di adoperarmi per fare qualcosa”.

guccini

Per Guccini, quindi, i No Tav sembrano essere un esempio da seguire. E le sue parole, dette da un artista simbolo degli anni ’70, sembrano ricordare  nostalgia le comunità perdute di una volta. Dall’altra parte, però, c’è stata una opposizione frontale dello Stato – come la chiama l’ex magistrato Livio Pepino – volta a criminalizzare il movimento: “Per il numero dei processi, la loro corsia privilegiata, le modalità usate, i reati contestati” (su tutte l’imputazione per terrorismo). Allora, mi chiedo: perché la loro protesta ha avuto così tanto successo? Perché se dalle mie parti hanno buttato giù le case a uno o due piani, qui invece, dopo 25 anni, dopo i processi per terrorismo, dopo i roghi e le intimidazioni, ancora non si arrendono?

Sarà dovuto al fatto che si tratta di una protesta locale su un fatto specifico. “C’entra la tradizione partigiana”, sottolinea Valerio. La dimensione locale, inoltre, ha fatto sì che i rappresentanti politici fossero direttamente raggiungibili. La mobilitazione contro la Tav ha educato una popolazione alla democrazia: votare qui non solo è un diritto, è importante per la propria sopravvivenza (l’affluenza al voto qui è sempre molto alta). E il movimento è diventato un vero e proprio motore di produzione culturale: “Conto 120 libri sulla nostra protesta finora”, commenta Giorno.

Ma è qualcosa più di questo. Qualcosa che non si può spiegare con le analisi politiche, con le sentenze, con i dati sul traffico delle merci. È qualcosa che trascende, perché in valle rimangono le cose seppellite della nostra infanzia, quelle che pensavamo perdute per sempre. È una terra di confine, con la Francia, certo, ma anche col nostro passato, con le comunità vive ormai scomparse, con la strenua resistenza dei deboli contro i potenti.

La Val Susa sta ancora lì, a ricordarci che certe cose devono essere preservate, anche se Dio, il Papa e lo Stato non sono d’accordo. Per ricordarci che c’è stato un tempo in cui non avremmo permesso a nessuno di toccare ciò a cui teniamo di più, anche in questo paese dove sembra che ogni azione sia vana perché tanto non cambia mai nulla. Tutto questo l’ho ricordato In Val Susa, dentro un piccolo appartamento, con la mia infanzia dentro. Ringrazio i No Tav per averla conservata fino ad oggi.

[Foto via sestocielo.it]

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“NoTav, hanno criminalizzato la partecipazione dei cittadini”

La storia di una grande mobilitazione di protesta, un modello di democrazia partecipata. 25 anni di presidi, cortei, studi, analisi di una popolazione in lotta. E ora a che punto sono i lavori della tratta Lione-Torino?

Posted by Andrea Zitelli on 27 febbraio 2015 

Valsusa
Autore
“Non è il caso né di avere paura né di sperare, bisogna cercare nuove armi.” Gilles Deleuze @andreazitelli_

Articolo in partnership con i quotidiani locali del gruppo Espresso
(Per la parte video ha collaborato Michele Azzu

Tav, a che punto siamo

«Se dovessi iniziarla oggi, direi no alla Tav, perché la centralità di quell’arteria è discutibile in questo momento». Era il 2012, e Matteo Renzi, allora sindaco di Firenze e rottamatore in ascesa, parlava in questo modo della costruzione della nuova ferrovia ad alta velocità che dovrebbe collegare Torino con Lione – passando attraverso un tunnel di 57 km – e affiancare la linea storica esistente fra le due città. Posizione rimarcata anche un anno dopo: «La Tav Torino-Lione? Non è un’opera dannosa, ma inutile. Sono soldi impiegati male».
Una volta divenuto presidente del Consiglio, però, le perplessità sull’utilità di una delle storiche grandi opere pubbliche italiane sono state accantonate: «Sulla Tav si va avanti».

La scorsa settimana il Cipe (Comitato interministeriale per la programmazione economica ) ha approvato il progetto definitivo dell’opera per un costo complessivo ipotizzato di 8,6 miliardi di euro, di cui 2,6 miliardi per la tratta italiana. Sui soldi necessari non ci sono ancora certezze, però. Scrive, infatti, Maria Chiara Voci sul Sole 24 ore che le cifre «dovranno ancora essere certificate da un ente terzo, incaricato con gara internazionale da Ltf (ndr Lyon Turin Ferroviarie, società a capo del progetto)». Procedura decisa, continua la giornalista,«a seguito della polemica per le stime al rialzo (12 miliardi totali di costo a vita intera contro gli 8,6 attuali) che erano contenute nel contratto di programma sottoscritto ad agosto da Rete ferroviaria italiana».

Ieri, dopo l’accordo firmato con la Francia il 24 febbraio scorso in cui viene fissato l’inizio dei lavori al 2016, l’Italia e i cugini d’oltralpe hanno presentato la richiesta di finanziamento all’Europa del 40% della somma totale dell’opera (la risposta è attesa per giugno). Appena sei giorni fa, il presidente di Ltf, Hubert Du Mesnil, intervistato da Le Monde, si era detto dubbioso sulla possibilità che l’Unione Europea possa concedere quella percentuale, ipotizzando un ribasso del finanziamento al 20% o un rinvio del progetto.

Il Tav: un’opera costosa e inutile?

Ma «il Tav non è solo un problema di costi», scrivono su lavoce.info Francesco Ramella, insegnante di Trasporti e logistica all’Università di Torino, Paolo Beria e Raffaele Grimaldi, ricercatore in Economia dei trasporti e collaboratore nel laboratorio di politiche dei trasporti del politecnico di Milano. Quasi 25 anni fa la nuova tratta ad alta velocità era stata progettata anche perché nella previsioni del traffico ferroviario sulla linea storica contenute nei primi studi «l’infrastruttura esistente avrebbe dovuto raggiungere la saturazione nel lontano 1997», ma in realtà, spiegano i tre ricercatori, questo non è accaduto: «il numero di treni sulla tratta transfrontaliera della linea non ha mai superato la metà della capacità della infrastruttura (e oggi si attesta intorno al 25 per cento)».

Ad essere incerta, spiegano Ramella, Beria e Grimaldi «è anche la quota effettivamente spostabile sulla nuova ferrovia, che potrebbe essere ben inferiore a quanto previsto». Insomma, la richiesta è che, vista la decisione di procedere con l’opera «nonostante il radicale cambiamento delle condizioni complessive», vengano elaborate necessarie analisi «ben più approfondite di una semplice estrapolazione di un trend storico e con l’analisi che deve essere fatta – concludono – considerando tutte le alternative di percorso esistenti».

A preoccupare, inoltre, è anche il rischio di infiltrazioni mafiose negli appalti per i lavori della Torino Lione. Nel luglio scorso l’operazione “San Michele” dei Ros ha portato a galla i tentativi della ‘ndrangheta di «spartirsi la torta» di tutti i lavori di trasporto dei materiali che passavano nel cantiere di Chiomonte in Val di Susa. «La pervasività della ‘ndrangheta e la dislocazione nei piccoli centri della provincia è emersa con nettezza» aveva commentato il colonnello Roberto Massi, comandante provinciale dei carabinieri di Torino.

Storia del movimento No Tav: un modello di partecipazione dal basso

La storia del Tav non si riduce però solo ad un dibattito tecnico o di natura economica, ma è anche e soprattutto la storia di una protesta, di un movimento che ha creato un modello di partecipazione e mobilitazione dal basso. Sono stati coinvolti professori universitari, amministratori locali e cittadini fin dall’inizio degli anni ‘90, quando prende piede il progetto dell’alta velocità.

Il movimento è la storia di un popolo con legami fortissimi con la propria terra che si è fatto carico del proprio territorio, di cittadini che decidono di impegnarsi contro un’opera – calata dall’alto – ritenuta dannosa per l’ambiente, troppo costosa e sostanzialmente inutile.

In tutti questi anni il movimento ha prodotto documenti tecnici approfonditi a sostegno della protesta. La contrapposizione è tra una partecipazione di cittadini organizzata dal basso e un “potere” che cerca di imporre dall’alto – senza coinvolgere realmente il territorio – un’opera che avrebbe cambiato per sempre la vita di quella della valle. Una mobilitazione che è un modello di democrazia partecipata e di coinvolgimento di cittadini, che in questi anni è stato sottovalutato, raccontato poco e male dai media mainstream.

Da anni in Val di Susa si susseguono convegni, giornate di approfondimento, incontri con studiosi e tecnici, scuole estive che ne hanno fatto una protesta informata, consapevole. I siti dei NoTav sono una miniera di documenti, analisi tecniche, di costi, statistiche, documenti della Corte dei Conti, di bilanci e tecniche di saccheggio del denaro pubblico.

Una storia che meritava di essere raccontata diversamente. E non solo e principalmente al momento degli scontri.

Persone di una piccola valle di 90.000 abitanti, lunga non più di 80 km e larga appena 15 km, che spiegano a Valigia Blu di aver raggiunto una coscienza civica proprio grazie alla battaglia intrapresa contro la realizzazione della nuova tratta ferroviaria.

Una comunità che si è conosciuta e rafforzata anche nei presidi che dal 2005 sono nati nei luoghi in cui erano previsti carotaggi del terreno e cantieri, come uno dei primi, quello di Venaus.

 

(Gallery della storia dei presidi, dalla raccolta fotografica di Alberto Perino, attivista No Tav)

Nato per contrastare l’avvio dei lavori per la scavo di un cunicolo esplorativo per il Tav e diventato spazio di assemblee aperte e osservatorio del territorio. Luogo, però, che resta nella memoria storica del movimento anche per il duro sgombero da parte delle forze dell’ordine, avvenuto durante la notte del 5 e 6 dicembre di 10 anni fa, con persone ricoverate al pronto soccorso «con il naso rotto e la testa fasciata». Un trattamento quello al movimento No Tav da parte di forze dell’ordine e apparato giudiziario che per Livio Pepino, ex magistrato ora in pensione, si può definire di “repressione penale”, dovuto «a una mancanza da parte degli uomini delle istituzioni di un ascolto vero delle ragioni del territorio» che ha portato a un radicamento dello scontro, anche con atti violenti da parte di alcune frange della protesta.

Il risultato è stato che un movimento variegato, ricco di spunti e iniziative è stato ridotto “a problema di ordine pubblico” e accusato anche di finalità terroristiche da gestire con fermezza. Anche se le ultime sentenze nei confronti di attivisti No Tav, condannati per reati minori dopo l’assalto al cantiere di Chiomonte del maggio 2013hanno chiarito che di terrorismo non c’è traccia. Scrivono infatti i giudici della Corte d’assise di Torino nelle motivazioni della sentenza del dicembre scorso:

Pur senza voler minimizzare i problemi per l’ordine pubblico causati da queste inaccettabili manifestazioni non si può non riconoscere che in Val di Susa non si vive affatto una situazione di allarme da parte della popolazione e che nessuna delle manifestazioni violente sino ad ora compiute ha inciso, neppure potenzialmente, sugli organismi statali interessati alla realizzazione dell’opera

Abbiamo provato a ripercorre i 25 anni di resistenza No Tav in questatimeline e a capire a che punto fosse la mobilitazione dopo le ultime vicende politico-giudiziarie.

> LA TIMELINE DELLA STORIA DEL TAV, 25 ANNI DI RESISTENZA <

Una valle militarizzata

«Hanno scelto Chiomonte perché meglio controllabile militarmente», spiega Claudio Giorno, storico attivista No Tav e fondatore del “Comitato Habitat”, prima particella attiva del movimento, mentre dall’alto di un’altura dinanzi al cantiere indica i muri di sbarramento che ne definiscono il confine, il ferro spinato che corre sopra e i militari che presidiano l’area. Il cantiere di Chiomonte, aperto nel 2011 dopo lo sgombero di un presidio No Tav da parte delle forze dell’ordine, è l’unica traccia concreta dei lavori della grande opera pubblica che da anni governi politici e tecnici si impegnano “portare avanti” (BerlusconiMontiLetta e ultimo quello di Matteo Renzi).

Da circa due anni gli operai stanno scavando un tunnel geognostico, che servirà a preparare la base per gli scavi definitivi della galleria vera e propria. Il primo chilometro scavato, dei 7,5  previsti, era stato festeggiato a giugno dell’anno scorso. Ad oggi, si legge sul sito di Ltf (Lyon Turin Ferroviarie), i km raggiunti sono 2,35, poco meno di un terzo. Lavori che Giorno rivela essere «in un ritardo tale che l’Unione Europa, finanziatrice in gran parte di questo lavoro, ha già più volte tagliato i fondi».

giorno

“Hanno criminalizzato la partecipazione dei cittadini”

Per Livio Pepino, presidente del Controsservatorio Valsusa,«la valle e il movimento di opposizione alla linea ad alta velocità Torino-Lione stanno diventando sempre più il crocevia di questioni fondamentali per la nostra democrazia». L’ex magistrato, ora in pensione, parla della gestione vessatoria che lo Stato, nelle sue componenti politiche e giudiziarie, ha avuto e continuare ad avere nei confronti di forme di lotta e resistenza di minoranze, come quella del movimento No Tav. «Quasi che il problema dell’opposizione al Tav – spiega Pepino – fosse di ordine pubblico, di criminalità, addirittura di terrorismo e non un grande problema politico».

pipino

“Sono sindaco perché sono No Tav”

«È da 25 anni che si parla di Tav da noi. I miei figli sono cresciuti con questa storia», spiega Ombretta Bertolo, sindaco di Almese, paesino in Valsusa. Un discussione pubblica che negli anni ha coinvolto prima i territori coinvolti nell’opera e poi l’intero Paese, producendo documenti, libri, spettacoli per far capire le proprie ragioni:«Abbiamo creato dentro di noi una coscienza civica che è quella che ha fatto crescere questa comunità». Sabato 21 febbraio c’è stata una manifestazione a Torino contro il Tav. Migliaia di persone si sono incontrate in piazza e hanno marciato per le strade del capoluogo piemontese. I sindaci valsusini, alla guida del corteo, hanno approvato in Piazza Castello la delibera “Salviamo il territorio”, con cui si chiede che i miliardi di euro investiti per il Tav vengano utilizzati per altri scopi: come rimettere in sicurezza scuole, dare fondi all’Università e contrastare il dissesto idrogeologico.

paolo

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EXECUTION DE BORIS NEMTSOV : A QUI PROFITE LE CRIME ?

KH/ En Bref/

Avec AFP – Libération – PCN-SPO/ 2015 03 02/

LM.NET - EN BREF nentsov quid prodest (2015 03 02) FR (1)

Dans Libération (Paris), toujours en pointe dans la Russophobie, Marc Semo met en cause sans le moindre début de preuves la responsabilité du Président Poutine. Bien dressé par ses maître atlantistes (« La voix de son maître » …), il évoque sans vergogne « Les dizaines de milliers de manifestants dimanche à Moscou » (*) qui « ont dénoncé, à raison, un crime d’Etat soulignant les responsabilités politiques de Poutine ». Libé fait aussi sa couverture sur « Moscou Debout » (sic) (10.000 manifestants sur 12 millions de Moscovites). Le Parisien libéré, ce samedi, titrait lui en couverture « Poutine défie le monde » (resic).

 Poutine coupable ? Vraiment ???

Mais à qui profite le crime ?

LM.NET - EN BREF nentsov quid prodest (2015 03 02) FR (2)

 La première question à se poser est en effet à qui cela profite-t-il. Dans ce cas, nous savons que la Russie, en particulier Poutine, n’a rien à gagner. Le meurtre de Nemtsov, sous aucune circonstance, n’a de sens du point de vue russe. Politiquement, il ne posait pas de menace réelle tant qu’il était vivant. Avec beaucoup moins que 5%, sa candidature et ses ‘Forces de Droite’ libérales n’ont pas recueilli suffisamment de soutien pour obtenir un seul siège au parlement russe, la Douma en décembre 2011. Au maximum de la capacité de mobilisation de la coalition « L’Autre Russie », dont il faisait partie avec les libéraux Kasparov et Kassianov, le trotskiste Udaltov et l’agent provocateur occidental Limonov (ni national, ni bolchévique) … Avec des taux d’approbation supérieurs à 85%, Poutine n’a pas besoin de recourir à ce genre de pratiques. Surtout sous la forme d’une exécution aussi sommaire et visible au pied du Kremlin

 Ce qui n’empêchait que faute de merle,  Nemtsov comme généralement les oligarques (il était lui aussi un de ceux qui avaient pillé la Russie sous Eltsine), était l’un des favoris des Etats-Unis pour le « changement de régime » rêvé à Washington, alors qu’il n’était pas un favori du peuple russe. En tous cas cet assassinat sert les USA car il permet tout un discours russophobe de déstabilisation au moment ou Kiev a perdu sa guerre. Celui précisément de Libé et cie. Nemtsov assassiné devient plus dangereux, transformé en martyr d’une « démocratie occidentale » virtuelle dont les russes ne veulent pas. Précisément parce qu’ils ont vu les Nemtsov, leurs « reformes » et leur « thérapie de choc » à l’œuvre entre 1991 et 2000 !

 Petit rappel historique sur l’oligarque Nemtsov : suite à sa carrière politique avec Eltsine, il a été directeur de la Banque Neftyanoi – aujourd’hui liquidée – et président de sa société mère Neftyanoi Concern. C’est donc comme Khodorkovski , un oligarque corrompu recyclé dans la “démocratie” sauce américaine.

 KH

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Luc MICHEL /

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THE TRUTH ABOUT RUSSIA’S NEW MILITARY DOCTRINE

EODE Think Tank/ 2015 03 01/

with RT – EODE Press Office/

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EODE TT - New Russian military doctrine (2015 03 01)  ENGL

The new version of Russia’s military doctrine, approved by President Putin on December 26, 2014, has attracted increased attention in the Western media, especially, its provisions for the eventual use of nuclear weapons.

 In the run-up to the publication of the text, there were gloomy predictions. Some expected that Russia was to subscribe to the notion of preventive nuclear strike. This provision did not find its way into the published document.

 The doctrine does reflect changes that occurred in Russia’s foreign policy and security and defense postures in 2014. However, its core remains unchanged. The Russian military, including nuclear forces, remains a defensive tool which the country pledges to use only as a means of last resort. The doctrine is based on the fact that in the foreseeable future nuclear weapons will remain an important factor in preventing the emergence of nuclear wars and military conflicts with the use of conventional weapons (large-scale war, regional war). Prevention of a nuclear military conflict, as well as any other military conflict, is seen as the most important task. With regard to military scenarios, the Russian Federation reserves the right to use nuclear weapons in response to the use of nuclear or other weapons of mass destruction against itself and (or) its allies, as well as in the case of aggression against the Russian Federation with the use of conventional weapons, when there is a threat to the very existence of the nation.

 Some complain that the military doctrine, though giving details on the eventual use of weapons of mass destruction, does not contain provisions on nuclear disarmament. The answer is that Russia is ready to continue dialogue on further reductions of the nuclear arsenals. But this dialogue will be impossible without addressing issues such as the unrestrained build-up of global US missile defense, its concept of “global strike,” the stalled process of enforcing the CTBT, the reluctance of the US to abandon the possible deployment of weapons in outer space, and the increase in the quantity and quality of its conventional weapons. One cannot ignore the development of missile and nuclear programs in some countries such, their refusal to join the NPT as non-nuclear states. It is important that the process of nuclear disarmament seamlessly connects all states without exception. Without positive momentum on all these issues further significant progress in nuclear disarmament is unlikely.

 However, there is a good background for further steps in this direction. One example is the successful implementation of the Russian-US New START Treaty, to be accomplished in 2018. During the past year, the parties to the Treaty held 18 inspections. The exchange of telemetric information on one Russian and one US launch of an intercontinental ballistic missile and exchange of notifications have been carried out. Two sessions of the Bilateral Consultative Commission, which is set up to address practical issues of compliance with the Treaty, took place. This shows that, given political will on the side of our partners, Russia is ready to cooperate on the basis of equality and mutual respect.

 Dr Alexander YAKOVENKO (*)

 (*) Russian Ambassador to the United Kingdom of Great Britain and Northern Ireland, Deputy foreign minister (2005-2011).

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VOUS AVEZ DIT 5e COLONNE ? LA JUNTE DE KIEV REND HOMMAGE A NEMTSOV …

Les supporters néo-nazis du libéral Nemtsov !!!

PCN-TV/ 2015 02 28/

PCN-TV - 5e colonne et Nemtsov (2015 02 28) FR (1)

Court extrait d’une video AFP.

« Kiev rend hommage à Boris Nemtsov, l’ami de l’Ukraine » …

video sur  https://vimeo.com/120935865

PCN-TV - 5e colonne et Nemtsov (2015 02 28) FR (2)

Comme la soi disant « opposition russe » des médias de l’OTAN (la vraie est à la Douma, c’est le KPRF communiste), la Junte de Kiev est un mélange opportuniste d’oligarques, de libéraux et de néo-fascistes, tous au service de Washington. Elle rend hommage à l’oligarque Nemtsov. Un de ceux qui ont pillé la Russie sous Eltsine, comme la Junte de Kiev pille aujourd’hui l’Ukraine.

 PCN-TV - 5e colonne et Nemtsov (2015 02 28) FR (3)

On a les supporters que l’ont peut !

Notez l’homme qui dépose un T-Shirt au milieu des fleurs (à 00:16). A 00:33 puis à 00:36, le T-Shirt apparaît à gauche : il s’agit d’un T-Shirt de PRAVIY SEKTOR, la puissante milice néonazie banderiste. Notez encore sur le T-Shirt la TOTENKOF, emblème des SS nazis.

 Vous avez-dit 5e colonne ?

C’est aussi çà les « démocrates pro-américains » de Kiev ou Moscou …

PCN-TV

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PRAVIY SEKTOR : CES NEONAZIS UKRAINIENS QUE BHL NE VEUT TOUJOURS PAS VOIR !

PCN-TV & RT Ruptly/ 2015 02 26/

 Défilé de PRAVIY SEKTOR, la milice néonazie, à Kiev il y a quelques jours.

Video sur : https://vimeo.com/120903451

PCN-TV - ces neonazis que BHL n'a tjrs ps vus (2015 02 26) FR

Transformé en milice paramilitaire lourdement armée par la CIA et le BND allemand pour l’exécution du Putsch pro-occidental du 21-22 février 2014 à Kiev (qui a amené la Junte de Kiev au pouvoir), organisé en bataillons punitifs financé par les oligarques ukrainiens pour la sale guerre du Donbass, renforcé par des centaines d’actvistes néo-nazis venus des USA et de toute l’UE, encadré par des mercenaires français et américains (payés par les susdits oligarques) et sans doute des conseillers militaires US (les néonazis sont intégrés à la Garde Nationale ukrainienne, qui officiellement collabore avec la Garde Nationale US, PRAVIY SEKTOR terrorise la Junte de Kiev comme une épée de Damoclès brune et est le plan B des américains en Ukraine.

Des néonazis purs et durs. BHL ne les pas vu non plus …

 PCN-TV

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Marfella: «Schiavone mi avvertì, attenzione a strani incidenti stradali»

L’oncologo nutre dubbi sulla morte del pm Bisceglia deceduto stanotte sulla Sa-Rc:

«Lo stesso è capitato al generale Niglio che indaga su questi reati, ora ho paura»

di ROBERTO RUSSO 

Si addensano ombre sull’incidente stradale in cui stamattina è morto il pm della Procura di Napoli Federico Bisceglia che aveva condotto, tra l’altro, indagini su reati ambientali nella Terra dei fuochi. A lanciare inquietanti sospetti è l’oncologo del Pascale Antonio Marfella, stretto collaboratore di don Maurizio Patriciello, in prima linea nella lotta ai roghi e agli sversamenti illegali di veleni.Dopo aver appreso della morte del magistrato, Marfella sulla sua pagina Facebook ha denunciato che Carmine Schiavone, il pentito dei casalesi che per primo vent’anni fa rivelò l’interramento di veleni in Campania (morto anche lui qualche giorno fa) avrebbe avvertito, nei mesi scorsi, il medico e il sacerdote di Caivano di «stare attenti agli incidenti stradali».

Il post

Scrive il dottor Marfella: «La notizia di oggi dello schianto in autostrada del magistrato Bisceglia con il quale ho collaborato, non solo mi schianta dal dolore ma mi obbliga al terrore in considerazione del messaggio preciso che ho ricevuto in occasione dell’incontro con il pentito Schiavone insieme a padre Maurizio…sono stato “avvisato” da Carmine Schiavone ad essere particolarmente attento ad “incidenti stradali” come gia’ capitato ad un altro mio referente ed amico: il generale Gennaro Niglio». Poi la drammatica conclusione: «Ora ho davvero paura» scrive Marfella.

1 marzo 2015

http://corrieredelmezzogiorno.corriere.it/napoli/cronaca/15_marzo_01/marfella-schiavone-mi-avverti-attenzione-strani-incidenti-stradali-a3a915ce-c037-11e4-9edc-d6d647236eb3.shtml