Caccia italiani nel Baltico per operazioni Nato anti-Russia

http://www.dazebaonews.it/italia/inchiesta/item/31326-caccia-italiani-nel-baltico-per-operazioni-nato-anti-russia.html?utm_source=dlvr.it&utm_medium=facebook

Caccia italiani nel Baltico per operazioni Nato anti-RussiaAntonio Mazzeo

MESSINA – Il 27 dicembre quattro caccia multiruolo Eurofigter “Typhoon” dell’Aeronautica militare italiana sono giunti nella base lituana di Siauliai per partecipare alla Baltic Air Patrol (BAP), l’operazione Nato di “pattugliamento” e “vigilanza” dei cieli del Baltico e di “difesa” aerea di Estonia, Lettonia e Lituania, partner orientali dell’Alleanza atlantica.

I caccia, gli equipaggi e il personale impegnati nella missione che durerà sino all’aprile 2015 provengono dal 4° Stormo dell’Aeronautica di Grosseto, dal 36° Stormo di Gioia del Colle (Bari) e dal 37° Stormo di Trapani-Birgi.

L’Italia assumerà il comando della BAP con i “Typhoon” a partire dal 1° gennaio 2015. Alla missione Nato parteciperanno anche quattro caccia Mig-29 delle forme armate polacche schierati anch’essi a Siauliai, quattro “Typhoon” spagnoli di base nell’aeroporto militare di Amari (Estonia), quattro cacciabombardieri belgi F-16 a Malbork (Polonia) e altri quattro velivoli d’attacco britannici attesi nel Baltico a gennaio. I caccia sostituiranno i 16 velivoli che erano stati assegnati sino ad oggi dal Comando Nato alla Baltic Air Patrol (caccia “Eurofighter” tedeschi, F-18  canadesi, F-16 olandesi e portoghesi).

L’Eurofigter “Typhoon” in dotazione all’Aeronautica italiana è un caccia di ultima generazione con ruolo primario di “superiorità aerea” e intercettore. Con una lunghezza di 16 metri e un’apertura alare di 11, il guerriero europeo può raggiungere la velocità massima di 2 mach (2.456 Km/h) e un’autonomia di volo di 3.700 km. Il velivolo è armato di micidiali strumenti bellici: cannoni Mauser da 27 mm; bombe a caduta libera Paveway e Mk 82, 83 e 84 da 500 a 2.000 libbre e a guida GPS JDAM; missili aria-aria, aria-superficie e antinave a guida radar e infrarossa. Con tutta probabilità, il ciclo operativo nei cieli del Baltico consentirà ai caccia italiani di testare sul campo pure il nuovo missile da crociera MBDA “Storm Shadow”, con oltre 500 chilometri di raggio d’azione, la cui integrazione come sistema d’arma del “Typhoon” è stata avviata nei mesi scorsi da Alenia-Aermacchi (Finmeccanica) nel poligono di Salto di Quirra, in Sardegna.Gli “Storm Shadow” erano stati impiegati finora solo dai cacciabombardieri “Tornado” nelle operazioni di guerra in Iraq e in Libia 2011.

La Nato garantisce le attività di “sicurezza” dei cieli delle Repubbliche baltiche dall’aprile 2004, sulla base di un accordo collettivo firmato con i governi di Estonia, Lettonia e Lituania. Nel 2010 Bruxelles ha deciso di prorogare le missioni di pattugliamento aereo sino alla fine del 2014, ma le Repubbliche baltiche hanno ottenuto un’ulteriore estensione della BAP sino al dicembre 2018, con la speranza tuttavia che essa ottenga alla fine lo status di “missione permanente della Nato”.

Ad oggi, solo 14 paesi dell’Alleanza Atlantica hanno partecipato alla Baltic Air Patrol. Con l’arrivo dei caccia di Spagna e Italia per il 37° ciclo operativo 2015, il numero degli alleati Nato raggiunge quota 16, a cui si aggiungerà presto pure l’Ungheria con i cacciabombardieri Saab “Gripen”. La grave crisi in Ucraina e l’allarme causato dalla presunta escalation delle attività dei caccia russi sul Mar Baltico, ha convinto Bruxelles a potenziare progressivamente il numero dei velivoli coinvolti nel pattugliamento del fronte orientale dell’Alleanza: dal maggio 2014 i caccia assegnati a BAP sono aumentati da quattro a sedici, mentre sempre a Siauliai sono stati trasferiti anche sei caccia F-15 ed un aerocisterna KC-135 dell’US Air Force.

La partecipazione dell’Aeronautica militare italiana alla Baltic Air Patrol era stata preparata da una missione ispettiva a Kaunas (Lituania) – luglio 2013 – di una delegazione guidata dal Capo del 3° Reparto dello Stato maggiore, gen. Gianni Candotti. I militari italiani si recarono successivamente nelle basi aeree di Siauliai ed Amari, per concordare con le aeronautiche di Lituania ed Estonia l’organizzazione nel 2014 di un mini deployment addestrativo con velivoli Eurofigther “per testare la risposta del sistema d’arma ai climi freddi”. Il tour italiano nel Baltico servì pure a rafforzare la partnership nel settore industriale-militare. Alla Lithuanian Air Force, tra il 2006 al 2008, Alenia Aeronautica (Finmeccanica) aveva consegnato tre velivoli da trasporto tattico C27J “Spartan”. “Il Comandante dell’Aeronautica lituana, gen. Edvardas Mazeikis, ha espresso il proprio apprezzamento per le capacità conseguite con questi velivoli di produzione italiana”, riportò una nota del Ministero della difesa, a conclusione della missione ispettiva nel Baltico. “Proprio tale capacità offre un’importante possibilità di concreta cooperazione, nell’immediato, nel settore dell’addestramento dei piloti lituani presso il National Training Center di Pisa ed, in prospettiva, per la condivisione di esperienze operative e manutentive”. Nell’autunno del 2012, un’altra azienda del gruppo Finmeccanica, Selex Sistemi Integrati, aveva fornito il sistema di gestione del combattimento (CMS) “Athena” e le centrali di tiro “Medusa” MK4/B per i nuovi pattugliatori della classe “Flyvefisken” della Marina militare lituana.

Con la partecipazione alla Baltic Air Patrol, l’Aeronautica militare vede crescere ulteriormente il proprio ruolo a livello internazionale. Attualmente i caccia italiani sono impegnati pure nel pattugliamento dei cieli dell’Islanda (a rotazione con altri partner Nato), della Slovenia e dell’Albania. Si tratta di un impegno finanziario assai oneroso che nessun partner europeo della Nato ha finora voluto assumersi. L’Aeronautica è impegnata pure nelle operazioni di guerra contro l’Isis, grazie a un velivolo per il rifornimento in volo KC-767, due aerei senza pilota “Predator A” e quattro cacciabombardieri “Tornado”, schierati in Kuwait e Iraq. Da Gibuti, in Corno d’Africa, decollano quotidianamente due droni “Predator” del 32° Stormo di Amendola (Foggia), contribuendo alle operazioni Ue e Nato contro la pirateria e di quelle delle forze armate somale contro le milizie islamico radicali Al Shabab.

Commissione Antimafia di Torino sui lavori Tav: “risposte lacunose e preoccupanti”

Commissione Antimafia di Torino sui lavori Tav: “risposte lacunose e preoccupanti”

Fra cenoni, botti e feste in piazza, l’ultimo TG Regionale del Piemonte del 2014 riportava questa notizia dal titolo: “I dubbi dell’antimafia”:

Ecco il testo della notizia:

Sulla scelta degli esecutori e dei subappaltatori e sui meccanismi amministrativi per le “opere preliminari e collaterali» della Tav Torino-Lione “di importo notevole» le risposte date alla commissione antimafia del Comune di Torino “necessitano di ulteriore approfondimento e verifiche”. È quanto si legge nel rapporto conclusivo stilato dalla commissione speciale, presieduta da Fosca Nomis, che ieri ha terminato il suo mandato. “Molto lacunose e preoccupanti – scrive la commissione – erano state le risposte riguardanti opere che sono state realizzate e saranno realizzate al di fuori dell’accordo per l’utilizzo delle normative antimafia e degli accordi bilaterali” tra Italia e Francia. Tra queste, “spicca la realizzazione del cantiere della Maddalena (a Chiomonte, ndr), già attenzionato dalla magistratura nel corso dell’indagine San Michele e chiaramente oggetto di tentativi di infiltrazione”.

Sui tentativi di infiltrazione nel cantiere di Chiomonte (andati a buon fine) consigliamo la lettura dellinchiesta di Giovanni Tizian per l’Espresso. Uno stralcio:

L’imprenditore sotto inchiesta per connivenza con la ‘ndrangheta avrebbe parlato con un certo Elia di Ltf. «Toro riferiva di aver ricevuto da Elia la richiesta di posare 12 centimetri di asfalto poiché sarebbero stati effettuati dei controlli con i carotaggi». Questo è motivo di discussione tra Lazzaro e Toro in quanto i patti erano diversi. Lo strato di asfalto doveva essere di 8. Inoltre emerge dalla stessa telefonata che sul fondo erano stati stesi soltanto due centimetri di materiale e l’asfalto avrebbe avuto difficoltà ad aderire: «Tu speri che si attaccano 2 centimetri di fresato? Una bella minchia». Lazzaro però lo tranquillizza, rassicurandolo sul fatto che erano d’accordo con Elia che ne bastavano dieci di centimetri perché «i carotaggi sarebbero stati fatti solo nei punti dove c’era più materiale».

Il 2014 è stato l’anno in cui si sono rese palesi le criticità ambientali causate dal cantiere del tunnel geognostico. L’anno in cui sono saltati fuori i problemi per i costi enormi della Torino-Lione e gli appetiti mafiosi sui lavori dell’alta velocità sono venuti a galla. Non ci stupisce che l’ultima notizia dell’anno sul Tav sia stata questa, e non dovrebbe stupire nessuno, dati i presupposti, che il 2014 sia stato un anno che ha visto ancora protagonista il movimento no tav nella sua ultradecennale resistenza. E non serve un astrologo per sapere che anche il 2015 sarà così: un anno di lotta, avanti no tav!

Il mio discorso di fine anno per Giorgio Napolitano

http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/12/31/mio-discorso-anno-per-napolitano/1308354/

IL FATTO DEL LUNEDÌ

Giorgio Napolitano

di Marco Travaglio | 31 dicembre 2014
Marco Travaglio
Condirettore de Il Fatto Quotidiano e scrittore

Signor Presidente, quando uno dei suoi migliori predecessori, Sandro Pertini, fu eletto capo dello Stato nel 1978, Indro Montanelli gli inviò il seguente telegramma: “Che Dio le conceda il coraggio, Presidente, di fare le cose che si possono e si debbono fare; l’umiltà di rinunziare a quelle che si possono ma non si debbono, e a quelle che si debbono ma non si possono fare; e la saggezza di distinguere sempre le une dalle altre”. È un vero peccato che Montanelli, essendo scomparso nel 2001, non abbia potuto inviarlo anche a lei quando fu eletto nel 2006 e rieletto nel 2013. Le sarebbe senz’altro servito a evitare un sacco di errori, abusi di potere e deragliamenti dai confini fissati dalla Costituzione, che invece hanno costellato l’intero suo settennato e anche il post-scriptum degli ultimi 20 mesi. Manca lo spazio per riassumerli tutti: li troverà, nel caso in cui le servisse un ripasso, nel libro Viva il Re! uscito un anno fa. Qui ci limitiamo a quelli del suo secondo mandato, che da soli bastano e avanzano a fare di lei il peggior presidente della storia della Repubblica.

A termine e a condizione. Lei, il 20 aprile 2013, quando smentì ciò che aveva ripetutamente giurato agli italiani e accettò la rielezione al Colle su richiesta delle cancellerie europee, di Mario Draghi, del governatore di Bankitalia Ignazio Visco, ma soprattutto dei vecchi partiti (terrorizzati dalla candidatura di Stefano Rodotà, che avrebbe impedito la riedizione delle larghe intese Pd-Berlusconi, già peraltro bocciate dagli elettori due mesi prima), annunciò subito che il suo secondo mandato sarebbe stato “di scopo”, limitato a misteriosi “termini entro i quali ho ritenuto di poter accogliere in assoluta limpidezza l’invito ad assumere ancora l’incarico di presidente”. Sarebbe così gentile da indicarci quale articolo della Costituzione prevede l’elezione condizionata e temporanea del capo dello Stato, visto che l’articolo 85 stabilisce in assoluta limpidezza che “il presidente della Repubblica è eletto per sette anni”?

L’abbraccio allo Statista. In quei giorni il Corriere scrisse che – per indurla ad accettare il bis – “decisivo sarebbe stato il colloquio tra Napolitano e Berlusconi. Il presidente avrebbe dato atto all’ex premier di avere avuto, in questa difficile fase, un ‘comportamento da statista’. Prima del congedo, fra i due vi sarebbe stato un lungo, caloroso abbraccio, talmente toccante da suscitare emozione nel portavoce di Napolitano, Pasquale Cascella”. Dal Quirinale, nessuna smentita. Davvero, Presidente, bastava un sì alla sua rielezione per trasformare un pluriprescritto per reati gravissimi, plurimputato per concussione e prostituzione minorile e per corruzione di senatori, nonchè condannato in appello per frode fiscale, in un insigne “statista”?

La Repubblica di Falò. Il 22 aprile 2013, mentre lei preparava il suo discorso di reinsediamento, i giudici di Palermo erano costretti da un’inaudita sentenza della Corte costituzionale a distruggere i cd-rom contenenti le quattro conversazioni legittimamente intercettate sui telefoni di Nicola Mancino, coinvolto nelle indagini sulla trattativa Stato-mafia. Vuole spiegarci, una volta per tutte, cosa contenevano di tanto imbarazzante per lei quelle telefonate, al punto da spingerla a sollevare un inaudito conflitto di attribuzioni con la Procura di Palermo per sottrarre ai cittadini un fondamentale elemento di conoscenza su un capitolo così buio della storia d’Italia?

Il Discorso del Re. Lo stesso 22 aprile 2013, nel pomeriggio, lei si affacciò alle Camere riunite per un discorso programmatico del tutto sconosciuto alla Costituzione e alle democrazie parlamentari, tipico dei discorsi della Corona e dei capi delle repubbliche presidenziali. Dopo aver giustificato il suo bis con la favola del “drammatico allarme” per l’“impotenza” del Parlamento a eleggere il suo successore (si era votato per appena due giorni, mentre in passato i tentativi a vuoto per l’elezione del Presidente erano durati anche 12 giorni), lei intimò al Parlamento di “riformare la seconda parte della Costituzione” in base ai “documenti dei due gruppi di lavoro da me istituiti il 30 marzo” (i famosi “saggi” nominati al di fuori del Parlamento, non si sa bene con quale legittimità democratica). A che titolo lo fece, visto che aveva appena giurato per la seconda volta di difendere la Costituzione, non certo di rottamarla? Non contento, lei minacciò il Parlamento che l’aveva appena rieletta e il governo che lei stava per formare: “Ho il dovere di essere franco: se mi troverò di nuovo dinanzi a sordità come quelle contro cui ho cozzato nel passato, non esiterò a trarne le conseguenze dinanzi al Paese… Eserciterò le funzioni fino a quando la situazione del Paese e delle istituzioni me lo suggerirà e comunque le forze me lo consentiranno”. Cioè: se e finchè fate come voglio io, resto e vi salvo dai guai; se mi disobbedite, me ne vado e vi lascio nelle peste. Si è mai reso conto che questo si chiama ricatto a due poteri dello Stato – il legislativo e l’esecutivo – che da quel momento non sono stati più liberi né sovrani di operare, sotto la spada di Damocle della sua minaccia?

Il Governo del Presidente. Incurante del popolo sovrano che appena due mesi prima aveva platealmente bocciato le larghe intese (e dell’impegno preso da Pd e Pdl con i rispettivi elettori di non governare mai più insieme), lei aggiunse di aver accettato la rielezione per propiziare un governo di “convergenza fra forze politiche diverse”. Ma non tutte: solo quelle dell’“appello rivoltomi due giorni orsono”. Cioè dei partiti che le avevano chiesto il bis (Pd, Pdl, Centro montiano, Lega Nord). Esclusi dunque i 5Stelle, Sel e Fratelli d’Italia. S’è mai reso conto che il capo dello Stato, durando in carica 7 anni e avendo il potere di nominare il capo del governo e i ministri (che durano in carica al massimo 5 anni), non può subordinare la sua elezione al crearsi di questa o quella maggioranza governativa? Appena due giorni dopo, lei incaricò Enrico Letta, scelto da Silvio Berlusconi in persona, cioè da colui che aveva perso sonoramente le elezioni con 6,5 milioni di voti in meno. E fece subito capire chi era il vero premier, imponendo al Letta travicello cinque suoi fedelissimi in altrettanti ministeri-chiave: Saccomanni all’Economia, Bonino agli Esteri, Cancellieri alla Giustizia, Giovannini al Lavoro, Quagliariello alle Riforme. Conosce qualche precedente simile, nella storia delle democrazie perlamentari?

Saggi su saggi. Il 29 maggio il governo Letta, in accordo con lei, nominò altri 35 “saggi” extraparlamentari, quasi tutti di stretta obbedienza quirinalesca, per scrivere le riforme costituzionali da approvare – assicurò il premier – in Parlamento “entro 18 mesi” per “dare immediato seguito all’impegno preso nel momento in cui si è chiesto a Napolitano di essere rieletto”. E, per abbreviare i tempi, partorì un ddl costituzionale che stravolgeva tempi e modi dell’articolo 138 della Costituzione, quello che regola le riforme costituzionali, e apriva la strada a ogni possibile scassinamento della Carta a tappe forzate. Il 1° giugno lei diede a governo e Parlamento un anno per varare le riforme che le garbavano: “Di qui al 2 giugno del prossimo anno l’Italia dovrà essersi data una prospettiva nuova”, anche perchè l’esecutivo “è una scelta eccezionale e senza dubbio a termine”. Come lui. Il 5 giugno Barbara Spinelli criticò sul Fatto l’ennesima sua interferenza nel potere esecutivo e legislativo, e lei si autosmentì, definendo “ridicolo falso” la notizia che lei avesse “posto un termine al governo”. Poi il 6 giugno, non si sa a che titolo, ricevette i nuovi saggi ricostituenti col ministro Quagliariello, per giunta a porte chiuse. Può dirci quali articoli della Costituzione le consentivano quelle invasioni di campo?

Un condannato al Quirinale. Il 24 giugno Berlusconi fu condannato a 7 anni dal Tribunale di Milano per concussione e prostituzione minorile e sparò a palle incatenate sulla magistratura, paragonata a un “plotone di esecuzione”. Due giorni dopo lei invitò e ricevette il neocondannato “per un ampio scambio di opinioni sul momento politico e istituzionale”. Tutto normale, Presidente?

Cicciobomba cannoniere. Il 29 giugno Camera e Senato approvarono una mozione Sel-M5S che impegnava il governo a sospendere l’acquisto di cacciabombardieri F-35 dall’americana Lockheed fino al termine di un’indagine conoscitiva del Parlamento sui costi e la sicurezza dei velivoli. Lei, furibondo, il 3 luglio riunì il Consiglio Supremo di Difesa ed esautorò il potere legislativo: “La facoltà del Parlamento non può tradursi in un diritto di veto su decisioni che… rientrano tra le responsabilità costituzionali dell’esecutivo”. Se n’è mai pentito?

Dissidente deportata, Alfano salvato. Il 16 luglio il ministro dell’Interno Angelino Alfano lesse in Parlamento una relazione piena di bugie sul rapimento in Italia e la deportazione in Kazakhstan di Alma Shalabayeva – moglie di un dissidente kazako – e della figlioletta Alua a opera della polizia e dei vertici del Vi-minale. I 5Stelle e Sel presentarono una mozione di sfiducia individuale contro di lui. Il Pd di Epifani, su pressione di Matteo Renzi, chiese le sue dimissioni, ma poi fece marcia indietro quando lei monitò: “È assai delicato e azzardato invocare responsabilità oggettive per dei ministri”. Presidente, s’è poi accorto dell’articolo 95 della Costituzione: “I ministri sono responsabili… individualmente degli atti dei loro dicasteri”?

Troppa grazia, San Giorgio. Il 1° agosto 2013 la sezione feriale della Cassazione presieduta da Antonio Esposito emise la sentenza definitiva del processo Mediaset: B. condannato a 4 anni per frode fiscale. Mentre il Caimano tuonava contro i giudici in un video-messaggio eversivo, lei monitò dalla Val Fiscalina un incredibile elogio per il “clima più rispettoso e disteso” che aveva accompagnato il verdetto e auspicò “che possano ora aprirsi condizioni più favorevoli” per la riforma della giustizia. I berluscones chiesero a gran voce la grazia presidenziale per il capo. Lei, il 2 agosto, non la escluse, anzi: “C’è la legge a stabilire quali sono i soggetti titolati a presentare la domanda di grazia”. Poi ebbe una lunga conversazione telefonica col neopregiudicato. Bondi, Cicchitto e Santanchè intanto le rammentavano i protocolli segreti della sua rielezione e delle larghe intese: “pacificazione”, cioè grazia. Il 5 agosto, di ritorno dalle ferie, lei ricevette i capigruppo Pdl Brunetta e Schifani venuti a chiederle la grazia e promise di “esaminare con attenzione tutti gli aspetti delle questioni prospettate”. Csm e Pg della Cassazione avviarono col suo consenso un procedimento disciplinare e una pratica di trasferimento per il giudice Esposito, imputandogli un’intervista a Il Mattino e ignorando che era stata manipolata per inserirvi riferimenti alla sentenza su B., mai pronunciati dal magistrato. Il 13 agosto lei diramò una lunga nota in cui spiegava a B. che fare per ottenere la grazia: “presentare una domanda”; accontentarsi di una grazia sulla “pena principale” (quella detentiva e non quella accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici); “prendere atto” della sentenza e rispettare i giudici, anche se è “comprensibile” il “turbamento e la preoccupazione per la condanna a una pena detentiva di personalità che ha guidato il governo… leader incontrastato di una formazione politica di innegabile importanza”; sostenere lealmente il governo. Ripensandoci, non trova incredibile che lei, appena 12 giorni dopo una sentenza, abbia speso tanto tempo e tante parole per far balenare una grazia incostituzionale a un politico condannato per un delitto così grave e ancora imputato in altri processi?

Lodo Napolitano-Violante. A settembre la giunta per le elezioni del Senato iniziò a discutere della decadenza del condannato B., prevista in automatico dalla legge Severino. Ma ecco farsi avanti un plotoncino di giuristi legatissimi al Quirinale e capitanati dal “saggio” Luciano Violante che invocavano uno stop in attesa che la Consulta e le Corti europee si pronunciassero sulla legittimità della Severino e della sentenza della Cassazione, per salvare il seggio al neopregiudicato che ricattava tutti minacciando il governo. Lei fece sapere di aver “letto con attenzione e apprezzamento” il “lodo Violante” (poi fortunatamente ignorato dalla maggioranza in Senato). Presidente, s’è mai vergognato di quell’ennesima interferenza? E, già che ci siamo: intervistato da Bruno Vespa per il suo ultimo libro, il ministro Alfano ha rivelato che lei, in un incontro a quattr’occhi nel settembre 2013, si disse “pronto a concedere la grazia”, anche motu proprio (cioè senza domanda), se B. si fosse dimesso da senatore prima che il Senato votasse la sua decadenza e, per soprammercato, a lanciare un appello al Parlamento per un provvedimento di amnistia e indulto (cosa che fece l’8 ottobre, fortunatamente inascoltato). Lei non ha mai smentito. Sono dunque ridicole panzane quelle che lei ha poi raccontato il 20 ottobre 2013, quando definì “ridicole panzane” le notizie sulla sua promessa di grazia a B.?

Testimone obtorto Colle. Da quando, il 17 ottobre 2013, la Corte d’Assise di Palermo la convocò come teste nel processo Trattativa, lei fece il possibile e l’impossibile per sottrarsi al suo dovere di testimoniare, sostenendo di non aver “alcuna conoscenza utile da riferire” su quanto le scrisse il suo consigliere Loris D’Ambrosio (poi scomparso) su confidenze fattele a proposito di “indicibili accordi” fra Stato e mafia. Perchè allora quando il 28 ottobre 2014 si decise finalmente a testimoniare, parlò per più di tre ore, rivelando importanti fatti che aveva taciuto per vent’anni (il progetto di attentato mafioso contro di lei e Spadolini nel luglio ’93; il timore di un “colpo di Stato”; la consapevolezza dei vertici dello Stato che le bombe mafiose fossero finalizzate a ricattare il governo Ciampi per ottenere l’alleggerimento del 41-bis)?

Nessuno tocchi Nonna Pina. Nel novembre 2013 finì nei guai la ministra della Giustizia Cancellieri, indirettamente intercettata sui telefoni della famiglia Ligresti mentre solidarizzava con gli amici imprenditori plurinquisiti per il crac della Fonsai (di cui era manager il figlio), si metteva a loro disposizione, brigava per fare scarcerare Giulia Ligresti e si abbandonava a dure critiche ai magistrati. Dinanzi alla mozione di sfiducia di M5S e Sel e alla richiesta di dimissioni avanzata anche da Renzi, lei tornò a interferire, ricevendo la ministra e auspicando “l’ulteriore pieno sviluppo dell’azione di governo da lei avviata”. Letta telefonò a Renzi: “Ho sentito il presidente della Repubblica, ti chiediamo di ritirare la tua richiesta”. E l’indecente ministra si salvò, come Alfano. Signor Presidente, che cos’è per lei il Parlamento?

Parlamento abusivo, dunque è ok. Il 4 dicembre 2013 la Consulta cancellò il Porcellum, giudicandolo illegittimo sia per l’abnorme premio di maggioranza al partito o alla coalizione più votati, sia per le liste bloccate che “alterano per l’intero complesso dei parlamentari il rapporto di rappresentanza fra elettori ed eletti… coartano la libertà di scelta degli elettori… contraddicono il principio democratico, incidendo sulla stessa libertà del voto”. E così delegittimò in radice l’attuale Parlamento eletto con quella legge, il presidente della Repubblica e il governo da esso espressi, nonché la maggioranza che non esisterebbe senza il premio abnorme ora cassato. Ce n’era abbastanza per mettere subito in cantiere una riforma elettorale purchessia (semprechè non si condividesse quella disegnata dalla Corte depurando il Porcellum dai suoi profili incostituzionali: il proporzionale puro con preferenza unica, simile alla legge elettorale con cui si votò nel 1992) e poi sciogliere le Camere infette e restituire rapidamente la parola agli elettori, cioè al popolo sovrano. Lei invece, il 5 dicembre, prim’ancora che la Corte depositasse le motivazioni della sentenza, se ne infischiò: decise che “questo Parlamento è legittimo” e gli dettò un programma per l’intera legislatura: “riforma elettorale che superi il sistema proporzionale” e “modifiche costituzionali almeno per il numero dei parlamentari e per il bicameralismo perfetto”. Ma come si permise il presunto “garante della Costituzione” di imporre a un Parlamento appena dichiarato antidemocratico e abusivo dalla Consulta di restare in piedi sino a fine legislatura, e addirittura di modificare la Costituzione e la legge elettorale, dandogli per giunta precise indicazioni sui modelli da seguire?

Un anno vissuto indecorosamente. Il 2014, che sta sta per concludersi, è stato l’anno di Matteo Renzi. Che il 18 gennaio siglò, con la benedizione del Colle, il Patto del Nazareno con B. per farlo rientrare dalla finestra dopo che era uscito dalla porta a fine novembre, abbandonando il governo Letta all’indomani della sua decadenza da senatore. Il giovane e spregiudicato segretario del Pd, a metà febbraio, defenestrò Enrico Letta per prenderne il posto e il 22 febbraio giurò nelle mani di un Napolitano inizialmente contrariato, poi sempre più rassegnato, infine addirittura complice. Lei comunque, Presidente, non rinunziò a mettere le mani nella lista dei ministri: non per escluderne gli impresentabili , ma per cancellare dalla casella della Giustizia l’elemento migliore della lista renziana: il pm anti-’ndrangheta Nicola Gratteri, cassato in nome di un’inesistente “regola non scritta” che escluderebbe a priori i magistrati dalla carica di Guardasigilli (e allora perchè lei, nel 2010, nominò a quell’incarico il magistrato forzista Francesco Nitto Palma, nel terzo governo B.?). Con Renzi a Palazzo Chigi, i suoi moniti ed esternazioni si sono fatti più radi, ma non per questo meno discutibili o indecenti (almeno quanto certi suoi silenzi).

Presidente, non conosceva proprio un giurista meno compromesso con l’Ancien Regime e in conflitto d’interesse di Giuliano Amato da nominare alla Consulta? Sicuro di aver detto tutta la verità sulla nascita del governo Monti nel novembre 2011, alla luce delle rivelazioni di Alan Friedman sui suoi abboccamenti col Professore fin dall’aprile di quell’anno?

Perché lei ha smesso di sferzare il Parlamento affinché elegga il quindicesimo giudice costituzionale, lasciando la poltrona vacante ormai da sei mesi?

Anziché telefonare un giorno sì e l’altro pure ai due marò imputati in India di un duplice omicidio ed elevarli a eroi nazionali, perché non ha mai trovato il tempo e le parole per esprimere la solidarietà e la vicinanza dello Stato al pm Nino Di Matteo, condannato a morte da Cosa Nostra (con tanto di tritolo già acquistato dai boss e nascosto a Palermo) e al pg Roberto Scarpinato, minacciato fin dentro il suo ufficio da uomini di apparato ben sicuri dell’invisibilità e dell’impunità?

Con che faccia il 2 aprile scorso ha ricevuto al Quirinale il pregiudicato B. “per parlare delle riforme e del fronte giudiziario” (Corriere della sera, mai smentito)?

Come si è permesso, a luglio, di bloccare il Csm che stava per votare per Guido Lo Forte come nuovo procuratore di Palermo, costringendo il Plenum a seguire l’ordine cronologico delle nomine (mai seguito prima) solo per rinviare la decisione al successivo Consiglio, che poi ha nominato Franco Lo Voi, guardacaso il candidato meno titolato ed esperto, ma più gradito ai politici di destra e di sinistra, e naturalmente a lei?

A che titolo una figura super partes quale dovrebbe essere la sua ha continuato a difendere il Jobs Act e le controriforme della giustizia e della Costituzione, invitando opposizioni, sindacati e Anm a non opporsi?

Come si è permesso di imporre al Csm, con una lettera rimasta segreta, di sbianchettare le critiche all’operato del procuratore di Milano Edmondo Bruti Liberati nella gestione del conflitto aperto con il suo aggiunto Alfredo Robledo, incancrenendo così lo scontro nell’ufficio giudiziario più cruciale d’Italia?

Quando ha scoperto che “il bicameralismo perfetto fu un errore dei padri costituenti”, visto che lei entrò in Parlamento nel lontano 1953 senza mai dire una parola? E perchè non s’è accorto che “il Senato è un inutile doppione della Camera” nel 2005, quando accettò la nomina a senatore a vita senza fare un plissè?
Che le è saltato in mente di cerchiobottare fra guardie e ladri, mettendo sullo stesso piano il dilagare di corruzione e crimine organizzato – divenuti un tutt’uno nel sistema Mafia Capitale – e il presunto e imprecisato “protagonismo dei pm”?
Come può chiedere ai magistrati di “non guardare con diffidenza i politici”, quando i politici sono i più corrotti dell’Occidente? E con che faccia può definire “eversiva” la cosiddetta “anti-politica”, quando la politica si riduce alla fogna degli scandali Expo, Mose e Mondo di Mezzo, questi sì “eversivi”?

Perchè non ha detto una parola – da garante della Costituzione – sull’Italicum che riproduce gran parte dei profili di incostituzionalità già sanzionati dalla Consulta nel Porcellum?

Quando invoca il “rinnovamento” contro i “conservatorismi”, non le viene da ridere, essendo il primo freno al cambiamento, con la sua rielezione a 88 anni e con l’imbalsamazione dell’Ancien Regime di cui è sempre stato il santo patrono e il lord protettore?

Non s’è pentito di aver così platealmente attaccato, anche in campagne elettorali, un movimento politico con milioni di voti come i 5Stelle, tacendo invece sull’ultima versione sempre più razzista e fascistoide della Lega Nord?

Perché, dopo averlo duramente censurato ai tempi di Prodi e in parte di B., ha smesso di denunciare l’abuso di decreti e fiducie da parte dei governi Monti, Letta e Renzi, guardacaso i tre creati o avallati da lei all’insaputa degli elettori?

S’è mai domandato perché, fino a tre anni fa, lei godeva di oltre l’80% di consenso nei sondaggi, mentre dal governo Monti in poi è sceso sotto il 50?

§Non crede di aver abusato del suo potere lanciando continue minacce al governo e al Parlamento, tipo “riforme o me ne vado”, ma anche “riforme o resto”?

Siccome tutti nel Palazzo sanno che il 14 gennaio 2015 lei annuncerà le sue dimissioni, non le pare il caso di comunicarlo anche ai cittadini italiani, anziché seguitare a sfidarli con sciarade e indovinelli?

Siccome è al passo d’addio, non crede che il bilancio del suo secondo mandato sia un fallimento totale, con tutti gli indicatori economici in picchiata (tranne quelli della corruzione, dell’evasione e delle mafie) e nessuna delle riforme da lei dettate nel messaggio di reinsediamento approvate?

Può rassicurarci sul fatto che ora non interferirà nella scelta del suo successore per rifilarci un suo clone, tipo Giuliano Amato o Sabino Cassese?

E, siccome considera il Senato un ente inutile, si impegna a evitare di frequentarlo da senatore a vita e a ritirarsi a vita privata?

È un peccato che Montanelli non sia più fra noi. Altrimenti potrebbe dedicarle il Controcorrente che riservò nel 1985 a Sandro Pertini quando lasciò il Quirinale: “Il senatore Pertini ha annunciato che intende rientrare nella vita politica e ingaggiare battaglia per il riavvicinamento tra Psi e Pci. Con quest’uomo abbiamo sbagliato due volte. La prima, mandandolo al Quirinale. La seconda, rimettendolo in libertà”.

Gian Paolo Zancan: “Il reato è danneggiamento. Inammissibile il carcere perché non sono pericolosi”

http://torino.repubblica.it/cronaca/2014/12/24/news/gian_paolo_zancan_il_reato_danneggiamento_inammissibile_il_carcere_perch_non_sono_pericolosi-103652276/di FEDERICA CRAVERO

24 dicembre 2014

Gian Paolo Zancan: "Il reato è danneggiamento. Inammissibile il carcere perché non sono pericolosi"

Gian Paolo Zancan 

È UNA posizione garantista quella dell’avvocato Gian Paolo Zancan sulla decisione della Corte d’assise di mandare ai domiciliari per Natale i quattro anarchici processati e assolti dall’accusa di terrorismo. 

“Non c’è una sentenza definitiva e io sono sempre stato convinto che la carcerazione preventiva debba essere applicata solo per gravi casi di pericolosità. In altri casi non ha ragione di esistere. Quando si ha una condanna per un reato molto minore, come in questo caso è quello di danneggiamento, la scarcerazione si impone. È un provvedimento dovuto e corretto”.

Sa che la sua convinzione non è condivisa da tutti?
“La collettività deve abituarsi alle cause in cui gli imputati arrivano a piede libero al processo. Se la sentenza li avesse riconosciuti colpevoli di terrorismo, allora la corte avrebbe fatto altre scelte, ma così non è stato. Se la collettività non lo recepisce, è perché ha un concetto distorto della custodia cautelare e va educata. Che si guardino più film americani per esempio, dove chi è accusato di omicidio va al processo a piede libero. Ovviamente se non ci sono elementi di pericolosità, per esempio se non ha minacciato di uccidere altre persone”.

Da più parti si è levata la preoccupazione che quella sentenza desse il via libera a una serie di azioni violente e gli attacchi alle ferrovie degli ultimi giorni vanno in quella direzione. Lei cosa ne pensa?
“Non so se esista un collegamento tra la sentenza e i fatti, e nemmeno posso immaginare cosa sarebbe accaduto se la sentenza fosse stata diversa. Ma una cosa è certa: ci sono dei principi e vanno rispettati. Se poi si verificano conseguenze distorte, la colpa non è di chi ha applicato il provvedimento. Il mondo della giustizia non deve avere condizionamenti. Sarebbe grave se le sentenze venissero emesse in base a quello che possono o non possono provocare”.

creatura in stazione. urgente

Flaviano Grazia

Chi può aiutare questo piccolo amore ? Sosta sotto la stazione più di una settimana ed e molto impaurita ho chiesto un po’ in giro per i negozi ed una guardia giurata mi ha risposto che e stata picchiata aiutatela se potete io più di questo non posso

dolcezza maltratta

https://www.facebook.com/photo.php?fbid=10202896659290716&set=pcb.10202896660050735&type=1&theater

Buon anno se ci riuscite!

2015: pane al pane e vino al vino

di Giulietto Chiesa | 1 gennaio 2015

Una previsione facile facile: il 2015 sarà sicuramente peggiore del 2014. In compenso sarà migliore del 2016.

Abbiamo finito l’anno sotto il segno del patto di stabilità. Che è quello che precede la stabilità definitiva, il rigor mortis, l’immobilità che accompagna la dipartita.

Il Paese è allo sfacelo: industriale, tecnologico, organizzativo, morale.

Il Jobs act è espressione misteriosa nei suoi dettagli esecutivi, ma chiarissima nel suo significato finale, nel “vettore di uscita”: licenziamenti sempre più facili, introduzione per legge del diritto dei padroni di licenziare i dipendenti. E , cosa ancora più strategicamente importante: eliminazione di fatto della contrattazione collettiva. Così ogni lavoratore è solo contro chi gli dovrebbe dare lavoro. Cioè impossibilitato a difendersi.

In questo modo un’altra fetta importante del reddito nazionale sarà trasferita dai più poveri ai più ricchi. Ovvio che “crescere”, in questa prospettiva, sarà impossibile, poiché la massa di denaro che viene sottratta ai più poveri equivarrà a ridurre la massa di denaro destinata ai consumi (essendo evidente che i più ricchi non potranno, neanche se volessero, spendere il troppo che hanno a disposizione).

Che equivale a tagliare il ramo su cui si è seduti. Ma aspettarsi da questi signori una visione strategica è come sperare nella Befana. Tutti potrebbero capirlo, ma il fatto è che la gente comune non ha letto Aristotele, e quindi non sa che è impossibile che chi è troppo ricco “segua i dettami della ragione”. Chi è ricco vuole sempre essere “più ricco”. Solo i poveri pensano che si accontenterebbero se fossero ricchi: appunto perché non sono ricchi!

I dati lo dimostrano. Nell’ultimo decennio il 10% del reddito nazionale è stato prelevato dalle tasche dei più poveri per andare ai più ricchi. E non basta perché ne vogliono ancora di più. Una specie di bulimia invincibile. Renzi è il loro uomo. L’hanno portato al potere con il consenso del 40% degli italiani. Non è vero per niente, ma questo lo pensano tutti. In primo luogo i giornalisti e i commentatori. In realtà Renzi l’ha scelto meno del 20% degl’italiani. Ma, in virtù della legge elettorale, il suo potere è praticamente assoluto.

Ecco perché il 2015 sarà peggiore del 2014: perché gl’italiani non hanno letto Aristotele (“La Politica”), laddove dice che “le Costituzioni rette sono quelle che hanno di mira il bene comune”. A parte l’espressione comica dell’”avere di mira” che fa venire in mente un cecchino, che sta sparando sul “bene comune”, è chiaro cosa Aristotele intendeva dire: tenetevi una Costituzione Retta, se già ce l’avete, altrimenti vi verrà data una Costituzione Storta, che è quella che ha di mira l’estensione della ricchezza e del potere dei più ricchi.

E’ proprio quello che è accaduto: avevamo un Costituzione Retta, e ce la siamo fatta scippare. Non c’è già più, sostituita da una Costituzione Storta. Dove la gente non ha più non solo un reddito accettabile, ma nemmeno gli strumenti per difendersi. La gente, le masse, sono state trasformate in individui isolati, in monadi sole, che si specchiano nello schermo di un computer, o di un televisore. Epicuro, l’inventore dell’idea di monade, è morto da tempo e non c’è nessuno che spieghi alle genti che, se vogliono liberarsi, dovranno aprire una finestra e guardare fuori da se stessi.

Sembra – stando a uno studio di Tullio De Mauro – che un discreto 40% di italiani ( che sanno tutti leggere e scrivere) non sia più in grado di capire bene quello che legge e, soprattutto, quello che vede in tv. Così tu credi di comunicare, ma nessuno ti capisce. Altro che finestre da aprire!

Che fare nel 2015? Cambiare il vocabolario odierno e tornare a quello di prima. Quello con cui fu scritta la Costituzione Retta del 1948. Per esempio, con quel vocabolario si potevano dire cose semplici e comprensibili. Come questa: i nani proprietari universali, cioè i banchieri, ci stanno portando in guerra. La gente ancora capisce cosa significa guerra. Banchiere è cosa nota. Nano è un po’ più difficile da capire, essendo una metafora. Ma s’intende qui “nano intellettuale”, cioè persona che capisce poco quello che fa e dice lui stesso.

Questi vogliono fare la guerra perché sanno che il loro castello di carte si sta rompendo. E pensano che con la guerra, che tutto distrugge, noi non ci accorgeremo di niente. Cosa pensate a proposito del prezzo del petrolio? Che scenda perché lo dicono le leggi del mercato? Niente affatto. Non ci sono leggi di mercato in questo casino che affonda. Scende perché Washington vuole abbattere la Russia e l’Iran e poi andare all’assalto di Pechino. E’ una dichiarazione di guerra “di carta”, dove brucerà molta carta (i nostri risparmi), prima di trasformarsi in una guerra vera, con armi del tutto nuove che noi non conosciamo nemmeno.

Loro pensano di salvarsi, perché sanno che saranno le genti, cioè noi, che ci romperemo per primi l’osso del collo. Il che è vero, verissimo. Ecco perché ci serve, urgentemente, il vecchio vocabolario dove le parole erano italiane e chiare. Dove se dicevi “fuori” voleva dire fuori. Ecco io propongo che il 2015 dica: “fuori l’Italia dalla Nato e fuori la Nato dall’Europa”.

Cominciamo da qui. In guerra ci vadano loro. Noi non abbiamo nemici e abbiamo ancora qualche pezzo di una Costituzione Retta da difendere, per esempio l’articolo 11. Spendiamo 70 miliardi di euro al giorno (ho scritto “al giorno”) per tenere in piedi una Difesa che non serve a nulla. Cioè che serve a “loro”. In caso di guerra non reggerebbe dieci minuti. Quei denari potremmo usarli per sviluppare l’agricoltura, e l’industria, e la scuola e moltiplicare i posti di lavoro. Magari non ci riusciamo, perché siamo monadi un po’ istupidite, ma non è che siamo – collettivamente intesi – peggio dei nani di cui sopra. In ogni caso, se aprissimo qualche finestra, almeno il giro sulla giostra attorno al sole sarebbe più bello, avrebbe un senso per noi e i nostri figli. Sarebbe un buon anno, invece che “il loro anno”.

 http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/01/01/pane-pane-vino-vino/1308903/

TE LO DO IO IL QUANTITATIVE EASING! di Leonardo Mazzei

Chi si batte per il QE, come il guru Giulio Sapelli, difende un business, fingendo di perseguire solo la fatidica solidarietà europea

Vedi anche PRIMO: SALVARE LE BANCHE! Il Quantitative easing di Mario Draghi di Leonardo Mazzei

draghi mosse1

28 dicembre 2014

Raramente la verità delle cose si mostra fin da subito nella sua pienezza. Anzi, di solito, essa ama nascondersi nelle pieghe degli eventi e dei processi che segnano la storia, i cui svolgimenti sono in genere tortuosi e non privi di contraddizioni. Ed il percorso dissolutivo dell’Unione Europea, realisticamente preceduto dalla fine della moneta unica, non fa certo eccezione.

Per comprendere la portata di quanto sta avvenendo è utile tornare sulla vicenda del Quantitative easing (QE), sulla quale abbiamo già scritto pochi giorni fa (vedi Il QE della discordia). Le cose corrono infatti con la fretta dovuta dei momenti topici, e nuovi e decisivi elementi sulle manovre in corso sono ormai di pubblico dominio.

Due settimane fa avevamo ipotizzato uno scenario dove al successo d’immagine di Draghi, l’avvio del QE appunto, corrispondeva una vittoria del governatore della Bundesbank, Jens Weidmann, sulla sostanza di questa operazione. Come dire: a Draghi le telecamere, a Weidmann gli euro-tedeschi ben chiusi in cassaforte.

Quel che è emerso in questi ultimi giorni non fa che confermare questa ipotesi, che comincia ad assumere contorni sempre più precisi quanto più inquietanti per i paesi dell’area mediterranea.

ABOOK-May-2013-Europe-Italy-Bad-Loans

Il principio è sempre il solito dogma tedesco: non può e non deve esserci mutualizzazione alcuna del debito e del rischio che ne consegue. Punto. Il problema è che tutto ciò sta scritto nei trattati europei, un particolare che a volte si tende a dimenticare ma che a Berlino invece non scordano.

Come conciliare questo dogma con un QE almeno in parte basato sull’acquisto di titoli del debito dei vari stati dell’Eurozona? Ecco il problema che la Bce cerca di dirimere. Perché che il QE debba esserci è ormai cosa praticamente certa: lo reclamano i mercati finanziari (cioè i pescecani della finanza), lo esige il sistema bancario (pena il rischio di crack incontrollabili di alcune banche del sud Europa), lo chiedono a gran voce da oltreoceano per andare a compensare la minor liquidità emessa dalla Fed.

Che si possa trattare di un’operazione davvero efficace per ottenere un minimo di ripresa economica non ci crede ormai più nessuno, ma – al di là delle ragioni di cui sopra – a questo punto ce n’è un’altra ancora più importante che impone che il quantitative easing si faccia. Una ragione così sintetizzata da Alessandro Merli sul Sole 24 Ore di questa mattina:

«l’efficacia del QE non va sopravvalutata… Ma, a questo punto, l’alternativa può essere rovinosa».

Il punto è che i mercati finanziari si reggono da mesi sull’attesa messianica del QE, e se questo alla fine non arrivasse le conseguenze sarebbero appunto gravi, se non disastrose. Diamo quindi per presa la decisione del quantitative easing, e concentriamoci invece sulle sue – decisive – modalità.

Innanzitutto una necessaria premessa.

L’acquisto di titoli riguarderà le obbligazioni (bond) del debito pubblico non per aiutare questo o quel paese in difficoltà, che anzi l’acquisto è previsto in base alla percentuale del pil di ciascun membro dell’eurozona, bensì per altri due motivi. Il primo è che solo il mercato dei titoli cosiddetti “sovrani” ha la dimensione adeguata. Il secondo, e più importante motivo, è che gli Stati – tanto più se sottomessi come nel sistema-euro – possono dare garanzie ben più solide degli altri soggetti emittenti titoli del debito (banche, grandi aziende, eccetera).

Eccoci così arrivati al punto decisivo, quello delle garanzie. Negli uffici di Francoforte due le ipotesi allo studio, una peggiore dell’altra.

La prima ipotesi sarebbe quella di imporre ai paesi più deboli (sicuramente Grecia, Cipro, Spagna, Portogallo, Italia, Irlanda; ma forse anche Francia, Belgio e Slovenia) la creazione di fondi statali da utilizzare per garantire la Bce dalle eventuali perdite derivanti da acquisti sui titoli dei rispettivi debiti nazionali. Una simile ipotesi sarebbe semplicemente impraticabile e del tutto in perdita per alcuni paesi. Ad esempio, secondo un’elaborazione del Sole 24 Ore del 20 dicembre, basata sul valore dei Cds (assicurazioni sul debito), la Grecia dovrebbe mettere preventivamente a garanzia per ogni milione di euro acquistato dalla Bce un valore di 320mila euro. Una cosa insensata, dato che il beneficio che ne trarrebbe in termini di riduzione dello spread sarebbe del tutto irrisorio di fronte al valore di un simile accantonamento.

Greek Bank Exposure 2009

La seconda ipotesi, nella sostanza gemella della prima, non prevede nuovi fondi dedicati, ma solo perché la funzione di garanzia verrebbe esercitata dalle singole banche centrali nazionali sotto la direzione e la vigilanza della Bce. La decisione finale di Francoforte è attesa per il 22 gennaio, ma al momento è questa l’ipotesi che va per la maggiore.

Ed è un’ipotesi davvero rivelatrice della verità che comincia a manifestarsi, sia pure nel modo tortuoso di cui abbiamo detto all’inizio. Se il QE dovrà prendere forma attraverso acquisti e garanzie delle singole banche centrali, non è questo il segno manifesto della fine dell’unitarietà della politica monetaria dell’attuale Eurozona? Detto in maniera più chiara: non è questo – per quanto possa essere lungo il percorso – l’inizio della fine dell’euro?

Se questo sarà il “QE all’europea”, che la stampa economica definisce ormai senza pudore alla “tedesca”, avremo che ogni stato risponderà per le sue perdite, pur non essendone neppure direttamente responsabile, dato che la stanza dei bottoni dalla quale partiranno gli ordini sarà solo quella all’interno della torre della Bce. E questa è una cosa senza precedenti. Quando mai si è vista una banca centrale (e dunque uno Stato) divenire titolare di una perdita, senza avere invece alcuna titolarità sulle scelte di acquisto che l’hanno determinata? Ebbene, in Eurolandia è possibile anche questo…

Becchi e bastonati: ecco la condizione in cui verranno a trovarsi gli stati con i debiti più alti. Ma dire “stati” dice ancora poco, perché a pagare saranno ancora una volta i popoli.

Il meccanismo che si va congegnando è infatti micidiale.

Esso consiste in 3 mosse, che ricapitoliamo: a) la Bce acquista titoli del debito garantiti dalle banche centrali nazionali, b) le banche si liberano così di una quota rilevante di titoli destinati a deprezzarsi (leggi QUI), c) le banche centrali, che dovranno sanare le perdite della Bce, ripianeranno i loro bilanci attingendo da quelli dei relativi stati.

Dunque, alla fine, più tagli e più tasse per i cittadini dell’Europa mediterranea per consentire il QE salva-banche, trasformando così un’altra quota di debito privato (quello delle banche) in debito pubblico. Peggio di così non si potrebbe. Ma proprio per questo si può esser certi che la decisione finale non si discosterà più di tanto da questo schema.

http://sollevazione.blogspot.it/2014/12/te-lo-do-io-il-quantitative-easing-di.html

“JOBS ACT”: L’INTERMEDIAZIONE PARASSITARIA DEL LAVORO

Di comidad del 31/12/2014

Per tutti coloro che sono stati licenziati in questi anni, deve essere stato un po’ sconfortante scoprire di aver vissuto finora in un Paese fatato, dove c’era un mitico articolo18 che bloccava la “libertà di licenziare”. Dato definitivamente per morto già nel 2010 e poi nel 2012, l’articolo 18 risorge ciclicamente dalle proprie ceneri per le esigenze propagandistiche dei vari governi. Tutta la propaganda, ed il relativo “dibattito”, che si sono sviluppati attorno al “Jobs Act” del governo Renzi, hanno lo scopo di alzare la solita cortina fumogena, chiamando l’opinione pubblica ad un “divertissement” collettivo, nel quale schierarsi pro o contro ipotesi inesistenti. Da ultimo è scoppiata anche la polemica sull’applicabilità o meno del “Jobs Act” ai lavoratori statali; una polemica ormai anacronistica, dato che non solo i lavoratori statali sono soggetti ad un contratto privatistico dal 1993, ma anche perché oggi lo Stato è il maggior datore di lavoro precario. In questo contesto di precarizzazione a tappeto, quello delle “tutele crescenti” è uno slogan che non ha nessun terreno solido su cui poggiare, ma il contraddirsi non è mai un problema per la propaganda.
Queste mistificazioni non richiedono nessuna particolare abilità, poiché è il meccanismo stesso dell’opinione pubblica ad essere intrinsecamente manipolabile. Tutta la scienza propagandistica del dottor Goebbels si riduceva a nozioni abbastanza ovvie: è più facile prendersela con i deboli che con i potenti, ed è molto più facile credere a ciò che si sente in continuazione, piuttosto che a ciò che non si è mai sentito prima. Il vittimismo dei ricchi presenta sempre gli intellettuali come critici severi ed instancabili; ma gli intellettuali invece hanno imparato sin troppo bene che l’unica critica che i ricchi sono disposti ad accettare, è quella di essere troppo buoni ed accondiscendenti con quegli avidi/ingrati dei poveri. Che chi fabbrica le opinioni preferisca seguire il denaro piuttosto che le briciole di Pollicino, non dovrebbe costituire ogni volta una sorpresa.
A spiegarci la vera natura del “Jobs Act”, per fortuna è arrivata l’agenzia di rating Moody’s, che ha profetizzato trionfalmente tempi d’oro per i profitti delle agenzie di lavoro “interinale”, cioè temporaneo/precario. Pare che in questo Paese arretrato ed irriconoscente, solo una minima parte del rapporto di lavoro passi per le agenzie di lavoro interinale, ma col “Jobs Act” finalmente la musica dovrebbe cambiare. Almeno così ci rassicura Moody’s.

In realtà il termine “interinale”, un ispanismo dal suono cacofonico e vagamente osceno, è stato superato grazie all’attuale ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, che mesi fa ha ribattezzato queste agenzie di intermediazione, come agenzie di “somministrazione” del lavoro. Il business del caporalato istituzionalizzato ha assunto quindi i contorni carezzevoli del soccorso, come se queste agenzie somministrassero farmaci salva-vita, o il metadone ai tossici in via di disintossicazione. C’è da ricordare che Poletti, in quanto dirigente della Lega delle Cooperative, era direttamente coinvolto nella “somministrazione”. La Lega delle Cooperative controlla infatti una delle maggiori agenzie di lavoro interinale, “Obiettivo Lavoro”, che vanta persino un’annessa fondazione, di cui, manco a dirlo, Poletti era consigliere. Ma Poletti ha rassegnato ufficialmente le dimissioni sia dalla Lega delle Cooperative che dalla fondazione “Obiettivo Lavoro”, perciò ogni conflitto di interessi sarebbe svanito per incanto; anzi, non è mai esistito.
Leonardo Sciascia affermava che la definizione tecnica di mafia sarebbe “intermediazione parassitaria”, perciò le agenzie di lavoro interinale potrebbero rientrare nel novero della mafia legalizzata. Ma, come forma di criminalità comune, il capitalismo è un po’ meno ingenuo della mafia, in quanto esso si basa proprio sulla consapevolezza che, in definitiva, non c’è crimine che non sia legalizzabile. La società per azioni è un’associazione a delinquere finalizzata alla frode, eppure è perfettamente legale. Il capitalismo, in un certo senso, consiste in una continua “educazione alla legalità”; ma vallo a spiegare agli insegnanti.
Le agenzie di lavoro interinale non si limitano ad intermediare il lavoro dei precari, ma sono funzionali ad un quadro generale di finanziarizzazione del rapporto di lavoro. Altro che “Obiettivo Lavoro”; il vero obiettivo è l’indebitamento dei precari. La precarietà rende il lavoratore più vulnerabile non solo sul luogo di lavoro, ma anche nei confronti dell’usura, ovviamente legalizzata. Le agenzie di lavoro interinale infatti concedono generosamente ai loro “assistiti” la possibilità di accedere a dei prestiti da parte delle banche. In queste transazioni finanziarie i precari non risultano come dipendenti delle varie aziende in cui sono assunti temporaneamente, ma come dipendenti dell’agenzia di lavoro interinale a cui fanno riferimento, che costituisce così il loro filo di continuità nello sfruttamento.

http://www.comidad.org/dblog/articolo.asp?articolo=649

La legge NON è uguale per tutti

Oltre centomila confezioni di materiale esplodente, del peso complessivo di circa quattro tonnellate e dal valore commerciale pari a un milione d’euro sono state sequestrate, alla periferia di Guidonia Montecelio, dai Finanzieri del Comando Provinciale di Roma. Le indagini  sono partite dalla zona della “Citta dell’Aria” dove le Fiamme Gialle della  Compagnia di Tivoli stavano, da tempo, scandagliando il mercato abusivo dei “botti”. L’enorme quantitativo rinvenuto, abbinato alle indicibili modalità di custodia e alle superficiali condizioni dei locali – ubicati nei pressi del centro abitato – avrebbe potuto provocare un danno incalcolabile ai molti residenti della zona, esposti  al serio rischio di una  deflagrazione accidentale difficilmente controllabile. Il proprietario dei locali, un cittadino italiano, è stato denunciato a piede libero alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Tivoli per i reati di  fabbricazione e commercio abusivo di materie esplodenti e omessa denuncia di materiale esplodente. L’operazione si inquadra nell’ambito dei dispositivi di contrasto alla detenzione ed alla vendita illegale di materiale esplodente, predisposti in occasione delle imminenti festività e diretti a salvaguardare la popolazione sia dall’uso improprio dei fuochi leciti di fine anno che dai danni collaterali dell’impiego di quelli  completamente illegali
PAOLO E FORGI
Oggi, dopo 1 anno e 3 mesi di reclusione, sono tornati finalmente liberi. La sentenza di appello, pur confermando in buona parte l’impianto accusatorio formulato dalla Procura, ha ridotto la pena per Paolo e Forgi a 1 anno e 7 mesi (e al pagamento di una multa di più di 3000 euro). I due giovani No Tav hanno così potuto beneficiare della condizionale e il giudice ha stabilito l’immediata revoca della misura degli arresti domiciliari e la loro rimessa in libertà.

PRESIDENT VLADIMIR PUTIN’S NEW YEAR 2015 ADDRESS: ‘LANDMARK IN RUSSIAN HISTORY’

PCN-TV & RT/ 2014 12 31/

 President Putin has addressed the Russian nation, congratulating the people on a hard but fruitful year. He praised Crimea’s reunification with Russia, and called the Sochi Olympics a dream that came true.

Capturenn

 Video on: https://vimeo.com/115744690

 

 PRESIDENT VLADIMIR PUTIN’S ADDRESS:

 Friends,

 The New Year of 2015 is about to begin.

As always, we look forward to it with anticipation, making wishes, giving gifts and traditionally seeing in the New Year with family and friends. An atmosphere of kindness, goodwill and benevolence warms our hearts, opening them up to pure thoughts and honourable deeds and giving hope.

 Naturally, everyone is concerned primarily about the well-being of their own family, wishing health and happiness to their near and dear ones. The happiness and success of each individual makes up the well-being of Russia.

 Love for one’s Motherland is one of the most powerful and enlightening feelings. It has found its reflection in our fraternal aid to the residents of Crimea and Sevastopol, after they made the firm decision to return to their native home. This event will remain a landmark in national history.

 Friends,

 Now, as we reflect on the outgoing year I would like to sincerely thank you for your unity and solidarity, for your innermost truthfulness, honour, justice and responsibility for the fate of your country, for your invariable readiness to defend Russia’s interests, to be with it both in days of triumph and in times of trial, to strive for the implementation of our bravest and grandest of plans.

 Only a few years ago the Sochi Olympics were no more than a dream. Meanwhile, it not only came true: we not only prepared and hosted the best ever winter Olympics, but we also won them. This victory has been achieved by all the citizens of this country, both the Olympic athletes and those who supported them.

 In the coming year, we are facing quite a few tasks and the year will be as good as we make it, depending on how efficient, creative and effective each one of us is. There are no other recipes. We need to implement all our plans – for our own sake, for the sake of our children, for the sake of Russia.

 Friends,

 The New Year is knocking at our doors. It is time to let it in and say words of kindness to our near and dear ones. Time to thank them for their understanding and reliability, for their patience and care. The more kindness and love there is around the more confident and powerful we become, which means we will definitely be successful.

Happy 2015 to you!

PCN-TV / RT