IL VENTO ANARCHICO SOFFIA ALL’ALBA DEL III MILLENNIO

Da Graeber a Chomsky, da Occupy Wall Street alla Primavera araba, come si progetta la libertà individuale al di là dei lacci capitalisti

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Giorgio Fontana ha vinto l’ultimo premio Campiello con il romanzo ”Morte di un uomo felice” (pubblicato da Sellerio), storia di un magistrato coraggioso, inquieto e dubbioso, che cade negli anni di piombo milanesi. Con questo articolo, Fontana inizia la sua collaborazione a “Tuttolibri”

31/10/2014
GIORGIO FONTANA
 

Occupy Wall Street, Anonymous, l’Esercito zapatista di Liberazione nazionale, gli Indignados, la Primavera araba (ormai spentasi in una lunga estate di repressione), il Movimento 15M, i No TAV: cosa c’è in comune fra queste lotte che attraversano il pianeta da una ventina d’anni? Non è sempre facile orientarsi nei meandri del nuovo attivismo globale, né di valutarne con obiettività le teorie. Giunge in aiuto una raccolta a cura di Salvo Vaccaro, Agire altrimenti. Anarchismo e movimenti radicali nel XXI secolo . Quattordici contributi da quattordici pensatori o gruppi di lavoro che hanno sempre posto grande attenzione alla prassi: da Chomsky a Graeber, passando per nomi meno celebri come Uri Gordon o Ruth Kinna.  

 Secondo il curatore, la radice comune che anima esperienze così eterogenee sta in un nucleo di idee anarchiche: dalla critica alla delega al privilegio dell’azione diretta, dalla diffidenza verso ogni logica gerarchica alla valorizzazione della libertà individuale al di là dei lacci del capitalismo. Insomma, un «ethos collettivo che diviene rivoluzione senza farsi istituzione della rivoluzione». 

 Il libro si apre con un’intervista a David Graeber, uno dei principali animatori di Occupy Wall Street. A giudizio dell’antropologo, «uno degli aspetti rivoluzionari del movimento Occupy è che sta cercando di creare spazi prefigurativi in cui sperimentare nell’immediato il tipo di struttura istituzionale che esisterebbe in una società libera dallo Stato e dal capitalismo». Lungi dall’essere una semplice forma di protesta, l’occupazione ha posto in atto delle modalità di aggregazione libere e innovative. Per Graeber, inoltre, l’immagine di una «totalità capitalista» che pervaderebbe ogni aspetto del reale è in realtà un’astrazione: gran parte della nostra vita è già regolata da schemi libertari; si tratta solo di espanderli.  

 Anche Noam Chomsky ritiene che il merito di Occupy sia di aver messo in pratica un’idea di mondo possibile fieramente opposta all’accumulazione sfrenata di beni. Sulle stesse linee Michael Albert, per cui «il trucco è di proporre obiettivi che non solo abbiano una qualche possibilità di vittoria, ma che siano anche in grado di galvanizzare il sostegno ed espanderlo continuamente». Una sana convivenza tra la prassi e ciò che Miguel Abensour chiamava utopia persistente: sempre irraggiungibile, sempre vivificante. 

 Passando dagli Usa all’Europa, di particolare interesse è la lettera di alcuni anarchici spagnoli agli Indignados: fra i molti spunti, i libertari ricordano l’importanza del dialogo con persone non radicali. Un monito contro l’auto-ghettizzazione: con gli altri si discute sempre per convincerli della bontà delle proprie idee, possibilmente senza un linguaggio da pamphlet.  

 In tal senso anche i suggerimenti di Sainz Pezonaga, per cui se difendiamo l’idea di un’assemblea aperta, dobbiamo tenerla aperta davvero: un anarchico non pensa a chi se ne va come a un traditore. L’adesione è sempre parziale e congiunturale, nel rispetto del bene più alto: la libertà, appunto. Per questo il Movimento 15M i primi giorni cantava «Poliziotto unisciti a noi»: la logica del nemico irriducibile gli è aliena, proprio perché è una logica che vorrebbe svuotare di senso. 

 Gabriella Coleman offre invece un’analisi di Anonymous, la cui identità è definita proprio dalla sospensione continua fra puro trolling e azione di impegno sociale; mentre Williams e Thomson riflettono sul pericoloso fascino della violenza. Nella prospettiva insurrezionalista il rischio infatti è quello di chiudersi in una dipendenza dalla rivolta in quanto tale: il porno-riot, il desiderio morboso di sfasciare tutto, si sostituisce alla sete di cambiamento. Questo rimette sul campo la questione dei mezzi adeguati allo scopo. La maggioranza degli anarchici non rifiuta lo scontro, ma ne critica radicalmente l’esaltazione. Anche per tale motivo le pratiche di tali movimenti sono non-violente: accettano, e solo quando necessari, il sabotaggio e la distruzione di oggetti; ma non si rivolgono contro esseri umani. 

 Molto pregevole il saggio conclusivo di Saul Newman, tratto da The Politics of Postanarchism. L’autore si sofferma sulla necessità di inventare sempre nuove pratiche libertarie, al riparo da qualsiasi passatismo. Dal sogno di un evento rivoluzionario giungiamo così a un anarchismo di stampo differente, più diffuso e gradualista: una serie di lotte e comunità «le cui esistenze sono spesso fragilissime», ma che testimoniano la possibilità di un’esistenza alternativa, di «pensare l’altrove».  

 In sintesi: in Agire altrimenti il lettore troverà una mappa interessante della galassia post-anarchica e movimentista che sta infiammando gli ultimi anni. Un valido strumento per apprezzarla o criticarla con maggiore coscienza, a seconda dei propri orientamenti. 

IL VENTO ANARCHICO SOFFIA ALL’ALBA DEL III MILLENNIOultima modifica: 2014-10-31T23:12:32+01:00da davi-luciano
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