TG e Filmati

TG R del 17-SET-2014 ore 1400

TG R del 13-AGO-2014 ore 1400

Rinuncia a ricorso è un atto tecnico di difesa

http://www.m5sp.it/comunicatistampa/2014/10/tav-frediani-m5s-rinuncia-a-

6 ottobre 2014

La rinuncia a ricorrere al Tribunale del riesame è un atto tecnico e discrezionale della difesa. Sicuramente la composizione del collegio giudicante ha influenzato la decisione dei legali. Infatti ben due magistrati facevano già parte del Tribunale che aveva rigettato la precedente richiesta di riesame (successivamente annullata dalla Cassazione).
Fondamentalmente pensiamo che questa scelta, prettamente tecnica, non debba essere materia di speculazione da parte di certi esponenti della politica piemontese.
Questi ultimi dovrebbero piuttosto interrogarsi sull’inutilità dell’opera e non continuare a stimolare l’ accanimento giudiziario nei confronti degli attivisti No Tav abdicando al loro ruolo di mediatori della società, quale dovrebbe essere il loro compito. Ma si sa, gli interessi politici esulano dalla verità.
Ricordiamo, comunque, che l’assurda accusa di terrorismo è stata sconfessata dalla Corte di Cassazione che – lo ricordiamo ai politici assetati di forche contro i No Tav – svolge una funzione di uniformità di interpretazione della legge.

Francesca Frediani, Consigliere regionale M5S Piemonte

Perché Chiara, Claudio, Mattia e Niccolò hanno rinunciato al riesame

TG Valle Susa

All’udienza di questa mattina, 6 ottobre, davanti al Tribunale del riesame (la Sezione ha competenza distrettuale in materia di procedimenti di riesame e appello sulle misure cautelari personali e reali ex artt. 309-310 ss cpp (c.d. Tribunale della Libertà), gli imputati Chiara, Claudio, Mattia e Niccolò hanno rinunciato alla richiesta di riesame che avevano presentato.

La decisione, viene comunicato, è stata  frutto di un’approfondita discussione con i propri legali e fondata su una serie di osservazioni che cerchiamo sinteticamente di riassumere:

  • nonostante gli atti del procedimento cautelare fossero giunti a Torino già all’inizio di luglio, l’udienza è stata fissata solo ad ottobre, con ogni probabilità in sintonia con la richiesta della Procura di procedere a nuove indagini;
  • vi è stato un duplice spostamento della data dell’udienza: il primo su richiesta della Procura, senza nemmeno interpellare la difesa, il secondo giustificato con una motivazione generica ed apparente che fa riferimento a non meglio circostanziate esigenze dell’ufficio;
  • tale ultimo spostamento ha modificato la composizione del collegio giudicante che oggi era formato da 2 giudici su 3 che avevano rigettato la precedente richiesta di riesame con l’ordinanza poi annullata dalla Cassazione, mentre evidenti ragioni di opportunità avrebbero imposto una diversa composizione del collegio, tenuto conto, oltretutto, che compito del tribunale era quello di riaffrontare la questione della configurazione giuridica di alcuni tra i reati contestati, che già aveva deciso, in conformità all’impostazione della procura della repubblica;
  • il dato più significativo, peraltro, risiede nell’ormai prossima definizione del processo avanti alla Corte d’Assise di Torino, che dovrebbe pronunciare la sentenza entro la fine del mese di novembre e che giudicherà su elementi di prova formati nel confronto tra le parti in dibattimento, la cui qualità e rilevanza è ben maggiore di quelli assunti unicamente dalla P.G. o dalla Procura, in assenza di contraddittorio, quali quelli sottoposti oggi all’attenzione del tribunale;
  • viene inoltre segnalato come solo venerdì 3 ottobre, nel primo pomeriggio, i Pm abbiano provveduto a depositare per imputati e difensori l’esito di proprie ulteriori investigazioni: si tratta di materiale di poco rilievo, quasi interamente raccolto all’inizio di settembre (eccezion fatta per documentazione prodotta ai Pm dalla parte civile, curiosamente proprio lo steso 3 ottobre), inutilizzabile in ogni caso nel giudizio avanti alla Corte d’Assise, che però avrebbe comunque dovuto essere depositato immediatamente nella segreteria della procura, secondo quanto disposto dal secondo comma dell’art. 430 c.p.p., e ciò a dimostrazione ancora una volta della scarsa attenzione ai diritti della difesa.

L’udienza di oggi non avrebbe, in ogni caso, potuto comportare alcuna modifica in ordine alla libertà personale degli imputati. Il terreno di confronto era, infatti, ristretto alla qualificazione giuridica di alcuni reati, che è uno dei temi sui quali si dovrà esprimere a breve la Corte d’assise, con la più ampia cognizione di causa.

L.C. 6.10.14

Hong Kong, giovani chiedono più giustizia sociale. Quando accadrà anche in Italia?

http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/10/04/hong-kong-giovani-chiedono-piu-giustizia-sociale-quando-accadra-anche-in-italia/1142957/

Il Fatto Quotidiano

Che non si tratti soltanto della simbolica battaglia per consultazioni elettorali davvero libere lo si capisce dai cartelli, dagli striscioni in piazza. Almeno la metà affrontano altri temi. Sociali, più che politici. Ma nel nostro Paese i coetanei dei manifestanti non conoscono neanche l’articolo 18

Hong Kong, giovani chiedono più giustizia sociale. Quando accadrà anche in Italia?

No. Corvi e gufari se la mettano via. Non ci sarà un bagno di sangue, a Hong Kong. E non solo perché Pechino e la sua nuova leadership – certamente più saggia e capace di molte altre – hanno imparato la lezione e non guardano più alla globalizzazione come una minaccia ma ne fanno sempre più parte integrante, e presto dominante. Non ci sarà un bagno di sangue perché questi ragazzi – età media 18 anni – sono più saggi, organizzati e determinati di quanto possa apparire a prima vista e perché sono riusciti a conquistarsi non solo le scontate simpatie (non sempre gradite, specie se espresse in salsa anticinese) dell’Occidente, ma anche e soprattutto quelle dei comuni cittadini. Commercianti e operatori finanziari compresi, i più colpiti, obiettivamente, dalla “rivoluzione degli ombrelli” che cova da almeno un paio di anni e che è improvvisamente esplosa negli ultimi giorni. Paradossalmente, il maldestro (e pare deciso davvero localmente, senza precisi ordini da Pechino) tentativo di reprimere la rivolta con gas peperino, manganelli e lacrimogeni ha provocato l’effetto contrario. Anziché reprimere la rivolta, ne ha enormemente aumentato il sostegno popolare. Anziché impaurire i ragazzi, li ha rinvigoriti. Non so quanto resisteranno, questi ragazzi colti ed educati, forse avrà ragione CY, come oramai tutti qui chiamano, un po’ affettuosamente, un po’ sarcasticamente, il governatore Leung Chun Ying: “Li prenderemo per fame”. Ma che restino o meno in piazza, che continuino più o meno ad occupare e “sabotare” il sistema non ha molta importanza. Come già è accaduto ai tempi di Tien Anmen, possono solo vincere, anche perdendo.

Non ci sarà un bagno di sangue perché non è, come molti media fanno credere, una rivolta contro la Cina, contro il “comunismo” e nemmeno – o quanto meno non solo – contro la pretesa di Pechino di “taroccare” le prossime elezioni politiche. Che saranno sì a suffragio universale, come stabilisce laBasic Law (la “Costituzione” di Hong Kong), ma con candidati “graditi” (e non “imposti”: c’è una certa differenza ) da Pechino. E già qui verrebbe da dire che non ci sarebbe una grande differenza, rispetto a quanto ahimè avviene, in Italia. Dove ci sono, è vero, più partiti. Ma tutti quanti, chi più chi meno, propone/impone i propri candidati. Non pigliamoci in giro, sbraitando contro la “dittatura” del PCC. All’interno del quale la selezione, specie a livello locale, è abbastanza rigorosa e i cui leader, ancorchè spesso corrotti, non sono certo né cialtroni né ignoranti.

I ragazzi di Hong Kong – che bello vederli così determinati, impegnati, educati al punto da ripulire ogni sera le strade, tornare a casa per farsi una doccia per poi tornare all’alba ed attaccar discorso con tutti, compresi i poliziotti che a loro volta sembrano tra i più educati e rispettosi delle regole al mondo – hanno altro in testa. Una vera e propria rivoluzione, lenta e non violenta, che ricorda piùGandhi che i boscevichi, più gli albori del’68, i sit in, le occupazioni “creative” degli anni ’60 in Europa e Usa che le violente scorrerie dei Black Block. Questi ragazzi sono scesi in piazza per costruire, non per distruggere. E la novità (almeno per ora) che difronte hanno delle autorità che (forse) cominciano a capirlo.

Che non si tratti soltanto della simbolica battaglia per elezioni davvero libere alle quali chiunque possa candidarsi (e Hong Kong, considerato che fa parte integrante della Cina, ha libertà sconosciute in molte altre e più blasonate democrazie) lo si capisce dai cartelli, dagli striscioni che vedi in giro. Almeno la metà affronta altri temi. Sociali, più che politici. Che ci aggiornano su una situazione a Hong Kong, che cozza con l’immagine della ricca ex colonia britannica popolata da Paperon de Paperoni con gli occhi a mandorla, impegnati a giocare con i loro, e i nostri, soldi. Da un gruppo di ragazzi accampati davanti alla Banca Centrale apprendiamo ad esempio che un terzo della popolazione di Hong Kong vive in povertà, che stipendi e soprattutto salari non crescono da anni, che la voracità delle grande firme sta espellendo dal centro piccoli negozianti e artigiani, che il tempo medio che i pendolari impiegano per andare a lavorare è oramai vicino a quello – considerato inarrivabile – dei giapponesi a Tokyo. E perfino che – udite udite – molti giovani sono costretti o semplicemente desiderano “emigrare” all’estero. Ma non solo negli Usa o in Inghilterra. Anche nel “mainland”: in Cina.

“Noi non siamo anticinesi – mi spiega Yeung Yiu Kwan, un giovane che studia ingegneria e che spera di riuscire ad entrare alla Statale di Pechino – anche perché siamo cinesi. Spero tanto che i nostri due sistemi (sorride, mentre pronuncia queste parole, segno evidente che non le condivide, essendo oramai i due sistemi molto simili tra loro n.d.a) possano presto integrarsi completamente. Abbiamo molto da imparare dalla Cina, e loro qualcosa da noi. Ma diritti umani e progresso sociale ed economico non possono camminare a parte. Io sono qui perché voglio partecipare, impegnarmi, costruire il futuro del mio paese, assieme ai miei concittadini. Ma se mi chiedi se abbia più a cuore la questione delle elezioni libere o una società più equa, meno discriminatoria e più rispettosa delladignità, che è cosa diversa dai diritti, umana ti rispondo: la seconda” E mi mostra un articolo, con richiamo in prima pagina, sul South China Morning Post (il giornale locale più venduto e che segue con maggior attenzione le vicende di questi giorni). “Famiglie sul piede di guerra: insostenibile l’aumento ottenuto dalle collaboratrici domestiche”. Sembra incredibile: nel paese che sino a qualche anno fa svettava su tutti per il numero di miliardari presenti nella tradizionale classifica di Forbes (oggi superato dalla Cina) c’è chi protesta – con tanto di interrogazioni parlamentari – perché le domestiche (sono oltre 300 mila, soprattuto filippine e indonesiane) hanno ottenuto un aumento di 100 dollari HK (meno di dieci euro) del salario minimo. Che è “balzato”, proprio in questi giorni, da 4.010 dollari HK a 4.110. Circa 400 euro al mese. Meno della metà di quelli in vigore in Europa e un terzo di quello in vigore in Canada.

Non pensavo, venendo qui, di trovare dei giovani che manifestavano, in modo sereno, civile ma anche molto determinato, anche per il salario minimo delle collaboratrici domestiche. In Italia i loro coetanei a malapena sanno cos’è l’art.18. Pensavo fossero in piazza per una libertà che tutto sommato già hanno, per libere elezioni che come tanti altri popoli, non hanno e non avranno ancora per un po’, e per provocare l’odiata Cina.

Rassegnatevi, gufi di tutto il mondo uniti, non è così. Questi giovani non cercano guai, e a meno che qualche leader locale o nazionale non esca di senno e provochi un altro pandemonio, non li troveranno. Piuttosto mi chiedo: ma quando si decideranno, i nostri ragazzi, a “occupare” l’Italia? Così, a prima vista, la situazione mi sembra ben peggiore di quella che c’è qui a Hong Kong.

LA TRAPPOLA DEL RIESAME

http://www.liberodissenso.it/wordpress/?p=703

Un altro colpo di scena: dopo la Cassazione che aveva dato loro ragione, i ragazzi No Tav accusati di terrorismo hanno rinunciato al Riesame. Detta così potrebbe sembrare un controsenso. In realtà la mossa è intelligente.

Gli uffici giudiziari di Torino, nella loro caccia alle streghe, erano riusciti a trasformare persino un istituto a tutela degli indagati, in una trappola. Vediamo cosa è successo.

 Come dovrebbe funzionare

Il tribunale del Riesame è un collegio composto da tre giudici a cui un indagato può ricorrere quando ritiene che la decisione di un gip sia sbagliata. Tre teste pensano meglio di una. Di solito. I tre giudici dell’indagine per terrorismo, tuttavia, avevano preso una serie di cantonate tali che la Cassazione, a maggio, aveva annullato l’ordinanza rimandando le carte al Riesame di Torino perché riformulasse il capo d’imputazione. Logica e correttezza vorrebbe, a questo punto, che a valutare nuovamente il caso vengano chiamati altri tre giudici. Di solito così avviene. Questo per evitare motivi di rivalsa ma anche, diciamolo, per togliere i tre giudici originali dall’imbarazzo di dovere smentire se stessi. Se si tratta di No Tav, tuttavia, viene meno anche l’imbarazzo.

 Cosa è andata invece

La data per il nuovo Riesame, fissata a quasi cinque mesi di distanza, è cambiata tre volte: prima il 2 ottobre, quindi il 29 settembre, infine il 6 ottobre seguendo le richieste di una sola parte, la Procura, visto che alla difesa non è mai stato chiesto un beneamato. Caso vuole che di turno il 6 ottobre ci fosse lo stesso collegio che in prima istanza si era espresso in modo negativo (cambiava solo il relatore).

  Tutto qui? Macché.

 Ti nascondo le carte

Le regole deontologiche dei pm dicono che questi ultimi devono inseguire la verità, ovunque essa porti. Per questo, e per i principi del giusto processo, la Procura non può nascondere prove alla difesa. Un principio a cui, però, si può formalmente ottemperare pur non facendolo nella sostanza. E infatti… La Procura aveva cinque mesi di tempo per depositare nuovi atti. Indovinate quando lo ha fatto? Venerdì 3 ottobre alle 13.30, quando chiude la cancelleria, impedendo di fatto alla difesa di poter visionare le carte fino a lunedì mattina, giorno dell’udienza.

Con il collegio che sappiamo e senza un atto per le mani, gli avvocati scoprono dall’elenco degli atti depositati che si tratta per la maggior parte di documenti e testimonianze esclusi dalla Corte d’Assise perché non pertinenti, suggestivi o per cui è impossibile un contraddittorio.

 Ah, quale mirabile paradosso!

 Non solo grazie alla lentezza degli uffici giudiziari si arriva a valutare se i No Tav dovevano essere incarcerati praticamente quando il loro processo è alle battute finali, ma il Riesame dovrebbe valutare sulla base di materiale che non è nemmeno agli atti del processo. Roba che puzza di trappola lontano un miglio. Sottoporsi di nuovo alla falange procura-riesame già autrice di memorabili perle come il terrorismo per danno d’immagine al Paese? No, grazie. La Cassazione è stata chiara nel tracciare alcuni paletti e chiunque abbia assistito al processo in corso sa cosa è davvero successo quella notte. I ragazzi sono chiari e lineari: non perdiamo tempo.

 Le istituzioni e le conseguenze

Il vero problema è che per evitare questa trappola quattro persone hanno dovuto rinunciare a un loro diritto, un diritto che è costituzionalmente garantito. Criticare questi sotterfugi, siamo sicuri, farà inalberare gli ipocriti benpensanti che si schiereranno a difesa del guscio formale delle istituzioni: non sia mai che si critichi il Sacro Palazzo e quei magistrati “sempre dediti…”, “il cui impegno quotidiano…”, “con l’encomiabile sacrificio nella lotta a…”. Lasciateci dire, pur con questo non schierandoci con chi apprezza certe strutture, che chi ha veramente a cuore le istituzioni non può non domandarsi quanto danno, certe persone operanti al loro interno, stanno arrecando alle istituzioni stesse con questi miseri trucchetti. La credibilità non è una caratteristica a priori, ce la si conquista ogni giorno sul campo.

Dati Eurostat, in Italia persi 7/10 anni di vita in buona salute dal 2004. Pesa la crisi

http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/10/05/dati-eurostat-in-italia-persi-710-anni-di-vita-in-buona-salute-dal-2004-pesa-la-crisi-economica/1138683/#foto-svezia-italia-vita-sana-uomini

Il Fatto Quotidiano

Dieci anni fa gli uomini si ammalavano a 69 anni e le donne a 71, mentre nel 2012 l’età è scesa a 62 e 61. Numeri al di sotto della media europea, che nello stesso periodo ha guadagnato due anni di salute. L’esperto: “La precarietà e le difficoltà economiche sono due delle cause principali”. Controcorrente la Svezia

Dati Eurostat, in Italia persi 7/10 anni di vita in buona salute dal 2004. Pesa la crisi

Il Bel Paese era una terra dove tutto sommato si stava bene, si viveva più a lungo rispetto agli altri Paesi e la qualità della vita era buona. Da qualche anno non è più così. L’Italia è rimasta, sì, una nazione longeva, però secondo i dati dell’Eurostat nel periodo 2004-2012 si è abbassata l’età in cui si inizia a ricorre alle cure mediche per problemi gravi. In media se nel 2004 gli uomini si ammalavano a 69 anni e le donne a 71, nel 2012 gli uomini si ammalano a neanche 62 e le donne a 61. Al di sotto della media europea, dove nello stesso periodo si sono guadagnati due anni di salute, e la soglia si è alzata da 61 a 63 anni.

Il fatto che l’Italia rimanga comunque un Paese longevo (la durata della vita media, di 80 anni per le donne e 85 per gli uomini, è superiore a quella europea, che nello stesso periodo 2004-2012 è di 76 anni per le donne e 82 per gli uomini), dimostra che non si è di fronte a un mutamento antropologico: il problema è per lo più sociale. Tra i primi e pochi medici a prendere sul serio i dati dell’Eurostat (Heidi data tool) c’è il dottor Valerio Gennaro, epidemiologo dell’ospedale San Martino di Genova. “Sono preoccupato perché questo accorciamento della vita sana non era stato previsto (2002-2003), perché negli anni 2004-2005 non è stato segnalato per tempo e perché continua a non esserlo. Si tratta di una omissione di informazione, visto che invece si continua a dire col megafono che l’aspettativa di vita si allunga. Ma questa è un’informazione parziale, poiché la durata della vita e la durata della vita sana sono due informazioni diverse ma complementari e che quindi dovrebbero essere date insieme”.

Per capire quali possano essere le cause di questa tendenza negativa per l’Italia è necessaria una riflessione ad ampio raggio da parte delle istituzioni, visto che sul banco degli imputati c’è la reale situazione della sanità in Italia. “Di sicuro però – sottolinea il dottor Valerio Gennaro – i disagi sociali si riflettono sulla salute. Ci sono diverse di problematiche economiche, ambientali e sociali che influiscono sulle condizioni fisiche: se pensiamo al precariato, ad esempio, sappiamo benissimo che anche pochi mesi di vita instabile e insicura dal punto di vista economico possono modificare lo stato di salute e far emergere problemi, soprattutto su persone fragili. Senza parlare poi delle cause legate all’ambiente: mi riferisco ad esempio alla situazione dell’Ilva di Taranto o alle molte zone dove le falde acquifere sono inquinate da arsenico e altre sostanze nocive”. Con i dati raccolti da un organo super partes (Eurostat-Heidi) l’Europa sta ricordando a tutti che la salute rimane il grande traguardo e che l’economia deve essere uno strumento per migliorarla. “In sostanza – spiega il dottor Gennaro – è come se questi dati ci dicessero: guardate che il progresso si misura con quanta gente riesce a raggiungere la tarda età e riesce a raggiungerla stando bene”.

Di sicuro una delle cause è riscontrabile nella precaria situazione economica internazionale che spesso costringe alcune persone all’indigenza e a condizioni di forte stress lavorativo. Puntare tutto su questo aspetto, tuttavia, è riduttivo. A dimostrarlo c’è l’esempio della Germania. Che se è un modello economico di riferimento per l’Europa, non lo è per quanto riguarda la qualità della vita sana, che – seppur in crescita – rimane bel al di sotto rispetto alla media italiana: gli anni di vita in buona salute dei tedeschi, dal 2004 al 2012, sono passati da 55 a 58 per le donne e da 54 a 57 per gli uomini.

Ma in Europa ci sono anche Paesi virtuosi: NorvegiaSvizzera e Malta, per esempio, hanno registrato un allungamento della vita in buona salute. Un caso in netta controtendenza rispetto all’Italia è quello della Svezia, dove dal 2004 al 2012 la vita sana ha avuto un balzo in avanti: gli uomini sono passati da 62 a 71 anni e le donne da 61 a 71. “Io sono stato in Svezia per curiosità personale, e – commenta il dottor Valerio Gennaro – ho riscontrato una serenità di fondo, dovuta anche al fatto che lì le persone pagano le tasse e ricevono in cambio una serie di servizi che migliorano la qualità dalla loro vita. E pur non essendo uno psicologo o un sociologo, è chiaro che c’è differenza con l’Italia dove c’è un malessere di fondo per il presente e per il futuro”.

NOTA A COMMENTO DEI GRAFICI

Per realizzare lo studio inerente il periodo di vita sana, di anno in anno sono state intervistate migliaia di persone alle quali è stato chiesto se negli ultimi sei mesi hanno avuto problemi di salute così importanti da aver dovuto di fatto cambiare il proprio stile di vita.

PROGETTO CASTOR IN SPAGNA, IL FLOP DEI PROJECT BOND EUROPEI

http://www.recommon.org/castor-spagna-flop-project-bond-europei/

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SCRITTO DA ADMIN IL 06/10/2014. 

 [di Tancredi Tarantino]

Per la Commissione europea doveva essere la trovata del secolo per dirottare fiumi di capitali privati nella costruzione di grandi opere infrastrutturali. Invece, la prima uscita dei project bond è stata un fallimento totale e a farne le spese saranno adesso i cittadini spagnoli, che dovranno sborsare 1,3 miliardi di euro. Non proprio noccioline per uno dei paesi più colpiti dalla crisi finanziaria.

 Alla costante minaccia russa di chiudere i rubinetti del gas nei momenti di maggior tensione geopolitica, Bruxelles e il governo iberico intendevano rispondere con una sorta di magazzino sottomarino dove stoccare ingenti quantità di gas, a cui attingere in caso di emergenza. Ma una serie di terremoti ha affossato il progetto e ora Madrid dovrà risarcire gli investitori privati.

Il progetto Castor, al largo del golfo di Valencia, prevedeva infatti un grande deposito offshore a 1.750 metri di profondità, in grado di stipare fino a 1.300 milioni di metri cubi di gas naturale. Una quantità in apparenza enorme, ma pari ad appena 13 giorni di consumo nazionale.

In Spagna di depositi di gas ce ne sono già tre in attività, ma Castor aveva qualcosa in più. Per finanziare l’opera, il governo spagnolo si era avvalso del 2020 Project Bond Initiative, un programma lanciato nel 2012 dalla Commissione europea e dalla Banca europea per gli investimenti (Bei) per spingere i mercati a investire nelle grandi opere di “interesse comune”.

L’emissione di bond per 1.350 milioni di euro, garantiti dalla stessa Bei, ha permesso al consorzio Escal UGS di trovare in pochi giorni le risorse necessarie per avviare i lavori. A finanziare l’opera sarebbero stati decine di fondi pensione, istituti di credito e fondi di investimento, oltre ovviamente alla Bei che per alzare il rating dei bond ha investito circa 500 milioni di euro di fondi pubblici, di cui 300 milioni nell’acquisto degli stessi bond

L’iniziativa dei project bond altro non è che una versione raffinata di partnership pubblico-privata in cui attori finanziari come fondi di investimento e fondi pensione possono partecipare direttamente all’operazione, dove a socializzarsi sono sempre e soltanto le perdite. Così è stato per Castor, che dei project bond europei era addirittura il progetto pilota.

Quando il consorzio guidato dalla Acs di Florentino Perez, il presidente del Real Madrid, avviò le manovre di immagazzinamento del gas, centinaia di terremoti iniziarono a susseguirsi senza sosta nel paese iberico, con punte fino a 4.2 gradi della scala Richter. Fu lo stesso Istituto Geografico Nazionale ad accertare la relazione tra le iniezioni di gas naturale di Castor e i movimenti tellurici.

Eppure la faglia al largo delle coste valenciane era già stata mappata, e una seria valutazione di impatto ambientale avrebbe dovuto tenerne conto. Così non è stato, e poco importa se sia dipeso da negligenza o da dolo imputabile all’Escal.

Poco importa perché una clausola vessatoria del contratto di concessione, firmato nel 2008 dal governo Zapatero, prevedeva il recupero dell’investimento anche nel caso di interruzione del progetto “per dolo o negligenza dell’azienda concessionaria”.

A causa dei terremoti, la scorsa settimana il governo spagnolo ha quindi deciso di “ibernare” Castor e di indennizzare Escal con 1.350 milioni di euro. Denaro pubblico che servirà per risarcire Escal e per ripagare gli investitori che avevano acquistato i project bond.

A rimborsare il consorzio guidato da Florentino Perez sarà il gestore pubblico del gas, Enagas, che si indebiterà con le banche per pagare Escal e poi girerà il debito ai cittadini spagnoli, che per i prossimi 30 anni si ritroveranno nella bolletta del gas una tassa in più da pagare: la “tassa project bond”, come l’hanno già rinominata tra Barcellona e Valencia.

Un’operazione che tra bond emessi, interessi alle banche e costi di mantenimento della piattaforma offshore, rischia di costare ai contribuenti quasi 3miliardi di euro.

Una cifra enorme che dovrebbe mettere in allerta anche il governo Renzi che, attraverso lo “Sblocca Italia”, intende rilanciare il meccanismo dei project bond. Una misura contro la quale è intervenuto addirittura il presidente dell’Autorità anticorruzione, Raffaele Cantone, che pochi giorni fa ha evidenziato i gravi rischi sul piano della normativa anti-riciclaggio, sottolineando peraltro l’inefficacia dello strumento promosso dalla Bei.

Chissà se la lezione spagnola ci eviterà almeno questo nuovo grattacapo.

Ucraina e Isis: il vice di Obama rivela (per sbaglio) la verità

http://megachip.globalist.it/Detail_News_Display?ID=110372&typeb=0

Ecco come certe informazioni non girano sui media occidentali. Niente manipolazioni né censure: chi sa le logiche dei media li orienta a volontà [Marcello Foa]

 


Redazione 
domenica 5 ottobre 2014 21:45

di Marcello Foa.

Questo è un esempio di come certe informazioni non circolino sui media occidentali. Un amico che pesca molto bene online mi ha inviato la segnalazione di alcuni articoli che recavano un titolo forte: “Il vicepresidente americano Joe Biden ammette di aver obbligato i Paesi europei ad adottare le sanzioni contro la Russia”.
Come mio dovere, verifico le fonti. E scopro che a dare questa notizia sono Russia Today e altre agenzie di stampa russe. Da esperto di spin mi sorge il dubbio che si tratti di una strumentalizzazione da parte di Mosca. E verifico ulteriormente. In pochi minuti.
Sì, Biden ha tenuto un lungo discorso sulla politica estera all’università di Harvard, discorso a cui i media americani hanno dato ampio spazio ma per evidenziare una battuta, anzi una gaffe su quanto sia frustrante fare il vicepresidente, espressa con un linguaggio molto colorito. Negli articoli, però, nessun riferimento alla frase sull’Europa.
Allora indago ulteriormente, vado sul sito della Casa Bianca dove è pubblicata la trascrizione integrale del discorso di Biden. E, come potete verificare voi stessi, la frase riportata dai media russi è corretta e l’indifferenza con cui è stata accolta dai media occidentali, ma anche europei significativa. Praticamente nessun giornalista ha saputo valutare la portata delle dichiarazioni di Biden. Il che è grave professionalmente, ma non sorprendente: a dare il tono sono state le agenzie di stampa e le tv all news che si sono soffermate sull’aspetto più leggero e sensazionale ovvero la gaffe di Biden; tutto il resto è passato in secondo piano. Anche sulla stampa più autorevole. Perché Biden poteva reggere un titolo, non due. E quelle dichiarazioni formulate nell’ambito di un lungo discorso in cui Biden ha toccato molti aspetti. Gli spin doctor della Casa Bianca si sono ben guardati dall’evidenziarle e sono scivolate via assieme ad altre.
Nessuna manipolazione, nessuna censura: se conosci le logiche e le debolezze dei media puoi orientarli a piacimento. Negli Stati Uniti, ma anche in Europa.
In realtà le dichiarazioni di Biden sono davvero sensazionali,una gaffe in termini diplomatici:

“Abbiamo dato a Putin una scelta semplice: rispetta la sovranità ucraina o avrai di fronte gravi conseguenze. E questo ci ha indotto a mobilitare i maggiori Paesi più sviluppati al mondo affinché imponessero un costo reale alla Russia.   “E’ vero che non volevano farlo. E’ stata la leadership americana e il presidente americano ad insistere, tante di quelle volte da dover mettere in imbarazzo l’Europa per reagire e decidere per le sanzioni economiche, nonostante i costi”.

L’ammissione è fortissima: è stata l’America a costringere l’Europa a punire Putin, contro la sua volontà.
Poi un’altra strabiliante ammissione, sull’Isis, che l’America combatte con toni accorati salvo poi ammettere che il pericolo per gli stessi americani non è così rilevante:

“Non stiamo affrontando un pericolo esistenziale per il nostro stile di vita o la nostra sicurezza. Hai due volte più possibilità di essere colpito da un fulmine per strada che di essere vittima di un evento terroristico negli Stati Uniti”.

Dunque l’Isis non è una minaccia seria, così come non lo è più il terrorismo negli Stati Uniti.
Quando qualcuno dice la verità – e chi più di un vicepresidente americano? – il mondo appare molto diverso rispetto alla propaganda ufficiale. In Ucraina e sul terrorismo.
Ma se i media non ne parlano, la propaganda diventa, anzi resta apparente verità. E la vera verità limitata ai pochi che la sanno davvero cogliere e trasmettere.


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Fonte:  http://blog.ilgiornale.it/foa/2014/10/05/ucraina-e-isis-il-vice-di-obama-rivela-per-sbaglio-la-verita/.

Frutti d’agosto ad Alessandria,centrale di Bosco Marengo

Ritrovamento nel territorio di Alessandria, non si tratta di reperti archeologici, ma di fusti radioattivi interrati.

di Valsusa Report.

Nell’agosto 2014, durante delle attività di scavo, SO.GI.N ha rinvenuto materiali interrati nell’area di rispetto all’interno del sito dell’impianto nucleare di Bosco Marengo (AL).

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Il rinvenimento di materiali interrati ha fatto scattare il controllo dell’Arpa Piemonte presso il sito nucleare, i risultati delle analisi eseguite sono stati pubblicati il 2 ottobre 2014. Presente al sopralluogo ISPRA nell’ambito del protocollo operativo in atto tra ISPRA e l’Agenzia. L’ispezione, ha prelevato, a cura di personale SO.G.I.N., cinque campioni di terreno. I campioni sono stati omogeneizzati e suddivisi in due aliquote, una per Arpa Piemonte ed una per SO.G.I.N. Le analisi radiometriche eseguite hanno evidenziando la necessità di indagini di approfondimento, sono stati prelevati campioni di suolo e del coibente di un fusto.

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Nel rapporto dell’agenzia si rilevano stranezze, dato il valore medio di radioattività del suolo sui terreni di “suolo indisturbato” e “suolo coltivato”, come da tabelle riportate 1 e 3, la relazione parla di “origine naturale”,  pare strano al lettore che l’origine naturale si trovi dentro dei fusti. Ma grave può essere che nel rapporto si parli di U-235 che è appunto il combustibile primario delle centrali nucleari, quindi i materiali sono di provenianza della centrale, chi e perchè li ha interrati?

V.R. 4.10.14

Perchè Chiara, Claudio, Mattia e Niccolò hanno rinunciato al riesame

post 6 ottobre 2014 at 12:44

Schermata 2014-10-06 alle 12.44.13All’udienza di questa mattina avanti al Tribunale, quale giudice di rinvio dopo l’annullamento della precedente ordinanza disposto dalla Corte di Cassazione nel maggio scorso, gli imputati hanno rinunciato alla richiesta di riesame a suo tempo presentata.

Si tratta di una decisione frutto di un’approfondita discussione con i propri legali, fondata su una serie di osservazioni che si possono così sinteticamente riassumere:

  • nonostante gli atti del procedimento cautelare fossero giunti a Torino già all’inizio di luglio, l’udienza è stata fissata solo ad ottobre, con ogni probabilità in sintonia con la richiesta della Procura di procedere a nuove indagini;
  • vi è stato un duplice spostamento della data dell’udienza: il primo su richiesta della Procura, senza nemmeno interpellare la difesa, il secondo giustificato con una motivazione generica ed apparente che fa riferimento a non meglio circostanziate esigenze dell’ufficio;
  • tale ultimo spostamento ha modificato la composizione del collegio giudicante che oggi era formato da 2 giudici su 3 che avevano rigettato la precedente richiesta di riesame con l’ordinanza poi annullata dalla Cassazione, mentre evidenti ragioni di opportunità avrebbero imposto una diversa composizione del collegio, tenuto conto, oltretutto, che compito del tribunale era quello di riaffrontare la questione della configurazione giuridica di alcuni tra i reati contestati, che già aveva deciso, in conformità all’impostazione della procura della repubblica;
  • il dato più significativo, peraltro, risiede nell’ormai prossima definizione del processo avanti alla Corte d’Assise di Torino, che dovrebbe pronunciare la sentenza entro la fine del mese di novembre e che giudicherà su elementi di prova formati nel confronto tra le parti in dibattimento, la cui qualità e rilevanza è ben maggiore di quelli assunti unicamente dalla P.G. o dalla Procura, in assenza di contraddittorio, quali quelli sottoposti oggi all’attenzione del tribunale;
  • va, inoltre, segnalato come solo venerdì 3 ottobre, nel primo pomeriggio, i Pm abbiano provveduto a depositare per imputati e difensori l’esito di proprie ulteriori investigazioni: si tratta di materiale di poco rilievo, quasi interamente raccolto all’inizio di settembre (eccezion fatta per documentazione prodotta ai Pm dalla parte civile, curiosamente proprio lo steso 3 ottobre), inutilizzabile in ogni caso nel giudizio avanti alla Corte d’Assise, che però avrebbe comunque dovuto essere depositato immediatamente nella segreteria della procura, secondo quanto disposto dal secondo comma dell’art. 430 c.p.p., e ciò a dimostrazione ancora una volta della   scarsa attenzione ai diritti della difesa.

L’udienza di oggi non avrebbe, in ogni caso, potuto comportare alcuna modifica in ordine alla libertà personale degli imputati. Il terreno di confronto era, infatti, ristretto alla qualificazione giuridica di alcuni reati, che è uno dei temi sui quali si dovrà esprimere a breve la Corte d’assise, con la più ampia cognizione di causa.