Se i piloti israeliani si rifiutano di bombardare Gaza

Dopo i cento morti della giornata del 20 luglio nel corso dell’attacco israeliano a Gaza, ci siamo chiesti se i soldati israeliani si siano mai rifiutati di obbedire agli ordini militari. Abbiamo scoperto che rifiutarsi di servire l’Israel Defense Forces (Idf), l’esercito israeliano, o disobbedire agli ordini sul campo di guerra è possibile. Ed è già successo. Anche tra le celebrità del Paese (vedi il caso contestatissimo della modella Bar Refaeli, che avrebbe celebrato un falso matrimonio per dribblare la leva http://nypost.com/2010/01/14/bar-refaeli-dodged-army-duty-israeli-general-claims/ ).
In Israele esiste la leva obbligatoria di tre anni per gli uomini e due per le donne. Non sono obbligati a svolgere la leva militare gli ebrei ultraortodossi, anche se una legge del marzo 2014 (http://forward.com/articles/194309/israel-lawmakers-vote—to-end-blanket-ultra-or/ ) – che verrà implementata solo nel 2017 – ha eliminato questo privilegio. Nel corso della storia, però, ci sono stati diversi israeliani che si sono rifiutati di prendere parte all’esercito. È successo con il gruppo Shministim ( http://www.whywerefuse.org/ ) , nato nel 2001, che nasce sulle orme di un altro gruppo di studenti delle superiori prossimi alla leva militare che già nel 1970 avevano espresso il loro parere negativo sull’occupazione di Gaza e della Cisgiordania. Molti di loro sono finiti in carcere e tra questi c’era anche la figlia di un ufficiale del Mossad.
È successo anche durante la guerra in Libano, quando il movimento Yesh Gvul (http://en.wikipedia.org/wiki/Yesh_Gvul ) si rifiutò di prendervi parte. Alcuni di loro finirono davanti alla corte marziale e nelle prigioni militari. L’ultimo rifiuto è quello dei cosiddetti refusenik, un gruppo di 50 studenti che all’inizio di marzo 2014 ha scritto una lettera a Benjamin Netanyahu, dichiarando di opporsi al servizio di leva militare obbligatorio.
Diverso invece è il caso di coloro che hanno accettato di entrare nell’esercito, pur rifiutandosi di prendere parte alle operazioni nei territori palestinesi. Nel 2002, nel mezzo della seconda Intifada, 51 riservisti (quelli che svolgono il servizio solo un mese ogni anno ma possono essere richiamati in situazioni di guerra) hanno firmato la “Combatants’ Letter” ( http://www.seruv.org.il/english/combatants_letter.asp ) , nella quale dichiarano il loro rifiuto «di combattere oltre i confini del 1967 al fine di dominare, espellere, affamare e umiliare un popolo intero». Ecco il testo della lettera:
Siamo piloti e ufficiali da combattimento dell’Esercito israeliano, che sono cresciuti sulla base dei principi del Sionismo, sacrificando se stessi per la popolazione e lo Stato di Israele, che hanno sempre servito sulle linee del fronte, e che erano i primi a portare a termine ogni missione per proteggere lo Stato di Israele e rafforzarlo;
Noi, piloti e ufficiali combattenti che hanno servito lo Stato di Israele per molte settimane ogni anno nonostante il caro costo per le nostre vite personali, siamo stati impegnati nei Territori occupati, e siamo stati assoggettati a comandi e direttive che non avevano niente da fare con la sicurezza del nostro Paese e che avevano la sola proposta di perpetuare il nostro controllo sulla popolazione palestinese;
Noi, i cui occhi hanno visto il bilancio sanguinario di questa occupazione da entrambi i lati;
Noi, che avvertiamo che i comandi che ci vengono dati nei Territori occupati distruggono tutti i valori e corrompono l’intera società israeliana;
Noi, che capiamo ora che il prezzo dell‘occupazione è la perdita del carattere umano dell’esercito israeliano e la corruzione dell’intera società israeliana;
Noi, che sappiamo che i territori palestinesi non sono parte di Israele, e che tutte le colonie sono obbligate a essere sgomberate;
Noi, con la presente dichiariamo che non continueremo a combattere questa guerra delle colonie;
Noi non continueremo a combattere oltre i confini del 1967 per dominare, espellere, affamare e umiliare una intera popolazione;
Noi con la presente dichiariamo che continueremo a servire l’esercito israeliano in ogni missione per la difesa di Israele;
La missione di occupazione e oppressione non serve questo obiettivo – e noi non ne prenderemo parte.
Una lettera simile è stata firmata e sottoscritta da 27 piloti, un anno dopo, nel settembre 2003. L’idea della lettera nacque dopo che il bombardamento finalizzato a uccidere Saha Shehade, uno dei leader di Hamas, aveva causato numerose morti tra i civili. La sua abitazione era circondata da altri 14 edifici, che vennero colpiti comunque. Ecco la lettera nota come Pilots’ Letter:
Noi, piloti dell’Air Force cresciuti sui valori del sionismo, del sacrificio e del contributo allo Stato di Israele, abbiamo sempre servito il nostro Paese sulle linee del fronte e siamo sempre stati disposti ad affrontare ogni missione per difendere e rafforzare lo Stato di Israele;
Noi, veterani e allo stesso tempo piloti attivi, che abbiamo servito e ancora serviremo lo Stato di Israele per lunghe settimane ogni anno, ci opponiamo a portare a termine ordini di attacco che sono illegali e immorali del tipo di quelli che Israele sta conducendo nei territori palestinesi.
Noi, che siamo cresciuti amando lo Stato di Israele e abbiamo contribuito alla causa del sionismo, ci rifiutiamo di prendere parte negli attacchi dell’Air Force sui centri in cui vive la popolazione civile. Noi, che crediamo che l’esercito israeliano e l’Air Force siano parti inalienabili di noi stessi, ci rifiutiamo di continuare a colpire civili innocenti;
Queste azioni sono illegali e immorali, e sono il risultato diretto dell’occupazione in corso che sta corrompendo la società israeliana. Perpetuare l’occupazione significa inevitabilmente colpire la sicurezza dello Stato di Israele e la sua forza morale;
Noi che serviamo come piloti attivi – combattenti, leader, e istruttori delle prossime generazioni di piloti – con la presente dichiariamo che continueremo a servire l’esercito israeliano e l’Air Force in ogni missione in difesa dello Stato di Israele.
Dopo queste parole, seguirono poi quelle della Commandos’ Letter nel dicembre 2003 indirizzata al primo ministro Ariel Sharon, in cui 13 riservisti si rifiutarono di prendere parte all’occupazione e alla “violazione dei diritti umani dei palestinesi”. Dalla parte opposta, ci sono stati anche diversi coloni che nel 2005 si sono rifiutati di aderire al piano unilaterale di sgombero delle colonie israeliane dalla Striscia di Gaza.
Lidia Baratta
21.07.2014
Se i piloti israeliani si rifiutano di bombardare Gazaultima modifica: 2014-07-23T10:29:57+02:00da davi-luciano
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