LA RAGNATELA

da www.fulviogrimaldicontroblog.info:  

DOMENICA 29 GIUGNO 2014

RAGNATELA Tranquilli, è lungo, ma giuro che non mi ripresento prima di una settimana

“Ecco dunque un principio essenziale: insegnare i dettagli significa portare confusione. Stabilire la relazione tra le cose, significa portare la conoscenza” (Maria Montessori)

Le amazzoni del fattucchiere ciarlatano

Il caravanserraglio di giostrai da strapaese, con  per direttore un coniglio mannaro in ghingheri e lustrini che urla “venghino signori!” ed esibisce ai bifolchi a bocca aperta le buffonate dei suoi nani (dell’intelletto) e gli zompi imbranati delle sue ballerine – rispetto a quelli del guitto mannaro è cambiata solo la scenografia –, di peggio ha solo la banda di sicofanti che in musica ne sostiene le funambolerie per gonzi. Una marcetta assordante, in perfetta armonia cacofonica, dal piffero del foglietto sinistro alla grancassa del giornalone dei satrapi.Tuttavia, ai cafoni portati alla quinta elementare da maestri diplomati ad Arcore, subito accorsi in massa in piazza, pare musica celestiale, tanto da farsene travolgere tutti in trance estatica, come tanti dervisci. Tanto da non sentire neanche una parola del complesso di rappers che, dall’alto della collina, spara versi a raffica contro i trucchi, gli imbrogli, gli espedienti da quattro soldi, della sbrindellata compagnia di giro.

Pare, in queste ore, che di tali eccellenze dell’illusionismo ne possa essere prestata una al megaimpresario puparo di Bruxelles. Federica Mogherini, chierichetta dell’alto sacerdote americano nella celebrazione di sacrifici umani, offerti perché il dio riconfermi agli Usa la loro eccezionalità che tutto può  e di tutto è impunito. Eccezionalità  che un po’ stinge anche sulla servitù, non aveva perso tempo ad ingraziarsi la candidatura a ministra egli esteri UE. La compagna di turibolo, Roberta Pinotti, le aveva creato un ambientino favorevole promettendo o spedendo armigeri italiani in Ucraina, in Centrafrica, ancora e sempre in Afghanistan, Libano, Kosovo e, dove occorresse, anche in Brunei, a dare una lezione a quel sultano che, come tutto il mondo a est e sud di Santa Maria di Leuca, minaccia gli interessi dell’Italia. Con la velocità del toscano bullo di sapone, quell’incrocio tra il mago Otelma e il clown di “SAW”, che punta a battere il record mondiale delle tot bolle di sapone al secondo, questa burattina con la spada di latta sta piazzando i suoi marò ai quattro angoli del pianeta. Per la Mogherini, che deve nobilitare le frenesie belliciste della collega con argomentazioni geopolitiche degne degli obiettivi, la strada per sostituire Catherine Ashton come pupazzo del ventriloquo di Washington, dovrebbe essere spianata.

Tutto questo per dire che la situazione è tanto grave quanto poco seria. E’ addirittura ridicola a vedere come le logge sorelle, media e politici, nell’immane macello in corso da un continente all’altro, sempre nell’evidenza abbagliante e ormai storica della manina o manona USraeliana, o incapaci, per incompetenza, di individuare il quadro generale in cui i singoli episodi si collocano, o addestrati a offuscarlo, per complicità, non stabiliscano il minimo collegamento tra un fattaccio e l’altro. Fissano la tessera e non vedono il mosaico. Si parla di Iraq e ISIL e ci si ferma lì. Si racconta della scomparsa dei tre adolescenti sionisti a Hebron e della successiva mazzata repressiva israeliana, e non si guarda al di là del naso puntato su quegli avvenimenti. Così con l’Ucraina, la Siria, la Libia, il Sahel e via elencando i roghi accesi nel mondo. C’è qualcosa che collega la sedizione contro il governo chavista in Venezuelas a Majdan, o le carneficine di Boko Haram in Nigeria con quelle dell’ISIL in Iraq? C’è un filo rosso? C’è una strategia?

montessori

 Maria Montessori

Il mondo con gli occhi di Maria Montessori

Maria Montessori, la migliore pedagoga e maestra che l’Italia abbia avuto e che amo citare spesso, aveva dato ai suoi scolari la chiave di lettura del mondo insistendo, non tante sulle cose e sui fatti, quanto sulle connessioni tra essi. La maturazione e l’emancipazione veniva dalla complessità  Ma quelli che da trent’anni lavorano alla demolizione della scuola italiana e di chi la frequenta, quelli delle conoscenze specialistiche e settoriali, insegnano a guardare solo ai singoli fili della ragnatela, facendo in modo che l’invisibile Vedova Nera, che la ragnatela la tesse, possa continuare a lavorare e a divorare chi vi finisce dentro. Cancellare dall’insegnamento la storia dell’arte, come ha fatto la ministra renziana, completando il lavoro dei suoi predecessori che avevano già fatto fuori geografia e filosofia, corrisponde alla strategia decerebrante di recidere i nervi che collegano e uniscono le componenti dell’organismo vivente e, quindi, di farlo funzionare in armonia. La classe dirigente politica e mediatica è la vedova nera. Esce da quella scuola e la perpetua.

Vediamo gli ultimi sviluppi e, alla fine, in che insieme si inseriscono. Risalendo per i fili e non facendosene avvolgere, si raggiunge il centro della ragnatela.

La direttrice sud

Le superarmate, addestrate, finanziate e organizzate milizie del più demenziale integralismo jihadista internazionale continuano, pare ora più ostacolate, ad avanzare e consolidare, sterminando civili e imponendo schiavismi fondamentalisti, la presa sulla fetta sunnita dell’Iraq. L’Iran, al di là delle proteste e, forse, dell’invio al fratello scita Maliki, premier dimezzato, di qualche genere di conforto a scoppio e alcuni pasdaran, non pare agitarsi troppo. Tiene troppo all’accordo con gli Usa sul nucleare (abbandonato) e sulle sanzioni (sempre in vigore).  Anche il cosiddetto Esercito del Mahdi, del chierico scita Moqtada al Sadr, quello che viene ricordato come massima resistenza agli occupanti Usa, si è per ora limitato alle parate in Sadr City (già Saddam City), ma non risulta aver dato battaglia all’invasore. In compenso, con mossa tempestiva, è entrata in scena la Russia che ha promesso a Maliki vari tipi di aiuto, tanto che il premier filo-iraniano ha potuto annunciare il prossimo impiego di caccia russi Sukoi contro la marea sunnita. Impiego già preceduto dai cacciabombardieri siriani che hanno martellato i posti di confine occupati dall’ ISIL. All’ISIL, intanto, nel perseguimento della fascia wahabita dall’Arabia Saudita all’Iran, i soliti padrini hanno commissionato l’estensione dell’offensiva al Libano. Grande soddisfazione ha registrato Israele per i nuovi attentati contro Hezbollah.

Isil

Quanto agli Usa, difensori dei diritti umani, contro i terroristi islamisti, non hanno fatto ancora alzare neanche uno dei promessi droni e, a Baghdad, Kerry, sostenuto da 500 pretoriani spediti da Obama, fa capire che “l’iraniano” Maliki, o include sunniti e curdi nel regime e si distanzia così dall’Iran, o è meglio che si rifugi a Tehran. Ma è un bluff, tanto per far credere che i jihadisti utilizzati per la tripartizione dell’Iraq, non sono in missione USraeliana. I curdi, lietissimi degli eventi, si tengono Kirkuk – mai stata curda, ma massimo centro petrolifero e terminale dell’oleodotto verso Haifa -, allargano la loro presa oltre i territori curdi e, protettorato israeliano da decenni, assicurano le forniture a Israele e soci. Intanto la resistenza baathista, che la  guerra di liberazione la faceva sul campo, e non solo nelle moschee come Moqtada, dopo essersi allineata all’ISIL, in odio al repressore Maliki e al nemico storico iraniano, ora pare prendere le distanze da chi propone una società che sta a quella socialista e laica di Saddam come Voltaire a Savonarola. A Mosul si è arrivati allo scontro. Sviluppi imprevedibili.

Di Siria si parla poco, un po’ perché l’esercito nazionale sta recuperando terreno ovunque, un po’ perché il terrorismo stragista con cui l’opposizione armata rimedia agli arretramenti, è per l’Occidente, che lo sostiene, più imbarazzante rispetto alle esecuzioni, distruzioni, stupri, matrimoni coatti a ore con donne del luogo, attribuiti agli sgherri dell’ISIL e su cui l’Occidente arriccia il naso. Diversamente dalle imprese dei terroristi in Siria, di queste ci si può adontare, visto che gli Usa, mandanti di entrambe, raccontano ai gonzi di trovarli sporchi, brutti e cattivi. E perché a nessuno venga in mente che questi surrogati delle guerre imperialiste ad alta o bassa intensità possano avere a che fare con Cia o Mossad, ecco che ai boss dell’ISIL è stato fatto dichiarare che il loro obiettivo supremo è la “liberazione della Palestina” e la cacciata di tutti gli ebrei a forza di mazzate atomiche (strano, allora, che Israele si adoperi, nelle sue cliniche sul Golan, a ricucire i miliziani jihadisti feriti in Siria). Vedrete che fra un po’, raffreddandosi l’attrito con la Russia per via dei dissapori con i tedeschi, che non vogliono perdere gas e mercati, e per via anche delle mosse economico-politico-diplomatiche di Putin (il gas bloccato agli ucraini già in rovina e suscettibili di sollevarsi contro la giunta installata da USA-UE, il nuovo blocco strategico euroasiatico, la liquidazione del dollaro), l’élite cannibale occidentale dovrà liberarsi del picciotto nazista e accuserà Pravy Sector di esagerare puntando anche alla Cancelleria del Reich.

israele repressione

 False flag con stella di Davide

Molto si parla, invece, dei tre giovani integralisti sionisti di Hebron che Netaniahu, rapitore eccellente di migliaia di palestinesi, tra bambini e ottuagenari, dichiara con ogni evidenza sequestrati da Hamas (che smentisce e sta, del resto, come la stessa ANP di Abu Mazen, al guinzaglio dell’ufficiale pagatore qatariota). Questo crimine attribuito al “terrorismo palestinese”, insieme ai clamori che imperversano sui fatti iracheni, è l’ennesima arma di distrazione di massa. Ha costituito l’occasione ideale per un ripulisti della residua militanza palestinese e per l’ulteriore intimidazione-passivizzazione della popolazione. Il maglio repressivo abbattuto sulla Cisgiordania, la decapitazione della dirigenza parlamentare di Hamas, il rastrellamento di “sospetti”, con occasionale fucilazione, nei quartieri e campi palestinesi, altre migliaia di abitazioni per coloni fascisti incistate nel residuo 12% della Palestina, dovrebbero dare la mazzata finale all’antipaticissima riconciliazione Fatah-Hamas, al  conseguente, ancora più indigeribile, governo di unità nazionale.

 E’ in corso una serie di  “notti dei cristalli” da far invidia a Hitler. E quanti soldi scommettereste sulla sopravvivenza di quel che resta della Palestina se i tre scomparsi venissero ritrovati morti? Né gli Usa, né Israele, né altri regimi criminali hanno mai esitato a sacrificare la propria gente qualora servisse a demonizzare le loro vittime. Ed è strepitoso qui il vate giornalistico Furio Colombo, uomo Usa, Fiat e Sion, che mente dicendo che i “presunti colpevoli” non avrebbero negato una loro responsabilità (lo ha fatto ufficialmente Hamas) e non solo annuncia una micidiale rappresaglia, ma arriva a piangere sul soldato Gilad Shalit (fatto prigioniero dai palestinesi) e sull’intera Israele nella sua “solitudine” di fronte agli ignavi del mondo. Trascurando le decine di migliaia di palestinesi sequestrati nel corso degli anni e rinchiusi a tempo indeterminato in “detenzione amministrativa”.

 Di suo, Abu Mazen, da 4 anni illegittimo presidente, ci mette il coordinamento repressivo dei suoi sbirri con le SS di Tsahal. E centinaia di prigionieri palestinesi in detenzione amministrativa (senza fine e senza processo) hanno terminato lo sciopero della fame in cambio di un piatto di lenticchie. Che, secondo il costume israeliano, non arriverà neppure. Ce n’è perché le varie prefiche della solidarietà con i palestinesi, purchè non violenti, purchè sofferenti e sanguinanti, ma inoffensivi, sollevino le loro geremiadi e si vellichino così la coscienza, lasciando tutto com’è. Il compito prioritario degli amici della Palestina dovrebbe invece essere la denuncia dei tradimenti di Abu Mazen e di tutto l’ANP e la complicità delle organizzazioni OLP con il genocidio dei palestinesi. Complicità che passa attraverso la totale subordinazione a chi impingua la cosca dirigente palestinese, gli Usa e il Qatar, e attraverso il sostegno a questi distruttori di Libia e Siria, ultimi bastioni della solidarietà attiva al popolo palestinese. Corollario di tutto questo dovrebbe essere una campagna mondiale, altro che flottiglie, per la liberazione degli unici dirigenti palestinesi integri, Marwan Barguti di Fatah e Ahmed Saadat del FPLP. Questa sarebbe solidarietà con il popolo palestinese. Abu Mazen

( E qui inserisco un ottimo commento del mio interlocutore sul blog Alex1 sul mio post “IRAQ, FALSE FLAG“:

Cosa dite della manifestazione di Amnesty, CGIL, Salam ragazzi dell’olivo e compari (5 luglio a Vicenza) con tanto di digiuno apparentemente a sostegno dello sciopero della fame dei prigionieri politici palestinesi che richiede “l’immediata liberazione dei tre ragazzi di Hebron” in cambio della liberazione o quanto meno di (udite udite!) un “giusto processo” ai 200 detenuti palestinesi nelle carceri israeliane? Non sa di opportunismo e di democratically correct, andando di fatto a sostenere la legittimita’ dell[occupazione militare israeliana con la costruzione di muri e lo smantellamento, lento ma inesorabile, dei villaggi palestinesi, ma solo denunciandone casomai “gli eccessi” dell’azione repressiva preventive dell’ “unica democrazia” del Medio Oriente, come se una prigionia a carico di migliaia di giovani palestinesi fosse un evento naturale ed comunque accettabile se sancita da un tribunale israeliano? Incoraggio tutti a denunciare e boicottare tali organizzazioni, pacifiste nei confronti delle vittime, ma pronte a ringhiare contro I “paesi dittatoriali” presi di mira dalle potenze imperialiste. Piu’ onesta sembra invece una manifestazione a favore degli ucraini del Donbas a Verona il 1 luglio, con tanto di partecipazione di esponenti del partito comunista ucraino al centro Tommasoli. Scusate se faccio un po’ di pubblicita’”).

 Ci sarebbe da dire del rilancio, anche col falso pretesto dei jihadisti in Iraq, della campagna antislamica scatenata dai media, parallela ed equipollente di quella russofobica, con la montatura di mistificati provvedimenti giudiziari, ovviamente  con vittime donne, nei paesi-canaglia Iran e Sudan. E’ la nota e screditatissima formula Sakineh e Neda Soltan. Ricordiamoci sempre che sullo sfondo di culture di cui non condividiamo le espressioni di genere ci stanno gli oceani di sangue delle donne sterminate nei paesi da ricondurre alla “democrazia”.Nel quadro rientrerebbero anche gli interventi colonialisti in Africa di Francia e partner maggiori e minori (Italia), con le spedizioni occidentali affiancate in Centrafrica da bande di cristiani che fanno stragi di musulmani (curiosa inversione dei fattori senza che il risultato cambi) e, in Mali, con i Tuareg in lotta di liberazione, ma fatti passare per Al Qaida. Ma passiamo al Nord.

 La direttrice Nord

Il regime di Kiev, con i suoi fondamenti nazisti che risorgono dai fasti del collaborazionista hitleriano Bandera, ha gli occhi fissi sul fondo del baratro. Alla stagnazione dell’offensiva di pulizia etnica nel Donbass (o Donbas) dell’Ucraina russa, dovuta alla resistenza degli antifascisti, sicuramente rimpannucciata da Mosca, si aggiunge il blocco dei rifornimenti di gas russo e una situazione finanziaria in pieno, seppure mascherato, default. Non vi pongono rimedio né il miliardo di dollari promesso da Obama per costruire un efficiente mercenariato locale della Nato, né i 17 miliardi promessi dal FMI “a condizione che i burattini di Kiev si riprendano l’Est”. Così il cioccolataio miliardario Poroshenko, rigurgito del golpe, constatato che né le brigate nere di Pravy Sector travestite da “Guardia Nazionale”, né le cannonate, le bombe e i missili sulla popolazione di Donetz, Lugansk, Slavijansk, schierata con le Repubbliche Popolari, risolvevano l’impasse e neppure provocavano l’intervento formale  di Putin che avrebbe consentito la guerra Nato alla Russia, si acconciò a una finta promessa di tregua. Cortina di fumo che non impediva agli stragisti di Odessa di proseguire l’aggressione nel Donbass, Putin, comunque, lo ha preso in parola e ha chiesto al parlamento di annullare il nulla osta a un intervento militare in Ucraina.

 Il che ha preso in contropiede tutti i tenori e coristi che si affannano a denunciare e sanzionare Mosca per le sue “interferenze” in Ucraina. Il classico caso del bue che dà del cornuto all’asino. E a intralciare ulteriormente la marcia degli scarponi chiodati nazi-imperialisti è venuta la creazione dell’accordo economico, finanziario e addirittura militare tra le massime potenze del blocco eurasiatico, con appresso l’interessamento dei BRICS. Una coalizione che sfugge al controllo Usa e che rappresenta il più grande blocco geografico, demografico, industriale, di risorse del mondo. La risposta ordinata all’UE dai burattinai USA è stato l’inglobamento, con il trattato di associazione, di Georgia, Moldavia e Ucraina. Quanto ai primi due paesi, sperimenteranno sulla propria pelle cosa vuol dire essere periferia dell’Unione. Come la Grecia e gli altri meridionali, verranno spolpati dalle multinazionali e imprigionati nel fiscal compact e nelle altre camere della morte di BCE e Bruxelles. Per l’Ucraina è stata sancita la spaccatura del paese in due, la mano morta della Monsanto sulla sua ricca agricoltura, la perdita del suo apparato minerario e industriale, tutto nell’Est. Così, di fronte a un imperialismo che  ha in mano scartine come mezza Ucraina, Georgia, Azerbajan e i rottami dell’Est-Europa ex-comunista, sta uno schieramento che non teme confronti nel mondo e, in particolare, nell’ansimante sfera euroatlantica. Russia, Cina, Kazakhistan, Kirghizistan, Bielorussia, Armenia, Iran, più le entità separatiste filo-russe di Abkhazia e Ossezia del Sud, tutti pronti ad affossare il dollaro e a sostituirlo con Yuan e rublo.

 putin

Islamofobia là, russofobia qua: le armi del ragno

La campagna russofoba commissionata alle donne di servizio mediatiche, dalla quale si ergono anche i vessilli sbrindellati dei dirittoumanisti di sinistra, interpretata la presunta “moderazione” dello “zar di tutte le Russie” come finta per depistare dal progetto di ricreare il mostro URSS, non per questo si placherà. Sui blocchi di partenza si stanno scaldando le Pussy Riot, le Femen albergate da Hollande in alcove parigine, le squittanti e sgargianti brigate GLBT. Eccellono nell’operazione i russofobi del “manifesto”, nei quali l’avversione a Mosca è nipote di quel viscerale anticomunismo che usava mascherarsi da anti-stalinismo. Ci sono amici della “società civile” afghana, ovviamente occidentalizzante, come Giordana e Battiston, che convivono sereni con l’occupazione imperialista, ma aborrono i Taliban. Ultimamente si sono distinti per lo sfrenato tifo per Ashraf Ghani, già dirigente della Banca Mondiale e candidato presidenziale designato dalla cupola militar-finanziaria occidentale come massimo garante dell’ulteriore spolpamento del paese. Insomma una specie di Monti, o Draghi. Gli è andata male perché le denunce da parte dell’altro, meno affidabile, candidato, Abdallah Abdallah, di brogli colossali a favore di Ghani, sono state convalidate da prove inconfutabili.

 Menzione speciale al merito degli interessi USraeliani va a un autentico fenomeno della creatività giornalistica ansiosa di fare da zeppa sotto il tavolino traballante del menzognificio imperial-sionista. Guido Caldiron, che già nel fortunatamente defunto “Liberazione” si era messo in luce nel sostegno a ogni possibile “rivoluzione colorata” pro-USraele e pro-neoliberismo, passato al “manifesto” si è meritato la leadership della lobby con un prodigioso elaborato da 110 con lode all’università Cia-Mossad. Secondo l’impagabile Calderon, è la Russia che tiene i fili di tutti i movimento neofascisti e neonazisti spuntati in Europa. Titola “La Russia connection della destra euroscettica” e scrive: “Fascisti ungheresi, italiani, francesi, bulgari, belgi, austriaci nell’orbita di Putin”. Il sillogismo è: siccome le estreme destre sono avverse a Europa e Putin vorrebbe demolire l’UE in odio agli Usa, ne consegue che le estreme destre sono i tentacoli di Putin.

 Finalmente la russofobia di sinistra ha qualcosa di grosso da addentare! E noi che, avendo le traveggole, avevamo sospettato che queste destre, nelle quali ovviamente per il “manifesto” e affini andrebbero inclusi anche gli euroscettici Cinque Stelle e tanti altri che, pure, destre non sono, osteggiassero l’UE in quanto tappetino rosso sul quale gli Usa passano con tutto il loro armamentario neoliberista e militare. E noi che avevamo fantasticato di individuare nei nazisti di Pravy Sector e di Svoboda gli arnesi con i quali Washington e Bruxelles, lanciando l’Ucraina, costola della Russia, contro Mosca, avevano aggiunto un altro anello alla catena geopolitica e geostrategica in corso di allestimento attorno alla Russia. E noi che avevamo interpretato lo spostamento degli Usa e del mondo occidentale, dopo l’11 settembre, verso sempre più evidenti forme di Stato di polizia all’interno e di colonialismo all’esterno, come un’involuzione della democrazia e un ordine mondiale oligarchico, come da sempre lo vagheggia la destra!

Palestina arresti

Campagna di arresti di massa in Palestina il 14 giugno

Sordi e ciechi, eravamo, di fronte al brutale assalto russo alle sovranità degli Stati democratici, di fronte a quegli squadristi delle Repubbliche Popolari del Donbass che rifiutano di riconoscersi nel legittimo governo fatto nascere a Kiev con il concorso dei rivoluzionari di Majdan e dei portatori di democrazia occidentali. Non ci resta che attendere la rivelazione, per l’onesta penna di Caldiron, che sono le estreme destre palestinesi ad aver invaso la terra degli ebrei e a vessare giorno e notte i suoi legittimi abitanti. Non si smette mai di imparare.

 Demonizziamo, demonizziamo, qualcosa resterà

Il coro della russofobia è assordante da destra a sinistra, dalla CNN-BBC a “Repubblica” e al “manifesto”. Non se ne sottrae nemmeno “Il Fatto Quotidiano” il cui direttori Travaglio e Padellaro passano per i massimi cultori della deontologia giornalistica, fustigatori principi di disinformatori, manipolatori, bugiardi, servi del potere. Nella pagina di Esteri, che pare gestita direttamente da Langley, imperversano soggetti come Roberta Zunini, che, svarieggiando tra Ucraina e Iraq, non ha avuto un attimo di perplessità nell’attribuire ai “filo-russi” la strage al fuoco di Odessa e ai curdi iracheni e ai loro “eroici peshmerga”, ascari del sionismo, la parte di vittime sia degli sciti, sia dei sunniti, sia dell’universo mondo. La segue su questa linea un analista geopolitico come Massimo Fini, il cui noto anticonformismo stavolta sbanda verso il delirio quando, tra i soliti stereotipi propagandistici sull’Iraq di Saddam, dà mostra di non aver capito assolutamente nulla descrivendo gli Usa come nemici di un Kurdistan iracheno indipendente e il califfato islamico voluto da ISIL, Arabia Saudita e USraele, come “base per una guerra totale all’Occidente”.  Ma mentre le balle della Zunini puntano a oscurare la longa manus di Israele sul Kurdistan e quella curda sul petrolio iracheno per Israele e si inseriscono in un curriculum dell’intossicazione imperiale di tutto rispetto, quello di Fini, che ha saputo dirci cose sagge su Afghanistan e Libia, è un inconsulto ping pong tra sprovvedutezza e ignoranza. Altro che anticonformista!

 Capite come risulta difficile, con questi chiari di luna dell’informazione, astrarsi dal singolo filo della ragnatela, in cui fanno di tutto per isolarti e, connettendo montessorianamente l’un filo all’altro, arrivare a vedere l’intera ragnatela e chi vi si annida al centro. Prima di tutto va riconosciuto un dato: ogni manifestazione di terrorismo nel mondo ha per origine gli Usa, Israele, surrogati e soci di minoranza. Ce lo dicono le prove, la logica e una storia che inanella episodi come l’incrociatore Maine, fatto saltare per attaccare la Spagna a Cuba, Pearl Harbour per attaccare i giapponesi, l’11/9 e seguenti per avviare la conquista del mondo, il Piano Northwoods con cui, abbattendo aerei civili Usa, si sarebbe giustificata l’invasione di Cuba. Poi ci sono spiccioli come Piazza Fontana per addomesticare la bestia anticapitalista, o come i cecchini in Siria e a Kiev che, sparando su agenti e manifestanti, avviano la cosiddetta guerra civile. E questo dato rimane interamente occidentale fino a quando governi e paesi con le spalle al muro non decideranno, come extrema ratio, di rispondere pan per focaccia, anziché con i mezzi convenzionali della resistenza politica e militare. Meglio di no. L’Occidente è più esperto e ha infinitamente meno scrupoli. Il compito spetta piuttosto alla contro informazione.

 Il disegno comune delle classi dirigenti occidentali, nominate dagli uomini-ombra della Cupola attraverso elezioni truccate, se non altro, dalla manipolazione dei cervelli, è l’ormai dichiarato Nuovo Ordine Mondiale del 99%. Alla vista delle forze messe in campo e della molteplicità inedita di fronti aperti, parrebbe essere alla stretta finale. Probabilmente anche perché il tasso di estrazione di plusvalore, fortemente cresciuto in una “crisi” finalizzata al trasferimento di ricchezza dal basso all’alto, per essere alimentato ulteriormente ha bisogno di continue escalation operative. Simultaneamente vanno rafforzati gli strumenti fisici e psicologici per tenere a bada masse e popoli che questa strategia la pagano con la miseria, il sangue, la vita. Il bottino dei bottini sono le energie fossili. Dove sono presenti non mancano o la mano, o l’occhio USraeliani. globalizzazione-174702

Madamina, il catalogo è questo

Lo sconvolgimento iracheno, puntando alla tripartizione, vorrebbe riservare la parte scita, con modeste riserve petrolifere, allineata a un Iran che, dopo la resa sul nucleare, invita le megamultinazionali del petrolio ad abbeverarsi ai propri giacimenti di gas e ci si può dunque convivere. Prima che spunti un altro Ahmadinejad. Della frazione sunnita e relativi idrocarburi si sta prendendo cura, con i jihadisti, l’Arabia Saudita (che non sconfiggerebbe neanche un plotone di siriani senza l’armamentario fornito dagli Usa). Il Kurdistan, controllatoda decenni dai servizi israeliani, sarà la massima fonte di approvvigionamento di quel paese. Insieme all’agognato califfato tra Arabia Saudita e Iran, che non ha nulla contro il capitalismo ed è la tomba di un ostico panarabismo laico e antiliberista, costituisce un rubinetto dell’energia che Usa, Israele e i sultani del Golfo apriranno o chiuderanno a piacere per perpetuare la dipendenza coloniale dell’Europa. In Africa il rubinetto che controlla il petrolio sudanese è passato in mano agli stessi di cui sopra attraverso la creazione del non-Stato del Sud Sudan, mentre di quello e di altre risorse energetiche, come uranio, diamanti, metalli preziosi, ci si impadronisce attraverso le turbolenze nel Sahel, nel Congo, nel Corno d’Africa e altrove nel Continente.

 Eurasia

Dopo il fallito tentativo di innescare contro la Russia e il bacino del Caspio Georgia, Cecenia e Dagestan, ma condotti a obbedienza i relitti dell’est-Europa già nel campo sovietico, con l’operazione Ucraina si è puntato al cuore dell’Eurasia, al sabotaggio delle rotte petrolifere non sotto controllo Usa (Renzi si è subito allineato bloccando il South Stream dal Mar Nero), al completamento dell’assedio alla Russia e al controllo sui rifornimenti a un concorrente europeo da assoggettare definitivamente con il TTIP, come s’è fatto con il Messico. Il disegno è unico e coordinato nelle sue manovre a raggio planetario. Ma le opzioni su come condurlo sono duplici come, nel perseguimento del comune obiettivo di dominio planetario, lo sono gli schieramenti politici ed economici. Dall’assalto pugnale tra i denti, con intervento da terra e aria, dei tempi di Bush, Clinton e Bush minor, si è passati, sotto Obama, alle operazioni delegate a forze surrogate, o alla destabilizzazione mediante quinte colonne interne. Ma le due scelte coesistono ancora. Della prima energumeni come John McCain e la destra repubblicana sono i motori . La seconda,  che pure subisce defezioni del Partito Democratico, pare preferita da Obama e dal suo entourage di consiglieri. Ognuno ha dietro un settore dell’apparato economico e industriale americano. rubinetto

Soft e hard, quando, dove e chi ci sta dietro

Le due linee strategiche che a volte si sovrappongono, a volte si alternano e a volte si contrastano, si possono riassumere nei termini “soft” e “hard”, guerra a bassa o ad alta intensità. La prima, favorita dalla finanza, dai petrolieri e dagli esportatori in genere, perché restino sotto controllo i mercati e l’equilibrio finanziario, si avvale della presenza nel paese obiettivo di una potenziale quinta colonna, la cosiddetta borghesia compradora, la componente economica privata, i suoi oligarchi e strati sociali deprivati e manipolabili. Ed è il caso del Venezuela, dove la rivoluzione bolivariana ha allungato i tempi e attenuato il processo di cambiamento della struttura sociale, producendo anche quella che viene chiamata la infida “boliborghesia”. Lo è anche ora dell’Argentina che rapinatori diventati creditori, guidati da Washington tramite sicari giudiziari, vorrebbero ricondurre all’ordine neoliberista coloniale. E’ stato il turno dell’Iran nella “rivoluzione verde” (poi da Ahmadinejad rigenerato con robuste iniezioni di correttivi sociali, la seduzione patriottica di settori di borghesia nazionalista, controllo pubblico più esteso), del Libano al tempo dei moti anti-Hezbollah, dell’Ucraina delle due destabilizzazioni, arancione e nera, dell’Honduras, del Paraguay, della Palestina.

 La seconda, messa in atto su spinta del Pentagono, dell’industria delle armi e della sicurezza, del fronte conservatore, dell’aggressiva componente cristiano-sionista, fa le sue prove in nazioni coese, con una presenza egemonica del pubblico, una condizione economica e sociale accettabile per tutti e una visione altra, antagonista, della società e della vita rispetto ai modelli capitalisti dell’Occidente. Ed è guerra hard, condotta sia attraverso interventi diretti, bombardamenti, forze speciali, contractors, gestione delle comunicazioni, sia per mezzo di forze mercenarie surrogate, sia con la combinazione dei due strumenti. E’ successo e succede in Iraq, Libia e Siria, come nei paesi africani sopra elencati. A entrambe le tattiche dell’unica strategia mondialista non viene mai meno, in vela, il maestrale mediatico sinistro-destro –  islamofobia e russofobia – e, nel motore, il carburante finanziario e armato dei mandanti.

 E Putin che fa?

Qualcuno si chiede, e s’indigna, come mai Putin non intervenga contro la carneficina dei suoi compatrioti in Donbass. A parte il rischio concreto di una guerra atomica, scatenata dai frettolosi psicopatici dell’estremismo neocon, delle cui apocalittiche conseguenze planetarie ci si rende conto a Mosca, credo che Putin pensi che, nel periodo medio e lungo, per quanto risulti costoso per la Russia e i paesi sotto attacco, il tempo giochi contro l’imperialismo. L’Ucraina squartata e socialmente rovinata dai predatori occidentali non dovrebbe impiegare troppo tempo per rivedere la sua opinione sugli esiti del golpe degli amici occidentali, con quei cinque ministri nazisti al governo. Già se ne percepiscono i sintomi in alcuni episodi di rivolta perfino nell’Ovest. Se i rivoluzionari dell’Ucraina russa riescono a tenere per altri mesi, anche  grazie ai discreti aiuti di Mosca  (che, tra l’altro, accoglie le decine di migliaia di profughi dal Donbass), gli ascari nazisti della Nato e dell’UE potrebbero doversi dibattere in uno tsunami sociale. Nessuno compenserà i tartassati ucraini del gas russo perduto e il noto Generale Inverno ne drammatizzerà la carenza. Si aprono nuovi scenari.

 In Iraq sono già esplose le contraddizioni tra l’apparentemente forte componente baathista, dalle robuste radici in una popolazione rimasta profondamente laica e nazionalista, come dimostrato dal sostegno di molte tribù, e gli energumeni di ISIL che vorrebbero rinchiudere la popolazione nelle carceri dell’oscurantismo culturale, dell’esclusione di genere, della controrivoluzione sociale, nella dimensione dell’integralismo wahabita esteso su territori e popolazioni che da secoli hanno superato simili forme reazionarie di convivenza. Anche se indebolito dai cedimenti dell’attuale gruppo dirigente, il popolo iraniano e larga parte dell’apparato statale, resta uno scoglio insuperabile e gli sciti d’Iraq continueranno a esserne il retroterra strategico.

 A dispetto dalla superfetazione di fronti in cui gli Usa si stanno muovendo, pesano l’eccesso di estensione geografica e finanziaria e il conseguente aggravamento di una situazione socio-economica che da noi i media vaneggiano in ripresa; la crescente, per quanto ancora episodica, insubordinazione sociale in un paese in virtuale default per il debito fuori da ogni controllo presente e futuro; il dilagare della povertà; il venir meno del regno mondiale del dollaro; la gigantesca crisi produttiva; il cappio dei titoli di Stato in mano alla Cina. E pesa enormemente la perdita di egemonia culturale, senza la quale nessun impero sopravvive: difficile trovare nella storia un’entità nazionale tanto odiata dal resto della famiglia umana quanto gli Usa (e Israele). Non si illudano i corifei europei dell’imperatore. Fuori ci sono 7 miliardi di persone, meno gli 800 USA-UE.

putinh tatuato

Putin visto dai sinistri

Tutto questo Putin lo sa. E lo sanno anche quelli di Washington. Non ne hanno idea, forse, i proconsoli europei dell’impero, troppo incompetenti, troppo abituati a fare i gattini ciechi alla mammella della mamma (che poi li risucchia), troppo obnubilati dalla soddisfazione di abitare nella dependance della villa signorile. La verità è che siamo all’impasse, a dispetto di quanto ci vorrebbero far credere i nostri pupi con il clangore delle loro spade di latta. L’Europa, che ha rinunciato all’unica opzione naturale, utile, duratura, il “Drang nach Osten”, l’integrazione con l’Eurasia, è due volte condannata. Sia che i Dottor Stranamore buttino la bomba dell’armagheddon, sia che  polverizzino la vita economica, sociale, culturale e le istituzioni sovrane degli Stati europei attraverso la Partnership transatlantica del commercio  e degli investimenti (TTIP), in queste ore segretamente negoziata a Bruxelles dalle oligarchie delle due sponde.

 Resta solo da sperare che Putin abbia la vista lunga e le mosse giuste. Non ci rimane altro, in attesa di un Occupy Wall Street globale, con la crescita, da noi, delle masse che hanno capito che ragnatela è l’Unione Europea con al centro la Vedova Nera. Per l’intanto possiamo fare qualcosa di buono: contrastare, demistificare, smascherare, la proliferazione delle false flag e dimostrare come islamofobia e russofobia siano il bastone degli amici del giaguaro e la carota degli utili idioti.

Quel fumo acre e le bottiglie lacrimogene, quarta udienza processo compressore

Quarta udienza processo ai 4 notav accusati di terrorismo, quel fumo acre e le bottiglie lacrimogene…..
I testimoni odierni sono stati per lo più dipendenti delle varie aziende della Venaus S.c.a.r.l. che di quella notte hanno raccontato cosa ricordano, chi con più precisione, chi con meno memoria. Poiché operanti e agenti saranno sentiti ancora nelle udienze del 14 e del 16 luglio ci riserviamo di pubblicare i resoconti integrali il 17 luglio, per il momento quindi tentiamo di fare una breve sintesi, riportando alcuni passaggi significativi. Non vogliono essere ripresi, come la maggior parte degli agenti che depongono nell’ultima parte dell’udienza.

Tanto fumo, dentro e fuori, fuoco e fiamme (quest’ultime all’esterno della galleria, proprio all’imbocco), fumo che entrava dalla bocchetta di ventilazione, descritto come qualcosa che “bruciava naso e gola, penso lacrimogeni, un fumo acre che pizzicava pure, mai sentito, prima volta che l’ho sentito, non saprei dire qual era l’origine, magari fumo di batterie” spiega Longu Stefano, carpentiere, dipendente presso la Martina da due anni. Aggiunge che si accorge che qualcuno è entrato nel cantiere, ma li vede da lontano, vede il capo cantiere che cerca di spegnere il compressore che ha preso fuoco ma “non c’è stato niente da fare”, a quel punto “ha chiamato il numero per le emergenze ma non rispondeva nessuno”.

Domande tendenziose che tendono a suggerire le risposte vengono fatte anche al teste Pietro Curcio, al quale il PM chiede chiaramente “E l’areazione? Prendeva fuoco l’areazione?” ed il minatore, dipendente da due anni della Venaus S.c.a.r.l. risponde che dall’areazione entrava fumo e spiega di aver preso l’estintore nel punto di sicurezza cercando di “spegnere la ventilazione, perché la prima cosa da fare era mettere in salvo la squadra”; “Senza quel tipo di intervento cosa sarebbe accaduto nella galleria?” incalza il PM Padalino, ma c’è opposizione alla domanda, si chiedono valutazioni. Ricorda anche altri oggetti, “bottiglie… che mettono dentro della benzina”, “Si chiamano molotov”, precisa il Presidente. Così, a scanso di equivoci.

Il fumo bruciava gli occhi, questo lo dicono più testi, ma c’è qualche discordanza sul seguito della nottata, chi racconta di aver terminato il lavoro all’interno del tunnel e chi, invece, dice che qualcuno rimasto fuori avendo detto “io non vado più dentro”.

Un teste originario del Marocco. El Asham, operaio della Geomont, ci tiene a precisare che “erano due Geomont, una è fallita, l’altra si è aperta”, e lui lavora da quando si è aperta la nuova Geomont, “il 26 marzo 2011″. Vedeva fiamme che “dal cielo scendevano per terra”.
Segue qui: http://www.tgmaddalena.it/quel-fumo-acre-e-le-bottiglie-con-lacrimogeni-quarta-udienza-processo-per-terrorismo-30-giugno-2014/

Simonetta Zandiri – TGMaddalena.it

IL VERO FALLOUT DI CHERNOBYL IN ITALIA: 300.000 VITTIME ECCO LE VERITÁ NON DETTE.

Sicuramente la conoscenza dei veri numeri del fallout di Chernobyl spaventa. Ma solo con la conoscenza si può fare prevenzione e impedire quella costante e silenziosa strage favorita dai silenzi, dalla censura, dalla disinformazione e dalla minimizzazione portata avanti dall’AIEA e dalla lobby civile e militare che ad essa fa riferimento e che con essa è sodale e complice. La vera prevenzione nasce dalla conoscenza della verità e la verità porta, con scienza e coscienza, ad affermare che l’eredità nucleare è ormai infinita, anche se non si costruisse più nessuna centrale e si chiudessero tutte quelle esistenti; esorta a comprendere che non c’è possibilità di uscirne se non facendo prevenzione. E la realtà, seppur tragica, dei numeri sollecita ad intervenire ed ammonisce che non è mai troppo tardi

TAV: LA PAGLIUZZA E LA TRAVE

http://www.marcoscibona.it/home/

Sui media oggi viene data con grande risalto la notizia che la ‘ndrangheta ha “cercato di infiltrarsi” nei lavori per la Torino Lione e pare che il tentativo sia “fallito”, i toni sono stranamente rassicuranti forse per dare ai cittadini l’idea che la vigilanza sia sempre alta, ma la realtà è un po’ diversa.

Proprio in merito all’episodio specifico, ricordiamo che il piccolo imprenditore arrestato ha già eseguito importanti lavori proprio presso il cantiere del tunnel geognostico di Chiomonte provvedendo, come scritto sulla Relazione finale dei lavori del contratto C11119 “alla bitumatura della viabilità interna di cantiere, richiesta dalle forze dell’ordine e formalizzata attraverso l’Ods n R-02”. I lavori erano stati dati in subappalto dall’appaltatore che, guarda caso, era un’ATI formata da due imprese locali la cui proprietà era chiaramente riconducibile a persone citate dal rapporto dei Carabinieri alla base dell’inchiesta Minotauro, inoltre facevano parte dei due contratti relativi a lavori di recinzione del cantiere, oggetto oltre un anno fa di un esposto presentato in Procura da numerosi Sindaci ed amministratori locali.

Appare quasi surreale, ma per chi conosce a fondo la Torino Lione non lo è, che un lavoro richiesto dalle Forze dell’Ordine sia stato eseguito proprio da un’azienda che apparterrebbe alla ‘ndrangheta perché affidatogli da altre aziende controllate da persone citate nella più grande inchiesta sulla ‘ndrangheta mai realizzata in Piemonte!
Contrariamente all’abitudine, confermata anche in questa occasione, degli esponenti di tutti i partiti di lanciarsi in sterili affermazioni solo quando i fatti sono già accaduti, il M5S da sempre cerca di prevenire e ha denunciato tutte le anomalie che sin dall’inizio caratterizzano la Torino Lione, partendo dai costi del tutto ingiustificati degli unici contratti sinora resi pubblici, passando per l’affidamento dei lavori del tunnel geognostico senza l’appalto come richiesto dalla EU, sino a denunciare (all’allora Procuratore Caselli ed al Parlamento) lo scandalo dell’ultimo accordo italo francese che prevede espressamente che i lavori per la realizzazione della tratta comune (quindi anche quelli realizzati nella parte italiana) saranno soggetti al diritto francese che di fatto non prevede alcun “corpus” antimafia, con il quale il Governo Italiano ha di fatto aperto le porte della Torino Lione alla criminalità organizzata che potrà così arricchirsi con i soldi dei contribuenti spesi per un’opera inutile come la Torino Lione.

Sicuramente l’operazione “San Michele” avrà gettato la luce sull’infiltrazione (ripetiamo già avvenuta con l’esecuzione di alcuni lavori) della ‘ndrangheta nella Torino Lione, ma siamo molto più preoccupati per il fatto che il nostro tentativo di impedire la ratifica del trattato italo francese sia fallito vedendo il trattato stesso approvato con colpevole negligenza dai partiti presenti in Parlamento – e quindi anche da coloro che oggi plaudono all’operazione San Michele – e che le cifre in ballo saranno decisamente superiori a quelle relative ai lavori di un tunnel geognostico!
Siamo altresì amareggiati perché la nostra proposta di aprire una commissione di indagine parlamentare sulla Torino Lione è caduta nel vuoto, e crediamo che i recenti fatti dimostrino quanto essa sarebbe necessaria.

Ricordiamo che l’entrata in vigore del trattato italo francese non solo aprirà le porte della Torino Lione alla criminalità organizzata ma vanificherà il lavoro ed il sacrificio che in tutti questi anni i Magistrati hanno compiuto per combattere la criminalità organizzata.
Proprio perché riteniamo la situazione estremamente grave, nei prossimi giorni chiederemo un incontro con il Procuratore Generale Dr. Spataro al fine di consegnargli i dossier realizzati sinora sulle numerose anomalie della Torino Lione e sull’incalcolabile danno che arrecherà, una volta operativo, l’ultimo trattato italo francese.

Marco Scibona – Senatore M5S Piemonte
Francesca Frediani per il gruppo consiliare M5S Regione Piemonte

hanno letto le 996 pagine dell’ordinanza! Le evidenze e i neretti come pure le sottolineature sono mie

In Val di Susa una ‘ndragheta ad Alta Velocità

Gli arresti della procura antimafia di Torino svelano gli interessi dei clan calabresi per la grande opera. Un imprenditore indagato ha lavorato nei cantieri eludendo ogni controllo

di Giovanni Tizian

01 luglio 2014

http://espresso.repubblica.it/inchieste/2014/07/01/news/in-val-di-susa-una-ndragheta-ad-alta-velocita-1.171673

 «Ma guardate un attimo voi che potete… su Rai Tre di Torino, che hanno inquadrato i macchinari lì a Chiomonte.. lì alla Maddalena della Tav… ci siamo asfaltati». Giovanni Toro è l’imprenditore che ha lavorato nei cantieri militarizzati dell’Alta velocità Torino-Lione. Ce l’ha fatta, e nella telefonata racconta che davanti alle telecamere dei giornalisti, lui e gli operai, si sono dovuti nascondere per non comparire. Toro infatti non poteva starci in quel cantiere. Eppure c’era. E lavorava. Per gli investigatori è la conferma che la ‘ndrangheta è interessata alla grande opera.

I particolari emergono dall’ultima inchiesta sulla mafia calabrese in Piemonte. I Carabinieri del Ros, coordinati dalla distrettuale antimafia di Torino, hanno dato esecuzione ad un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di 20 persone indagate per associazione mafiosa, concorso esterno e smaltimento illecito di rifiuti. La ‘ndrina bloccata dal blitz è quella dei Greco di San Mauro Marchesato, un paesone in provincia di Crotone. Una cellula criminale da tempo operativa in Piemonte e denominata, nel gergo delle organizzazioni calabresi, “’ndrina distaccata di San Mauro Marchesato”.

Giovanni Toro, una delle figure centrali dell’indagine, entra nell’affare alta velocità grazie a Ferdinando Lazzaro, che aveva ottenuto in appalto dal committente Ltf-Lione Torino i lavori di preparazione del cantiere, dove si doveva svolgere lo scavo del mega tunnel tanto contestato dalla popolazione della Val di Susa. Inizialmente la ditta di Lazzaro si chiama Italcoge. Con questa ottiene la commessa. Poi però Italcoge fallisce. Ma «Lazzaro continuava di fatto a occuparsi del cantiere avvalendosi proprio di Toro», scrive il giudice delle indagini preliminare che ha firmato l’ordinanza.

L’imprenditore in pratica crea una nuova società, la Italcostruzioni, e prosegue senza problemi i lavori a Chiomonte: «Italcostruzioni acquisiva i mezzi, le autorizzazioni di legge nonché il subentro nel consorzio Valsusa», che raccoglie gran parte delle aziende impegnate nel grande appalto pubblico. Ma c’è di più. Lazzaro negli atti è indicato come uno degli interlocutori principali  di Rfi, Rete ferroviaria italiana, e Ltf. «Alcune conversazioni intercettate dimostravano sia l’influenza esercitata da Lazzaro in seno al consorzio Valsusa, che di fatto considerava di sua proprietà, sia il ruolo di unico interlocutore della committente Ltf», scrivono i magistrati. «Prendiamo tutto noi, Nando», si sente in una delle intercettazioni. E Lazzaro conferma: «Prendiamo tutto noi». Tra gennaio e marzo 2012 poi il titolare di Italcostruzioni cerca «di fare entrare Toro all’interno del Consorzio Valsusa».

Mentre Giovanni Toro però è indagato per concorso esterno con il clan crotonese, Lazzaro è soltanto inquisito per smaltimento illecito dei rifiuti di cantiere. Scarti, hanno assicurato gli inquirenti in conferenza stampa, che non c’entrano con il sito di Chiomonte. Ma su questo le verifiche dovranno continuare. Anche perché in un passaggio dell’ordinanza Toro fa riferimento a dei rifiuti da smaltire reimpiegandoli nei lavori Tav.

È stato Ferdinando Lazzaro quindi, secondo le indagini, a portare Toro nel cantiere più contestato d’Italia. Anche se a Toro mancavano le autorizzazioni. Infatti, Toro, agitato perché non sapeva da dove far passare i suoi camion, privi delle necessarie autorizzazioni, si sentiva rispondere da Lazzaro che per i permessi ci avrebbe pensato lui: «Lo faccio attraverso la Prefettura, gli dico che dobbiamo asfaltare, è urgente, che dobbiamo passare per forza da lì… mi devi mandare le targhe per email o per fax come vuoi». E, in altri dialoghi, a Toro viene chiesto di inviare in cantiere una «pala gommata».

L’imprenditore sotto inchiesta per connivenza con la ‘ndrangheta avrebbe parlato con un certo Elia di Ltf. «Toro riferiva di aver ricevuto da Elia la richiesta di posare 12 centimetri di asfalto poiché sarebbero stati effettuati dei controlli con i carotaggi». Questo è motivo di discussione tra Lazzaro e Toro in quanto i patti erano diversi. Lo strato di asfalto doveva essere di 8. Inoltre emerge dalla stessa telefonata che sul fondo erano stati stesi soltanto due centimetri di materiale e l’asfalto avrebbe avuto difficoltà ad aderire: «Tu speri che si attaccano 2 centimetri di fresato? Una bella minchia». Lazzaro però lo tranquillizza, rassicurandolo sul fatto che erano d’accordo con Elia che ne bastavano dieci di centimetri perché «i carotaggi sarebbero stati fatti solo nei punti dove c’era più materiale».

Dialoghi che mostrano l’interesse pieno di Toro nei lavori Tav. Il fatto che emerge, e che dovrebbe far riflettere sulla sicurezza del cantiere, è che gli investigatori non hanno trovato traccia di contratti registrati tra Toro, Italcostruzioni o Ltf. Il che vuol dire, secondo gli inquirenti, che l’azienda ha lavorato sotto gli occhi dei militari che presidiavano il sito senza un pezzo di carta che certificasse la sua presenza. Tra le oltre 900 pagine di ordinanza di custodia cautelare c’è anche un commento di Toro sulla qualità della posa dell’asfalto, secondo lui fatta «con modalità approssimative».

Toro punta anche su un altro imprenditore. Fabrizio Odetto. Anche lui pronto per lavorare a Chiomonte. La proposta è fargli utilizzare la sede della Toro come base operativa dell’azienda di Odetto, impegnata nel cantiere. L’imprenditore piemontese viene fermato però dagli arresti. Infatti nel 2013 è finito in carcere per altre vicende di droga ed estorsioni. Così finisce pure la sua esperienza valsusina.

Nelle carte dell’inchiesta ci sono altri riferimenti all’interesse della ‘ndrangheta per l’alta velocità. In Calabria, a San Mauro Marchiesato, madre patria della ‘ndrina finita sotto indagine, vengono registrate numerose riunioni e incontri preparatori per tuffarsi nella grande torta Tav. La ‘ndrangheta vuole correre veloce. E guadagnare molto. Questa è anche la filosofia di Toro che in una delle telefonate dice: «Ricordati queste parole… che ce la mangiamo io e te la torta dell’alta velocità».
Delle imprese Toro e Lazzaro però c’era anche traccia nei documenti sequestrati ai militanti No Tav. Bollati come terroristi che accumulavano materiale chissà per quale scopo criminale. Oggi invece la storia sembra un po’ diversa: facevano lavoro di controinformazione.

Aeroporto, il giallo dei fusti con il logo della radioattività

I Fiat Ducato di colore bianco con l’inconfondibile disegno di pericolo di sostanze radioattive sono arrivati da Roma. Le testimonianze choc di alcuni autisti che senza mezzi termini hanno raccontato di dolori allo stomaco, alla gola e la presenza sulle mani di strane escoriazioni, al termine del trasporto e dello scarico dei bidoni con sostanze provenienti dagli ospedali. Per lo più, a quanto pare, sostanze radioattive utilizzate nel campo della diagnostica. Il pm Fabio Picuti ha tutto documentato. Ci sono anche fotografie aeree che attesterebbero scavi anomali in prossimità della pista che nulla avrebbero avuto a che fare – sostiene l’accusa – con lavori attinenti alla gestione del piccolo scalo aeroportuale della città. Lavori che, stando a fonti che gli inquirenti definiscono confidenziali, ma anche a immagini e fotografie, sarebbero avvenuti nel cuore della notte. È questo il contesto nel quale è maturato il blitz dell’altro giorno all’aeroporto che ha portato all’avviso di garanzia per tre rappresentanti della Xpress, la società che gestisce lo scalo: Giuseppe Musarella, Ignazio Chiaramonte e Luigi Iacobelli. Secondo quanto recita l’avviso di garanzia, smaltivano «illecitamente rifiuti speciali, pericolosi e radioattivi, tramite l’interramento degli stessi».
Le indagini sono state avviate due anni fa circa e hanno avuto un’accelerazione l’altro ieri con l’ispezione da parte degli agenti della Squadra mobile della Questura, insieme agli agenti del Nipaf (Nucleo investigativo di polizia ambientale e forestale dell’Aquila) e ai vigili del fuoco, i soli ad avere in Abruzzo un carro con speciali apparecchiature Nbcr (ovvero per la rilevazione di sostanze nucleari, chimiche, batteriologiche e radiologiche). Gli investigatori hanno trovato una decina di fusti con il logo che contraddistingue i materiali radioattivi, vuoti e perfettamente tenuti, accatastati e in ogni caso non interrati. Indagini sono state effettuate anche sul terreno con apparecchiature molto sofisticate date in prestito dall’Ingv ai forestali che hanno provveduto ad effettuare una serie di campionamenti che ora sono al vaglio dei laboratori specializzati. C’è da dire che la società ha tutti i requisiti di legge per effettuare il lavoro di trasporto dei rifiuti ospedalieri.
LE REAZIONI
«Non possono trovare quello che non c’è» ha commentato Musarella, amministratore delegato della Xpress. «Le ricerche a tappeto – ha detto – hanno avuto esito negativo. Non vi è stato alcun sequestro dell’area, per cui potranno essere svolte normalmente le attività». «Sono grattacapi – spiega Musarella – Mi sembra davvero che questo aeroporto sia stato colpito da una maledizione». Nessuna intenzione di gettare la spugna da parte di Xpress che come società si occupa anche di trasporto di materiale radioattivo, ma non di smaltimento. «Abbiamo un contratto da rispettare – spiega – Certo è che se alla città non importa nulla dello scalo e neanche alle istituzioni, faremo lo stretto necessario».
http://www.filtabruzzo.it/filt/_rassegna_dett.asp?ID_notizie=52897

Della serie ‘i miei fratelli negri…’ (parole di Balo)

quando si dice luoghi comuni politically correct

Sorpreso su un taxi in una via centrale di Yaoundé il centrocampista dell’eliminato Camerun Stephane Mbia è stato assaltato dai passanti, all’urlo di “dacci una parte dei soldi dei premi”. Il Camerun aveva concordato una serie di premi per la sola partecipazione.
https://www.youtube.com/watch?v=Mk_Xi9DzhcE

La curiosa vendita dell’oro ucraino all’Iraq

All’alba del 7 marzo, in segreto e procedendo nel buio della notte, a Borispol, l’aeroporto di Kiev, un grosso aereo, senza distintivi e con una forte scorta armata, caricava 40 casse di lingotti d’oro della Banca Centrale ucraina. L’operazione fu annunciata dal giornale russo Iskra, inizialmente smentito dalla FED, ma l’aereo si diresse negli Stati Uniti. I media europei non ne parlano nonostante il grande sostegno al colpo di Stato e al governo ad interim del primo ministro Arsenij Jatsenjuk. Era il prezzo della “liberazione” dell’Ucraina per mano di UE e USA? 40 pallet con lingotti d’oro sono molto più delle riserve auree dell’Ucraina. Secondo il World Gold Council, nel febbraio di quest’anno l’Ucraina aveva 42,3 tonnellate di riserve auree nelle casse della banca centrale. Ogni pallet contiene 290 lingotti d’oro da 400 once, cioè 3,6 tonnellate per pallet, e a 1300 dollari l’oncia sono 150 milioni di dollari per pallet. Dieci pallet fanno 36 tonnellate di oro che ammontano a poco più di 1,5 miliardi di dollari.

1,5 miliardi
Il 25 marzo, il Financial Times informava che l’Iraq ha acquistato 36 tonnellate di oro per un valore di circa 1,5 miliardi di dollari. La Banca centrale irachena ha riferito sul suo sito web che l’oro acquistato è volto a “rafforzare la politica monetaria e la valuta (il dinaro) iracheni”. L’Iraq ha acquistato 36 tonnellate di oro, aggiungendole alle 29,8 tonnellate della riserva, al prezzo di 1,5 milioni di dollari. Ora ha 65,8 tonnellate di oro e ciò significa la promozione che vedremo sul prossimo numero di World Gold Council. Sulla mappa delle riserve auree, l’Iraq si trova ora tra Brasile, Egitto ed Indonesia. Tuttavia, anche se nessun governo ha acquistato tanto oro in una sola volta, negli ultimi tre anni, tale acquisto non ha generato reazioni sul prezzo dell’oro. Quando l’anno scorso Cipro fu costretta a vendere parte parte delle sue 13,9 tonnellate di oro delle riserve, vi furono grandi convulsioni sui mercati. Questa volta, con una operazione quasi tre volte più grande, i mercati sono calmi. Ciò forse per la segretezza con cui l’operazione è stata condotta (Reuters e Financial Times confermano l’acquisto, ma non ne indicano l’origine), e gli speculatori della City di Londra sono in stato di shock dopo le sanzioni per la manipolazione dei Tibor e Libor; i tassi di cambio e dei prezzi delle derrate e delle materie prime.

La domanda globale di oro
La domanda globale di oro è diretta da Cina e India, principali consumatori di prodotti di gioielleria, elettronica e finanziari. Come mostra questa lista della WGC, la Cina l’anno scorso ha acquistato 1066 tonnellate di oro, e l’India 975 tonnellate, anche sul mercato nero. Questa era la domanda di oro nel 2013, secondo WGC:
L’oro ucraino è stato acquistato dall’Iraq? Essendo l’Ucraina appena divenuta un satellite degli Stati Uniti, sulla giusta via della “liberazione”, e Baghdad “liberata” dagli Stati Uniti da dieci anni, è lecito sospettarlo: l’Iraq acquista oro dall’Ucraina. Ora dobbiamo vedere se l’Ucraina ha ricevuto 1,5 miliardi di dollari. Almeno, gli Stati Uniti hanno offerto una garanzia di 1 miliardo sui prestiti da concedere all’Ucraina. Secondo GoogleMaps, il viaggio in aereo da Kiev a Baghdad dura 6 ore e 55 minuti:

Come sottolineato qui, ciò che veramente dovrebbe riguardare l’Europa, e soprattutto la Germania, è la velocità con cui gli Stati Uniti spostano l’oro dall’Ucraina alla Federal Reserve o a Baghdad, e la lentezza che dimostrano nel restituire alla Germania 33 tonnellate di oro in un anno, su 1500 tonnellate custodite dalla Federal Reserve a Fort Knox. Un altro fatto non privo di significato è l’assenza d’interesse dell’Unione europea su tali informazioni e la mancanza di trasparenza nel sapere il motivo per cui, a un paio di giorni dalla presa del potere, il primo ministro ad interim Jatsenjuk s’arroga il diritto di liquidare le riserve auree del Paese. L’unica certezza è che gli ucraini sono stati espropriati delle loro riserve auree, e forse per sempre. Benvenuti nel mondo occidentale.

Marco Antonio Moreno El Blog Salmon

Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora
http://aurorasito.wordpress.com/2014/06/19/la-curiosa-vendita-delloro-ucraino-alliraq/

Il giudizio di Rand Paul sull’attuale crisi in Iraq

Di Salvatore Santoru

Come riportato dall’Huffington Post, il senatore del Kentucky Rand Paul, figlio del più noto Ron, ha affermato che l’attuale caos iracheno è conseguenza dell’irresponsabile politica estera statunitense.
Ha detto che ” noi abbiamo creato un paese delle meraviglie jihadista” in Iraq, riferendosi al fatto che i gruppi fondamentalisti islamisti combattuti in Iraq sono gli stessi appoggiati in Siria.

Come scritto sul sito Systemfailure, lo stesso Paul ha affermato in un’intervista alla CNN che “siamo con ISIS in Siria. Siamo dalla stessa parte della guerra. Quindi coloro che vogliono mettersi in gioco per fermare ISIS in Iraq sono alleati con ISIS in Siria. Questa è la vera contraddizione…” e che “ISIS, un ramo di al Qaeda, ha collaborato con i ribelli siriani con i quali l’amministrazione Obama ha collaborato”.

Queste dichiarazioni sono senza dubbio notevoli e scomode, e descrivono molto bene la situazione confusa e caotica che si è venuta a creare in Iraq, situazione che fa comodo al complesso militar/industriale e ai grandi gruppi di potere che stanno dietro la politica imperialista degli States.
Inoltre smascherano l’ipocrisia e il doppiogiochismo dell’establishment statunitense ( sia esso democratico che repubblicano) nei confronti dell’islamismo radicale che, come la storia dimostra, risulta essere quasi sempre uno strumento funzionale a fini di controllo geopolitico e di destabilizzazione del Medio Oriente da parte dell’imperialismo statunitense e dei potentati che lo utilizzano per i propri scopi.

http://informazioneconsapevole.blogspot.it/2014/06/il-giudizio-di-rand-paul-sullattuale.html

Brasile: per legge il 10% del PIL va alla la scuola

Il Brasile spende attualmente il 5% per la scuola, per legge dovrà raggiungere il 7% in cinque anni, il 10% in dieci. La legge è già entrata in vigore in coincidenza con i mondiali. L’Italia spende il 4,4%.
http://www.osservatorioinca.org/12-563/archivio-spesa-per-listruzione-pubblica-nellue:-italia-al-21-posto.html