UKRAINE: TENTATIVE REGIONALE SECESSIONNISTE DES PRO-OCCIDENTAUX A LVIV!

Fabrice BEAUR pour PCN-Info/

avec PCN-SPO – Regnum / 2014 01 02 /

http://www.scoop.it/t/pcn-spo

https://www.facebook.com/PCN.NCP.press.office

PIH - FB sécession à Lviv (2014 01 02)   FR 1

 Alors que les médias de l’OTAN – style Le Monde ou Libé – évoquent parfois une « tentation sécessionniste » en Crimée ou dand l’Est pro-russe, c’est de Lviv, le cœur du nationalisme ukrainien anti-russe (jadis celui du fascisme antisémite bendériste), que viennent des velléités sécessionnistes …

 Le Conseil régional de la région de Lviv (Lvov en Polonais, dans l’ouest de l’Ukraine) vient le 17 décembre 2013 dernier d’outre-passer ses pouvoirs en privant de tous pouvoirs les représentants de l’Etat central ukrainien.

 Il s’agit d’une violation flagrante de la Loi de la part des députés du parti “SVABODNA” dont le caractère fasciste n’est pas contestable de part son passé et ses actions présentes. Les nostalgiques de Bendera ou des divisions ukrainiennes de la Waffen SS. Et le noyau dur de l’opposition pro UE/US. Ce Svabodna dont les députés ont été élu dans l’Ouest en octobre 2012 sur un programme … xénophobe et anti-européen !

PIH - FB sécession à Lviv (2014 01 02)   FR 2

 La décision illégale du Conseil régional de Lviv est donc clairement sécessionniste.

 A ce petit jeu du mauvais perdant qui refuse de rentrer dans le rang de la Loi et passe aux menaces de dislocation de l’Etat ukrainien, nous ne sommes pas sûr, une fois encore, que le gagnant sera cette Ukraine de l’Ouest agricole qui vit des transferts financiers du gouvernement central en provenance des régions industrielles de l’Est.

 Et si nous ne sommes pas la veille d’une division de l’Etat d’Ukraine en deux parties, dans l’hypothèse d’une telle situation que ferait cette région, et au meilleur des cas avec Kiev, sans les régions de l’Est et du Sud qui si elles devaient choisir une autre destinée serait de rejoindre la Fédération de Russie ?

 Nous assistons ici peut être à un ban d’essai des forces occidentales qui manœuvrent une fois encore. Un plan B de dislocation de l’Etat ukrainien ? Après l’échec du plan A, la « révolution de couleur » du ‘Maidan bis’ à Kiev …

 FB

http://www.lucmichel.net/2014/01/02/pcn-info-ukraine-tentative-regionale-secessionniste-des-pro-occidentaux-a-lviv/

Photo : Manifestation à la gloire de Bendera et du fascisme antisémite, anti-russe et anti-polonais ukrainien, organisée par Svobodna et autres partisans « des valeurs de l’UE » selon Lady Ashton …

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En Russe, sur Regnum :

http://www.regnum.ru/news/polit/1747395.html

Quel che è Stato è Stato

http://www.infoaut.org/index.php/blog/prima-pagina/item/10173-quel-che-%C3%A8-stato-%C3%A8-stato

infoaut 3.0

Ciò che i media non dicono su Giancarlo Caselli

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(Introduzione a una Piccola controbiografia di Giancarlo Caselli)

Perché incensare Caselli? Beh, si dirà, anzitutto per il suo coraggio nella lotta alla mafia; ma se chiediamo ai suoi ammiratori di raccontarci l’esatta storia di Caselli in Sicilia, non saranno in grado di rispondere, o quantomeno si mostreranno sorpresi nello scoprire i rapporti del magistrato con i vertici dei Ros mentre questi trattavano con Provenzano, l’ordine di non perquisire la villa di Riina, l’istruttiva vicenda del depistaggio su via d’Amelio durante il quale Caselli difese pubblicamente, e a più riprese, l’uomo che torturò per mesi un innocente ragazzo palermitano (Vincenzo Scarantino) per fargli confessare ciò che non aveva fatto e accusare altre sei persone innocenti, al fine di tutelare i veri esecutori, che a quanto pare agirono anche per conto dello Stato. Quel torturatore, Arnaldo La Barbera, amico di Caselli, ce lo ritroveremo davanti alla scuola Diaz, a Genova, il 21 luglio 2001, a dare il via insieme a Mortola e a Canterini al bel pestaggio di massa e alle sevizie, successive, alla caserma di Bolzaneto. Ma per Caselli, come disse a Palermo mentre la gente scendeva in strada nei quartieri, contro quelle (meno conosciute) torture, La Barbera era “un uomo la cui eccellente professionalità non può essere messa in discussione”. E ci mancherebbe.

Non mettiamo in evidenza queste cose per “gettare fango” sul nostro avversario di questi anni: il fango, se c’è, prima o poi si vede e noi, se proprio dobbiamo – Caselli lo sa: e questo è il nostro saluto – preferiamo gettare altre cose. Né siamo interessati a leggere la storia siciliana degli anni di Caselli nel segno di una retorica dello stupore riguardo ai “rapporti”, ai “misteri”, alle “trattative”, del tutto normali in un paese a economia capitalista – dove chi possiede capitali, legali o illegali, fa affari con tutti gli altri. Lo stato è garante di questo scambio, nonostante gli incidenti di percorso, dove può capitare che un imprenditore di origini troppo “popolari” faccia saltare in aria dei giudici o uccida i politici suoi servitori quando non rispettano più i patti; e il cinico, si badi, non è chi di questa verità lampante prende atto, contrapponendosi tanto a quel capitale quanto alle sue istituzioni, senza farsi distrarre dal velo di Maya delle decorazioni giuridiche, ma chi finge di ignorarla, sperando magari che prosperi ancora mille anni. (E noi non siamo, inoltre, neanche lontanamente vicini alla lettura legalitaria della situazione siciliana, e più in generale meridionale o italiana: la contrapposizione, per noi, non sarà mai tra cittadini e delinquenti, ma tra chi è sfruttato e chi non lo è; ad ogni latitudine e in qualsiasi impresa, più o meno “di stato”, più o meno “privata”, più o meno “mafiosa”).

Torture, depistaggi, insabbiamenti, sparizione di prove e uomini d’affari e di governo che stringono accordi per il futuro. Caselli, intervistato da Fabio Fazio a Che tempo che fa nel febbraio del 2012, dopo aver concluso la sua abituale filippica contro i No Tav, di fronte alla domanda sulla “trattativa”, cambia discorso con una nonchalance che lascia di sasso persino il non proprio vivace intervistatore (guardare su youtube per credere). Nel suo ultimo libro, scritto con Ingroia, afferma di non aver mai saputo, né compreso, mentre era a Palermo, che tanto chi stava sotto di lui (i vertici di polizia e carabinieri) tanto chi stava sopra (il ministro dell’Interno, il ministro della Giustizia, il presidente della repubblica) aveva messo in piedi questa “disgustosa trattativa”. Vogliamo essere magnanimi, gli diamo il beneficio del dubbio: è stato un idiotés, uno che si è isolato per sottrarsi al difficile sforzo di pensare il politico – secondo l’etimo greco; una tigre di carta utile per la TV, in una “battaglia” che, pur con morti ed ergastoli, nella vera sostanza non è mai esistita.

L’errore di Caselli, insomma, è stata l’ingenuità: credere che quegli uomini, che l’avevano servito con tale abnegazione quando si trattava di arrestare o uccidere i sovversivi degli anni Settanta (come il generale dei carabinieri Mario Mori, protagonista dei famosi colloqui con Vito Ciancimino nei rari momenti in cui, tra fine 1992 e inizio 1993, non era a pranzo o a cena con Caselli), avrebbero messo lo stesso impegno nel debellare ciò che ancora il procuratore pensava essere una folkloristica società occulta siciliana. Oppure l’errore fu credere che l’autorità giudiziaria, che lui credeva il faro dell’Italia perché aveva distribuito un po’ di galera contro chi aveva contestato tutto quel sistema corrotto pochi anni prima, avrebbe spedito in carcere colui contro il quale i contestatori avevano gridato e tentato di sovvertire, ossia il Divo Andreotti.

No, procuratore: come ha visto durante l’arco della sua carriera, non funziona così. Oggi ancora pochissimi hanno un’immagine corretta di ciò che la parabola professionale di questo magistrato ha significato – assieme a quelle di molti suoi colleghi – per l’Italia. L’azione della magistratura italiana negli anni Settanta è ancora un tabù. Affermare che le informazioni ottenute al fine di sgominare, ad esempio, le organizzazioni armate di sinistra, furono ottenute grazie all’uso non estemporaneo o casuale, ma sistematico e scientifico della tortura – dal water boarding allo stupro delle accusate con bottiglie di vetro – è oggi ancora dire qualcosa di sconvolgente, nonostante da pochi mesi anche una sentenza della cassazione lo abbia confermato (senza che per noi la parola di un giudice valga più di quelle, gridate nel silenzio assordante da quarant’anni, dei reduci; anzi!). Certo, si dirà, chi dichiara guerra allo stato riceve guerra in cambio; ma se da un lato sono possibili criteri di comportamento anche in guerra (e va detto che chi attaccò lo stato uccise, e anche molto, ma non torturò), va sottolineato che Caselli non ha mai smesso di propinare la favola secondo cui il “terrorismo” sarebbe stato sconfitto “nelle aule dei tribunali”, ossia nell’alveo della costituzione. Balle.

Come una balla è che la magistratura e la sua polizia giudiziaria, in quegli anni, abbiano operato soltanto contro la lotta armata, quando in realtà attaccarono soprattutto l’iceberg dei movimenti sociali e delle loro avanguardie, anche disarmate, per far affondare in ultima battuta la punta dei gruppi militarizzati (e anche loro, i servitori dello stato, uccisero, e molto, per raggiungere questi obiettivi – ma non lo dicono). La chiusura delle Radio Libere, gli arresti di massa, l’uso arbitrario (per anni, e non per mesi, come avviene oggi) della detenzione preventiva in carcere, senza processo; gli omicidi di manifestanti, i pestaggi sistematici, i ricatti allucinanti di cui nessuno sa, e che soltanto i ricattati raccontano, e ancora adesso hanno paura, se sono ancora vivi. Soprattutto il grande piano, la grande alleanza che purtroppo funzionò, tra magistratura “democratica”, da un lato (Caselli, Laudi, Violante) e alti ambienti militari, non “democratici” che avevano stabilivano in segreto il piano Solo, il piano Borghese, piazza Fontana, e ora stabilivano piazza della Loggia e la stazione di Bologna, Gladio, la P2 e la Rosa dei Venti. Lo stato “deviato”: balle. Quegli apparati non sono mai stati “deviati”: erano, semplicemente, gli apparati dello stato, del nostro stato, la repubblica italiana.

Nel suo ultimo libro, Marco Travaglio evidenzia che in un discorso di qualche anno fa Giorgio Napolitano criticò “certa storiografia che ha sdoganato o teorizzato la teoria del doppio stato”. Travaglio fa notare che, dalle bombe degli anni Settanta a quelle del 1993, il doppio stato è una di quelle evidenze che è un dovere civico ammettere e smascherare, proprio contro chi, come Napolitano, pretende ancora di celarle dietro l’immagine eterea di uno stato “unico”, democratico e innocente. Secondo noi il discorso va capovolto. Gli stati possono essere due, anche tre o quattro (e in effetti, studiando la storia, ci si accorge che lo stato è nei fatti, in modi diversi nei tempi e nei luoghi, uno spazio attraversato anche da forze contraddittorie), ma in fin dei conti lo stato è sempre uno, è lo stato: ed è colpevole per conto di tutti gli stati bis, tris, quater che porta in seno, se è vero che in ultima analisi i morti delle stragi, da Milano a Lampedusa, o i torturati dai collaboratori di Caselli (non da lui in persona, per carità: lui è una persona pulita) preferirebbero, almeno su questo, non essere presi per il culo – né con la storia dello stato innocente, né con la storia del “doppio”, “triplo” o “quadruplo” stato.

Proprio così, cari studenti di giurisprudenza che volete fare i magistrati: chi sceglie di operare per conto delle istituzioni porta su di sé, direttamente, tutte le loro colpe e le loro responsabilità di fronte alla storia; si prende, se i giuramenti hanno un senso, tutto il pacchetto. Non vediamo oggi forse quanto sia diffusa l’incredibile abitudine di presentarsi in TV dopo aver commesso qualche misfatto (appoggiato riforme del mercato del lavoro, promulgato leggi elettorali, avvelenato popolazioni, istituito lager per migranti) e parlare come se niente fosse, con impressionante disinvoltura, di fronte a giornalisti compiacenti, lavandosi delle proprie responsabilità precise e oggettive davanti all’opinione pubblica, con un semplice, strabiliante, ripetere che “è proprio un dramma”, che “da adesso non possiamo più fallire” e che “bisogna proprio fare qualcosa”?085008383-4465775f-8790-4471-9ba6-07dd52567470

È questo sdoganamento politico e culturale del rifiutarsi di prendere e dare le responsabilità, per il presente e per la storia, che permette che Caselli sia un esempio e il suo amico La Barbera, quando è morto, sia stato compianto dai giornali; e a furia di disperdere il senso delle cause, dei nomi e delle istituzioni sugli anni Duemila, sugli anni Novanta o sugli anni Settanta, perderemo tutto, se è vero che è divenuto normale anche tornare ad attribuire la responsabilità delle colpe fasciste “all’Italia”, “agli italiani”, o magari a qualche generica “malattia morale” di crociana memoria.

Quindi no, non fa eccezione Caselli, e ci mancherebbe: per i suoi arresti, le sue caccie alle streghe, le sue menzogne di oggi e di ieri, la sua disonestà intellettuale, le sofferenze che ha spalmato su chi si è ribellato in una vallata del nord o sulle popolazioni di quartieri palermitani vittima delle manovre dei piani alti dello stato. Sofferenze e manovre di cui lui era complice in quanto uomo di stato, difensore di questo apparato decrepito e immondo, convinto ideologo dell’imposizione a qualsiasi costo, prima di qualunque altra cosa, di queste regole farlocche, che non soltanto costituiscono ancora e sempre il solito, stantio e spietato, diritto di classe, ma sono regolarmente infrante proprio da chi, come lui, ha sempre piegato le garanzie giuridiche alle esigenze dell’accusa, e da chi, attorno a lui, le ha infrante a qualsiasi prezzo per difendere lo scranno e la bandiera dietro alle quali lui ha potuto proludere alle sue requisitorie. E già si ode arrivare il mesto ronzio: ma se criticate anche Caselli, anche un uomo come lui, buono e pulito, dovete essere delle cattive persone; dovete avere soltanto odio dentro. Invece no; chi ci arresta e ci indaga in nome della legge sarà sempre anche sotto indagine da parte nostra, con l’unico potere che ha chi non ha potere: il sapere.

La notte del procuratore. Piccola controbiografia di Giancarlo Caselli vedrà la luce su queste pagine nei prossimi giorni, in 3 puntate: 1- Gli anni Settanta; 2 – Sicilia; 3- La Val Susa

ANCORA POCHI GIORNI ED IL PARLAMENTO SARA’ ESAUTORATO! A BREVE SARA’ DEPOSITATA LA SENTENZA DELLA CONSULTA SUL PREMIO DI MAGGIORANZA, AVREMO UFFICIALMENTE 140 DEPUTATI ABUSIVI

http://bastacasta.altervista.org/p8320/

Capotosti: devono andare tutti a casa

“IL PARLAMENTO E’ ESAUTORATO, NON POTRA’ FARE PIU’ NIENTE”: PAROLA DI UN PRESIDENTE EMERITO DELLA CORTE COSTITUZIONALE

PIETRO ALBERTO CAPOTOSTI:

Professore emerito di Diritto costituzionale e di Giustizia Costituzionale presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’ Università degli Studi di Roma La Sapienza.

Dal 1994 al 1996 è stato vicepresidente del  CSM, nominato giudice costituzionale dal Presidente della Repubblica Scalfaro il 4 novembre 1996, giura il successivo 6 novembre. È eletto presidente il 10 marzo 2005. Cessa dalla carica il 6 novembre 2005.

«Così il Parlamento è esautorato, non potrà più fare niente»

Allora, professore, devono andare a casa i deputati di centrosinistra eletti con il premio di maggioranza come sostiene Forza Italia?
«Il problema è serio — dice Pietro Alberto Capotosti, presidente emerito della Corte costituzionale —. Per ora no, perché la sentenza entrerà in vigore quando sarà pubblicata sulla Gazzetta ufficiale, presumibilmente verso la fine di gennaio. Ma il giorno dopo, i deputati che sono stati eletti grazie al premio di maggioranza diventano illegittimi».
Non vale il principio ‘il tempo regge l’atto’?

«No, il principio vale per il diritto processuale. L’annullamento che pronuncia la Corte costituzionale ha effetto retroattivo. Cioè vale dal giorno dell’entrata in vigore della legge dichiarata incostituzionale. Se la loro elezione fosse stata già convalidata — come hanno fatto al Senato — non c’era problema, ma alla Camera non è successo. Dunque, una volta pubblicata la sentenza, essendo la legge illegittima, non si può applicare».
E se la Camera li convalidasse prima della pubblicazione?

«Si salverebbero: ma a Montecitorio devono ancora convalidare tutti e 630 i deputati. Diciamolo chiaramente: questa sentenza ha un effetto dirompente».

Nel senso?

«In teoria, dovremmo annullare le elezioni due volte del Presidente della Repubblica, la fiducia data ai vari governi dal 2005, e tutte le leggi che ha fatto un Parlamento illegittimo. Sennonché il passato si salva applicando i principi sulle situazione giuridiche esaurite. Ma dal giorno dopo la pubblicazione della sentenza questo Parlamento è esautorato perché eletto in base a una legge dichiarata incostituzionale. Quindi non potrà più fare niente, e questo è drammatico».
Significa che bisogna tornare a votare?

«L’ha detto lei, io non lo dico ma lo penso…».

Perché Mosca e Putin sono diventati il nuovo obiettivo dell’offensiva del terrore

Pubblicato il 31 dicembre 2013 da Gian Micalessin Categorie : Esteri – Putin – Un tempo erano le Torri Gemelle. Oggi, 12 anni dopo, nel mirino del terrorismo islamico ci sono il Cremlino e gli impianti olimpici di Sochi.
Anche perché, a ben guardare, l’ultimo vero nemico del terrore «alqaidista», l’unico in grado di continuare quella guerra iniziata dagli Stati Uniti dopo l’11 settembre è oggi Vladimir Putin. Non a caso il terrorismo di matrice jihadista colpisce in queste ore Volgograd, la ex Stalingrado, città simbolo della strenua capacità russa di resistere agli assalti nemici. Il secondo attentato dopo la strage alla stazione di Volgograd di domenica è arrivato ieri mattina quando un kamikaze s’è fatto esplodere a bordo di un autobus uccidendo 14 persone e ferendone gravemente qualche dozzina. Dunque 30 morti in soli due giorni. Due attenti terroristici di una simile gravità messi a segno in una città americana od europea a poche settimane da una competizione olimpica solleverebbero lo sdegno e l’indignazione di tutto l’Occidente. In questo caso i leader e i commentatori nostrani appaiono, invece, assai avari di solidarietà nei confronti della Russia e del suo presidente. A prevalere, in queste ore, non è la solidarietà per una Russia insanguinata dagli attentati, ma la logica, un po’ cinica, di chi tende ad attribuire a Putin, «cattivo» per antonomasia, la colpa dei propri mali. Prevale, insomma, la logica di chi pensa che il presidente russo un po’ se lo merita in quanto «colpevole» di aver organizzato i Giochi Invernali tra le montagne di un Caucaso dove soldati e servizi segreti russi hanno condotto una spietata guerra al secessionismo ceceno e al terrore islamista. La logica dello sbadato Occidente finisce, così, con il sovrapporsi con quella del terrorista Dogu Umarov, il leader del cosiddetto Emirato del Caucaso che invita, nei suoi proclami, a colpire con ogni mezzo i giochi di Sochi definendoli una «danza satanica sulle ossa dei nostri antenati». Nell’ambito del pensiero dominante in Europa e Stati Uniti la colpa più grave del presidente russo resta però quella di aver fermato l’intervento in Siria. Con quella mossa il presidente Putin non ha soltanto mandato all’aria i piani di Washington, Londra e Parigi, ma ha anche bloccato sul nascere un’incestuosa alleanza con lo jihadismo integralista del fronte anti Assad. Con quella mossa Putin ha anche scippato definitivamente a Barak Obama il ruolo di leader della lotta al terrorismo. Del resto quel ruolo difficilmente può restare appannaggio di un presidente che, non pago d’aver cercato d’armare i militanti siriani legati al fanatismo islamista, non si fa scrupoli a raccontare al New York Times, di passare ore accoccolato in poltrona per seguire le serie tv. Mentre Obama flirta con il nemico e ozia nei salotti della Casa Bianca l’unico a restare in trincea è, insomma, Vladimir Putin. Per questo le Olimpiadi di Sochi rischiano di diventare l’obbiettivo e il bersaglio preferito non solo di Doku Umarov e degli ultimi fanatici del terrorismo ceceno, ma di tutto lo schieramento jihadista. La differenza ideologica tra chi è pronto ad immolarsi per bloccare i giochi di Sochi e chi in Siria sostiene di combattere per la libertà, ma rapisce e uccide nel nome di Allah è, del resto, assai labile. In Siria i miliziani ceceni nemici di Putin erano in prima fila sul fronte di Maaloula, l’antica cittadella cristiana dove l’alleanza anti Assad non ha esitato a dar alle fiamme le case con la croce e a sequestrare dodici suore. Ora la stessa alleanza jihadista coalizzatasi per combattere il «nemico» Assad potrebbe metter a disposizione i propri veterani e i propri attentatori suicidi per colpire i Giochi Invernali. Anche perché quei giochi rischiano di diventare, altrimenti, il monumento alla determinazione di un Vladimir Putin rivelatosi il più agguerrito e temuto nemico del terrore islamista.
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IL 2014 SI APRE CON LA CATASTROFE MPS: FALLIMENTO O NAZIONALIZZAZIONE COSTERANNO MILIARDI ALLO STATO (CHE NON LI HA)

mercoledì 1 gennaio 2014
SIENA – Il caso MPS è esploso come una bomba, dopo che l’assemblea degli azionisti ha bocciato sabato scorso l’aumento di capitale da 3 miliardi, come prospettato dal presidente Alessandro Profumo e dall’ad Fabrizio Viola, votando per un rinvio. Passeranno almeno 4 mesi in più, prima che la ricapitalizzazione avvenga e ciò graverà la banca di 120 milioni di maggiori oneri per il pagamento degli interessi sui Monti-bond da 4,07 miliardi. Non pochi per un istituto che lotta contro il tempo per salvarsi. E se nel 2014 dovesse arrivare la mazzata della BCE, che su pressione dei tedeschi potrebbe non più giudicare a rischio zero i bond sovrani, per Siena potrebbe essere il colpo finale, avendo in pancia 23 miliardi di BoT e BTp.

Il mondo politico tace, sia per il clima festivo di questi giorni, sia perché è coinvolto mani e piedi nella faccenda. In particolare, il caso imbarazza il Partito Democratico, visto che a Siena l’intreccio tra i democratici e la gestione di MPS è passata negli ultimi decenni attraverso la Fondazione, il cui Consiglio direttivo è nominato dal sindaco di Siena (4 consiglieri), dal presidente della Provincia di Siena (2 consiglieri) e dalla Regione Toscana (1 consigliere), tutti esponenti del PD.

Per questo, il segretario Matteo Renzi ha indicato a tutto il partito la linea da seguire: e la linea è quella del silenzio più assoluto. Linea, però, non condivisa dal vice-ministro dell’Economia, Stefano Fassina, il quale ritiene che il principale partito di governo dovrebbe interessarsi delle sorti della terza banca d’Italia, similmente a quanto accaduto con l’Ilva e Alitalia.

Più in generale, il caso MPS è fonte di imbarazzo istituzionale, perché se il Tesoro o la Banca d’Italia intervenissero, la vicenda assumerebbe i contorni del conflitto politico, essendo la Fondazione espressione della linea locale del PD.

La situazione della banca è molto grave. Nei prossimi giorni, Profumo potrebbe dimettersi, mentre più difficile è che avvenga il passo indietro di Viola. La nazionalizzazione di MPS, finora considerata un’ipotesi più teorica che reale, inizia a prendere corpo seriamente.

Sulla gestione del dossier MPS si gioca una fetta consistente di credibilità anche Renzi, per cui possiamo concludere che o un’eventuale crisi di governo potrebbe compromettere le sorti di Rocca Salimbeni o, al contrario, che l’aggravarsi della crisi di MPS potrebbe travolgere il governo Letta.

Fonte notizie: Investire Oggi.
http://www.ilnord.it/index.php?id_articolo=2189#.UsSVhul-eGZ.facebook

Ah Grillo spara cazzate per il corriere?

La classifica delle bufale politiche dell’anno
Vince Grillo link

Letta: Le tasse son diminuite
Saccomanni: La crisi globale mondiale è finita..

Poverelli, per giunta ora hanno paura di estorcere ulteriore denaro per i pedaggi autostradali a causa dei “cattivi forconi”….una minaccia per questi tecnici  e politici che si ammazzano di lavoro per salvarci….

Come non si vede che la caporedattrice del Corriere è la mogliettina….per carità, nel suo caso conflitto di interessi no eh?

COMPLEMENTARITES GEOPOLITIQUES ET PERSPECTIVES AFRICAINES

Regards sur l’ONG EODE et son action en Eurasie et en Afrique /

Entretien de Karel HUYBRECHTS pour ‘EODE Press Office’ avec

Luc MICHEL, Administrateur-général et CEO d’’EODE International’ et

Gilbert KNAMTO, Administrateur d’’EODE zone Africa’ /

Seconde Partie / 2014 01 02 /

http://www.eode.org/

https://vimeo.com/eodetv

https://www.facebook.com/EODE.org

https://www.facebook.com/EODE.africa

# 2 / EODE, PERSPECTIVES AFRICAINES

LM - interview EODE AFRICA 2e Partie (2014 01 02) FR (1)

* Karel HUYBRECHTS/ EODE Press Office : EODE a donc déjà organisé des missions sur le continent africain ?

Gilbert NKAMTO : Comme je vous l’ai dit, donc, nous sommes présents dans toutes les régions du continent. Au Cameroun  où se trouve le siège d’’EODE zone Afrique’ nous avons une forte équipe d’Observateurs que je dirige. Lors des dernières élections sénatoriales d’avril 2013, nous avions fait bonne figure et notre Rapport avait fait le tour de l’Afrique. Je pense, nous avions rehaussé le niveau de ces élections en divulguant plus d’information sur  l’événement notamment à travers notre circuit d’information et via nos médias sur les réseaux sociaux. Ce fut en tout cas un succès !

* Karel HUYBRECHTS/ EODE Press Office : vous deviez aussi être présents aux élections couplées (municipales et législatives) de septembre 2013 au Cameroun ?

Gilbert NKAMTO : Justement ! Après le succès d’Avril 2013, nous attendions de nous investir encore plus lors des élections de septembre 2013. Mais nous avons été refroidis dans notre élan par les autorités camerounaises, notamment le ministère de tutelle chargé d’accréditer les observateurs, je veux dire le ministère de l’Administration territoriale et de la Décentralisation. A notre niveau actuel, nous avions mobilisé une mission internationale de personnalités importantes de toute l’Europe et d’Afrique, parmi lesquelles des parlementaires de l’Union Européenne et un groupe d’experts africains européens. En appui venait une mission nationale, composée d’une centaine de délégués locaux. Vous comprenez bien qu’une telle mission, nécessite de grands efforts et une préparation évidente. A moins d’une semaine des échéances, nous n’avions toujours pas reçu d’accréditation de l’Etat du Cameroun. Pourtant nous avions soumis notre demande de participation plus de deux mois auparavant.

Je pense pour ma part, que le Cameroun qui fait déjà de grands efforts en matière de démocratie, gagnerait encore plus en étant mieux organisé pour ne pas attendre souvent les dernières minutes avant de prendre certaines mesures comme c’est le cas très souvent, pour accréditer des observateurs aussi bien sur le plan national qu’international. Il faciliterait non seulement la tâche aux organisations qui voudraient être présente mais aussi, à lui-même. Ce qui lui conférerait plus de crédibilité sur la sphère politique africaine et internationale.

Lors des sénatoriales d’avril 2013, c’est moins de 48 heures avant l’élection que nous recevions nos accréditions et il a fallu se déployer en catastrophe sur l’ensemble du territoire. Ecoutez, nous n’avions pas voulu une seconde fois travailler dans ces mauvaises conditions … LM - interview EODE AFRICA 2e Partie (2014 01 02) FR (2)

* Karel HUYBRECHTS/ EODE Press Office : Quelle image vous faites-vous Luc MICHEL de l’Afrique?  ‘EODE Afrique’ se déploie sur le continent avec Gilbert NKAMTO et ses réseaux africains.

Mais seriez-vous prêt à y aller personnellement en mission ?

Luc MICHEL : J’ai une image positive de l’Afrique, du continent africain. L’Afrique est un grand continent, qui compte pour moi et que je respecte.

Je suis évidemment prêt à aller en Afrique sub-saharienne, car j’ai été souvent en Afrique du Nord, dans plusieurs pays du Maghreb, en Libye et en Tunisie notamment.

Je n’ai jamais hésité à sacrifier mon confort ou à prendre des risques.

Vous devez savoir qu’en Russie par exemple, j’ai mené des missions d’observation en 2011 et 2012 dans des régions où les Observateurs occidentaux ne voulaient pas aller. A Novossibirsk, en Sibérie par moins -48C° par exemple, ou encore à Astrakan, dans le delta gelé de la Volga. Et Fabrice BEAUR, Administrateur de la ‘Zone Russie-Caucase’, a lui mené une Mission d’Observation en mars 2012 pour les élections présidentielles russe à Khabarovsk dans l’Extrême-Orient russe, où aucun observateur enregistré de l’OSCE n’a jamais mis les pieds. Trop loin sans doute du confort de Moscou ou de Saint-Petersbourg … Je suis allé aussi souvent en Libye, y compris en avril 2011 sous les bombes de l’Otan. Et encore cette année en juin 2013 au Liban et à Damas, en plein assaut terroriste.

* Karel HUYBRECHTS/ EODE Press Office : Vous évoquiez à l’entame de cette interview que EODE était active dans le monitoring et l’observation des élections. Aussi vous nous avez fait part de votre attention pour l’Afrique.

Etes-vous certains que l’Afrique soit sur la bonne voie démocratique ?

Gilbert NKAMTO : Notre attention pour l’Afrique est très grande. Je suis comme je vous l’ai déjà dit extrêmement inquiet pour l’avenir de l’Afrique. C’est « malheureusement » un continent riche. C’est un continent plein de richesse : pétrole, gaz, or, diamant, uranium, cobalt, coltan, bois, etc.

Luc MICHEL : C’est aussi, et c’est généralement totalement occulté en Afrique ou ailleurs, un enjeu dans le cadre de la Géopolitique du climat, une réalité nouvelle issue des modifications climatiques.

Vous savez qu’il y a un groupe très important de scientifiques, notamment le groupe du GIEC, qui annonce de grands problèmes climatiques. Montées des eaux des océans, fonte des glaces, augmentation des catastrophes naturelles,  etc … Et l’un des paradoxes de ce phénomène, c’est que l’Afrique précisément est tout à fait en-dehors de ces mouvements climatiques et resterait donc un continent au climat agréable au cas où celui-ci se dégraderait en Europe, en Asie et dans les Amériques.

Ma thèse est une thèse qui n’est point encore discutée officiellement, mais qui a fait par exemple l’objet d’un roman géopolitique ‘à clés’ il y a trois ans, où précisément Chinois et Occidentaux s’opposaient pour prendre le contrôle d’une Afrique épargnée par la dégradation climatique. LM - interview EODE AFRICA 2e Partie (2014 01 02) FR (3)

* Karel HUYBRECHTS/ EODE Press Office : Nous avons jusqu’ici parlé principalement de deux pays, le Kenya et le Cameroun.

Est-ce que vous avez d’autres expériences en Afrique ?

Luc MICHEL : J’ai bien entendu d’autres expériences en Afrique. Tout d’abord la République démocratique du Congo. Vous savez que j’ai un passeport belge, que notre Secrétariat-général est à Bruxelles et que donc nous y suivons avec intérêt l’avenir chaotique de l’ancienne colonie belge. J’ai beaucoup écrit sur les rapines coloniales des Saxe-Cobourg-Gotha en Afrique, à commencer par Léopold II, et celles de la Belgique. Ou encore récemment sur l’assassinat de Lumumba.

J’ai aussi d’autres expériences en Afrique du Nord principalement.

En Algérie, tout d’abord. Je rédige régulièrement depuis maintenant trois ans des chroniques intitulées « Vu d’Alger », où je suis les troubles que l’occident essaie d’organiser en Algérie.

J’ai enfin une immense expérience et expertise de la Libye, l’ancienne Libye de Mouammar Kadhafi où j’ai voyagé pendant 25 ans, sur laquelle j’ai beaucoup écrit et réalisé un audit en 2005-2007. Et aussi sur la somalisation de la « nouvelle » Libye après novembre 2011. Notre ami Gilbert lui a une expérience encore plus forte évidemment.

* Karel HUYBRECHTS/ EODE Press Office : Justement parlons de l’Algérie et de la Libye. Commençons par la Libye : Sous Kadhafi on n’avait jamais entendu parler d’élections…

Gilbert NKAMTO : Il faut avoir vécu en Libye pour comprendre comment fonctionnait l’appareil de l’état, et le type de démocratie adopté par les libyens sous le colonel Kadhafi. Le peuple était très impliqué dans les questions de politique générale et dans la gestion de la cité. Il avait un cadre politique commun, les « Comités populaires de base », où les citotens et citoyennes se retrouvaient pour débattre de toutes les questions liées au quotidien et à la société.  Bien évidemment, les élections étaient présentes pour valider le projet de société, mettre en place un comité de gestion, qui avait un temps déterminé pour rendre son rapport. Nul ne pouvait se prévaloir du monopole de la gestion de la cité comme dans le modèle occidental où un individu, fut-il déréglé de ses sens parce que s’étant enivré ou drogué la veille, peut se lever le lendemain et prendre une décision pour aller envahir tout un pays et tuer toute une population donnée. Personne ne pouvait se prévaloir de ce droit dans la Libye de Kadhafi. Le « je décide que » n’existait pas dans le vocabulaire libyen. Donc pas d’énigme derrière les questions de députés, de maires… les libyens sous Kadhafi étaient tous députés, maires, conseillers municipaux etc. C’est fou de le dire certainement pour les personnes qui n’ont pas vécu cette expérience pilote de démocratie directe de la Jamahiriya. Aujourd’hui fort malheureusement, plus de 1,2 millions de libyens sont en exil et ce sont les pions des occidentaux qui détruisent le tissu social et politique légué par ce grand homme de la politique africaine. L’histoire reviendra sur lui, comme il en a été pour Kwame N’krumah ou Lumumba. Nous pourrions parler de la Libye de Kadhafi des jours et des nuits, nous n’en finirions pas. Après Kadhafi, quelques mois après sa mort, il y a eu enfin des élections autoproclamées « à l’occidentale »… Où en est-on aujourd’hui ? Le chaos libyen, c’est ça la « démocratie » en Libye ?

* Karel HUYBRECHTS/ EODE Press Office : Vous ne pensez pas apparemment, à vous écouter, que la Libye soit bien partie avec ses nouvelles réformes ?

Luc MICHEL : Je voudrais tout d’abord compléter les propos de Gilbert. Vous affirmez que « sous Kadhafi, on n’avait jamais entendu parler d’élections ». C’est totalement inexact ! En réalité, c’est un des mediamensonges propagés par les media de l’OTAN, par l’occident pour discréditer la Jamahiriya de Kadhafi.

La Jamahiriya de Kadhafi était un état hautement politique, où les questions et les débats idéologiques jouaient un rôle très important. En 1977, Kadhafi a remplacé le système libyen d’alors par la Jamahiriya, la « République des masses », avec une expérience de Démocratie directe qui a fait l’admiration de nombreux pays. Notamment à Cuba et dans le Venezuela de Chavez, où elle sert d’expérience pilote pour l’implantation d’une Démocratie directe.

Il y avait des élections sans fin en Libye. On élisait une séries d’assemblées : les assemblées de quartier, les assemblées de municipalités, les assemblées des grandes  municipalités, les 22 chaabiyates, qui avaient remplacé les trois provinces issues du colonialisme.

Un autre des mediamensonges c’est en effet de faire croire que la Libye de Kadhafi restait divisée comme la Libye coloniale entre trois grandes provinces : Tripolitaine, Fezzan et Cyrénaïque. La Libye jamahiriyenne était divisée en 22 grandes municipalités, équivalent approximatif d’un département français, qui élisaient leurs « congrès populaires de base » puis leurs « congrès municipaux ». Au sommet de la pyramide existait le « Congrès populaire général » qui jouait le rôle d’un parlement libyen.

Vous noterez deux choses à ce sujet. C’est que le régime imposé par l’OTAN en Libye après l’agression de 2011 a conservé à un mot près comme nom du parlement celui de ‘Congrès populaire général’ : le « Congrès populaire national », tellement le peuple libyen était attaché aux institutions de la Jamahiriya.

A Benghazi dans les premiers jours de l’insurrection, le CNT se revendiquait également du ‘Congrès populaire général’, preuve qu’il existait bien et qu’il était démocratique. Simplement Kadhafi, avec son ‘Livre Vert’, pensait que les partis politiques, le parlementarisme bourgeois, étaient une malédiction et qu’ils n’avaient pas de place dans une démocratie directe véritable.

Les représentants aux différentes assemblées libyennes étaient issues directement de la société civile, des élites tribales, des universités, des syndicats apolitiques, sans partis politiques.

* Karel HUYBRECHTS/ EODE Press Office : Venons-en si vous le voulez-bien à la « nouvelle Libye » …

Luc MICHEL : J’ai beaucoup écrit sur la « nouvelle Libye » après avoir beaucoup écrit sur l’ancienne et je ne pense évidemment pas que la Libye soit bien partie. D’autant plus que les réformes qui ont été appliquées là-bas sont des réformes bidons, des réformes de papiers.

Il faut dire un mot rapide sur les élections qui ont eu lieu en Libye post-CNT. On a commencé par exclure des listes électorales plus de 800.000 ex-kadhafistes sur 3,2 millions de votants. Cela reviendrait à exclure plus de 28 millions de russes. Imaginez-vous les cris d’orfraie qui seraient ceux des journalistes, des media et des politiciens occidentaux si Poutine faisait ça !?

Ensuite, les élections se sont déroulées dans un pays aux infrastructures détruites par les bombardements de l’Otan, où l’Etat a totalement disparu. L’autorité du nouveau gouvernement libyen se limitant à quelques quartiers de Tripoli, à quelques quartiers de Benghazi, à quelques villages. Il n’y a plus rien. Il y a eu un climat d’extrême violence qui continue encore actuellement. Il y a eu des candidats attaqués et mêmes assassinés.

Les élections se sont déroulées sous la menace des milices islamistes. La nouvelle armée libyenne, qui est une armée néo-coloniale, est dirigée par un ‘général’ libyen, ex-colonel déserteur, Khalifa Belqasim Haftar qui est officiellement un agent de la CIA depuis 1987. Le premier président du parlement libyen, Mohamed al-Megaryef, chef des forces libérales et homme fort du nouveau régime, est également un agent de la CIA depuis 1980, où il dirigeait le groupuscule « Front de Salut National Libyen ». Ce sont les gens qui ont organisé avec l’aide des djihadistes de Ben Laden une série de coups d’état depuis 1982 et ont réussi le coup d’état de février 2011 qui a mis en quelques mois un terme à la Jamahiriya.

Cette armée est confrontée à des armées privées, lourdement armées : milices de Zenten, de Misrata, de Derna, de Tripoli. Celles-ci ont leurs groupuscules, partis et candidats. Les islamistes élus lors des dernières élections l’ont tous été dans des zones où ces milices contrôlaient le pseudo « processus électoral ».

Et évidemment le contrôle du processus électoral était confié à des instituts de l’OTAN et à des ONG occidentales.

* Karel HUYBRECHTS/ EODE Press Office : Et le rôle du Qatar dont on parle tant, dans cette crise libyenne… ?

Luc MICHEL : Précisément pour vous donner un dernier élément puisque la Libye n’est pas l’objet principal de notre entretien, l’ancien djihadiste et dirigeant d’Al-Qaïda en Libye, Abdelhakim Belhaj, qui a été également prisonnier à Guantánamo, et donc libéré par les américains, a été appointé par les généraux français et anglais de l’OTAN et sur la pression du Qatar « gouverneur militaire de Tripoli » en août 2011. Il a ensuite avec l’argent du Qatar créé son parti politique qui se nomme El-Watan et dont les couleurs sont celles du drapeau qatari. C’est un puisant parti-milice qui défie le gouvernement de Tripoli.

C’est cela la soi-disant démocratie libyenne !

Les Libyens n’ont pas plébiscité les partis libéraux parrainés par les anglo-américains, ceux des Megarief et autres Jibril. Ils ont choisi en l’absence de toute opposition véritable, autre que celle armée de la RESISTANCE VERTE kadhafiste qui boycottait les élections, les candidats non islamistes …

* Karel HUYBRECHTS/ EODE :  Et l’Algérie ?  C’est une grande démocratie …

Que pensez-vous du Président Bouteflika ?

Luc MICHEL : L’Algérie est effectivement une grande démocratie. C’est aussi un pays, on l’oublie, qui a connu une longue guerre civile. Là aussi avec l’assaut lancé par les islamistes et l’aide discrète alors mais réelle des pays occidentaux, USA en tête mais aussi (et déjà) de l’Arabie saoudite.

L’Algérie après une décennie terrible, après une guerre civile qui a fait des morts sans nombre, a réussi à s’en sortir.

Abdelaziz Bouteflika, qui est un des vieux politiciens du FLN, est revenu aux affaires car il n’y avait pas d’autre solution. Il a réussi à maintenir une certaine stabilité. On peut le critiquer mais l’on peut critiquer partout les dirigeants. Les dernières élections ont cependant vu une défaite historique des islamistes et une victoire du FLN et des partis du Front patriotique regroupé autour de lui. Je pense que ça, c’est le merci des algériens à la politique du président Abdelaziz Bouteflika.

* Karel HUYBRECHTS/ EODE Press Office : Apparemment vous ne faites pas dans la langue de bois. Vous semblez être là aussi en opposition totale sur certains points avec l’Union européenne ou les ONG  occidentales ?

Luc MICHEL : Je ne pense pas que la langue de bois ou le mensonge face à la catastrophe mondiale à laquelle nous devons faire face – qui est globale : financière, économique, sociale, politique, climatique et militaire -, soit la solution.

Au niveau d’EODE et de toutes mes autres activités, j’ai fait le choix de dire la vérité, même si elle choque ou si elle blesse.

Nous sommes effectivement en opposition avec l’Union Européenne, l’OSCE et les ONG occidentales puisque nous nous sommes organisés à partir de 2006 principalement pour apporter une réponse aux manipulations et aux actions déstabilisatrices de ces dernières en Eurasie et maintenant en Afrique.

* Karel HUYBRECHTS/ EODE Press Office : En tout cas, c’était un plaisir de partager cette interview avec vous. Avez-vous quelque chose de plus à ajouter ?

Luc MICHEL : Je voudrais m’adresser au public africain puisque l’Afrique a dominé cet entretien.

On parle beaucoup à propos de la crise au Mali mais aussi de la re-colonisation de l’Afrique, de l’AFRICOM, le commandement militaire US en Afrique. Je vois beaucoup d’Africains qui baissent les bras aujourd’hui. Vous ne devez pas le faire. Pas plus que nous ne devons baisser les bras en Europe. Je pense que notre cause est juste. C’est celle d’un monde multipolaire.  C’est celle d’une démocratie véritable.  C’est celle de la justice sociale. Je vous remercie.

Gilbert NKAMTO : Vous savez les deux précédentes guerres mondiales (1914-18 et 1939-45) ont eu des conséquences désolantes pour l’Europe mais elles avaient permis à l’Afrique un sursaut face aux colonisateurs. L’Afrique avait saisi cette opportunité pour se remettre dans la marche de l’histoire avec la vague de mouvements indépendantistes qui avaient suivi les lendemains de 1945 et qui ont permis aux états africains d’obtenir leur « indépendance ». Vous savez, les injustices contre l’Afrique sont énormes de nos jours. Nonobstant le faux prétexte du « printemps arabe », qui a vu déferler en Afrique tous les assassins du monde entier et transformer une religion de paix et de tolérance – ce qu’est la religion musulmane – en une religion de violence et de terrorisme, l’Afrique a un regain d’espoir. Et cet espoir va renaître bientôt à la suite des événements qui se trament au Moyen-Orient notamment en Syrie et très indirectement en Iran. C’est justement là où j’attends les pays occidentaux mais c’est aussi à partir de là que j’espère que l’Afrique va renaître de ses cendres. Comme après les guerres de 14 et de 39, l’Afrique a tiré son épingle du jeu, elle devrait tirer son épingle du jeu de ce qui se trame au « Grand Moyen-Orient ». Qui sait ? Voyons voir ce que nous réservera 2014. Je vous remercie,

Entretien mené par Karel HUYBRECHTS

Rédacteur en Chef de EODE Press Office / EODE-TV

http://www.eode.org/eode-press-office-eurasie-et-afrique-complementarites-geopolitiques-et-perspectives-africaines-2/

# Première partie sur :

EURASIE ET AFRIQUE : COMPLEMENTARITES GEOPOLITIQUES, VISION ET ACTION UNITAIRES D’EODE (1)/

EODE, CONCEPTIONS ET ACTIONS

http://www.eode.org/eode-press-office-eurasie-et-afrique-complementarites-geopolitiques-vision-et-action-unitaires-deode-1/

Photo : Gilbet KNAMTO et Luc MICHEL lors d’un Symposium international à Tripoli, en Libye, au Congrès Populaire Général, en octobre 2009.

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INPS: buco da 10 miliardi. Dal 2015 pensioni a rischio, ma nessuno deve parlarne. Tra qualche anno niente pensioni!

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BY FRANP
Iniziamo col dire che criminale è chi sa ma non vuol far sapere.
I conti sono semplici e per niente tranquillizzanti. Pesantemente in rosso specie dopo l’accorpamento, deciso da Monti, con Inpdap ed Enpals nella nuova superInps. Potremmo definire il sistema pensionistico odierno una specie di schema di Ponzi, il grande truffatore italo-americano. Ma quello che ancora la tiene in vita è il fatto che è statale, fosse stato un ente privato sarebbe già fallita per bancarotta, probabilmente fraudolenta.
In parole povere tutti i contributi che vengono versati oggi dai lavoratori non servono ad assicurare le loro pensioni ma a pagare le pensioni attuali. L’idea è che quando andranno in pensione i lavoratori di oggi, le loro pensioni le pagheranno i lavoratori di domani con i loro contributi. E così via. E adesso che i pensionati sono sempre di più mentre i lavoratori sempre di meno? Da dove si prendono i soldi? Ecco spiegato il buco di circa 10 miliardi. Ed ecco spiegato il motivo per cui l’età pensionabile sale sempre più. Ma è come mettere i rifiuti sotto il tappeto. Tra un anno o 10 anni verranno fuori.
pensioni_liquidazioni2013A lanciare un nuovo allarme è stato anche il presidente dell’Inps, Antonio Mastrapasqua, uno che i conti li sa fare bene. Ha scritto una lettera al ministro dell’Economia e a quello del Welfare dopo aver analizzato il bilancio dell’Istituto: “Ho scritto sia al ministro Saccomanni che al ministro Giovannini, come fatto con l’esecutivo precedente, invitandolo a fare una riflessione su questo punto essendo il bilancio Inps ormai un bilancio unico ed essendo il disavanzo patrimoniale ed economico una cosa che, vista dall’esterno, nel mondo della previdenza, può dare segnali di non totale tranquillità». Il presidente Mastropasqua ha poi lanciato un appello. Bisogna valutare «nelle sedi competenti, l’opportunità di eventuali interventi normativi, tesi a garantire l’efficiente ed efficace implementazione della più grande operazione di razionalizzazione del sistema previdenziale pubblico». Il rischio altrimenti è un «aumento delle passività».
Solo quest’anno le previsioni erano di circa 213 miliardi in entrata e di circa 303 in uscita.  89 miliardi di differenza. Per ora lo Stato continua rimettere, per quello che può, nelle casse dell’INPS spremendo i cittadini con tasse e pagamenti di vario genere. Ma per quanto può durare questa situazione?
E considerando le stime per l’Italia fatte dal FMI il futuro non è certo roseo ma sempre più nero con il Pil in calo del 1,5% e quindi, per l’INPS, l’aumento di passività è assicurato. Qualcuno più ottimista ipotizza che, chi andrà in pensione tra 10-15 anni, percepirà meno del 50% di pensione rispetto allo stipendio. Noi diciamo: magari! Perché  conti alla mano, e stando alle  previsioni , gia tra 3-5 anni si farà fatica a pagare le pensioni.

L’amarezza dei poliziotti antimafia finiti agli arresti per la Diaz

https://apps.facebook.com/corrieresocial/cronache/14_gennaio_03/amarezza-poliziotti-antimafia-finiti-arresti-la-diaz-de931e56-7451-11e3-90f3-f58f41d83fbf.shtml

GLI UOMINI CHE ARRESTARONO PROVENZANO E IL KILLER DI BRINDISI AI DOMICILIARI 13 ANNI DOPO IL G8
Pene alternative negate, ma non a chi ordinò di portare le molotov
Dovrebbero essere condannati a pene detentive, vere, ben più pesanti.
Ed il danno erariale? Non lo pagano?
NON hanno ancora capito che gli ordini illegittimi NON SI ESEGUONO?
Hanno solo da denunciare i mandanti, perchè non lo fanno?
Forse è meglio che ne approfittino per studiare un pò nelle patrie galere!
Per loro non esiste la ASSOCIAZIONE a DELINQUERE? 

 ROMA – Hanno diritto a due ore d’aria al giorno, come i criminali a cui hanno dato la caccia nella loro carriera di poliziotti: assassini, sequestratori e capimafia. Gilberto Caldarozzi, già capo del Servizio centrale operativo, può uscire di casa ogni mattina tra le 10 e mezzogiorno, per il resto è recluso agli arresti domiciliari. E come lui Francesco Gratteri, ex direttore dell’Anticrimine nazionale, al quale i giudici hanno concesso due ore di libera uscita anche il pomeriggio, dalle 16 alle 18; forse perché deve scontare un anno, mentre a Caldarozzi restano otto mesi.

IL DECRETO – Tutto grazie al decreto «svuotacarceri», altrimenti starebbero in galera. Perché a loro, come agli altri funzionari coinvolti nella storia della false bottiglie molotov fatte trovare alla scuola Diaz di Genova nella perquisizione-pestaggio post G8 del 2001, i magistrati di sorveglianza hanno negato l’affidamento in prova ai servizi sociali. Cioè l’alternativa alla detenzione normalmente concessa ai condannati incensurati con residuo pena inferiore a tre anni; per capirci, la misura richiesta da Silvio Berlusconi sulla quale dovranno pronunciarsi i giudici di Milano. Quelli di Genova, per i «poliziotti della Diaz», hanno appena deciso: non meritano alcun beneficio, tranne qualche caso.

I DUBBI – A chi lo conosce e lo incontra nelle ore d’aria, mentre cammina a passo svelto per le vie di Roma, Gilberto Caldarozzi non nasconde l’amarezza per il trattamento riservato a lui e alcuni colleghi. Colpevoli, secondo le sentenze, non della sciagurata irruzione alla Diaz, bensì della falsa attestazione che nella scuola c’erano due bottiglie molotov, in verità recuperate qualche ora prima per le strade della città. Una copertura postuma per giustificare l’ingiustificabile violenza sui ragazzi. Studiata a tavolino. Ma da chi?
Caldarozzi, come Gratteri e altri condannati, ha sempre negato di aver saputo che quelle bottiglie erano state sistemate a bella posta da altri poliziotti, anche dopo la condanna d’appello (seguita all’assoluzione di primo grado) divenuta definitiva nel luglio 2012. Fino ad allora ha guidato operazioni importanti come le catture di Bernardo Provenzano e dei boss camorristi Iovine e Zagaria, la scoperta degli assassini del piccolo Tommaso Onofri a Parma, quelli di Francesco Fortugno a Reggio Calabria, l’autore della strage alla scuola di Brindisi nell’estate 2012. Subito dopo è arrivato l’ultimo verdetto, la sospensione dal servizio, il limbo dell’attesa contrassegnato da continue memorie, istanze e controdeduzioni. Infrantesi sulle decisioni finali: niente misure alternative, solo detenzione. Commentate da Vittorio Agnoletto, già portavoce del Genoa Social Forum, con un laconico «meglio tardi che mai».

AL LAVORO – Il lavoro per scontare la pena non da reclusi, a Caldarozzi e Gratteri, l’aveva offerto Tano Grasso, leader della Federazione antiracket, una delle icone dell’antimafia. Lui, convinto dell’innocenza dei due funzionari ma rispettoso (come i condannati, del resto) della sentenza di colpevolezza, s’era dichiarato «onorato» di avvalersi della loro consulenza nel sostegno alle vittime di estorsioni e usura. Non è bastato: per i giudici «non sono comparsi neppure i primi “segni” di un effettivo percorso di rieducazione a fronte del reato commesso».
Il problema è che l’ex poliziotto continua a sostenere – al pari di Gratteri – di essere stato ingannato da chi, la sera della Diaz, disse di aver trovato le due bottiglie all’interno della scuola. E in base a quelle comunicazioni firmò il verbale d’arresto per gli occupanti della Diaz (Gratteri neanche quello, non essendo ufficiale di polizia giudiziaria). Dunque nega di aver commesso il reato; difficile, per lui, andare oltre il «rammarico per chi ha subito violenze gratuite e altri nocumenti da parte di alcuni esponenti della polizia», come riferito dall’assistente sociale che aveva espresso parere favorevole alla misura alternativa alla detenzione.

NIENTE DA FARE «Non si discute – hanno scritto i giudici – del diritto del condannato di dichiararsi innocente anche dopo la pronuncia della sentenza irrevocabile di condanna, quanto piuttosto di riscontrare come il Caldarozzi non manifesti consapevolezza riguardo ai fondamentali valori violati». Così si torna al punto di partenza: la richiesta di un atto di «resipiscenza» per chi ritiene di non aver consapevolmente violato alcunché. E a quel che l’ex investigatore ha sostenuto da quando il verdetto è divenuto definitivo: non lo condivido ma lo accetto, non chiedo trattamenti di favore ma nemmeno pregiudizialmente sfavorevoli, come gli era parso il ricorso della Procura generale genovese contro l’automatica applicazione della legge svuotacarceri, respinto dalla Cassazione.

LE MOLOTOV – Adesso resta la reclusione accompagnata da una notizia che sembra l’ultimo paradosso di questa storia: tra i pochissimi condannati a cui è stato concesso l’affidamento in prova c’è quello che ordinò a un suo sottoposto di portare le due famose molotov dentro la scuola. Uno dei principali responsabili della messinscena, insomma, col quale durante l’istruttoria Gratteri aveva vanamente chiesto di essere messo a confronto. Come e perché arrivò quell’ordine non s’è mai capito, ma oggi il poliziotto che lo diede non è detenuto. Gli altri sì .

Giovanni Bianconi
03 gennaio 2014 | 10:11

Pianura Padana, rifiuti tossici e nucleari interrati come al Sud

http://quotidianoitalia.it/pianura-padana-rifiuti-tossici-e-nucleari-interrati-come-al-sud/?fb_action_ids=10200352761180381&fb_action_types=og.likes&fb_source=other_multiline&action_object_map=%5B563082710429122%5D&action_type_map=%5B%22og.likes%22%5D&action_ref_map=%5B%5D

Di:  il 17/11/2013
nord-inquinato

 Se pensavate che il fenomeno dei rifiuti interrati riguardasse solo il Sud, vi sbagliate di grosso, infatti dalle risaie del Vercellese a Pordenone, il terreno della Valpadana è risultato inquinato a causa dei rifiuti tossici, scorie radioattive ed ex terreni industriali in attesa di bonifica.

Anche il Nord è fortemente inquinato e brucia. E quelle pubblicità come la Pomì, che esalta la provenienza padana dei suoi pomodori come garanzia, hanno torto marcio. Tra le risaie del Vercellese, c’è una delle più grandi discariche di rifiuti nucleari italiani, scarti di quelle centrali atomiche spente nel 1987, ma che continuano ad inquinare l’aria e la terra.

In quelle zone sono presenti oltre il 90% delle scorie radioattive prodotte in Italia, e le mura in cemento che dovrebbero contenere questi scarti nucleari altamente pericolosi, dopo tanti anni, sono irrimediabilmente danneggiate rilasciando continuamente acqua radioattiva nelle acque del fiume Dora e nel Po. Nei terreni circostanti ai depositi nucleari, viene coltivato il riso tra il più venduto nel mondo.

Anche in Veneto non se la passano bene. Infatti Porto Marghera è una delle terre più contaminate d’Europa, la zona è completamente disseminata di impianti, oramai quasi totalmente dismessi, con scarti e scorie di lavorazione ancora da bonificare.

Un altro caso decisamente preoccupante è Ispra, una cittadina sul versante lombardo del lago Maggiore, in provincia di Varese. In questa città  per decenni era in funzione una piccola centrale nucleare dell’Enea, e dove credete che venivano scaricate le scorie ed i liquami? Direttamente nelle acque del lago. Attualmente nella provincia di Varese c’è la più alta incidenza di carcinomi mammari, ogni anno si registrano circa 800 donne affette da questa patologia.

Per concludere in Friuli Venezia Giulia, una ricerca della Asl di Pordenone parla di acque superficiali “a rischio contaminazione“, da idrocarburi rinvenuti nelle acque di falda vicine all’aeroporto militare Usa di Aviano, dove negli anni si sono registrati casi di rottura delle condotte di carburante. Nel 1998 il “Centro di riferimento oncologico di Aviano” segnalava che, all’interno della base americana, a 15 chilometri da Pordenone, il tasso di radioattività dell’aria era cinque volte superiore alla media italiana.

Quindi possiamo tranquillamente dire che il Nord non ha nulla di insegnare al Sud, l’unica cosa che potrebbe tramettere al resto d’Italia è la profonda ipocrisia che le aziende locali utilizzano per pubblicizzare i propri prodotti alimentari. Lo smaltimento dei rifiuti riguarda tutta l’Italia

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