La televisione del futuro avrà la capacità di spiarvi

By Edoardo Capuano – Posted on 07 dicembre 2012

Clicca per ingrandireVerizon ha brevettato un sistema controverso con cui lo schermo carpirà tutto di voi, colore della pelle e dei capelli inclusi. E che vi ascolterà mentre parlate. Per comprendere la pubblicità da mandare in onda.

Immaginate di essere seduti sul divano di casa vostra con il vostro o la vostra partner e intavolare una discussione: improvvisamente compare in televisione una pubblicità per una consulenza matrimoniale. Oppure immaginate di star facendo sollevamento pesi ed avere un film di sottofondo e, di punto in bianco, vedete comparire sullo schermo annunci pubblicitari su come tenersi in forma, o sulla dieta da seguire.

Nel passato queste sarebbero state tutte coincidenze, ma nel futuro non lo saranno più, grazie all’idea avuta dal marchio Verizon, il quale, secondo il sito Slate, sarà in grado di spiare tutti i vostri gesti grazie a una particolare tecnologia.

Questo marchio inglese ha brevettato, di fatto, un sistema in grado di capire l’esatta tipologia di pubblicità che ogni persona vuole vedere. Usando una combinazione di immagini e attraverso sensori posizionati nelle case dei suoi clienti, riuscirà a capire cosa state facendo mentre guardate la televisione. Tali sensori riusciranno anche a capire come siete fatti fisicamente, il timbro vocale. Potrà addirittura individuare se ci sono drink in casa o quadri attaccati al muro.

Praticamente la vostra televisione di casa sarà in grado di capirvi e di seguire ogni vostra singola mossa. Opererà più o meno come Google con i suoi utenti di Gmail, ovvero mandando precise informazioni a seconda dei dati che vengono rilevati. L’unica differenza è che in questo caso sarà la televisione a farlo e tramite immagini, che si può dire, vi guarderanno mentre voi guarderete loro. Una tecnologia da vero Grande Fratello, che ovviamente inquieta.

Naturalmente questo è solo un brevetto quindi non c’è ancora bisogno di iniziare a guardare la TV con sospetto, per ora. Simili brevetti devono venire registrati prima e poi essere messi in pratica. Ma questo non cambia il fatto di come la tecnologia stia sempre più invadendo la nostra vita privata.

GUARDA VIDEO

 Fonte: wallstreetitalia.com

http://www.ecplanet.com/node/3662

Grandi discorsi di grandi presidenti

Vi presentiamo in questo post due recenti grandiosi discorsi pubblici di altrettanti presidenti di nazioni sudamericane. Stiamo parlando di Josè “Pepe” Mujica, presidente dell’Uruguay, e di Evo Morales Ayma, presidente della Bolivia.

Gli 11 minuti scarsi del discorso di Mujica sono quanto di più emozionante si sia mai potuto ascoltare da un capo di stato. Va premesso che, quanto a dimensione umana, il presidente uruguaiano è molto sui generis: dopo aver trascorso in carcere 15 anni per la sua militanza nei Tupamaros in opposizione al regime dittatoriale, è oggi noto come il “presidente più povero del mondo”: all’età di 77 anni, vive in un antico casale senza acqua corrente a pochi chilometri da Montevideo, è vegetariano, guida questa vecchia auto e devolve in beneficienza il 90% del suo stipendio di 7.500£, trattenendo per sè soltanto circa 500£, che gli servono per vivere. Gianni Tirelli di www.oltrelacoltre.com recensisce così il suo discorso:

Un discorso che rimarrà nella storia per la sua semplicità e la sua profondità di vedute. Esiste il bene al mondo e vale la pena di combattere per esso. Il discorso che vorremmo ascoltare da ogni politico. Il Presidente dell’Uruguay Josè “Pepe” Mujica tocca i cuori con la sua semplice, inoppugnabile, coraggiosa verità. È l’uomo che governa il mercato o il mercato che governa l’uomo? Un discorso che passerà alla storia.


Da par suo, il presidente Boliviano Evo Morales ha invece deciso di cantarne quattro direttamente alla 67° Assemblea Generale dell’ONU. Dopo aver tenuto la parola per una quarantina di minuti, ha concluso il suo discorso ufficiale ai capi di stato di tutto il mondo citando la scadenza del 21 dicembre 2012, la data a partire dalla quale – calendario Maya alla mano – non ci sarà più spazio nel mondo per l’odio, l’egoismo, l’inquinamento e il potere economico oppressivo. Cliccando sull’immagine, potete seguire il discorso integrale in lingua spagnola, di cui abbiamo tradotto sotto la parte conclusiva a partire dal minuto [31:24].

UN67-Evo-Morales-speech

“Desidero invitarvi ad un incontro internazionale il 21 dicembre di quest’anno. Un invito per accogliere un ciclo di armonia per la madre Terra e tenere un dibattito virtuale e dal vivo sui seguenti argomenti:

  1. Crisi globale del capitalismo;
  2. Crisi della civiltà, governo mondiale, capitalismo, socialismo, comunità e cultura della vita;
  3. Crisi del clima, relazione dell’essere umano con la natura;
  4. Energia, energia della comunità, energia del cambiamento;
  5. La consapevolezza di Madre Terra;
  6. Ripristino e recupero dei costumi ancestrali, naturale calendario cosmico;
  7. Vivere bene come soluzione alla crisi globale, perché noi affermiamo ancora una volta che possiamo vivere meglio solo se non saccheggiamo le nostre naturali risorse. Si tratta di un dibattito profondo che mi piacerebbe avere con il resto del il mondo;
  8. Sovranità alimentare e la sua sicurezza;
  9. L’integrazione, la fratellanza, la comunità, l’economia, la complementarietà, il diritto di comunicazione, apprendimento comunitario, il nuovo essere umano, l’approccio olistico, la fine del patriarcato, la conoscenza di sé, il risveglio e ovviamente la salute, che è così importante.

E vorrei dire che, secondo il Calendario Maya, il 21 dicembre segna la fine del tempo e l’inizio del non-tempo. È la fine del Macha e l’inizio del Pacha. È la fine dell’egoismo e del della fratellanza. È la fine dell’individualismo e l’inizio del collettivismo, il 21 dicembre di quest’anno. Gli scienziati sanno molto bene che questo segna la fine di una vita antropocentrica e l’inizio della vita biocentrica. È la fine dell’odio e l’inizio dell’amore. È la fine della menzogna e l’inizio della verità. È la fine della tristezza e l’inizio di gioia. È la fine della divisione e l’inizio dell’Unità.

Come delegati, abbiamo l’obbligo di far fronte alla responsabilità e questo significa porre fine al sistema di potere. Non è più il momento di decantare le lodi del potere. È venuto il tempo delle persone, il momento di liberarle e di perseguire costantemente l’uguaglianza economica e sociale fra tutte le persone. Questo è il momento di portare dignità a tutti gli abitanti del pianeta.

Hearthaware blog

Grandi discorsi di grandi presidenti

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Ban Ki-moon svela la farsa delle armi chimiche siriane

Il segretario generale delle Nazioni Unite ammette l’assenza di prove riguardo il possibile utilizzo di gas nervino da parte dell’esercito siriano 

Matteo Bernabei

“L’uso di armi chimiche da parte del presidente siriano Bashar al Assad sarebbe un crimine oltraggioso e vergognoso, ma al momento non disponiamo di alcun rapporto che possa confermare questa tesi”. Basta leggere queste poche parole, pronunciate il segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon (foto) in occasione della visita ai campi profughi siriani in Turchia, per capire quale sia il reale pericolo dell’utilizzo di armi chimiche da parte dell’esercito del Paese arabo e quanto invece il caso sia stato montato dai Paesi occidentali per giustificare un’eventuale intervento militare diretto.
Il segretario alla Difesa Usa, Leon Panetta, si è detto certo che la Siria stia “considerando” l’uso di questo tipo di armamenti, le opposizioni a Damasco – create e finanziate dall’Occidente – chiedono al mondo di agire per fermare il “disastro, il direttore generale dell’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche (Opcw) ha addirittura chiesto al governo siriano di ratificare immediatamente il trattato, scongiurando così che “per la prima volta nella sua storia la Convenzione (che Israele non ha ancora firmato, Ndr)  possa essere violata e gli armamenti in questione possano essere utilizzati”. Il tutto senza che vi sia uno straccio di prova a conferma di tale intenzioni, un rapporto d’intelligence, o qualsiasi altra cosa. Un marasma creato solo dai sospetti “timori” dell’amministrazione nordamericana, che spera forse di trovare in Siria anche quelle armi di distruzione di massa irachene non rivenute neppure a oltre nove anni dall’invasione del 2003.  
Usa e “Alleati” stanno cercando in tutti i modi un pretesto per colpire il Paese arabo, lo sa bene anche la Russia che proprio ieri ha espresso i sui timori anche riguardo il reale scopo del dispiegamento in Turchia, lungo il confine siriano, dei missili Patriot, messi a disposizione da ieri anche dall’Olanda. “Per noi non è una minaccia, ma è una indicazione che la Nato si sta impegnando verso un coinvolgimento”, ha affermato ieri il nuovo rappresentante russo presso l’Alleanza Atlantica, Alexander Grushko, il quale ha inoltre assicurato che nel caso in cui il Cremlino notasse trasferimenti di armi chimiche “faremmo le necessarie domande ai nostri interlocutori di Damasco”.

Gli Stati Uniti non sembrano aver però l’intenzione di lasciare nulla di intentato e per colpire la Siria sono disposti a tentare ogni strada, anche la più tortuosa. Così dopo aver ignorato volontariamente per oltre 18 mesi la presenza in Siria di gruppi armati jihadisti, l’amministrazione Usa non solo ne riconosce l’esistenza, ma intende portare l’Onu ad agire nei loro confronti, creandosi cosi una nuova opportunità per colpire il Paese arabo.
“Sebbene siano ancora una minoranza, gli estremisti stanno conquistando sempre più potere nelle file dell’opposizione siriana, ponendo così un ostacolo alla ricerca della soluzione politica – ha affermato l’inviato nordamericano per la Siria, Robert Ford – per questo, ha aggiunto, gli Stati Uniti stanno collaborando con la nuova Coalizione nazionale delle forze di opposizione siriane per favorire la transizione politica dopo la caduta del regime di Bashar al Assad . Se riusciamo a tenere i leader siriani uniti, credo ci possano essere minori possibilità per Iran, Russia e altri attori pericolosi, come per esempio Hizbollah, di intervenire nel loro tipico modo negativo”.
Una spiegazione un po’ contorta che sembra fare da apripista a un’altra eventuale guerra al terrorismo. È orami chiaro che Usa & Co. vogliono la testa di al Assad e il controllo della Siria, in un modo o nell’altro. L’opposizione creata, finanziata e armata dall’Occidente, non sembra in grado di poter sostenere il confronto sotto ogni aspetto con le autorità di Damasco, per questo il fronte interventista cerca strade alternative. Del da farsi discuteranno probabilmente tutti insieme i principali attori della vicenda il prossimo lunedì a Bruxelles, quando il presidente della Coalizione nazionale dell’opposizione siriana, Ahmed Moaz al Khatib, incontrerà i ministri degli esteri dei 27 riuniti per il Consiglio Ue.

08 Dicembre 2012 12:00:00 – http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=18281

Gb: Assad si prepara a usare armi chimiche Damasco accusa: sono in mano ai ribelli

ultimo aggiornamento: 08 dicembre, ore 19:18

Londra – (Adnkronos/Ign) – Hague punta il dito contro il regime: ”Ci sono prove da fonti di intelligence”. Il ministero degli Esteri siriano invia lettera all’Onu: ”Il pericolo viene dagli insorti”

 Il Regno Unito e gli Stati Uniti hanno verificato l’esistenza di prove che dimostrano come il regime siriano si stia preparando ad usare le armi chimiche in suo possesso. Lo afferma il ministro degli Esteri britannico, William Hague, che parlando con la Bbc sostiene che ci sono “abbastanza prove”, provenienti da “fonti di intelligence” da spingere gli Usa a lanciare un “avvertimento” al governo di Damasco. “Il presidente degli Stati Uniti ha avvertito (la Siria, ndr) che ci sarebbero gravi conseguenze, e diceva sul serio”, ha detto Hague. La scorsa settimana le autorità governative siriane avevano assicurato che le armi chimiche non sarebbero “mai, in nessuna circostanza” state impiegate contro i ribelli e la popolazione civile.

E ora il ministero degli Esteri siriano, in una lettera inviata al segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon e al governo del Marocco, che detiene la presidenza di turno del Consiglio di sicurezza dell’Onu, sostiene che il pericolo dell’uso di armi chimiche contro il popolo siriano viene dai ribelli, e non dal governo di Damasco.

”Damasco non userà, in alcuna circostanza, armi chimiche” dato che ”il governo siriano sta difendendo il proprio popolo contro il terrorismo che è sostenuto da vari Paesi, tra cui gli Stati Uniti”. Il ministero degli Esteri siriano punta poi il dito contro ”i terroristi”, termine usato per indicare i ribelli contro Bashar al-Assad, che ”potrebbero usare armi chimiche contro il popolo siriano”. A sostegno di questa tesi le autorità siriane citano ”il sequestro da parte dei terroristi di un laboratorio per la produzione di cloro a est di Aleppo”.

Sotto accusa anche gli Stati Uniti, ”che più di una volta quest’anno hanno sostenuto che la Siria avrebbe potuto usare armi chimiche” e ”conducendo una campagna contro un eventuale uso siriano di armi chimiche nonostante la Siria abbia più di una volta sottolineato di non voler ricorrere all’uso di queste armi contro il proprio popolo”.

http://www.adnkronos.com/IGN/News/Esteri/Gb-Assad-si-prepara-a-usare-armi-chimiche-Damasco-accusa-sono-in-mano-ai-ribelli_313973004000.html

I Cosiddetti Nuovi Posti di Lavoro in Usa

8 dicembre 2012Di Maurizio Blondet

Usa: creati più posti di lavoro del previsto”, “Usa: a novembre più 147 mila posti di lavoro!”.  Entusiasmo  d’ufficio nei media sussidiati: il mondo sta uscendo dalla crisi, è la luce  in fondo al tunnel! Monti ha sempre ragione!   Ma  se vediamo più da vicino i dati di questo miracolo americano, sgranandolo per clkassi di età dei “nuovi” lavoratori, il quadro è lievemente  agghiacciante.   Anzitutto una spiegazione:  i posti imprevisti in più si aggiungono alla “normale” crescita di 1,2 milioni di posti di lavoro a novembre, “normale” perchè si tratta di assunzioni in vista dello shopping natlizio.  Ebbene: i vecchi, tra i 55 e i 69 anni,   si sono accaparrati  i posti di lavoro creati in più,   anzi   ancora di più:  ben 177 mila.  Nella classe di età fra i 24 e i 55 anni, la più produttiva e quella che spunta le buste-paga più alte,  i posti di lavoro sono in realtà calati di 359 mila . 

E’ una tendenza costante: da quando Obama è entrato alla Casa Bianca,  la  classe 55-69 anni ha cumulativamente guadagnato 4 milioni di posti di lavoro; le classi giovanili, dai 20 ai 25 e dai 25 ai 55, ne hanno persi 3 milioni.  Tre milioni di posti di lavoro perduti.

 ScreenHunter 01 Dec. 08 12.34 I Cosiddetti Nuovi Posti di Lavoro in Usa: Solo per Vecchi (di Maurizio Blondet)

http://www.zerohedge.com/sites/default/files/images/user5/imageroot/2012/12/Total%20jobs%20since%20Obama%20by%20age%20-%202%20groups.jpg

Come si spiega questa tragica distorsione  dell’occupazione  in America, questa esplosione della manodopera geriatrica e  collasso  dei lavoratori più giovani?  Facile: i vecchi si contentano di paghe più basse. I loro fondi-pensione  privati, a cui hanno versato contributi per decenni, sono stati svuotati dal grande crack finanziario speculativo;  e con ciò, è andata in cenere la speranza di questa classe di ritirarsi prima dei 70 anni.  E’ la foltissima classe dei baby-boomers (nati attorno al 1945)  passata da benestante a bisognosa, che non esige salario pieno, perchè o integra piccole pensioncine che da  sè non bastano per vivere, o  ha  qualcosa da parte. 

In tal modo, i datori di lavoro hanno a disposizione  una forza-lavoro con molta esperienza che non deve essere addestrata come i giovani, abituata a lavorare  (contrariamente a molti giovani, anche in Usa),  e che costa  stipendi da immigrato clandestino: tipicamente, WalMart assume questi vecchietti per 7 dollari l’ora, e  –  spesso – solo fino a Capodanno.   Ma questa classe  occupa i posti dei giovani, che costerebbero di più; una triste concorrenza interna,   il lavoro si delocalizza anbche così: invece che in India, si delocalizza per età.  Molti di questi “lavori”  consistono nel mascherarsi da Babbo Natale, riempire i pacchi dei clienti e simili.   

Risultato: oggi in America il numero dei lavoratori  “veri”,   nella classe d’età 25-55  anni che conta 94 milioni di persone, è tornato ad essere quello che era nel 1977,  ossia 35  anni  fa. 

ScreenHunter 02 Dec. 08 12.34 I Cosiddetti Nuovi Posti di Lavoro in Usa: Solo per Vecchi (di Maurizio Blondet)

  http://www.zerohedge.com/news/2012-12-07/number-workers-aged-25-54-back-april-1997-levels

ScreenHunter 03 Dec. 08 12.35 I Cosiddetti Nuovi Posti di Lavoro in Usa: Solo per Vecchi (di Maurizio Blondet) 

http://www.zerohedge.com/sites/default/files/images/user5/imageroot/2012/12/55-69_0.jpg

Per giunta, il 73% dei posti di lavoro creati in Usa negli ultimi cinque mesi è nel settore pubblico: federale,  stati, comunità locali.  Come in Eruopa, anche là il “mercato del lavoro” privato è praticamente chiuso. Tranne per 65enni  ed oltre, costretti a tornare a lavorare per bisogno.  Presto anche in Italia? 

http://www.rischiocalcolato.it/2012/12/i-cosiddetti-nuovi-posti-di-lavoro-in-usa-solo-per-vecchi-di-maurizio-blondet.html?utm_source=feedburner&utm_medium=feed&utm_campaign=Feed%3A+blogspot%2FHAzvd+%28Rischio+Calcolato%29

 

Lavoratrici della General Electric negli stabilimenti di Singapore il giorno della visita di Hillary Clinton (Afp) 

 

ESTERI

8 December 2012 – 15:26

 

«Il prossimo anno trasferiremo parte della produzione di computer Mac negli Stati Uniti. Da tempo lavoriamo al progetto, adesso ci siamo quasi. Il cambiamento si materializzerà nel 2013. Ne siamo già molto orgogliosi. Lo avremmo potuto fare più velocemente prevedendo solo l’assemblaggio di una linea di Mac negli Stati Uniti, ma abbiamo lanciato un’operazione di più ampio respiro, più radicale. Investiremo 100 milioni di dollari».

 

A parlare, in un’intervista pubblicata sull’ultimo numero di Bloomberg Businessweek, è Tim Cook, l’erede di Steve Jobs alla guida della Apple, un’azienda che impiega 598.500 persone negli Stati Uniti (di cui 307.250 in modo diretto e altri 291.250 nell’industria delle applicazioni). E in Cina ha il doppio di impiegati, oltre un milione e 200mila lavoratori.

 

Al momento, quella di Cook appare più una mossa per ingraziarsi i clienti, piuttosto che l’inizio di un graduale trasferimento della produzione dell’azienda dalla Cina agli Stati Uniti. Per questo tipo di piano servirebbe un investimento sideralmente diverso rispetto a quello annunciato. La mossa di Cook in fondo riguarda appena una linea di computer, quando ormai la parte del leone del fatturato di Apple è costituita dalla vendita di iPhone e iPad. E come ci ha spiegato Jeffrey Wu, analista alla IHS iSuppli, «non è inedito che le aziende di computer e affini spostino parte della loro produzione, spesso i dispositivi voluminosi, il più vicino possibile ai clienti, per accorciare i tempi di trasporto e di consegna».

 

La decisione di Apple, però, rinforza un trend, quello dell’insourcing, che si è delineato negli ultimi anni, e ha subito un cambio di passo negli ultimi mesi. Sempre più aziende americane, soprattutto manifatturiere, hanno deciso che, tutto sommato, per alcuni prodotti, conviene tornare all’ovile.

 

Un esempio emblematico, messo recentemente in risalto dal magazine Atlantic Monthly, è Appliance Park, un’azienda di elettrodomestici controllata da General Electric (GE). Aperta nel 1951 a Louisville in Kentucky, quattro anni dopo contava già 16mila operai. Negli anni ‘60 sfornava 60mila elettrodomestici al mese alimentando l’economia di consumo americana. Appliance Park raggiunse il momento d’oro nel 1973. Ben 23mila operai si alternavano alle varie linee di produzione. A quei tempi il parcheggio della fabbrica aveva perfino semafori per regolare il supertraffico tra un turno e l’altro. Poi, lentamente, è andato in scena il declino. Fino all’ultima crisi, quella del 2008, quando l’amministratore delegato di GE, Jeffrey Immelt, ha cercato di venderla. Senza fortuna, perché non si è presentato alcun acquirente. Dopo vent’anni di gloria e quaranta di frustrazioni, nel 2011 Appliance Park con appena 1.863 sopravvissuti in servizio, versava in uno stato comatoso. Ma ecco il colpo di scena: lo scorso 10 febbraio Appliance Park ha fatto partire una nuova linea di produzione, la prima dopo 55 anni. Obiettivo: costruire scaldabagni a basso consumo, un prodotto che negli anni precedenti GE faceva realizzare in Cina. Un mese dopo, il secondo miracolo. Altra linea di prodotti. Questa volta per confezionare frigoriferi high-tech, compito da anni appaltato in Messico. E per i già sbigottiti operai della Appliance Park è perfino arrivato un regalo natalizio: a inizio 2013 verrà avviata la produzione di un terzo elettrodomestico, una lavatrice-asciugatrice.

 

Operai e famiglie di Louisville si interrogano retoricamente sui motivi di questa conversione tanto tardiva al “made in America”. Perché lasciar arrugginire per anni gli stabilimenti americani – e con loro il futuro degli operai e delle loro famiglie – con la strategia del conveniente outsourcing per poi rinnegarla e tornare all’antico?

 

«L’outsourcing», ha detto laconico l’amministratore delegato di GE Immelt all’Atlantic, «sta diventando un modello di business obsoleto per gli elettrodomestici di GE».

 

A ben guardare, le ragioni di questa obsolescenza dell’outsourcing a favore di una virata verso l’insourcing sono numerose. Primo, il prezzo del petrolio dal 2000 a oggi è triplicato, e ha reso il trasporto via cargo molto meno vantaggioso che in passato. Secondo, la rivoluzione nell’estrazione dei gas naturali negli Stati Uniti ha fatto sì che le bollette dell’elettricità delle fabbriche americane siano più abbordabili (mentre in Asia i gas naturali costano quattro volte di più). Terzo, dal 2000 gli stipendi in Cina si sono quintuplicati e ci si attende che continuino a crescere del 15-20% all’anno. Quarto, il costo di un operaio in America non è proibitivo, se rapportato per esempio a lavoratori in Paesi come Germania, Francia o Giappone. E questo perché i sindacati si sono indeboliti: negli anni ‘70 e ‘80 Louisville era soprannominata “Strike City”, la città degli scioperi; invece nel 2005 ha firmato un accordo con il quale ben il 70% della forza lavoro si accontenta di salari da 13 dollari e 50 centesimi all’ora.

 

Più in generale, GE si è accorta che a far le cose in casa si risparmia perché ci si rende conto degli sprechi in modo più immediato. Per anni progettavano scaldabagni, per esempio, che poi venivano assemblati in Cina e con il tempo si erano dimenticati di controllare se il design pensato negli Stati Uniti era funzionale al momento della realizzazione. Creando il prodotto dalla A alla Z in Kentucky hanno ottimizzato il design riducendo tempi e costi di produzione. Tanto da rendere gli scaldabagni sfornati in Kentucky vendibili a “prezzi cinesi”. Quelli prodotti in Cina sono sbarcati sul mercato al costo di 1.599 dollari, mentre quelli “made in Louisville” erano più convenienti, prezzo 1.299 dollari.

 

GE non è l’unica a orientarsi sull’insourcing. Lo fanno decine di altre aziende: dalla Wham-O che sposta parte della produzione di frisbee dalla Cina alla California, alla Whirlpool che trasferisce la produzione dei suoi frullatori dalla Cina all’Ohio, alla Otis (gli stabilimenti degli ascensori dal Messico fanno le valigie in direzione South Carolina).

 

Nancy Lazar, co-autrice di uno studio di ISI Group, un centro di ricerca per investitori, parla dell’inizio del rinascimento del manifatturiero americano. “Lo vado dicendo dal 2009,” ha spiegato orgogliosa all’Atlantic. “Le aziende con produzione industriale mi dicevano che ero pazza. Perché me lo dicevano? Perché hanno passato gli ultimi 15-20 anni a costruire gli stabilimenti fuori dagli Stati Uniti. Ma adesso quell’epoca è finita”.

www.linkiesta.it

Sondaggio SPINCON: PD 29,1% PDL 15% M5S 14% – del 7 dic

Nuovo sondaggio SpinCon. E con questo dovremo essere a posto fino a lunedì. Durante il fine settimana posteremo SP Trend e ulteriori regioni dei nostri dati.


Altra, ennesima picchiata del CDX, frenano tutti, soprattutto il PDL che scende al 15%. Al Centro c’è debolezza, FLI sotto il 2%, UDC al 4%, la Lista di Montezemolo ad un misero 1%. In frenata anche il CSX, giù specialmente PD e SEL.  IDV in forte difficoltà, M5S scende al 14%.

E’ censito per la prima volta “Fermare il Declino”. Ad un ottimo 5,5%. Noi l’abbiamo inserito in Altri

ARCHIVIO SONDAGGI SPINCON

spincon Sondaggio SPINCON: PD 29,1% PDL 15% M5S 14%

 

ja Sondaggio SPINCON: PD 29,1% PDL 15% M5S 14%

 Sondaggio SPINCON: PD 29,1% PDL 15% M5S 14%

da Scenari Politici di And-L

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Bisturi contro la spesa sociale

Terapie della penuria  nella fase post-egemonica

Tito Pulsinelli

Il 3 gennaio prossimo a Washingtontaglieranno il bilancio di ben 1500 miliardi di dollari. La patata bollente è arrivata all’ultimo passaggio: per legge, quale che sia il governo in carica, deve armarsi di bisturi e tagliare. In modo “lineare”, scaglionato, a zig zag, alla Tremonti, alla moda europea? Non importa. Il circo mediatico ha coniato l’apposita metafora (abisso fiscale), sta lavorando sodo -alla Stakanov- per introdurla nel chiacchiericcio generale, poi ci vorrà azione. Beninteso, mette al bando ogni riferimento alla dimensione draconiana del salasso, soprattutto tace su come usciranno decimate varie burocrazie e l’istituzionalità della solidarietà sociale. Lo scricchiolio ricorda i suoni sinistri dei trhrilling all’aprirsi dell’uscio da cui entra il killer: sarà seriale? La “narrativa” del regime è molto attenta ad eliminare ogni cosa che possa evidenziare il dissolvimento del cemento sociale, che sedimenta e coesiona forze sempre più centrifughe e conflittive. Vietato evocare il pathos lugubre del 1929.

 

La battaglia campale tra le lobby, per mettere al riparo dei tagli i propri committenti, sarà più simile a una guerra per bande tra i sottoscrittori che si aggiudicarono -o persero- l’asta presidenziale  della vigilia delle elezioni . IlPartito di Wall Street (PWS) filtra che ci sarebbe un pre-accordo tra le sue due componenti, in cui i repubblicani accetterebbero una riduzione dei fondi per i militari (500 miliardi) e qualche aumento simbolico delle tasse, mentre gli obamiani danno l’ok per la riduzione dei programmi sociali. Entrambi, poi, si affrettano a tranquillizzare la rispettiva clientela elettorale, invitando alla calma perchè l’effetto dei tagli si sentirà solo nel 2014. Viva il parroco.

 

A tutto questo, fa da sfondo scenografico il crollo del mito della globalizzazione e la proliferazione di iniziative volte ad ottenere referendum per la secessione, particolarmente forti e insidiosi in Texas e Vermont. Non il vecchio separatismo “ideologico”, ma secessione come legittima difesa dal caos crescente generato dai gruppi di potere elitari che hanno perso la bussola. Da apostoli della crescita infinita a inquisitori pro-carestia, nel volger di qualche lustro. Si fa strada la diffusa percezione d’una politica estera che gira a vuoto,  che si guarda l’ombelico e non cava un ragno dal buco in Iraq. Ancora abbagliata dal narcisismo -fine a se stesso- della Guerra al Terrorismo, che si appresta ad un’altra fuga in avanti. Ammassare risorse e tutti i mezzi militari disponibili, schierarli nel mare della Cina, per stringere un cappio al collo alle esportazioni di manufatti cinesi e all’importazione di materie prime. 

 

Ancora una volta primeggia la tentazione di rispondere con mezzi militari a problemi che militari non sono. Gli Stati Uniti -e la sua protesi “occidentale”- sono in piena fase post-egemonica. Pertanto è riduttivo, pressocchè illusorio, continuare a pensare in termini di “crisi economica”, risolvibile con ginnastiche finanziarie prelibate soltanto per le elites. E’ un processo che sta dissolvendo basi, legami e valori che sono stati la ragion d’essere di un’epoca storica e d’un modello che tracollò per superbia ed estremismo, proprio quando scomparve l’antagonista sovietico. Riuscirà l’oligarchia a scaricare sul popolo minuto metropolitano il costo dei suoi limiti? Riusciranno ad esportare nelle latitudini ex-coloniali il peso totale del proprio fallimento storico? Ai postumi l’ardua sentenza. Tra la defunta crescita infinita e la crescita con redistribuzione, in Sudamerica e negli altrove emergenti, si inclinano verso la seconda opzione.

DOPO MONTI? C’È LA “TROIKA”! IL MINISTRO GRILLI HA RIVELATO A LONDRA IN UNA CENA SUPER-RISERVATA CHE

1- DOPO MONTI? C’È LA “TROIKA”! IL MINISTRO GRILLI HA RIVELATO A LONDRA IN UNA CENA SUPER-RISERVATA CHE IL DUPLEX NAPOLITANO-MONTI HA GIÀ PREVISTO L’ENTRATA IN SCENA DEGLI EURO-TECNICI CON UN PIANO CHE OBBLIGHERÀ IL FUTURO INQUILINO DI PALAZZO CHIGI A RISPETTARE I DETTAMI DELLE ISTITUZIONI INTERNAZIONALI – 2- A GENNAIO GLI UOMINI IN GRIGIO DEL FONDO MONETARIO SBARCHERANNO A ROMA. COME CON LA LETTERA BCE DI DRAGHI CHE NELL’AGOSTO 2011 PORTÒ ALLA CADUTA DEL BANANA, PREPARANO IL COMMISSARIAMENTO DEL NOSTRO PAESE PER I PROSSIMI ANNI – 3- A QUALE GIOCO GIOCANO CORRADINO PASSERA E IL SUO AMICO “CAYMANO” DAVIDE SERRA, CON LA SPARATA DI IERI SUL CAVALIERE? CORRADINO HA MESSO SUL TAVOLO LA SUA FICHE PER UN POSTO DA MINISTRO IN UN FUTURO GOVERNO A GUIDA BERSANI –

Nei bar puzzolenti della City dove si ritrovano i trader con le bretelle rosse, non si percepisce la paura dell’Apocalisse per la discesa in campo di Mister Berlusconi e per l’eventuale fine del Governo Monti.

MARIO MONTI E VITTORIO GRILLI jpegMARIO MONTI E VITTORIO GRILLI JPEG

Questo secondo evento era già stato previsto da alcune settimane, e gli analisti più intelligenti quando parlavano del Professore di Varese, lo definivano con le parole di Oscar Wilde: “un bicchiere di talento in un mare di ambizioni”.

HOLLANDE MONTI MOAVERO GRILLI A BRUXELLESHOLLANDE MONTI MOAVERO GRILLI A BRUXELLES

Che il premier italiano avesse il fiato corto ed esaurito tutte le cartucce è parso più chiaro che mai durante la conferenza stampa di ieri sera dove Monti aveva stampata sul viso un’aristocratica desolazione.

A confermare la parentesi del suo Governo e la precarietà del sistema-Italia ci aveva pensato il pallido Vittorio Grilli quando il 14 novembre era volato a Londra per una serata di beneficienza e si era attovagliato con il gotha della finanza italiana d’oltre Manica.

La cena era strettamente privata e intorno al tavolo c’erano tutti i personaggi che contano nelle banche e nei fondi italiani e stranieri che operano nella City desiderosi di saperne di più sullo stato di salute della Penisola e sulle intenzioni del Governo.

DRAGHI E MERKELDRAGHI E MERKEL

Tra i presenti c’era pure Davide Serra, il gestore del fondo Algebris che in quei giorni si era esposto con parole e quattrini per sostenere la candidatura del suo amico di Firenze, Matteuccio Renzi.

A Grilli piacque molto il clima familiare e riservato di quell’incontro ed è questa la ragione per cui non si sottrasse alle domande neanche quando gli fu chiesto se il Governo avesse intenzione di chiedere lo stato di crisi alla “troika” composta dagli uomini in grigio di Ue, Fondo Monetario e Bce.

CHRISTINE LAGARDE FOTOCHRISTINE LAGARDE FOTO

La risposta di Grilli fu chiara e limpida: “probabilmente – disse il pallido ministro – chiederemo lo stato di crisi prima di aprile”.

Alle orecchie del pubblico attento, sofisticato e informato queste parole, pronunciate con flemma tipicamente inglese, non sono calate come una bomba e come l’inizio di una tragedia, bensì come una sorta di rassicurazione a conferma che un piano esiste veramente se i mercati internazionali dovessero decidere di picchiare duro sull’instabilità della politica italiana.

Bersani MontiBERSANI MONTI

I giornali italiani, piu’ attenti alle vicende personali di Grilli e alle sue telefonate con Ponzellini, non hanno dato grande rilievo a questa importante affermazione del numero Uno del tesoro che Dagospia nella sua infinita miseria ha raccolto non soltanto nei bar puzzolenti della City, ma anche da un partecipante alla cena caritatevole. E c’è da chiedersi a questo punto perché gli ospiti della serata, che si è svolta il 14 novembre, siano usciti dal convivio senza comunque attaccarsi ai monitor per mandare un segnale a Monti e alle forze politiche che fino a ieri lo hanno sostenuto.

DRAGHI-NAPOLITANODRAGHI-NAPOLITANO

Secondo le indiscrezioni raccolte, la richiesta dello stato di crisi e l’intervento eventuale della “troika” prima delle elezioni di primavera, permetterebbe all’attuale Governo di negoziare e di definire direttamente le condizioni che l’Italia sarebbe tenuta a rispettare negli anni a venire. E ciò dovrebbe valere indipendentemente da chi vada al Governo. In pratica, il piano messo a punto da Napolitano e dal Professore di Varese sarebbe quello di creare le condizioni per cui chiunque arrivi a Palazzo Chigi a marzo o ad aprile (si chiami Monti oppure Bersani) si trovi con i giochi già fatti e non possa che allinearsi alla cintura di sicurezza rappresentata dai dettami dei tre uomini in grigio della “troika”.

mario DRAGHI E MONTIMARIO DRAGHI E MONTI

Qualcuno potrebbe obiettare che si tratta di fantaeconomia, mentre per altri il piattino di un’Italia a sovranità limitata sarebbe servito a dovere senza la possibilità di uscire dal gioco stretto delle istituzioni internazionali come la BCE che il 5 agosto dell’anno scorso inviò la famosa lettera provocando la caduta del Cavaliere impenitente.

Il preludio allo scenario della “troika” che sbarca in Italia si vedrà a gennaio quando i tecnici del Fondo Monetario sbarcheranno a Roma per analizzare il sistema finanziario del Paese.

PIERLUIGI BERSANI GIUSEPPE MUSSARIPIERLUIGI BERSANI GIUSEPPE MUSSARI

Qualcuno come il boccoluto Giuseppe Mussari, presidente dell’Abi, ha già capito che non sarà una visita di cortesia e ha rilasciato una dichiarazione di guerra dai toni preoccupati che suona così: “se questo è un percorso per inventarsi un nuovo cataclisma, abbiamo tempo per prepararci”.

L’ex-capo di MontePaschi parla a nome dell’Abi, l’Associazione dei banchieri, e teme che l’arrivo dei tecnici del Fondo Monetario consenta di ficcare il naso dentro le banche e la loro enorme mole di crediti deteriorati.

Da parte sua Grilli non sembra in preda al panico per la svolta politica e per una crisi dei mercati che potrebbe flagellare il nostro Paese. E lo dimostrano gli incontri di cui parla oggi il quotidiano “MF” che sono stati avviati al Tesoro alla fine di novembre e continueranno nei prossimi giorni con gli esponenti delle roccaforti finanziarie internazionali.

VITTORIO GRILLIVITTORIO GRILLI

Al ministero di Grilli chiamano questi incontri “brown bag lunch meeting” (pasti veloci da consumare in compagnia) e i primi sono già avvenuti con il capo economista per l’Europa di Barclays, e con una giovane donna, Silvia Ardagna (39 anni originaria di Caserta), che oltre ad insegnare ad Harvard ha la carica di senior economist ed executive director nella banca d’affari Goldman Sachs. L’agenda di Grilli prevede che il prossimo 21 dicembre incontrerà Robert Chote, uno dei più stretti collaboratori del Cancelliere dello Scacchiere, George Osborne.

DAVIDE SERRADAVIDE SERRA

Non è previsto invece alcun incontro con Davide Serra, e qui ritorniamo alla serata del 14 novembre con il gotha della finanza italiana quando tutti i partecipanti hanno notato come il ministro si tenesse lontano dal finanziere delle Cayman che si è speso tanto per il sindaco di Firenze.

PRESENTAZIONE DAVIDE SERRA ALGEBRIS TROPPO DEBITO POCA CRESCITAPRESENTAZIONE DAVIDE SERRA ALGEBRIS TROPPO DEBITO POCA CRESCITA

Molti nella City hanno spiegato che la diffidenza di Grilli nasce dalla vicinanza molto intima tra l’uomo di Algebris e Corradino Passera. Addirittura c’è chi nei bar puzzolenti del Tamigi giura che ad accendere il fuoco sacro di Serra per il sindaco di Firenze sia stato proprio il ministro ex-banchiere che ieri, con una gaffe apparentemente innocente, ha messo sul tavolo di un futuro governo a guida Bersani la sua fiche per una poltrona ministeriale.

Corrado PasseraCORRADO PASSERA

Adesso è inutile tornare a chiedersi se la sparata di Passera contro Berlusconi sia stata concertata anche grazie alla sua amicizia con Davide Serra, conosciuto dai tempi in cui il Corradino banchiere investiva quattrini di BancaIntesa nei fondi Algebris. Ed è una perdita di tempo capire se il finanziere di Genova e il sindaco fiorentino sono diventati amici per merito di Corradino Passera.

Più interessante è scoprire quali saranno i passi finali del Governo Monti e del suo ministro del Tesoro. Il Professore di Varese non vuole che la sua parentesi di artista dell’austerity si chiuda in un modo banale. Ma è difficile immaginare che voglia passare alla storia non solo per l’inchiostro nero del rigore, ma anche creando le condizioni per un lasciapassare alla “troika” che ha già previsto di mettere sotto tutela il nostro Paese.

Un Paese dove gli orologi della storia girano all’indietro.

CORRADO PASSERA E SILVIO BERLUSCONI FOTO INFOPHOTOCORRADO PASSERA E SILVIO BERLUSCONI FOTO INFOPHOTO

 

Da Goldman Sachs, al Bilderberg, alla Trilaterale, alla potenza centrale del sistema occidentale

La perla del giorno di Monti il golpista banchiere:

Monti: «Sempre vigili contro i populismi» Il premier a Cannes replica a una domanda sul Nobel alla Ue

Mario Monti (Ansa)

«Non bisogna dimenticare che l’Europa trova la sua forza in se stessa, né dimenticare che le tensioni ed i conflitti possono sempre risorgere. E bisogna dunque essere molto vigili contro ogni nazionalismo e populismo, che sono molto visibili anche in Europa». 

 Che  l’élite mondialista affarista e speculatrice detesti i popoli e la parola SOVRANITA’ è chiaro da tempo, solo chi lavora per loro agita spettri inesistenti.

Non dubitiamo che Mr Goldman Sachs sia interessato alla tutela della democrazia…..come no

 Da Goldman Sachs, al Bilderberg, alla Trilaterale, alla potenza centrale del sistema occidentale

di Gianni Petrosillo – 05/12/2012

Fonte: Conflitti e strategie [scheda fonte] 


La Goldman Sachs ha piazzato le sue pedine sullo scacchiere europeo occupando diverse postazioni di vertice negli assetti economici e politici del Vecchio Continente. Da Mario Draghi, ex vice Presidente di Goldman Sachs International, attualmente Leader della BCE, a Mario Monti, international advisor di GS dal 2001 al 2005, ora Premier del nostro Governo tecnico, a Lucas Papademos in Grecia, il quale è stato Primo Ministro dal novembre 2011 al maggio 2012, pur non avendo vigilato, da vice Presidente dell’Istituto Centrale Europeo, sui derivati che la stessa Goldman aveva piazzato ad Atene. Papademos incassò così il premio fedeltà dai potentati finanziari che lo investirono della gestione della successiva crisi del Paese, determinata proprio da quei raggiri speculativi di cui lui era stato complice. Praticamente come chiamare chi ti ha scassinato la cassaforte a riprogrammare la combinazione al fine di rendere più agevole il successivo furto.
Adesso, i Ministri di Sua Maestà la Regina hanno selezionato per la Bank of England, Mark Carney, precedentemente numero uno della Banca centrale canadese, prossimamente capo della “Vecchia Signora di Threadneedle Street” e da una vita collaboratore di Goldman Sachs.
C’è un altro aspetto che accomuna molti di questi diligenti funzionari del capitalismo atlantico. Questa gente occupa, nell’architettura del potere occidentale, ruoli trasversali, ha il pass del Bilderberg, della Trilaterale, di qualche altro circolo esclusivo sconosciuto e, last but not least, gode della fiducia indiscussa dell’establishment statunitense. Troppe coincidenze per pensare a delle coincidenze, poiché spesso la casualità appare tale solo a chi non riesce a seguire i fili del discorso. Tuttavia, almeno noi non mettiamoci ad alimentare racconti irrazionali sull’Europa in mano ai grembiulini e disegnata, nei suoi confini gestionali, con squadra e compasso. Il cappuccio in testa lasciamolo a loro ed apriamo bene gli occhi. No, il problema è di fatto più grave poiché se le multinazionali del denaro vengono a spadroneggiare in casa nostra, se l’associazionismo oscuro e delinquenziale di avamposti massonici si prende il lusso dettarci la riforma dei bilanci pubblici e quella delle istituzioni, è, in prima istanza, a causa della subalternità politica degli organismi europei e di quelli dei singoli paesi membri. L’efficacia dei loro riti sui nostri destini discende da una subalternità geopolitica dell’UE nei confronti degli Usa. Tale ragionamento vale soprattutto per gli Stati in rammollimento governativo e smobilitazione industriale come l’Italia dove scorazzano liberamente barbe finte straniere e politicanti barboni senza spina dorsale. Molti commentatori, dopo aver taciuto per timore o aver spalleggiato per tremore, cominciano a tirar fuori la verità perché la realtà si è già spostata di un gradino, rendendo la loro catilinaria un urlo nel passato che non interrompe la dormita generale nel presente e lo stato di coma dell’imminente futuro. Per esempio ecco come descrive la macchinazione Piero Ostellino del Corriere: “Il governo tecnico non è una “sospensione della democrazia”, … E’ un colpo di Stato. Non lo si dice, e nessu­no pare accorgersene, perché siamo fermi ai colpi di Stato del passato. Ma gli italia­ni non stanno perdendo libertà e diritti tut­to d’un. colpo, come avveniva una volta, bensì, passo dopo passo, in una condizio­ne di “generale anestesia”. I fatti mostrano che la nostra (pasticciata) Costituzione le­gittima sia la democrazia liberale, sia il to­talitarismo. Se non si deve decidere su un caso che tocca un nervo scoperto della cul­tura politica nazionale e le cose vanno eco­nomicamente bene, la Carta legittima la democratico-liberale e consente una pras­si finanziariamente generosa. Legittima il totalitarismo e una prassi sociale restritti­va se le condizioni sono controverse. Non c’è mai certezza del diritto, né alcuna coe­renza politica”.
Questa denuncia oltre che tardiva è pure superata dai fatti poiché i giorni di Monti sono già finiti e gli stessi apparati esteri che lo avevano innalzato se ne stanno sbarazzando per avere le mani libere con gli eligendi manichini.
Il violento attacco di Edward Luttwak al Gabinetto dei professori suona come lo scarico del water che trasforma l’Agenda Monti in un rotolo di carta igienica. Dice l’analista statunitense: “Il Fondo Monetario Internazionale boccia la politica fiscale di Mario Montiil report sulla stabilità finanziaria globale esprime una condanna durissima della politica fiscale di Monti, il cui unico effetto è stato l’innesco di una spirale recessiva senza precedenti…[Monti] ha tradito chi ha lavorato per il suo insediamento [chi?]…in quei giorni [durante la crisi del governo Berlusconi] ho telefonato a diversi amici in Italia chiedendo loro di togliere la fiducia a Berlusconi…pure gli Stati Uniti soffrono di Monti a causa del calo dell’export americano in Europa e in Cina…Monti non ha realizzato il mandato per il quale era stato designato…”.
Come vedete per condizionare il nostro Paese gli americani non hanno bisogno di ricorrere a logge e consorterie varie, a loro basta alzare il telefono, minacciare i soggetti giusti, muovere gli ambasciatori, pilotare i rapporti del FMI o far abbassare il rating e alzare lo spread tramite l’azione delle merchant banks a stelle e strisce. Poi se qualcuno proprio non dovesse capire si può provocare qualche piccolo incidente giudiziario, imprenditoriale o, perfino, fisico. La statuetta in faccia della libertà. Sotto questo profilo gli Usa non fanno distinzioni e trattano tutti allo stesso modo, siano essi di destra o di sinistra, dipende in ogni caso dagli interessi che hanno in ballo e dalla rapidità con cui devono conseguirli. Per ottenere i risultati agognati scaricano gli amici e caricano i nemici e viceversa, purché i loro figli di puttana siano utili alla causa egemonica.  Questo non dà alcuna garanzia di durabilità ai prescelti perché è sempre la situazione ad imporre il loro sacrificio o la loro permanenza al posto designato. Lo sa Monti e lo sapeva Prodi, altro uomo Goldman Sachs, il quale, da quel che rivela il senatore Sergio Di Gregorio, dovette farsi da parte nel 2008 allorché la Casa Bianca lo pretese:“Prima di uscire dal Parlamento andrò dai magistrati di Napoli per raccontare tutta la mia storia, soprattutto la caduta del governo Prodi.” Politici comprati? “No, ma quando ero presidente della commissione Difesa col governo Prodi ero convocato tutti i giorni dall’ambasciatore americano a Roma, qualche volta veniva anche lui a casa mia. Lui era preoccupatissimo, voleva che Berlusconi tornasse al suo posto. Perchè il governo Prodi, pieno di antimilitaristi, secondo lui metteva in discussione la rete di sicurezza e difesa europea. Erano preoccupati per la base di Vicenza, per i radar di Niscemi. E quando Berlusconi lanciò l’operazione libertà per sostituire Prodi, loro erano molto interessati…diciamo che facevano il tifo per noi, ecco. Volevano che Berlusconi vincesse”.
Se questi sono i nostri uomini di Stato siamo un popolo spacciato.

 

Siamo arrivati al Montianesimo finale: togli ai poveri per dare ai ricchi

di Gianni Petrosillo – 05/12/2012

Fonte: Conflitti e strategie [scheda fonte] 

 

Rischiavamo di morire democristiani ed, invece, un destino più vile e tremendo ci attende poiché moriremo tutti montiani e democretini, abbandonati da una vecchia ed insana Costituzione certificante la nostra senescenza e inutilità su questo mondo. Quello che si prospetta per l’Italia, tra qualche mese, è un governo di vigliacchi con l’agenda Monti in testa e le mani ancora nelle tasche dello Stato e dei connazionali, in nome della borsa senza vita, dell’UE senza politica, della BCE guidata da un saprofita che però tutti applaudono perché hanno dimenticato le parole del defunto Cossiga. Peraltro, far giocare i Mari (Draghi e Monti) uno contro l’altro non diluisce i nostri cavoli amari, semmai li aggrava dietro questo trucco delle parti e dei partiti. Come prima, più di prima lo attueranno perché non sanno quel che fanno e se lo sanno sono convinti che non la sconteranno.

Monti ormai non è più un uomo ma un totem, un principio da seguire, un indirizzo da praticare, una strada dalla quale non si può tornare indietro perché senza credibilità internazionale i mercati ci affosseranno, mentre muniti di questa vidimazione estera ci stanno ugualmente inumando. Se il cristianesimo chiedeva un voto di povertà ai ricchi per entrare nel regno del Signore, il montisianesimo lo chiede agli indigenti affinché i benestanti possano diventare sempre più Signori ed entrare nel regno dei Padroni mondial, anche se dal retro. Come diceva Petrolini, bisogna prendere il denaro dove si trova: presso i poveri. Hanno poco, ma sono in tanti. Ed è quello che va accadendo.

Lo sanno bene pensionati, lavoratori dipendenti ed autonomi, piccoli e medi imprenditori, inoccupati, disoccupati, scoraggiati e disullusi. Ma il fatto che nessuno pianga perché non ci sono più gli occhi per farlo viene scambiato dalla nostra classe (non) dirigente come il gesto di responsabilità di una collettività che ha capito di aver vissuto al di sopra delle proprie possibilità, tuttavia non si evince come sia potuto accadere con i salari fermi da  vent’anni, l’inflazione che si mangia gli stipendi e le pensioni, le tasse che iugulano tutta la popolazione e i servizi pubblici peggiorati in ogni settore. Se qualcuno ha speso troppo occorre guardare altrove e come diceva mia nonna chi pontifica per primo è il vero colpevole che poi sarebbe una variante popolaresca della massima di Brecht “chi parla del nemico è lui stesso il nemico”.

Lorsignori ci stanno torchiando, tormentando, tartassando, perché  devono farsi accettare dal “global countries club” per darsi un tono ed una rispettabilità che non hanno ed il popolo deve continuare a versare le quote di permanenza con tutto quello che gli resta, che oramai non è molto.

Dovunque il Professore vada a finire, dietro ad una cattedra o al Quirinale, tra le mummie a vita del Senato o ancora alla guida di un Esecutivo di larghe pretese e poca resa, resterà il suo programma a riprogrammare i partiti senza identità i quali  hanno sostituito le idee e i valori della loro tradizione politica con un mantra della post-modernità e della globalizzazione che ci sta facendo passare le torture americane, tedesche, francesi e via continuando. Chiunque passa da qui arraffa e ci fa la morale col consenso di un ceto politico che per sopravvivere all’interno ha bisogno di un riconoscimento esterno non potendo più ottenerlo, dopo anni di promesse mancate e palesi menzogne, dagli elettori. Questo succede quando sovrano non è il politico ma il politicante che svende anche le mutande della nazione. Ad ogni modo, questa volta, ci auguriamo che il disegno giunga a compimento, che lo sfacelo copra la Penisola da nord a sud, senza alcun intoppo (come ha scritto l’economista Gianfranco La Grassa) affinché lo strazio sia breve ma risolutivo. Se non verranno altri nani con le ballerine a complicare lo scenario, questo potere in decadenza si troverà a far festa il giorno stesso del suo funerale e la sua danza macabra sarà l’ultimo giro di pista dei morti viventi su questa terra vituperata ma ancora viva. Poiché alla Storia abbiamo già dato la tragedia della I Repubblica e la farsa della II adesso finalmente da essa ci aspettiamo un po’ di giustizia anche se questa dovrà passare da un doloroso giustiziamento generale.

http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=44651

 

Bilderberg Italia: tutto ruota intorno all’Aspen Institute

di Andrea Succi e Viviana Pizzi – 05/12/2012

Fonte: infiltrato 

Nella centralissima Piazza Navona, al civico 114,sorge Palazzo Lancellotti, un edificio risalente al XVI°secolo, dove ha sede l’Aspen Institute Italia, unasorta di filiale “locale” – ma con ramificazioniinternazionali – del Club Bilderberg. Stiamo parlandodel cuore del Potere italiano, tutto concentratonell’Aspen. Basta infatti leggere i nomi di chi ne faparte e studiare gli intrecci tra politica, imprenditoria,finanza e media portati avanti in assoluta segretezza, a discapito del popolo sovrano, per capire che citroviamo di fronte al Sistema, quello con la Smaiuscola.

 

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In pochi si chiedono come il Bilderberg stia davvero influenzando ilPotere delle nazioni. Anche perché il Club elitario incontratosi il13 novembre a Roma non agisce direttamente sui vari governi mapiuttosto cerca di influenzare politica, economia, finanza e mediatramite filiali locali ramificate ovunque, all’interno delle qualisiedono gli influencers di turno.

Nel Belpaese questo compito spetta all’Aspen Institute Italia, fondatonel 1950 dagli stessi componenti del Bilderberg che avevano bisogno di un ulteriore network internazionale con cui analizzare, controllare e manovrare la geopolitica globale attraverso interconnessioni tra i vari Paesi. L’Aspen – presente anche negli States, in Francia, Germania, Giappone, India, Romania e Spagna – serve esattamente per questo scopo. 

In Italia ha avviato la sua attività nel 1984 e ha due sedi, una nella centralissima Piazza Navona a Roma, al civico 114 del Palazzo Lancellotti, e l’altra a Milano, in via Vincenzo Monti 12, tra Corso Magenta e il Castello Sforzesco.

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Curiosità: allo stesso civico milanese dell’Aspen risulta una sezione del Nucleo Operativo Ecologico dei Carabinieri. 

   

ANALOGIE COL BILDERBERG: VIGE L’OMERTÀ

I dibattiti nelle sedi nazionali infatti si tengono rigorosamente aporte chiuse e lontani da persone non appartenenti “al Sistema”.Nessuno sa infatti quando si riuniscono e non trapela mai quanto sidicono se non negli argomenti di politica economica che appaiononella rivista specializzata “Aspenia rivista” dove è stato spiegatoanche il funzionamento del Bilderberg. L’unico diktat che viene fuoriè il “distruggere per creare”, che ricorda tanto da vicino quelloche sta succedendo – soprattutto in Europa – dove per creare unNuovo Ordine è necessario smantellare il precedente.

Ed ecco che il lavoro sporco, cui i politici italiani non hanno saputoadempiere, viene realizzato in prima persona dai membri dell’Aspen.Tra cui, ça va sans dire, l’esimio Mario Monti. Come far digeriretutto questo all’opinione pubblica? Ci pensa la stampa, bellezza, oquantomeno quella asservita (la maggior parte) al Sistema. Bastipensare che Presidente del The Aspen Institute è WalterIsaacson, ex direttore del Time ed ex amministratoredelegato della Cnn. Oggi lavora con Obama.

 

L’ORGANO DIRETTIVO DI ASPEN ITALIA

Al contrario del Bilderberg, però, sul sito  Aspen Italia mette adisposizione dei pochi curiosi i nomi di chi ne fa parte. Solo a guardare i quattro presidenti onorari vengono i brividi, perchérisulta facile comprendere come il nuovo che avanza è sempre figliodel vecchio che non muore mai: e infatti troviamo GiulianoAmato, il “tecnico” cui dobbiamo la svendita della lira; l’economistaCarlo Scognamiglio, ex Ministro della Difesa sotto il GovernoD’Alema (’98-’99), dopo essere stato Presidente del Senato con i votidi Forza Italia; spunta persino il nome dell’ex socialista Gianni DeMichelis, travolto dallo scandalo Tangentopoli, condannato in viadefinitiva a 1 anno e 6 mesi patteggiati per corruzione nell’ambitodelle tangenti autostradali del Veneto e 6 mesi patteggiatinell’ambito dello scandalo Enimont, ma evidentemente degno dipasteggiare con la crème del Potere italiano. Il quarto ed ultimopresidente onorario è Cesare Romiti, ex dirigente della Fiat, cuinel 2000 la Cassazione ha confermato  la condanna a undici mesi edieci giorni di reclusione per falso in bilancio, finanziamento illecitodei partiti e frode fiscale relativa al periodo in cui ricopriva la caricadi amministratore delegato del gruppo Fiat, consigliere inRcsMediaGroup e Impregilo.

Come potete notare c’è un trasversalismo politico-imprenditoriale dabrividi.

Chi è il Presidente dell’Aspen Italia? Giulio Tremonti, ilpotentissimo ministro dell’economia del berlusconismo. E tra i 4 vicepresidenti spuntano amici e (presunti) nemici, persone con cuiTremonti dovrebbe accapigliarsi e con le quali, evidentemente, vad’amore e d’accordo: Enrico Letta, dirigente del battagliero e antiberlusconiano Pd; John Elkann, Presidente Fiat, e Lucio Stanca, ex senatore di Forza Italia famoso per aver fondato il partito insieme a Berlusconi nel 1994. Contribuì alla nascita diForza Italia anche il segretario generale Angelo Maria Petroni.

Capito ora perché l’opposizione, da chiunque venga rappresentata, non contrasta mai con veemenza le decisioni del Governo? Tutto viene anticipatamente deciso nelle riunioni dell’Aspen. O vogliamo credere alla favoletta che in quei meeting Tremonti, Elkann e Letta parlano di dove andare a sciare d’inverno o a prendere il sole d’estate?

 

aspen_italiaIL CUORE DELL’ASPEN: IL COMITATO ESECUTIVO. POLITICI, ECONOMISTI, IMPRENDITORI E GIORNALISTI.

È proprio nell’organismo di governo dell’Aspen che si incontrano le menti finissime, elitarie e potenti che fanno capo al Bilderberg e hanno il dovere di influenzare, poi, i poteri politico, economico, imprenditoriale e mediatico.

Tra i componenti del comitato, oltre al vicepresidente John Elkann– habitué nelle riunioni Club Biderberg – troviamo anche l’attuale presidente del Consiglio Mario Monti, altro esponente di spicco del “circolo dei potenti”. Bilderberghiano – ha partecipato anche all’incontro in Virginia – è anche il dirigente Enel Fulvio Conti,così come vicino a questo mondo è l’incompreso (ma col senno di poi tante cose si capiscono) attuale Ministro ai Beni Culturali Lorenzo Ornaghi.

Non poteva di certo mancare Fedele Confalonieri, Presidente Mediaset e “yes man” di Silvio Berlusconi. Nell’aprile 2008 viene rinviato a giudizio dal gup di Milano con l’accusa di frode fiscale: la procura contesta  presunti reati commessi in un periodo compreso tra il 2001 al 2003. Il 20 febbraio dell’anno successivo è stato rinviato a giudizio per favoreggiamento nell’ambito dell’inchiesta sulla bancarotta di Hdc, la società di sondaggi diretta da Luigi Crespi.

L’altro che ha avuto a che fare con la giustizia, e con Berlusconi, è l’ex sottosegretario alla presidenza del consiglio Gianni Letta, zio del vicepresidente Enrico in quota Pd. Questa sarebbe una storia da libro cuore: lo zio berlusconiano e il nipote anti-berlusconiano s’incontrano nelle segrete stanze dell’Aspen e – chissà – sotto la regia (occulta?) di Monti, Confalonieri e Tremonti, trovano la quadra di un rapporto a dir poco ambiguo. Sarebbe da libro cuore, se non fosse che questa gente gioca a risiko sulla pelle dei cittadini.

Anche Gianni Letta risulta indagato, dal novembre 2008, per i reati di abuso d’ufficio, turbativa d’asta e truffa aggravata in riferimento a presunti favori per l’affidamento ad una holding di cooperative, legata al movimento Comunione e Liberazione. Ma dopo un conflitto di competenza tra le Procure di Potenza e Roma, la Procura Generale presso la Corte di Cassazione ha affidato il prosieguo dell’indagine alla Procura della Repubblica di Lagonegro. Nel marzo 2011 i pm chiedono a Lagonegro di archiviare l’inchiesta “perché non sussistono reati”. Pochi dubbi a riguardo.

Presente nel cuore pulsante dell’Aspen Italia anche l’ex vicepresidente di Confindustria Luigi Abete, che in comune con gli altri ha anche un rinvio a giudizio nel 2006 per usura. Assolto nel 2008.

 

GLI ALTRI SIAMO NOI.

Chi sono gli altri? Ecco i loro nomi.

Maurizio Costa, consigliere d’amministrazione Fininvest;Gabriele Galateridi Genola, ex dirigente Fiat, ora  Presidente di Assicurazioni Generali e Telecom Italia, nonché consigliere e membro del comitato non esecutivo di Banca CRS, Banca Carige, Italmobiliare, Azimut-Benetti, Fiera di Genova, Edenred e dell’Istituto Europeo di Oncologia; Emma Marcegaglia,presidente Confindustria; Riccardo Perissich, dirigente Telecom e Pirelli; Giuseppe Recchi, presidente Eni; Gianfelice Rocca,presidente del Gruppo Techricht; Beatrice Trussardi e Alberto Quadrio Curzio, economista nonché membro o Presidente del Consiglio scientifico della Fondazione Edison, della Fondazione Balzan, della Fondazione Centesimus Annus, del Gruppo Etica e Finanza. Quante cariche tutte concentrate in una sol persona…

Tra i politici ecco che spuntano i nomi di: Franco Frattini, ex ministro degli esteri nell’ultimo governo Berlusconi;  l’ex presidente del consiglio Romano Prodi, anche lui membro di spicco del Bilderberg; Giuliano Urbani, fondatore di Forza Italia, eGiacomo Vaciago, ex sindaco di Piacenza con una coalizione di centrosinistra, ma con un passato da tecnico: dal 1987 al 1989 è consigliere economico del Ministro del Tesoro, dal 1992 al 1993 consigliere del Presidente del Consiglio, dal gennaio 2003 al marzo 2005 è consigliere scientifico del Ministero per i Beni e le Attività Culturali.

Quando si dice che centrosinistra e centrodestra siedono allo stesso tavolo di trattative, molto probabilmente ci si riferisce a quanto accade all’interno dell’Aspen, dove risultano presenti alcuni tra i più influenti rappresentanti di entrambe le coalizioni.

Non potevano mancare i banchieri nel comitato direttivo: si tratta di William Mayer, presidente emerito di The Aspen Institute, membro del Bilderberg, del CFR e di una serie di equità funds da far impallidire chiunque altro al suo cospetto. A rappresentare la categoria c’è anche Francesco Micheli, presidente ed Amministratore Delegato di Genextra S.p.A. e consigliere di Congenia S.p.A., Interbanca S.p.A., Sopaf S.p.A., e della Fondazione Teatro alla Scala.

Tra i giornalisti spunta il nome di Lucia Annunziata, Direttore di Huffington Italia (lo stesso gruppo Cir di Repubblica, guidato dal massone Carlo De Benedetti); Paolo Mieli, presidente Rcs libri;Angelo Maria Petroni, giornalista economico che contribuì alla nascita di Forza Italia; Mario Pirani giornalista e fondatore di Repubblica insieme a Scalfari.

Tutti insieme appassionatamente, verrebbe da dire. Come possano coesistere poteri e figure così diversi tra loro come quello politico e mediatico, come quello del berlusconiano Confalonieri e dell’anti-berlusconiana Annunziata, resta davvero un mistero. Che forse tanto mistero non è.

A volte basta unire i puntini per osservare quell’essenziale invisibile agli occhi di cui contava Antoine De Saint Exupery. Basta socchiudere gli occhi perché figure, strategie, trame e obiettivi prendano forma in maniera inaspettata ma repentina.

Immaginiamo un tavolo dell’Aspen Italia a cui siedono: il “politico” Mario Monti, Presidente del Consiglio; l’imprenditore dei media Fedele Confalonieri, Presidente Mediaset; la giornalista (?) Lucia Annunziata, Direttore dell’ Huff Post italiano; il “politico” Enrico Letta, dirigente del Pd; l’imprenditore John Elkann.

Di cosa parlerebbero, secondo voi?

 

I SOCI SOSTENITORI

Potevano mai mancare in questo bel (?) quadretto para-massonico? Certamente no. Ed ecco spuntare le multinazionalibanche,grandi impreseassicurazionigruppi mediatici, società di consulting e aziende farmaceutiche. L’elenco completo è scaricabile da qui.

Il cuore del Sistema. Quello che pompa sangue in proprio favore e drena le risorse dei cittadini con un unico obiettivo: togliere sovranità all’Italia, appropriarsi degli ultimi beni restanti, perseguire l’arricchimento e definire un Nuovo Ordine – politico, economico, imprenditoriale, finanziario e mediatico.

Un Nuovo Ordine dove centrosinistra e centrodestra sublimano la loro vocazione all’inciucio – l’unico partito non rappresentato all’interno dell’Aspen è Italia dei Valori – e decidono, chiusi all’interno di una stanza, il futuro degli italiani.

Follow the money” diceva Giovanni Falcone a chi gli chiedeva come decifrare la mappatura della criminalità internazionale. Unire i puntini, aggiungiamo noi, per capire chi, come, dove, quando e perché sta progettando quello che una volta si chiamava “Colpo di Stato”. L’unica differenza è che non si spara più. Non servono le pallottole. Basta un “tavolo decisionale” dove far sedere gli influencers, assegnare ad ognuno un compito bene preciso e il gioco è (perlopiù) fatto.

A meno che qualcuno non si metta di traverso e porti a conoscenza dell’opinione pubblica nomi, intrecci e obiettivi del Bilderberg italiano.

http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=44659

 

Scordiamoci questi partiti, non lavorano per noi

di Maurizio Pallante – Giorgio Cattaneo – 05/12/2012

Fonte: il cambiamento 

“Solo la ‘decrescita selettiva’ combatte davvero la recessione, perché tagliando gli sprechi aumenta lavoro e benessere, abbattendo i costi. E se oggi la decrescita non è ancora nell’agenda dei governi, è perché l’ideologia suicida della crescita conviene al blocco di potere che l’ha finora interpretata”. Ecco perché Maurizio Pallante, teorico italiano della decrescita, lancia un appello per unire le forze e riscrivere l’agenda dell’Italia.

 

maurizio pallante
Maurizio Pallante lancia un appello per unire le forze riscrivere l’agenda dell’Italia

Per favore, lasciamo perdere i partiti: con loro è tempo perso. Sanno solo ripetere la fiaba della crescita, che si sta frantumando giorno per giorno sotto i nostri occhi. Di loro non c’è da fidarsi: sono alleati, da sempre, con la grande industria, la finanza e le multinazionali, comprese quelle degli armamenti, necessari per dominare il pianeta allo scopo di garantirsi il monopolio delle risorse planetarie.

Il mondo si è rotto, e non saranno certo loro a ripararlo: serve una nuova alleanza sociale, che metta insieme movimenti liberi, cittadini attivi, sindacati indipendenti, piccole imprese, artigiani e agricoltori. Un patto, per invertire la rotta verso l’unica soluzione possibile: la “decrescita selettiva” della produzionedi merci, creando occupazione “utile” fondata sui territori, tagliando gli sprechi. “Solo per l’energia, l’Occidente butta via il 70% di quello che produce”. Maurizio Pallante, teorico italiano della decrescita, lancia un appello: uniamo le forze, da subito, per riscrivere l’agenda dell’Italia.

Una visione chiara, che nasce dall’analisi compiuta dal Movimento per la Decrescita Felice. “Siamo in crisi, prima ancora che per il crollo finanziario dei mutui subprime, per lo scoppio della bolla immobiliare: negli Usa, in Spagna, in Irlanda e anche in Italia”. Troppe case invendute, debiti, disoccupazione. Risollevare il settore? La parola è: riconversione energetica. “Ristrutturare gli edifici, tagliando i due terzi del costo per riscaldarli, produce economia virtuosa: lavoro qualificato, occupazione e fatturati, risparmi, vantaggi ecologici. Costi: interamente finanziati dal risparmio stesso”.

Riconversione anche per l’auto: “Perché illudersi di vendere ancora automobili, quando in Italia circolano 35 milioni di veicoli? Meglio sfruttare quella tecnologia industriale per produrre co-generatori”. O ancora, i generi alimentari: in dieci anni sono rincarati del 170% per i costi crescenti delle fonti fossili. Piano-B: “Abbandonare la grande distribuzione, che è costosissima, e puntare sull’agricoltura biologica comprando direttamente dal contadino e rafforzando così l’economia pulita dei territori, l’unica che potrà produrre redditi e benessere senza devastare l’ambiente in cui viviamo”.

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Perché si sceglie – ancora e sempre – di gettare via i soldi pubblici per grandi opere inutili?

Siamo nel paese della follia: ogni singolo lavoratore impegnato nei cantieri Tav della Torino-Lione ‘costerebbe’, da solo, più di un milione di euro, secondo le fonti ufficiali del ministero dello sviluppo economico. Con quella cifra, rivela il Sole 24 Ore, si creano almeno 3-4 posti di lavoro nel settore dell’energia da fonti rinnovabili. Posti di lavoro che diventano addirittura 13, nel caso si decidesse diinvestire in progetti di efficienza energetica.

Perché invece si sceglie – ancora e sempre – di gettare via i soldi pubblici per grandi opere inutili? Perché sono quelle che avvantaggiano la super-lobby della crescita, risponde Pallante: le grandi opere sono perfette, perché restano esclusivo appannaggio delle grandi aziende, le multinazionali collegate al potere politico. Ecco perché i grandi cantieri restano il principale investimento realizzato con denaro pubblico, mentre per tutto il resto – servizi essenziali compresi – si preferisce tagliare, magari anche privatizzando e svendendo i beni comuni. Pagano i cittadini, incassano partiti e grandi lobby economiche. E tutto, naturalmente, con la vecchia scusa della crescita. Che però si è fermata, e per sempre.

In un sistema economico fondato sulla crescita della produzione di merci, spiegano i promotori della decrescita, la concorrenza costringe le aziende ad aumentare la produttività adottando tecnologie sempre più performanti. Sistemi che consentono di produrre in poco tempo quantità sempre maggiori di merci, e con un numero sempre minore di addetti: più produttività e più offerta, ma meno occupazione. Di conseguenza: meno redditi, meno domanda, consumi in crisi. Squilibrio accentuato dalla globalizzazione, che delocalizza la produzione dove il lavoro costa meno: le retribuzioni sono così basse da rendere irrisorio il potere d’acquisto, e siamo daccapo. Senza ancora arrivare al problema del debito, che è “l’altra faccia della medaglia della crescita”.

Se esplode l’offerta di merci che restano invendute, nella “società della crescita” finora si è ricorso al debito, pubblico e privato: Stato, enti locali, famiglie e aziende. Fino ai record del debito aggregato, che sfiora il 200% del Pil.

Senza più sovranità finanziaria, l’incremento del debito diventa un suicidio, a causa degli interessi che lo fanno letteralmente esplodere. Se la domanda dimerci continua ad essere sostenuta essenzialmente dal debito, le ricette tradizionali non funzionano più: le manovre per ridurre il debito deprimono i consumi e aggravano la crisi, mentre – al tempo stesso – ogni tentativo di far crescere i consumi non fa che gonfiare il debito.

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“Tutto quello che ha fatto il governo Monti è stato ‘inasprire la lotta diclasse dei ricchi contro i poveri”

Finora, dice Pallante, sono state varate misure ingiuste e tutte fallimentari. Ridurre il debito tagliando i servizi e scaricando i ‘risparmi’ sui meno abbienti e sul ceto medio? È il cosiddetto “massacro sociale”: meno garanzie sindacali ai lavoratori, licenziamenti facili, blocchi delle assunzioni, precariato per i giovani, nuove tasse, privatizzazione dei beni pubblici. Oppure: si tenta di rilanciare la crescita finanziando con denaro pubblico le grandi opere, veroforziere della casta delle multinazionali, finanziata a spese del contribuente e senza vere ricadute occupazionali.

Tutto quello che ha fatto il governo Monti è stato “inasprire la lotta di classe dei ricchi contro i poveri”: strategia dolorosa e fallimentare, per superare la crisi, ma “sostenuta da un blocco di potere costituito da tutti i partiti politici, di destra e disinistra, che hanno la loro matrice culturale nell’ideologia della crescita diderivazione ottocentesca e novecentesca”. Partiti che dimostrano “un progressivodisprezzo delle regole democratiche a cui pure dicono di ispirarsi”.

La verità è che sono al servizio dei poteri forti: fingono di dividersi su come redistribuire la ricchezza, ma in realtà “è ormai sostanziale la convergenza, da destra a sinistra, sulla scelta di scaricare sulle classi popolari e sul ceto medio i costi del rientro dal debito pubblico e di rilanciare la crescita attraverso la mercificazione dei beni comuni e un programma di grandi opere”.

Pallante e i suoi bocciano anche i neo-keynesiani, che sperano di limitare almeno i danni sociali chiedendo maggiore equità: meno austerity, perché la recessione impoverisce il fisco e quindi il welfare. Investimenti pubblici per sostenere i redditi e rilanciare i consumi? Socialmente giusto, ma economicamente sbagliato: non si possono ignorare le vere ragioni della crisi, che nasce proprio dalla teologia della crescita.

“Un’incredibile rimozione collettiva – sostiene Pallante – induce i sostenitori della crescita, a qualsiasi corrente di pensiero appartengano, a ignorare i legami delle attività produttive con i contesti ambientali da cui prelevano le risorse da trasformare in merci, e in cui scaricano le emissioni dei processi produttivi”, fino agli stessi rifiuti.

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Secondo Pallante la crescita non è causa soltanto della crisi economica ma anche di quella ambientale

Nella fase storica attuale, aggiunge Pallante, la crescita non è solo la causa dellacrisi economica – una crisi da cui non ci si può illudere di uscire ripristinando le condizioni di partenza, cioè un’offerta in eccesso rispetto alla domanda – ma è anche l’origine una gravissima crisi ambientale, col prelievo scriteriato di risorsenon più rinnovabili, fino alla drastica riduzione delle riserve vitali, come quelle delle fonti fossili. “La scelta strategica per uscire dalla crisiaprendo una fase più avanzata nella storia dell’umanità – ribadisce il Movimento per la Decrescita Felice – è lo sviluppo delle tecnologie che riducono gli sprechi delle risorse naturali aumentando l’efficienza con cui si usano”.

Se la politica industriale venisse finalizzata a ridurre gli sprechi (che oggi gonfianoun indicatore fuorviante come il Pil), si aprirebbero ampi spazi perun’occupazione utile, i cui costi sarebbero pagati di per sé dai risparmi economici generati. L’economia anti-spreco si chiama “decrescita selettiva”, ed è “alternativa sia all’austerità, sia al consumismo irresponsabile”. Di quale ‘ripresa’ parlano i politici? Dell’unica che conoscono: quella basata sul rilancio delconsumismo finanziato col debito.

Effetti: crisi ambientale sempre più grave, insieme al disastro dellacrisi finanziaria. O, a scelta: il rigore, che fa esplodere la disoccupazione, lascia i giovani senza futuro e mette in croce i più deboli. L’austerità, sostiene Pallante,non è l’unica alternativa all’aumento del debito pubblico: solo la “decrescita selettiva” combatte davvero la recessione, perché tagliando gli sprechi aumenta lavoro e benessere, abbattendo i costi. E se oggi la decrescita non è ancora nell’agenda dei governi, è perché l’ideologia suicida della crescita conviene al blocco di potere che l’ha finora interpretata.

Sono i grandi partiti di destra e di sinistra cresciuti nella cultura ottocentesca del produttivismo, le grandi multinazionali globalizzate e anche il complesso politico-militare con cui si pensa di continuare a ‘rapinare’ il pianeta: “Non a caso, le politiche restrittive adottate per ridurre i debiti pubblici non hanno scalfito i privilegi della casta politica, non hanno tagliato i finanziamenti per le grandiopere pubbliche, né le commesse all’industria militare”.

“Una politica economica e industriale finalizzata alla ‘decrescita selettiva’ della produzione di merci – sostiene il Movimento per la Decrescita Felice – si può realizzare soltanto se si aggrega un’alleanza di forze politiche, sociali, imprenditoriali e professionali consapevoli del contributo che possono apportarvi con la loro cultura, le loro scelte comportamentali, il loro impegno sociale o ambientale, le loro competenze tecniche, la legittima esigenza di utilizzare appieno i loro impianti tecnologici per produrre e dare lavoro”.

L’Italia vive un fermento sociale, fatto di movimenti: come i No-Tav della valledi Susa, le tante amministrazioni locali ‘virtuose’ e le forze politiche “noncatalogabili negli schieramenti di destra e sinistra in cui si suddividono i partiti accomunati dall’ideologia della crescita, già presenti nelle istituzioni”. E poi le piccole e medie imprese, gli imprenditori spesso costretti a lavorare nell’indotto delle grandi multinazionali, in condizioni di svantaggio.

Piccole aziende e artigiani rappresentano il 99% della forza produttiva italiana: liberarle dal giogo dell’economia della crescita è possibile solo se si crea una rete territoriale di scambi commerciali ravvicinati, a contatto diretto con gli acquirenti. Occorre allora archiviare i partiti e “collaborare”, dal basso, “ad affrontare una crisi che non è solo economica e ambientale, ma una vera e propria crisi di civiltà”.

http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=44650

Politica Agricola Comune, quali conseguenze?

di Martino Danielli – 05/12/2012

Fonte: il cambiamento 

In gran parte dell’Europa negli ultimi decenni l’agricoltura ha subito profondi cambiamenti. Negative sono state però le conseguenze della Politica Agricoltura Comune sulla biodiversità, sull’ambiente nonché sul lavoro dei contadini.

 

agricoltura
In gran parte dell’Europa negli ultimi decenni l’agricoltura ha subito profondi cambiamenti

L’agricoltura, nella stragrande maggioranza dei paesi europei ed anche in buona parte del mondo, ha radicalmente cambiato metodi e ritmi negli ultimi 30-40 anni; un cambiamento tale da risultare una vera e propria rivoluzione. Ma, come talvolta succede, i risultati di questa rivoluzione sono tutt’altro che positivi, sia dal punto di vista ambientale sia dal punto di vista agronomico ed economico.

La meccanizzazione agricola ha reso sempre più omogenee le colture e più vasti gli spazi ad esse destinati, ma ha impoverito in maniera precipitosa labiodiversità delle colture ed anche quella degli ecosistemi naturali. Se un tempo vi erano, ad esempio, una grandissima varietà di tipi di grano, adatti a climi, terreni e agricoltori diversi, oggi a livello mondiale le cultivar maggiormente utilizzate di questo cereale si contano sulle dita di due mani e la produzione dei semi è un monopolio di pochissime aziende.

Questa catena di cambiamenti non ha solo reso il contadino schiavo del petrolio, indispensabile per l’utilizzo di innumerevoli e sempre più grandi macchinari e per la produzione di pesticidi e concimi chimici; ma ha danneggiato in maniera probabilmente irreparabile gli equilibri degli ambienti in cui esso lavora.

Un recente resoconto di BirdLife International e dell’European Bird Census Councilrivela dati a dir poco allarmanti che riguardano gli uccelli. Nella sola Europa si sono persi in 30 anni trecento milioni di volatili fortemente legati all’ambiente agricolo. Questo è avvenuto a causa della meccanizzazione agricola e per colpa dell’uso criminale di molteplici sostanze chimiche quali nitrati, pesticidi, erbicidi, e dell’uso smodato di risorse idriche.

uccelli
Nella sola Europa si sono persi in 30 anni trecento milioni di volatili fortemente legati all’ambiente agricolo

L’Italia ha visto ridursi numerose specie di uccelli, un tempo comuni frequentatrici dei nostri campi, come la quaglia, il re di quaglie, le averle, le starne, le tottaville. Molte specie, come le quaglie, ma anche le allodole, le cappellacce ed innumerevoli altri passeriformi hanno l’abitudine di nidificare al suolo costruendo una coppa di fili d’erba intrecciati, ben nascosta dal prato stesso. Con i metodi agricoli tradizionali, la nidificazione non era messa in pericolo, ma oggi il passaggio di macchinari molto veloci e potenti provoca ladistruzione della gran parte dei nidi ed il disturbo per quelli sopravvissuti.

A farne le spese non sono solo gli uccelli ma anche le loro prede, ovvero gliinsetti.

Uno studio recente dell’University College Dublin rivela che l’abbondanza e la diversità di specie dei bombi (un tipo di api molto importanti per l’impollinazione) è diminuito del 50% negli ultimi 20-30 anni. Altri studi similari sono stati svolti da progetti europei e nazionali con l’intento di verificare il declino e la capacità di sopravvivenza degli insetti in ambienti agricoli fortemente sfruttati. Tali studi hanno confermato che molte specie di insetti difficilmente sopravvivono alle pratiche di un agricoltura intensiva, tanto da venire considerati dei bioindicatori .

Ciò significa che la presenza di tali animali rivela un ambiente sano o poco sfruttato; viceversa la loro assenza è un campanello d’allarme per labiodiversità e la salute dell’ambiente. Studi di questo tipo sono stati pubblicati recentemente ed un esempio si può trovare sulla rivista scientifica Agriculture, Ecosystems and Environment 98 (2003).

agricoltura
La politica economica dell’Unione Europea e dei suoi vari stati incentiva molto poco l’agricoltura tradizionale

Ed ecco dunque che ritorniamo agli uccelli; la loro dieta è prevalentemente composta da insetti, ed il declino di questi ultimi provoca un conseguente declino anche dei loro predatori.

Fondamentali nella dieta sono anche i semi e le parti vegetali, ma anche in questo caso un autorevole studio dal titolo “La gestione dei pascoli di pianura neutri in Gran Bretagna: effetti delle pratiche agricole sugli uccelli e le loro risorse alimentari” pubblicato dal Journal of Applied Ecology (2001) numero 38, rivela che l’agricoltura intensiva con la massiccia lavorazione e fertilizzazione chimica del terreno ha prodotto un impoverimento notevole nella biodiversità vegetale, con un’omologazione delle erbe (poche varietà di erbe su estese superfici) e questo dato sembra influire negativamente sulla vita degli uccelli.

Tutte queste specie di animali e piante sono ancora presenti laddove l’agricoltura ha mantenuto metodi tradizionali e non si è trasformata in industria intensiva, ma questi spazi tendono inesorabilmente a scomparire.

Questo accade perché in realtà la politica economica dell’Unione Europea e dei suoi vari stati incentiva molto poco l’agricoltura tradizionale, già di per sé svantaggiata nell’accesso ai canali di distribuzione dei prodotti, ed invece avvantaggia, sia a livello legislativo che tramite sovvenzioni, l’attività agricola industriale.

contadino
In Italia l’età media degli agricoltori è molto alta

Tale politica ha tra le sue conseguenze anche il progressivo abbandonodell’attività agropastorale in quei luoghi dove i metodi industriali non sono praticabili (ad esempio in media ed alta montagna ).

L’abbandono di queste terre, se da un lato favorisce lo sviluppo dei boschi e delle foreste, dall’altro distrugge l’habitat agricolo e pastorale tipico di questi territori, e a scomparire non sono solo gli animali e le piante che tipicamente lo abitavano, ma anche le tradizioni e le opere contadine, come i terrazzamenti, i mulini ad acqua, gli alberi ‘sostegno’ (ovvero alberi particolarmente duttili alla potatura, che venivano utilizzati come sostegno per la crescita di altre piante come la vite).

Se poi andiamo a vedere i dati del settore agricolo, ci rendiamo conto che in un paese come l’Italia l’età media degli agricoltori è molto alta, con più del 40% degli addetti a questo settore con un’ età superiore ai 65 anni. Come già ricordato poi nell’interessante articolo di Daniela Sciarra, i dati Istat sul declino delle aziende agricole (in particolare quelle medio-piccole) raggiungono livelli incredibili, con il 32,2% di tali aziende chiuse in dieci anni, dal 2000 al 2010, e 300 mila ettari di superficie coltivata persi.

Insomma, la Politica Agricola Comune non solo sta distruggendo l’ambiente e la biodiversità ma provoca anche l’estinzione di una figura storica e culturale fondamentale imprescindibile per l’umanità: il contadino.