New York – Alle ultime negoziazioni sulla ristrutturazione del debito greco e’ uscito un vincitore chiaro: i fondi hedge. I prezzi del debito sovrano sono tornati a guadagnare terreno sul secondario dopo l’intesa raggiunta per ridurre la somma che Atene deve ai suoi creditori. All’incontro della scorsa settimana e’ stato stabilito che i ministri delle Finanze dell’Eurogruppo faranno marcia indietro sulla proposta di non pagare piu’ di circa il 28% del valore di facciata dei bond ellenici in possesso. I money manager hanno vinto la loro scommessa sul fatto che un numero insufficiente di obbligazionisti avrebbe partecipato all’operazione di buy back nel caso in cui la soglia fosse rimasta su quei livelli (intorno al 28%). Cio’ avrebbe, difatti, compromesso l’operazione di salvataggio, bloccando lo stanziamento di fondi esterni di cui la Grecia ha un disperato bisogno per risollevarsi dalla drammatica crisi economica in cui versa. Il piano di buy back si iscrive nell’ambito di un pacchetto di varie misure volte a diminuire il debito greco al 124% del Pil nel 2020 dal tasso del 190% stimato nel 2014. “L’intera saga si e’ giocata sul tentativo di sistemare questa questione”, ha detto a Bloomberg il manager (CIO) degli investimenti di Adelante Asset Management, Julian Adams, la cui societa’ detiene peraltro bond ellenici. “Il settore continua a dimostrare di non capire nulla del modo in cui operano i mercati”. I ministri delle Finanze sono fiduciosi del fatto che il governo greco accettera’ la proposta. Atene ha annunciato che impegnera’ 10 miliardi di euro per riacquistare i bond circolanti con un valore di facciata di 62 miliardi di di euro. Atene e i suoi sostenitori in Europa hanno accettato di pagare un prezzo che variera’ da una minimo del 32,1% in media al massimo del 34,1%. L’asta in cui verranno aggiudicati i titoli si terra’ il 7 dicembre, secondo quanto stabilito da un comunicato. Per il terzo giorno consecutivo ieri i bond greci hanno guadagnato valore, spingendo il rendimento sul benchmark decennale sotto il 15%. E’ la prima volta che viene bucata la soglia da quando il debito e’ stato svalutato in marzo. Il prezzo dei titoli pubblici e’ piu’ che raddoppiato dai minimi post-ristrutturazione del 13,3%, toccati il 31 maggio di quest’anno. In sintesi gli europei dovranno pagare di piu’ per i bond greci, mentre da quando l’accordo per il riacquisto del debito da parte del governo greco e’ stato stretto, i fondi come Third Point, Moore Capital Management, Appaloosa Management LP e Fir Tree Partners che hanno scommesso contro il default sono usciti chiaramente vincitori. Secondo quanto riferito da Zoeb Sachee, il numero uno delle attivita’ di trading sui bond sovrani governativi di Citigroup, ogni giorno le operazioni che vedono come oggetto i bond ellenici sono aumentate “giorno dopo giorno” da quando e’ diventato chiaro che l’intesa si sarebbe materializzata. E non stupisce che dietro alla maggior parte di queste transazioni ci siano i fondi hedge.
http://www.wallstreetitalia.com/article/1467503/debito/accordo-grecia-vincono-gli-hedge-fund-europa-sconfitta.aspx
Eurozona: in aumento indigenti e disoccupati
Rispetto agli anni scorsi si accresce il numero dei poveri e dei senza lavoro nell’area della moneta unica europea
Andrea Perrone
La crisi economica dell’Eurozona sta falcidiando individui e famiglie riducendoli senza lavoro e nell’indigenza più assoluta. Il dato proviene direttamente dall’Ufficio statistico dell’Unione europea (Eurostat) che ha rilevato l’aumento a ritmo serrato di povertà, esclusione sociale e disoccupazione in tutta la zona euro. La situazione è diventata di anno in anno sempre più insostenibile, a causa della crisi economica e delle politiche di austerità decise dai governi degli Stati membri della moneta unica e imposte dai grandi organismi dell’usura internazionale che lucrano a piene mani sui debiti contratti dagli Stati membri dell’Eurozona. Quanto sta accadendo è talmente grave che tra i popoli europei che adottano l’euro, molte famiglie e individui – anche se lavoratori – non riescono a condurre una vita degna di questo nome, vanno avanti senza poter pagare l’affitto, senza usufruire dei riscaldamenti a causa dei costi troppo elevati e rinunciando all’acquisto dei generi di prima necessità (carne, ecc.). E’ quindi evidente il disagio vissuto dai cittadini dell’Eurozona che subiscono enormi privazioni per riuscire ad andare avanti di mese in mese e tutto a causa dei costi troppo elevati di merci e prodotti causata dall’adozione dell’euro, ma in particolare a causa dei salari troppo bassi e della crisi voluta dall’area del dollaro e della sterlina (Wall Street e la City) che ha provocato un’enorme perdita di posti di lavoro ..
Eurostat ha presentato i numeri sottolineando che soltanto nel 2011 erano 119,6 milioni le persone nell’Unione europea, pari al 24,2% della popolazione, che si trovavano a rischio povertà o di esclusione sociale. La stessa Eurostat ha messo a confronto i dati degli anni precedenti rilevando che erano inferiori: nel 2010 infatti erano il 23,4%, mentre nel 2008 erano il 23,5% dei cittadini Ue. Secondo l’Istituto europeo di statistica, queste persone si sono confrontate almeno con una delle tre seguenti forme di esclusione: a rischio povertà, in situazione di severa privazione materiale o che vivono in una famiglia con un reddito basso o con un lavoro sottopagato oppure addirittura senza un posto di lavoro sicuro a causa del processo di flessibilità messo in atto nel mondo lavorativo dalle politiche governative nel corso degli ultimi anni. Nel 2011, le proporzioni più importanti di persone a rischio povertà o di esclusione sociale sono state registrate in Bulgaria (49%), in Romania e in Lettonia (40% ciascuna), in Lituania (33%), e in Grecia e Ungheria (31%), mentre le più deboli sono attestate in Repubblica Ceca (15%), nei Paesi Bassi e in Svezia (16%) e in Lussemburgo e Austria (17%). Già nel 2010 la fascia di popolazione europea più colpita era quella dei bambini e in generale dei minorenni, dove erano a rischio ben il 26,9%..I Paesi in cui i cittadini si trovavano nelle condizioni peggiori erano già allora la Bulgaria (41,6%), la Romania (41,4%), la Lettonia (38,1%), la Lituania (33,4%) e l’Ungheria (29,9%). Al di sopra della media Ue, oltre all’Italia, anche la Polonia (27,8%), la Grecia (27,7%), la Spagna (25,5%) e il Portogallo (25,3%). Il numero minore di poveri si è invece registrato, come per l’anno successivo ovvero il 2011, nella Repubblica Ceca (14,4%), in Svezia (15,0%), Olanda (15,1%), Austria (16,6%), Finlandia (16,9%) e Lussemburgo (17,1%). A soffrire di gravi privazioni, invece, nel 2010 era in media l’8,1% dei cittadini europei, con grandi variazioni però da un Paese ad un altro. In Bulgaria e Romania, rispettivamente il 35% e il 31% della popolazione non era in grado di pagare neanche bollette e riscaldamento, mentre nella stessa situazione si è trovato solo lo 0,5% dei lussemburghesi e l’1,5% degli svedesi. In Italia a soffrire di gravi privazioni erano invece il 6,9% dei cittadini. A essere più esposti alla povertà e all’esclusione sociale dai dati forniti due anni fa erano gli anziani in Bulgaria, Slovenia, Finlandia e Svezia, e i cittadini in età da lavoro in Danimarca. Nei restanti 20 Paesi Ue, invece, i bambini e minorenni in generale. Ma al peggio come si dice non c’è mai fine. A rivelare l’amara realtà dell’aumento dei senza lavoro nell’Eurozona è stata ancora una volta Eurostat che ha raggiunto il nuovo massimo storico del tasso di disoccupazione nella zona euro, che ha raggiunto l’11,7% nel solo mese di ottobre, rispetto all’11,6% del mese precedente, mentre anche il dato relativo all’Europa dei Ventisette ha toccato il record del 10,7%, rispetto al 10,6% di settembre. I dati evidenziano infatti in notevole aumento dei senza lavoro rispetto ad ottobre 2011, quando la disoccupazione si attestava rispettivamente al 10,4% e al 9,9. ogni commento è inutile, i dati parlano da soli e dimostrano il fallimento dell’euro e dell’Unione europea così come è stato concepito da tecnocrati e banchieri. Un’Europa al servizio di banche e multinazionali senza alcun riguardo per i popoli che da millenni vivono lungo tutto il suo territorio.
04 Dicembre 2012 12:00:00 – http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=18155
Gli anglofoni vogliono far cadere la Kirchner
Fitch declassa il giudizio sui titoli di Buenos Aire. Tre settimane fa la sentenza di un giudice Usa sui tango bonds
Filippo Ghira
La finanza anglo-americana ha portato un nuovo attacco all’Argentina.
L’agenzia di rating Fitch ha retrocesso di ben cinque gradini, da B a CC, la sua valutazione dei titoli di Stato di Buenos Aires e ha giudicato probabile entro la fine dell’anno una bancarotta con l’impossibilità di pagare il debito. Una valutazione che segue di tre settimane la sentenza del giudice distrettuale di Manhattan, Thomas Griesa , che aveva intimato al governo argentino di rispettare la sentenza precedente di un altro tribunale di rimborsare entro il 15 dicembre, con 1,33 miliardi di dollari, i fondi di investimento speculativi Usa, detentori di titoli argentini, che non avevano partecipato alla ristrutturazione del debito pubblico tramite il meccanismo dello swap, con titoli nuovi in cambio dei vecchi.
L’Argentina nel 2005 e nel 2010 aveva infatti proposto di applicare una riduzione di circa il 65% del debito, accettata dal 92% per cento dei creditori.
Il giudice ha intimato al governo argentino di pagare anche i warrant (i diritti a sottoscrivere titoli) che sono indicizzati al Pil per circa 3 miliardi di dollari, in scadenza sempre il 15 dicembre. Se l’Argentina non rispetterà la sentenza, il giudice ha minacciato di inibire i pagamenti degli interessi ai detentori dei nuovi titoli ristrutturati. A quel punto potrebbe scattare appunto un bancarotta “tecnica” da 24 miliardi di dollari, che è pari al debito emesso dall’Argentina tra il 2005 e il 2010.
E Fitch velenosamente ha visto come negative anche le prospettive dell’economia argentina tanto da non escludere un altro declassamento nei prossimi mesi.
Il governo di Christina Kirchner ha presentato subito appello per ribaltare la sentenza ed evitare di dover scegliere per la seconda volta la bancarotta, la prima fu nel 2001, pur di non pagare un debito così oneroso. Il ministro argentino dell’Economia, Hernan Lorenzino, ha spiegato che il ricorso poggia sul fatto che Buenos Aires ha onorato i suoi impegni. E se la sentenza del giudice verrà confermata, questo inciderà negativamente sulla possibilità di ristrutturazioni del debito pubblico di altri Paesi e avrebbe gravi conseguenze per New York, come piazza finanziaria globale.
A dare ragione all’Argentina sono stati diversi analisti finanziari che pure criticano in un’ottica liberista la politica economica del governo per questioni come il protezionismo e i vincoli sull’acquisto di dollari. Mandare a monte un’intera ristrutturazione del debito genererebbe soltanto caos. Sarebbe assurdo soprattutto perché si penalizzerebbe un Paese che ha pagato. I detentori di tango bond, che a loro volta faranno ricorso contro la decisione del giudice Griesa, stanno riportando a casa una percentuale importante del loro capitale, tra il 60% e l’85%, a seconda delle diverse adesioni alle offerte. Se l’Argentina, per assurdo, decidesse di accontentare chi ha tenuto duro per 10 anni e non ha mai accettato le ristrutturazioni, scatenerebbe l’ira della maggioranza di chi ha accettato.
Anche il Financial Times ha invitato a riflettere sulle possibili conseguenze internazionali di un nuova bancarotta che creerebbe altra instabilità. Secondo altri analisti la sensazione è che la situazione stia precipitando. Vi è stato infatti il forte aumento delle quotazioni dei Cds (Credit default swaps) a 5 anni sul debito argentino (proprio gli strumenti derivati che proteggono dal rischio di bancarotta) saliti a 4.200 punti base mentre a fine ottobre venivano scambiati a 1.000 punti. Una conferma che la speculazione anglo-americana è in piena attività.
Nei prossimi giorni ci dovrebbe essere un aumento della fuga di capitali che provocherà un aggravamento della crisi finanziaria, un ulteriore rialzo delle tensioni sociali e un taglio del rating sul debito argentino questa volta da parte di Moody’s e Standard&Poor’s. Se lo Stato decidesse di non pagare nessuno dei creditori, dichiarando nuovamente bancarotta, tale scenario non dispiacerebbe poi tanto agli gnomi di Wall Street e della City che da anni auspicano la caduta del governo peronista.
29 Novembre 2012 12:00:00 – http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=18067